Giovedì 21 giugno, presso il Piccolo Auditorium Aldo Moro, il fondatore del Censis,
Giuseppe De Rita, ha tenuto una Lectio magistralis sul tema: “Evoluzione delle
comunità e dei territori: il motore dello sviluppo italiano”.
Dopo il saluto inaugurale del Direttore del Centro Studi e Documentazione dei
Comuni Italiani, Lucio D’Ubaldo, il Presidente della Fondazione Ifel-Anci e sindaco
di Ascoli Piceno, Guido Castelli, ha introdotto i lavori sul tema della “navigazione”.
Esperienza segnalata dal filosofo Soren Kierkegaard quando nel suo Diario riprende
questa immagine: “La nave è in mano al cuoco di bordo. E ciò che trasmette il
megafono del comandante non è più la rotta ma ciò che mangeremo domani”.
Meglio tendere l’orecchio al cuoco di bordo, che risponde all’immediato pulsare
dell’istinto primario, che seguire la rotta indicata (autorevolmente) dal comandante.
La tentazione è quindi duplice: abbassare lo sguardo, mostrando indifferenza, oppure
alzare le mani in segno di resa? A questa domanda ha provato a rispondere De Rita.
Secondo il fondatore del Censis, gli italiani hanno potuto, per alcuni decenni,
“respirare a pieni polmoni”.
La navigazione tranquilla (per restare a Kierkegaard) era
consentita dalle favorevoli condizioni sociali e da un’idea precisa sulla crescita (e
quindi sullo sviluppo) del Paese. Il “piano Casa” di Fanfani, lo sviluppo delle Casse
rurali e della Cassa per il Mezzogiorno, l’avvio di grandi opere pubbliche e
infrastrutturali (si pensi all’autostrada del Sole costruita in otto anni, tra il 1956 e il
1964), uno sviluppo industriale impetuoso, che ha portato al raddoppio delle
grandezze di stock del settore secondario in appena dieci anni, tra il 1971 e il 1981.
Oggi gli italiani si guardano allo specchio e si vedono, secondo De Rita, “stanchi e
rattrappiti”. Come è possibile? La spiegazione va cercata, in primo luogo, nella crisi
dei “dieci anni” (2008-2017) che ha distrutto ricchezza economica e posti di lavoro.
Ciò è senz’altro vero, ma corrisponde solo a una parte del problema. Nell’Enciclica
Populorum Progressio, Paolo VI parla della necessità di un’azione concertata per lo
sviluppo integrale dell’uomo.
Lo sviluppo, per essere autentico, deve essere integrale,
cioè volto alla promozione di ogni persona. Per la prima volta si estende
l’insegnamento sociale della Chiesa su scala mondiale e Paolo VI propone, come
dovere urgente e necessario, quello di stabilire una giustizia sociale schierandosi dalla
parte dei perdenti dell’umanità, delle popolazioni più deboli e marginalizzate.
Questa “spinta vitale” si è totalmente esaurita nella società di oggi, dominata dal
menefreghismo, con una forza politica (oggi al governo del Paese) nata da un V-Day.
Eppure l’uomo è sempre uomo. Per quanto si cerchi di distrarlo con le mode dettate
dagli spot pubblicitari e dalle curiosità della Rete, di lasciarlo senza bussola e a
briglie morali sciolte, ogni giorno soffre, lotta, combatte. E allora (sempre per restare
a Kierkegaard) proviamo a proporgli una navigazione seria, con delle mappe
concettuali che possano indicare diversi percorsi e approdi “significativi”, cioè dotati
di senso. Scriveva Montaigne nei suoi Saggi: “A chi mi domanda ragione dei miei
viaggi, solitamente rispondo che so bene quello che fuggo, ma non quello che cerco”.
Proprio a questo dovrebbe servire la Politica: al bene comune, alla riaggregazione
(per quanto difficile) dei corpi intermedi, al recupero di quelle “cinghie di
trasmissione” che favoriscono il senso di appartenenza dei cittadini a una comunità.