L’Osservatore Romano | Guardare al futuro con lo sguardo di Teilhard de Chardin.

Intervento pronunciato in occasione del convegno tenutosi venerdì e sabato scorsi a Rimini sulla figura del noto gesuita francese, fra i primi a introdurre nel pensiero cattolico il concetto di evoluzionismo.

Saper leggere il proprio tempo è il dono dei profeti. Niente è più necessario, soprattutto oggi, del comprendere gli epocali cambiamenti in atto. Niente è più indispensabile del capire dove sta andando l’umanità contemporanea e cosa è lecito attendersi dal prossimo futuro. I dati delle scienze moderne forniscono degli indicatori, ma questi spiragli sull’avvenire rimangono incerti ed è comunque avvertito il bisogno di una comprensione maggiormente metafisica o più teologica di ciò che sta avvenendo. Occorre pensare, come direbbe Jurgen Moltmann, al futuro della creazione, ma non sono molti i teologi che possono aiutare la Chiesa ad accompagnare i cambiamenti contemporanei e ad interpretarli. Almeno un autore, però, il cui sguardo profetico non è limitato al nostro tempo ma arriva a quelli escatologici, lo si può menzionare: Pierre Teilhard de Chardin. Non è senza vantaggio scrutare ciò che sta avvenendo con gli occhi di questo gesuita francese che, oltre ad essere affermato scienziato, fu anche teologo originale e mistico dell’incarnazione. Sebbene alcune delle sue pagine più intese le abbia scritte nelle trincee della prima guarda mondiale, la sua teologia non è semplicemente attuale, ma persino ancora avanti rispetto alle questioni che stiamo dibattendo. Il suo pensiero controcorrente, pertanto, aiuta a leggere ciò che sta avvenendo, ed alimenta una teologia della speranza che è quanto mai necessaria. Che il nostro tempo stia attraversando dei cambiamenti epocali, comunque, è indubbio. A cambiare è la rapidità stessa del cambiamento, sul piano sociale, economico, culturale, morale e, non per ultimo, ecologico. Questa rapidizzazione ha portato in molti casi benessere materiale, ma ha anche accompagnato un tracollo dei valori cristiani. I libri di Zygmunt Bauman descrivono con lucidità il consumismo della postmodernità e i risultati materialistici della globalizzazione. Ad uno sguardo attento, gli effetti principali delle trasformazioni in atto non riguardano tanto l’edonismo diffuso, quanto il secolarismo conseguente. Sebbene Rudolf Otto parlasse di un sensus numinis e Karl Rahner dell’umana trascendentalità, di fatto, il cambiamento più preoccupante da cui è oggi afflitta una buona fetta dell’umanità, è la perdita del senso del sacro.

 

Prendendo atto, pertanto, che le trasformazioni in corso sono considerate un progresso escludente Dio — paradigmatico è il caso del transumanesimo — è lecito chiedersi, soprattutto da un punto di vista cristiano, se gli sviluppi odierni si possano effettivamente chiamare progresso. Siamo infatti di fronte a quello che già Henri de Lubac definiva, considerandolo un dramma, umanesimo ateo. Una prima originalità del pensiero di Teilhard de Chardin, però, è che egli considerava i progressi “naturali”, anche quando messi in opera da agnostici ed atei, un contributo al Regno di Dio. Il suo evoluzionismo, infatti, prevedeva un “muovere verso” l’alto e in avanti, in una direzione fatalmente escatologica. Se quello a cui stiamo assistendo è realmente un progresso, è dunque lecito chiedersi: verso dove? O meglio, la storia sta veramente procedendo nella direzione indicata da Teilhard de Chardin? Ciò che è maggiormente originale, nella sua riflessione, è proprio l’inserimento degli avvenimenti storici in una cornice di senso e persino in un quadro metafisico. Il suo concetto di Omega, inteso come polo attrattore divino e vertice finale della vicenda umana, gli permetteva di includere le vicende umane in una vera e propria teologia della storia. Era esattamente l’inesorabilità di Omega e la sua forza onnipervadente, l’elemento che rendeva il pensiero di questo autore fatalmente ottimista. Sotto questo aspetto, egli si distingue nettamente dai tanti catastrofisti e persino apocalittici del nostro tempo, i quali, di fronte alla degenerazione morale, alle epidemie, al rischio di autodistruzione nucleare, all’estinzione progressiva delle risorse, all’eccessivo sviluppo demografico, al perdurare dei conflitti, hanno messo in discussione l’idea stessa che ci sia un vero progresso nella storia.

 

Occorre dunque fare chiarezza. Va chiarito se i cambiamenti in atto si possano effettivamente considerare un progresso. Di per sé, però, il concetto di progresso non è chiaro, perché indica un miglioramento delle condizioni di vita materiali e spirituali, ma i mezzi attraverso cui si intende realizzarli, come la tecnica, la scienza, la politica, l’economia sono gravemente ambigui. Quelle menzionate, rappresentano le forze principali che stanno oggi producendo un cambiamento ecologico che è espressione, in realtà, di un cambiamento antropologico. Se l’uomo dell’età moderna, infatti, si definiva a partire dalla sua capacità di dominare la natura, l’uomo dell’età postmoderna ha invece compreso quanto pericoloso sia il suo titanismo, e come sia anzi necessario passare, come scriveva Moltmann, dal dominio sul mondo all’umiltà cosmica. Quasi cento anni fa, prevedendo queste questioni, Teilhard de Chardin dichiarava che «Ciò che stiamo subendo è il prezzo, la premessa, la fase preliminare della nostra umanizzazione». Filtrati attraverso la sua visione, infatti, i cambiamenti del nostro tempo si possono comprendere ed interpretare in modo nuovo, perché non parlava solo di umanizzazione, ma anche di amorizzazione, di convergenza e di unificazione. 

 

Nell’ottica del gesuita francese, tutte le trasformazioni in atto sono condivisibili solo se vanno nella direzione dell’unità. Egli, comunque, considerava inesorabile il processo di unificazione in corso, perché scriveva che l’avvenire celeste ed umano sta nell’associazione armoniosa degli individui mediante l’amore, precisando che «la pressione delle forze planetarie ci costringerà, presto o tardi, per amore o per forza, a radunarci in una qualche unità umana organizzata in modo solidale». Proprio in virtù di tale unificazione, che è anche una personalizzazione, il gesuita prefigurava anche l’avvento dell’“Era della Persona”, perché, come spiegava, “non potrebbe esserci vera unificazione al di fuori di una fusione personalizzante”. Dal pensiero del teologo francese, pertanto, possiamo raccogliere un criterio interpretativo per leggere i cambiamenti del nostro tempo: quello dell’unità. È buono ogni cambiamento che produce unificazione ed è cattivo ogni cambiamento che frammenta e molteplicizza. Teilhard de Chardin, che con la sua teoria della noosfera ha anticipato la rete mondiale di internet, era convinto che l’umanità si trovasse di fronte ad un dilemma di fondo: unirsi o perire. Riteneva che essa stesse attraversando una crisi di crescita, e che era giunta per l’umanità l’ora di dover scegliere tra la fede e la non-fede in un progresso collettivo spirituale della Terra. La sua teorizzazione della noosfera, del resto, è una nozione spirituale prima ancora che scientifica, perché dal suo punto di vista faceva da premessa ad un ulteriore sviluppo teologico. Sosteneva infatti che la scienza senza lo spirito è morta, e leggendo l’unificazione come una convergenza spirituale orientata e ordinata a Cristo, parlava di un finale passaggio evolutivo della coscienza dalla noosfera alla cristosfera. Se Teilhard de Chardin credeva nell’uomo, nel cosmo e nel futuro, è per questo presunto esito finale dell’evoluzione, e perché scorgeva il sole di Omega e della sua forza attrattiva al di là e al termine di tutte le nubi storiche. È in virtù di questa fede, che persino tra le trincee di Verdun, non ha mai perso la sua fiducia nell’umanità. Come scriveva dopo aver vissuto due guerre mondiali: «Più ci respingiamo e più ci compenetriamo». Sbaglieremmo, però, a giudicare il suo ottimismo superficiale, perché scrisse anche che «Il Mondo cresce nel rischio perenne di non averse un esito positivo. Il suo Divenire si persegue, come la salvezza individuale, in timore e tremore». Anticipando i pericoli e le ambiguità connessi con gli sviluppi bio-tecnologici attuali, aggiungeva che «il periodo della meccanizzazione non è stato mai più grande di oggi. Non si può scalare una montagna senza costeggiare un abisso». 

 

Il pensiero di Teilhard de Chardin rappresenta dunque un monito profetico per il nostro tempo. Soleva dire che l’umanità, nonostante le apparenze, si annoia, aggiungendo che è forse questa la fonte segreta di tutti i suoi mali. Insisteva sul fatto che il progresso non è una questione di benessere, ma di più-essere. Chiediamoci se i cambiamenti del mondo stanno andando in questa direzione e in quella dell’unità.

 

Fonte: L’Osservatore Romano – 24 Aprile 2023

Titolo originale: Dal dominio sul mondo all’umiltà cosmica. Guardare al futuro con lo sguardo di Teilhard de Chardin.

[Articolo qui riproposto per gentile concessione del direttore del quotidiano pubblicato nella Città del Vaticano]

 

Chi è l’autore

Paolo TrianniTeologo, professore associato alla Pontifica Università Gregoriana, docente presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo e presso l’Università di Trento.