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lunedì, 3 Novembre, 2025
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Contro Ezra Pound

Tratto da http://www.succedeoggi.it

A proposito della querelle sullo stand dell’editore di CasaPound al Salone torinese, qualcuno invita a leggere o rileggere Pound, a capire quanta distanza lo separi dai “poveretti” (Cacciari) di CasaPound. Proviamo a farlo. Subito però un interrogativo, che spero non suoni irrispettoso: proprio sicuri che Pound, che si sentiva contemporaneo di Dante e Cavalcanti, sia stato uno dei maggiori poeti del ‘900, come enfaticamente dichiarò una volta Cacciari di fronte alla sua tomba veneziana? Avrei molti dubbi in proposito. Per certi versi mi appare come un insuperabile software della cultura universale, una sterminata enciclopedia in forma poetica dell’intero sapere umano. Montale disse una volta che nel suo cervello si celebrava “un festival della letteratura mondiale”. Aggiungerei: un festival postmoderno inzeppato di reminiscenze classiche e mitologie culturali, a volte scadenti o perfino un po’ fasulle.

Pound, definito “global translator”, sembra frullare in un vortice unico Est e Ovest, haiku e provenzali, classicità e sperimentalismo, Omero e Dante, Ovidio e Cavalcanti, Riccardo di San Vittore e Iside (madre della religione egizia), Jefferson e Mussolini. A 12 anni andò per la prima volta nella coltissima Europa. provenendo dalla estrema provincia del Far West americano, e da allora non si è più ripreso! Prezioso maieuta del suo amico Thomas S. Eliot, ma, al contrario di lui, la sua opera “è in parte naufragata sotto il peso della sua erudizione” (così il critico Edmund Wilson, suo amico, che ricorda come Pound alle cene fingeva di saper suonare il piano!). Della poesia di Pound amo l’essenzialità, l’energia, l’esattezza metrica, il principio artigianale che una poesia deve essere scritta “altrettanto bene di una prosa”, la negazione dell’io in favore del mondo – tutte attitudini travasate nei beat –. La sua stessa scandalosa biografia politica, infine, mi appare come una vicenda ispirata da una disarmata ingenuità che lo porta ad abbracciare cause perse, ancorché aberranti, come la RSI (e per il reato di tradimento scontò la pena in una gabbia di cemento e filo spinato a Pisa).

Va bene, è ingiusto banalizzarlo. Ma prendiamo un suo famoso aforisma: “Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui”. Una sentenza roboante e falsa. Non tiene conto di quella che Orwell chiamava la naturale “lunaticità” dell’essere umano, sempre un po’ esitante, contraddittorio. Cosa sono quelle “idee”granitiche che dovrebbero governarci dispoticamente e che non tollerano dubbi su di sé? E poi, al contrario: quante volte si è lottato – fanaticamente! – per idee che letteralmente “non valevano nulla”, per idolatrie sociali sprezzanti verso ogni compromesso! Ma la forza di Pound non sta nel suo pensiero esplicito. Piuttosto nella fusione di senso e suono che si percepisce in alcuni suoi versi. Lui stesso dichiarò che le proprie citazioni erano soltanto dei temi musicali, che poi sviluppava liberamente. Singolare: il mito della purezza – probabilmente nato dai laghi cristallini del suo Idaho –, che la sua poesia tende a negare poiché si mescola alla lingua parlata e colloquiale, diventerà invece esiziale dal punto di vista politico-ideologico.

Prendiamo poi il rapporto di Pasolini con Pound. Un rapporto di ammirazione, e financo di devozione (si veda la celebre intervista, ora su YouTube, in cui legge con empatia alcuni dei suoi versi). Però non è mai devozione acritica. In un articolo del 1973 si sofferma sugli scritti “economici” (Oro e lavoro, Roosevelt e le cause della guerra presente…), giudicandoli “farneticanti e anche idioti… illogici e provocatori”, originati da una “pazzia clinica”. Le sue affermazioni “paradossali, teppistiche e arrabbiate” nascono per lui da una “politica gestuale”, dunque teatrale, esibizionistica. In un altro articolo, dello stesso anno, precisa che l’ideologia reazionaria di Pound – delirante – proviene dal suo background contadino, è tutta una venerazione dei valori di un mondo contadino arcaico celebrati nei Cantos: compassione paterna, devozione filiale, mutualità fraterna ( e proprio questi valori, in questa formulazione poundiana, li inserisce nel suo dramma “Bestia da stile”). Poi conclude, con una profezia errata (come spesso capitava a Pasolini) che qualcosa in Pound ne impedisce una piena strumentalizzazione da parte della destra. Mary de Rachelwitz, la figlia di Pound, ha perso la causa contro CasaPound e la appropriazione indebita del nome (e anche se lei, secondo Pasolini, avrebbe qualche responsabilità riguardo a una cattiva ricezione del pensiero del padre). Ora, sappiamo che la cultura vera sempre destabilizza, e ci offre una verità fatalmente ambigua sulla condizione umana (che è ambigua). Dunque qualsiasi riduzione a slogan, come quella fatta da CasaPound, la tradisce, e in questo caso tradisce Pound. Eppure non riesco a immaginarmi una cosa come CasaCéline: lo scrittore francese, che pure finì collaborazionista e autore di ripugnanti libelli antisemiti, aveva qualcosa di intrattabile e di refrattario alla destra. Nei primi romanzi difende gli sventurati e i senza potere, denuncia l’idiozia e l’orrore della guerra fino a elogiare la vigliaccheria, oltre a curare gratis come medico i barboni della banlieu parigina. No, troppo infido e pericoloso da maneggiare politicamente.

 

Istat: da maggio il primo Censimento permanente delle imprese

A differenza dei censimenti tradizionali, il nuovo Censimento è costituito da una rilevazione di tipo campionario, mentre la restituzione dei dati ottenuti sarà di tipo censuario. Il campione coinvolto è di circa 280.000 imprese con 3 o più addetti. Per la prima volta si svolgerà a cadenza triennale e non più decennale, e garantirà un rilascio di informazioni continue e tempestive. La rilevazione prenderà il via il 20 maggio per chiudersi il 16 settembre 2019.

L’obiettivo del nuovo Censimento è quello di aggiornare il quadro informativo sui comportamenti delle imprese in termini di strategie per accrescere la competitività, adozione di nuove tecnologie e processi di digitalizzazione, e misure finalizzate alla sostenibilità ambientale e responsabilità sociale, al fine di cogliere i cambiamenti più profondi in atto nel sistema produttivo nazionale.

Secondo il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo “Il nostro sistema produttivo sta sperimentando complessi e profondi cambiamenti strutturali che riguardano sia aspetti tecnologici, organizzativi, di mercato e di impiego di capitale umano, sia sfide su responsabilità ambientale, sociale e per lo sviluppo locale”.

“Sulla capacità di evolvere del sistema delle imprese si gioca oggi, come in altre fasi della nostra storia economica, la tenuta e l’evoluzione del nostro sistema produttivo nel contesto globale”, per il quale il censimento permanente offrirà “un’opportunità di conoscenza delle caratteristiche della transizione in atto e dei punti di forza e di debolezza del nostro sistema produttivo, di grande impatto potenziale sulle politiche per la crescita”.

Consumi: volano frutta e verdura, +1 mld di kg in 10 anni

I consumi di frutta e verdura degli italiani sono aumentati di quasi un miliardo di chili nell’ultimo decennio facendo registrare nel 2018 il record del periodo per un quantitativo complessivo nel carrello di 8,7 miliardi di chili. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti presentata in occasione dell’inaugurazione del Macfrut il Fruit & Veg Professional Show di Rimini con il presidente nazionale della Coldiretti Ettore Prandini nell’ambito dell’incontro “Ortofrutta: innovazione, politiche e consumi” alla sala Neri 2 – Expo Center.

La spinta al consumo è avvenuta per effetto soprattutto delle preferenze alimentari dei giovani che – sottolinea la Coldiretti – fanno sempre più attenzione al benessere a tavola con smoothies, frullati e centrifugati consumati al bar o anche a casa grazie alle nuove tecnologie. Se le mele a livello nazionale – precisa la Coldiretti – sono state il frutto più consumato, al secondo posto ci sono le arance, mentre tra gli ortaggi preferiti dagli italiani salgono sul podio nell’ordine le patate, i pomodori e le insalate/indivie. In crescita la spesa per gli ortaggi freschi pronti al consumo (la cosiddetta IV gamma) che chiudono il 2018 con una crescita a valore del +5% rispetto all’anno precedente con quasi 20 milioni di famiglie acquirenti, secondo Ismea. Tra le tendenze si registra il forte aumento degli acquisti diretti dal produttore dove nel corso del 2018 hanno fatto la spesa 6 italiani su dieci almeno una volta al mese secondo l’indagine Coldiretti/Ixe.

A sostenere la domanda – sostiene la Coldiretti – è la spinta dell’innovazione, in scena a Macfrut, dal campo allo scaffale. Dai sensori in campo per ottimizzare il ciclo colturale delle produzioni al vassoio con airbag per non ammaccare la frutta pronta al consumo fino alle nuove combinazioni tra frutta e formaggi nel ready to eat.

La ricerca di sicurezza e genuinità nel piatto porta l’88% degli italiani a bocciare la frutta straniera e a ritenere importante scegliere nel carrello frutta e verdura Made in Italy secondo l’indagine Coldiretti/Ixè, visto che l’Italia è al vertice della sicurezza alimentare mondiale. Basti pensare che il numero di prodotti agroalimentari extracomunitari con residui chimici irregolari è stato pari al 4,7% rispetto alla media Ue dell’1,2% e ad appena lo 0,4% dell’Italia secondo le elaborazioni Coldiretti sulle analisi relative alla presenza di pesticidi rilevati sugli alimenti venduti in Europa effettuata dall’Efsa. In altre parole – precisa la Coldiretti – i prodotti extracomunitari sono 4 volte più pericolosi di quelli comunitari e 12 volte di quelli Made in Italy per quanto riguarda la presenza di residui chimici oltre i limiti.

Sotto accusa sono le importazioni incontrollate dall’estero favorite dagli accordi commerciali agevolati stipulati dall’Unione Europea come il caso delle condizioni favorevoli che sono state concesse al Marocco per pomodoro da mensa, arance, clementine, fragole, cetrioli e zucchine o all’Egitto per fragole, uva da tavola, finocchi e carciofi. Accordi – continua la Coldiretti – fortemente contestati perché nei paesi di origine è spesso permesso l’uso di pesticidi pericolosi per la salute che sono vietati in Europa, ma anche perché le coltivazioni sono realizzate in condizioni di dumping sociale per il basso costo della manodopera.

L’Italia – sottolinea la Coldiretti – è il primo produttore Ue di molte verdure e ortaggi tipici della dieta mediterranea e italiana come pomodori, melanzane, carciofi, cicoria fresca, indivie, sedano e finocchi. L’Italia risulta poi il secondo produttore dell’Unione europea di lattughe, cavolfiori e broccoli, spinaci, zucchine, aglio, ceci, lenticchie e altri legumi freschi. Infine, l’Italia detiene il terzo posto in Europa per quanto riguarda asparagi, ravanelli, peperoni e peperoncini, fagioli freschi. E anche per quanto riguarda la frutta l’Italia – precisa la Coldiretti – primeggia in molte produzioni importanti dalle pere fresche alle ciliegie, dalle albicocche alle uve da tavola, dai kiwi alle nocciole fino alle castagne. È altresì seconda per la produzione di mele, pesche, nettarine, meloni, limoni, arance, clementine, fragole (coltivate in serra) e mandorle e al terzo posto per angurie, fichi, prugne e olive da tavola.

Complessivamente la superficie italiana coltivata ad ortofrutta – sottolinea la Coldiretti – supera il milione di ettari e vale oltre il 25% della produzione lorda vendibile agricola italiana. I punti di forza dell’ortofrutta italiana sono l’assortimento e la biodiversità, con il record di 107 prodotti ortofrutticoli Dop/Igp riconosciuti dall’Ue, la sicurezza, la qualità, la stagionalità che si esalta grazie allo sviluppo latitudinale e altitudinale dell’Italia, una caratteristica vincente per i prodotti ortofrutticoli del Belpaese.

“E’ necessario che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute” ha affermato il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare però la necessità di “superare l’attuale frammentazione e dispersione delle risorse per la promozione del vero Made in Italy all’estero puntando a un’Agenzia unica che accompagni le imprese in giro nel mondo sul modello della Sopexa e ad investire sulle Ambasciate, introducendo nella valutazione principi legati al numero dei contratti commerciali.

A livello nazionale – continua Prandini – serve un task-force che permetta di rimuovere con maggiore velocità le barriere non tariffarie che troppo spesso bloccano le nostre esportazioni ma anche trasporti efficienti sulla linea ferroviaria e snodi aeroportuali per le merci che ci permettano di portare i nostri prodotti rapidamente da nord a sud del Paese e poi in ogni angolo d’Europa e del mondo”.

Una urgenza in una situazione in cui l’Italia purtroppo non è riuscita ad agganciare la ripresa della domanda all’estero dove – conclude la Coldiretti – sconta un ritardo organizzativo, infrastrutturale e diplomatico che ha provocato nel 2018 un crollo nell’ortofrutta fresca esportata dell’11% in quantità e del 7% in valore, rispetto all’anno precedente.

Dalla Ue sostegno particolare a 10 regioni e due Stati membri

Nel corso dell’ultimo anno gli esperti della Commissione europea hanno incontrato le autorità nazionali e regionali facendo un’analisi d’insieme riferita ad ogni elemento che costituisse un freno alla creazione di posti di lavoro e alla crescita dei territori. Un primo risultato di questa iniziativa è costituito dal lancio di alcuni progetti pilota (uno per regione o Stato membro in questione) volti a superare le criticità specifiche alla transizione industriale. I vari programmi sono stati presentati due giorni fa a Bruxelles e ciascuno di essi riceverà una sovvenzione di 300.000 euro.

Piemonte: la Regione intende promuovere l’innovazione e mettere a punto meccanismi di finanziamento in tal senso. Grazie a questo fondo europeo, potrà sperimentare nuove soluzioni per la gestione e il finanziamento dei cluster industriali locali e per la diffusione regionale dell’innovazione.

Cantabria, Spagna: per effetto dell’evoluzione tecnologica, nel comparto agroalimentare regionale sono andati perduti molti posti di lavoro. Grazie alla sovvenzione dell’Unione, la regione avvierà un progetto di riqualificazione e inclusione professionale per il comparto.

Centro-Valle della Loira, Francia: la regione intende adeguare le competenze della sua popolazione ai posti di lavoro del futuro. Il progetto pilota finanziato dall’Ue aiuterà piccole e medie imprese locali di settori tradizionali a sviluppare conoscenze e competenze digitali.

Grand Est, Francia: nell’ottica della transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, la regione utilizzerà la sovvenzione europea per realizzare un centro per la sperimentazione di soluzioni per la transizione energetica nelle imprese locali.

Alta Francia: per sostenere l’adeguamento all’evoluzione digitale e tecnologica la regione utilizzerà la sovvenzione per aiutare piccole e medie imprese innovative locali a integrare le tecnologie digitali nei propri processi produttivi o nella progettazione dei propri prodotti.

Lituania: la sovvenzione dell’Ue contribuirà all’introduzione di una tabella di marcia per l’economia circolare in tutta l’industria lituana.

Finlandia nord-orientale: la regione aiuterà le sue imprese ad applicare le innovazioni prodotte da altri soggetti, come le università o gli incubatori di start-up. La regione sta avviando un progetto pilota per promuovere e finanziare l’innovazione interregionale dell’industria forestale e del legno.

Greater Manchester, Regno Unito: la regione utilizzerà la sovvenzione dell’Ue per elaborare e sperimentare una “Carta per l’occupazione di qualità” finalizzata a migliorare le competenze, la qualità degli impieghi, la produttività e i salari nelle imprese locali.

Svezia centro-settentrionale: per compiere la transizione verso un’economia circolare e a basse emissioni di carbonio, la regione istituirà un laboratorio che si occuperà di soluzioni efficienti sotto il profilo delle risorse per le imprese locali.

Sassonia, Germania: la regione utilizzerà la sovvenzione dell’Ue per individuare nuovi modelli di business che contribuiscano alla decarbonizzazione dell’industria automobilistica regionale.

Slovenia: il paese realizzerà una piattaforma collaborativa online e fisica per sviluppare l’industria slovena 4.0, comprendente settori come la cibersicurezza, il cloud computing, i big data o la robotica.

Vallonia, Belgio: la regione sperimenterà nuove soluzioni nel settore della plastica, dalla produzione al consumo e al riciclaggio, e promuoverà i processi circolari per la plastica nelle piccole e medie imprese locali.

“Visti i primi risultati di questa iniziativa – ha detto il commissario per la Politica regionale Corina Cretu – invito tutte le regioni a fare in futuro questa esperienza. Le regioni dovrebbero individuare i punti deboli da correggere e i punti di forza da valorizzare per migliorarsi nell’ambito della catena del valore nella nostra economia globalizzata. A tale fine, nel prossimo bilancio a lungo termine dell’Ue avranno accesso a più di 90 miliardi di euro di finanziamenti a titolo della politica di coesione nei settori della ricerca, dell’innovazione e delle piccole e medie imprese”.

Per una Biennale sempre più aperta

Articolo già pubblicato nella newsletter culturale di Studio a firma di Clara Mazzoleni

Oggi apre al pubblico la Biennale di Venezia. Si spera che i visitatori siano più fortunati degli addetti ai lavori che l’hanno visitata in anteprima sotto una pioggia scrosciante durata tutto il giorno. Dopo l’orario di chiusura del primo giorno di pre-apertura, la folla si è riversata verso i vaporetti per tornare agli alberghi o correre in stazione. Oltre ad alcune delle più belle opere che io abbia mai visto, quest’edizione mi ha regalato una scena memorabile: 45 minuti di attesa, sotto una pioggia torrenziale, insieme a giornalisti, artisti, curatori e galleristi da tutto il mondo, la maggior parte dei quali elegantissimi, dotati dei lineamenti leggeri e perfetti che tendiamo ad attribuire alle persone colte, facoltose e di ottima famiglia (mi chiedevo perché non avessero preso un taxi d’acqua, allora). Una babele di lingue che si sviluppava in tutte le direzioni, soprattutto sottoforma di imprecazioni. Invece di proteggerci, infatti, l’agglomerato di ombrelli che ci ostinavamo a tenere sopra le nostre teste aggravava la situazione. Piccole e violente cascate infradiciavano le maniche, le borse, i passeggini e anche lo zainetto Chanel della ragazza che mi stava davanti. Era divertente vedere persone così eleganti e composte in quello stato: uomini in trench e completo con in testa i sacchetti di plastica del bookshop, donne con la messa in piega costrette a ripararsi con il catalogo di una mostra.

Se ci auguriamo che i visitatori trovino un clima meno sfavorevole di quello che hanno trovato gli addetti ai lavori è anche perché, come ha sottolineato quest’anno il presidente Paolo Baratta, sono la parte più importante della Biennale. May You Live in In Interesting Times, 58esima edizione, arriva 20 anni dopo la riforma della mostra: per fare un bilancio, Baratta ha ricordato la prima esposizione post-riforma. «Rispondemmo con scelte di “apertura” ai molti critici che imputavano alla Biennale con i suoi “padiglioni dei Paesi” di essere fuori moda; erano anni in cui era in voga l’elogio del cosmopolitismo e della globalizzazione. Trascorsi vent’anni oggi c’è chi solleva il dubbio se il cosmopolitismo sia stato anche un modo di esercitare una sorta di dominio (soft power) da parte delle società e delle economie dominanti».

E per festeggiare ha sottolineato un altro aspetto dello slancio di apertura della Biennale: «Nel corso degli anni passati il doppio costo dei trasporti in Laguna ci portava a chiedere ausili addizionali, e nei ringraziamente e nelle didascalie comparivano molti operatori anche di mercato. L’aumento dei visitatori ci consente di ridurre notevolmente questa pratica (…). I visitatori sono diventati il nostro partner principale; più della metà ha meno di ventisei anni. Ricordare questo risultato mi pare il modo migliore per festeggiare i vent’anni trascorsi dal 1999».

Cannabis, la direttiva del Viminale non prevede chiusure di negozi

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini aveva dichiarato guerra ai negozi che vendono marijuana legale, vale a dire con un contenuto di Thc tra il 2 e il 6%.

Ma la direttiva del ministero dell’Interno, che riguarda la stretta dei controlli sui negozi di canapa, non prevede chiusure generalizzate in alcun passaggio del documento.

Il testo invita prefetture, polizia e amministrazioni locali ad effettuare, entro il prossimo 30 giugno, “uno specifico report sulle risultanze della ricognizione svolta”. L’obiettivo principale è quello di vigilare sulla vendita illegale di derivati e infiorescenze della canapa.

 

Ateismo e modernità

Tratto dall’edizione odierna dell’Osservatore Romano a firma di Roberto Righetto

Aveva ragione Henri De Lubac a parlare di «dramma dell’umanesimo ateo» quando, nel pieno della seconda guerra mondiale, individuava nell’ateismo moderno, quello sorto sulla scia di Feuerbach, Nietzsche e Comte, una nuova forma di ateismo, diverso da quello sgorgato ai tempi dell’Illuminismo che conservava molti dei valori di origine cristiana. L’ateismo nato fra Otto e Novecento invece aveva l’obiettivo di scardinare l’umanesimo cristiano e in quegli anni la sua espressione più manifesta era il neopaganesimo germanico sostenuto dal nazismo. Dinanzi a questo «ateismo postulatorio» (qui De Lubac riprendeva una felice formula di Scheler e Guardini), fondato sulla rivolta e sul risentimento, occorreva una nuova alleanza fra le forze liberali e cristiane all’insegna della migliore tradizione classica e cristiana, un’alleanza che ricomprendesse Socrate, Cartesio e «se occorre persino Voltaire, con la sua fine ironia». Non a caso lo stesso teologo e futuro cardinale in un’altra opera magistrale, L’alba incompiuta del Rinascimento, avrebbe poi indicato in Pico della Mirandola il primo vero protagonista dell’Umanesimo cristiano, vale a dire di un progetto culturale grandioso che sarebbe stato condiviso da numerosi altri intellettuali come Cusano, Erasmo da Rotterdam e Tommaso Moro ma che rimase in gran parte irrealizzato: la tendenza paganeggiante e materialistica, rappresentata da Bruno e Campanella, avrebbe prevalso segnando un conflitto della fede con la ragione. E purtroppo con quei valori come libertà, autonomia e pluralismo propri del cristianesimo ma spesso spenti e non riconosciuti dalle stesse Chiese, tanto che solo una grande rivoluzione laica, quella del 1789, li porrà alla base del mondo contemporaneo. Che i valori proclamati dalla Rivoluzione francese fossero essenzialmente cristiani è stato chiaramente riconosciuto da Paolo VI e Giovanni Paolo II. E anche dal cardinale Ratzinger nel discorso tenuto a Subiaco nell’aprile 2005, poco prima di diventare Papa: «L’Illuminismo è nato non a caso proprio ed esclusivamente nell’ambito della fede cristiana. Laddove il cristianesimo contro la sua natura era purtroppo diventato tradizione e religione di Stato, è stato merito dell’Illuminismo aver riproposto questi valori originali del cristianesimo e aver ridato alla ragione la sua propria voce».

È stata di recente la pensatrice franco-bulgara Julia Kristeva, davanti alle sfide del nichilismo contemporaneo, con i suoi due volti del fondamentalismo religioso e irrazionale, che dà vita a forme impazzite come il terrorismo suicida dei kamikaze islamisti da una parte, e quello del neopaganesimo fondato sul vuoto e sul nulla che caratterizza la società opulenta dell’Occidente dall’altra, a proporre un nuovo Illuminismo, che riallacci i fili spezzati con l’umanesimo cristiano. Ed è l’invito che emerge dall’ultimo lavoro filosofico di Massimo Borghesi, Ateismo e modernità, appena uscito da Jaca Book (Milano, 2019, pagine 250, euro 22). «Siamo di fronte a una spirale — scrive nelle conclusioni del saggio — che inverte quella della doppia modernità. Nel moderno, l’Illuminismo laico reagiva all’integralismo religioso; oggi, nel contesto post-moderno, l’integralismo religioso reagisce al laicismo positivistico. Dalla spirale si esce solo se religione e ragione si ripensano a partire da un confronto ideale fatto di unità e distinzione». E poi precisa: «Occorre un nuovo Illuminismo che sappia prendere sul serio la richiesta di senso che si esprime nella dimensione religiosa e, al contempo, una fede che accolga la richiesta di libertà che proviene dalle sue origini e che si documenta, criticamente, nell’ideale della modernità».

Docente di Filosofia morale all’Università di Perugia, dopo aver dato alle stampe una biografia intellettuale di Papa Bergoglio e un volume su Romano Guardini, Borghesi ridà voce al dibattito sull’ateismo sorto nel dopoguerra e che ha avuto come protagonisti, oltre al già citato De Lubac, figure come Jacques Maritain, Etienne Gilson, Cornelio Fabro e Augusto Del Noce. Come si vede, si tratta di alcuni fra i maggiori intellettuali cattolici del ‘900, tutti di area italiana o francese, che spesso ebbero fra loro un dialogo franco e acceso nel tentativo di delineare un nuovo spazio per il pensiero cristiano dopo il crollo del primo dei grandi totalitarismi, quello nazista, e davanti al secondo, allora ancora in vita, vale a dire il comunismo. Non solo: il cristianesimo a detta di questi pensatori doveva ridelinearsi accettando in toto le sfide della modernità e della post-modernità, come avrebbe fatto il concilio Vaticano II.

Divergono le posizioni sulle cause dell’ateismo, soprattutto tra Fabro e Del Noce, mentre quest’ultimo trova maggiore consonanza con Maritain e Gilson. Alle valutazioni dello studioso di Kierkegaard, secondo il quale tutto il pensiero moderno viene posto sotto l’ombra della negazione della trascendenza a partire dal cogito cartesiano, fa da contrappeso come noto l’analisi di Del Noce. Per lui Descartes è una sorta di «Giano bifronte — spiega Borghesi —, che porta tanto al razionalismo quanto al filone dell’ontologismo cristiano moderno di Malebranche-Vico-Rosmini. Con Del Noce lo sguardo si apre su un’altra modernità, sull’indirizzo franco-italiano della modernità, diverso da quello franco-tedesco, ignorato dal pensiero laico come da quello neoscolastico». Il pensiero cattolico almeno sino al concilio si è posto in radicale antitesi con la modernità denunciandone la deriva ateistica, ma in tal modo ha sottovalutato l’orizzonte storico che l’ha provocata. Attraverso la rilettura dei confronti filosofici di Fabro con Hegel e l’idealismo, di Gilson con Comte, di Maritain con Marx e via dicendo, Borghesi individua nella crisi interna al mondo cristiano segnata dalle guerre di religione che hanno infestato l’Europa fra Cinque e Seicento la molla che ha portato alla separazione tra fede e ragione: «Il conflitto politico-religioso è il vero atto di nascita del pensiero moderno. Il moderno non sorge come affermazione del regnum hominis contrapposto al medievale regnum Dei, ma come era tragica, di rottura dell’unità della respublica christiana europea. I termini vanno rovesciati. È l’ostinata lotta per il regnum Dei sulla terra che provoca la reazione, scettica o razionalista, che caratterizzerà poi la modernità laica». In un mondo in cui la fede non è più un terreno unanimemente riconosciuto ma qualcosa che divide, anzi che provoca lacerazioni e persino stragi, il pensiero laico finisce per affidarsi allo Stato per dirimere i conflitti. Come scrive Koselleck: «L’imperativo dell’epoca fu di trovare una soluzione tra le Chiese intolleranti che si combattevano aspramente e si perseguivano senza pietà. Come arrivare alla pace?». Per raggiungere questo obiettivo, da Locke a Hobbes a Voltaire, occorre passare attraverso la neutralizzazione della religione e delle fazioni. Si giungerà così però a un nuovo assolutismo, d’impronta politica e non più religiosa, ove anzi la religione è concepita come instrumentum regni. E al fallimento della via dell’Umanesimo cristiano corrisponderà un altro fallimento, quello della prospettiva laica che propugna il razionalismo e conduce al trionfo della ragion di Stato, finendo per schiacciare ogni impronta morale dell’anelito alla pace e alla fratellanza. È in questo clima che prende forma il moderno laicismo illuminista, in contrapposizione all’Ancien Régime. Sino all’avvento delle ideologie atee che hanno dominato il Novecento e che hanno determinato la catastrofe dell’umano. Alla fine della ricostruzione storico-filosofica di Borghesi, emerge una lettura del pensiero moderno come fenomeno a più facce, da non rigettare completamente da parte del cristianesimo. E pensando all’oggi la necessità di una nuova conciliazione fra il mondo della fede e quello della libertà. L’aveva suggerito anche Bobbio in un dialogo col cardinal Martini, allorché aveva invitato credenti e non a unirsi per combattere contro i pericoli della fede cieca e del non credere a nulla.

 

L’appello di 21 capi di Stato europei: “Cittadini andate a votare”

Riportiamo il testo dell’Appello congiunto al voto per le elezioni europee del maggio 2019 firmato dai Capi di Stato di 21 Paesi dell’Unione Europea.

L’integrazione europea ha aiutato a realizzare la secolare speranza di pace in Europa dopo che il nazionalismo sfrenato e altre ideologie estremiste avevano portato l’Europa alla barbarie di due guerre mondiali. Ancor’ oggi non possiamo e non dobbiamo dare per scontate la pace e la libertà, la prosperità e il benessere. È necessario che tutti noi ci impegniamo attivamente per la grande idea di un’Europa pacifica e integrata.

Le elezioni del 2019 hanno un’importanza speciale: siete voi, cittadini europei, a scegliere quale direzione prenderà l’Unione Europea. Noi, Capi di Stato di Bulgaria, Repubblica Ceca, Germania, Estonia, Irlanda, Grecia, Francia, Croazia, Italia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Austria, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Slovacchia e Finlandia, ci appelliamo quindi a tutti i cittadini europei che hanno diritto a farlo affinché partecipino alle elezioni per il Parlamento europeo a fine maggio prossimo.

I popoli europei si sono liberamente uniti nell’Unione Europea, un’Unione che si basa sui principi di libertà, uguaglianza, solidarietà, democrazia, giustizia e lealtà all’interno e tra i suoi membri. Un’Unione che non ha precedenti nella storia d’Europa. Nella nostra Unione i membri eletti del Parlamento Europeo condividono con il Consiglio dell’Unione Europea il potere di decidere quali regole si applicano in Europa e come spendere il bilancio europeo.

Siamo tutti europei

Ormai da tempo per molti in Europa, soprattutto tra le nuove generazioni, la cittadinanza europea è divenuta una seconda natura. Per loro non è una contraddizione amare il proprio villaggio, la propria città, regione o nazione ed essere al contempo convinti europeisti.

La nostra Europa, insieme, può affrontare le sfide

In questi mesi, più che in passato, l’Unione Europea si trova ad affrontare grandi sfide. Per la prima volta da quando il processo di integrazione europea è iniziato, alcuni parlano di ridimensionare certe tappe dell’integrazione, come la libertà di movimento o di abolire istituzioni comuni. Per la prima volta uno Stato membro intende lasciare l’Unione. Al contempo, altri invocano maggiore integrazione all’interno dell’Unione o dell’Eurozona oppure un’Europa a più velocità.

Su questi temi esistono differenze di opinioni sia tra i cittadini che tra i Governi degli Stati membri, così come tra noi Capi di Stato. Ciononostante, tutti noi siamo d’accordo che l’integrazione e l’unità europea sono essenziali e che vogliamo che l’Europa continui come Unione. Solo una comunità forte sarà in grado di affrontare le sfide globali dei nostri tempi. Gli effetti di cambiamenti climatici, terrorismo, globalizzazione economica e migrazioni non si fermano ai confini nazionali. Riusciremo a far fronte con successo a queste sfide e a proseguire il cammino dello sviluppo economico e della coesione sociale solamente lavorando insieme come partner uguali al livello istituzionale.

Vogliamo un’Europa forte e integrata

Dunque abbiamo bisogno di un’Unione Europea forte, un’Unione dotata di istituzioni comuni, un’Unione che riesamina costantemente con occhio critico il proprio lavoro ed è in grado di riformarsi, un’Unione costruita sui propri cittadini e che ha nei suoi Stati membri la propria base vitale.

Quest’Europa ha necessità di un vivace dibattito politico su quale sia la direzione migliore per il futuro, a partire dalla base fornita dalla Dichiarazione di Roma del 25 marzo 2017. L’Europa è in grado di sostenere il peso di un dibattito che includa un’ampia gamma di opinioni e di idee. Ma non si deve ritornare a un’Europa nella quale i Paesi siano avversari piuttosto che partner alla pari.

La nostra Europa unita ha bisogno di un voto forte da parte dei popoli, ed è per questo che vi chiediamo di esercitare il vostro diritto a votare. È un voto sul nostro comune futuro europeo.

La lettera è stata firmata da Bulgaria, Repubblica Ceca, Germania, Estonia, Irlanda, Grecia, Francia, Croazia, Italia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Austria, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Slovacchia e Finlandia.

Elezioni europee: l’appello dei missionari italiani

I missionari che fanno parte della Cimi (Conferenza istituti missionari italiani) in una lunga lettera aperta in vista delle elezioni europee auspicando innanzitutto che l’Europa riconosca il contributo degli immigrati scrivono: “In occasione delle elezioni del 26 maggio noi missionari cattolici di diverse famiglie e provenienze che siamo presenti nel Sud e nel Nord del mondo vogliamo condividere il nostro sogno e le nostre preoccupazioni sull’Europa, a fianco delle vittime dell’umanità’ ferita a causa dell’attuale sistema economico-finanziario che uccide creature

Esprimono, inoltre, preoccupazione per la retorica populista che alimenta sentimenti xenofobi verso gli stranieri. Una condanna espressa anche contro la politica dei porti chiusi adottata dall’Italia e per la sorte di decine di migliaia di profughi rinchiusi nei centri di detenzione in Libia, a rischio della vita per l’inasprirsi del conflitto. “L’Italia e l’Unione europea – affermano – si mobilitino per realizzare corridori umanitari che garantiscano il loro trasferimento in Paesi dove ci sia pace e condizioni di vita migliore”. I missionari ritengono immorale e contraria alle convenzioni internazionali la criminalizzazione delle Ong che cercano di prestare soccorso in mare ai naufraghi.

“A causa di questo boicottaggio tanti nostri fratelli e sorelle profughi sono morti annegati e continueranno a morire per omissione di soccorso. La guardia costiera libica, sostenuta dal governo italiano, spesso non interviene per salvare in mare quanti sono in pericolo e, quando interviene, riportano indietro i profughi nei lager libici dove uomini, donne e bambini sono sottoposti a torture, violenze e privazioni di ogni tipo”.

Contrarietà viene espressa anche verso il decreto sicurezza e immigrazione del governo, mentre chiedono all’Italia di aderire al Patto globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare (Global Compact).

Censis: Il grande sogno degli italiani, più sicurezza e più libertà, la ricetta per tornare a crescere

Secondo il 55,4% degli italiani negli ultimi dodici mesi la situazione economica del Paese è peggiorata (per il 36,9% è rimasta uguale, solo per il 7,7% è migliorata). Per il 42,3% è peggiorato anche l’ordine pubblico, il rischio di essere vittima di reati (la situazione è rimasta uguale per il 47,6%, è migliorata per il 10,1%). Forte è il timore che il peggio debba ancora arrivare, perché l’incertezza pervasiva fa vedere tutto nero. Nei prossimi dodici mesi la situazione economica peggiorerà ancora per il 48,4% degli italiani (resterà uguale per il 34,7%, migliorerà solo per il 16,9%), per il 40,2% peggiorerà anche la sicurezza (resterà stabile per il 42,4%, migliorerà per il 17,4%). La psicologia del peggio attanaglia le menti degli italiani. E tutto ciò non è funzionale al rilancio di una solida crescita per tutti. È quanto emerge dalla ricerca «Cosa sognano gli italiani» realizzata dal Censis in collaborazione con Conad nell’ambito del progetto «Il nuovo immaginario collettivo degli italiani».

Aumenta il nervosismo. Per il 70% degli italiani nell’ultimo anno sono aumentati gli episodi di intolleranza e razzismo verso gli immigrati. Le cause sono: le difficoltà economiche e l’insoddisfazione della gente (50,9%), la paura di subire reati (35,6%), la percezione che gli immigrati in Italia siano troppi (23,4%). Il peggioramento della situazione economica e della percezione delle condizioni di sicurezza porta alla caccia del capro espiatorio. Da qui il rischio che le attuali distanze divengano incolmabili: il 20,4% degli italiani si sente distante da persone con valori diversi dai propri (sul ruolo della donna, la famiglia, ecc.), il 19,8% da persone che conducono stili di vita diversi dai propri, il 17,5% da persone con altre idee politiche, il 15,7% dalle persone di un’altra nazionalità, il 15,5% da chi è di un’altra religione.

Crolla la fiducia nelle élite. I grandi scienziati (40,7%), il Presidente della Repubblica (30,7%), il Papa (29,4%) e i vertici delle forze dell’ordine (25,5%): ecco il quadrilatero dell’establishment che beneficia ancora della fiducia dei cittadini. Mentre il resto delle élite è completamente sfiduciato dagli italiani. Godono di una fiducia ai minimi termini: i vertici dei partiti (4%), i parlamentari (3,2%), i direttori di giornali e telegiornali (3,6%), gli editorialisti e gli opinion maker (3,8%), soprattutto i banchieri (1,5%). Poco più alta è la fiducia riposta nei grandi imprenditori industriali (10,9%) e nei vertici dei corpi intermedi e delle associazioni di categoria (8,1%). La post-verità ha generato la voglia di figure rassicuranti, che siano l’incarnazione del senso di responsabilità e in grado di trasmettere sicurezza.

No Italexit: gli italiani non sognano la fuga dalla Ue. Il 66,2% degli italiani non vuole l’uscita dall’euro e il ritorno alla lira. Il 65,8% è contrario al ritorno alla sovranità nazionale con l’uscita dall’Unione europea. Il 52% non è favorevole all’idea di ristabilire confini impermeabili e controlli alle dogane tra i Paesi europei. Però tra le persone con redditi bassi sono più elevate le percentuali di chi si dice d’accordo con il ritorno alla lira (il 31%, rispetto all’8,8% delle persone con redditi alti), l’uscita dall’Ue (il 31,6%, contro l’11% delle persone con redditi alti), il ripristino di frontiere e dogane tra i Paesi europei (il 39,2%, rispetto al 25,3% delle persone con redditi alti). In questi casi, una Unione europea disattenta alle condizioni dei ceti meno abbienti è percepita come matrigna, da cui sarebbe meglio fuggire.

Il grande sogno degli italiani: la libertà di tornare a volare. Secondo gli italiani, i fattori irrinunciabili per una crescita senza esclusi sono: dare più spazio al merito e a chi è bravo, favorendo i più capaci e i meritevoli (52,1%), maggiore uguaglianza e una distribuzione più equa delle risorse (47,8%), più welfare e protezione sociale per dare maggiore sicurezza alle persone (34,3%), minore aggressività e rancore verso gli altri (33,1%). Concretamente, il 73,9% degli italiani si dice favorevole all’imposizione di una tassa sui grandi patrimoni e il 74,9% all’introduzione di un salario minimo per legge. Il grande sogno italiano non è fatto però di assistenzialismo, né di «Stato padrone», né di un generico buonismo. Il grande sogno italiano è, ancora una volta, la possibilità di inseguire il proprio destino, ricevendo il giusto riconoscimento economico. Nell’immaginario collettivo la sicurezza non gioca contro la libertà individuale: ne è il presupposto, la condizione necessaria per non essere risucchiati in basso e per poter sprigionare tutto il potenziale di energie psichiche necessarie per dare concretezza alle proprie aspirazioni di un più alto benessere.

«I risultati della ricerca Censis-Conad ci raccontano un’Italia ancora immersa nell’incertezza, ma nello stesso tempo ci suggeriscono la strada da seguire per uscire dall’epoca della paura e dell’immobilismo», sottolinea l’amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese. «Il Paese ha bisogno di più equità e meritocrazia, di una politica che premi l’impegno e promuova la solidarietà, i legami sociali e il senso di comunità. Sono i presupposti necessari per tornare a condividere un grande sogno collettivo, il più potente motore della crescita».

«Mentre tutto il dibattito pubblico si arrovella sulle piccole variazioni da zero virgola al rialzo o al ribasso del Pil, rischiamo di sottovalutare quanto sia importante poter contare su un immaginario collettivo ricco e vitale, positivo e propulsivo, come ingrediente indispensabile dello sviluppo», ha detto Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis. «In gioco c’è qualcosa di molto importante. Le democrazie liberali hanno bisogno di crescita, perché si sorreggono sulla soddisfazione dei bisogni, benessere e consumi di massa, uguaglianza delle opportunità, processi di mobilità sociale per i ceti meno abbienti. Altrimenti vince il rancore, che non fa sviluppo».

Le Pa pagano con meno ritardo

Il sistema informativo della Piattaforma per i crediti commerciali ha registrato il pagamento di 20,3 milioni di fatture, su un totale di 28 milioni emesse lo scorso anno. I tempi di pagamento relativi a tali fatture mostrano in media un anticipo di un giorno rispetto ai termini previsti dalla legge (questo dato subirà un leggero peggioramento man mano che saranno disponibili i dati complessivi). Nel 2016 e nel 2017 i tempi medi di ritardo erano rispettivamente di 16 giorni e 10 giorni.

La tendenza alla riduzione dei tempi di pagamento risulta generalizzata per i diversi comparti delle Pubbliche amministrazioni, sebbene permangano situazioni differenziate a livello territoriale. Rispetto al dato medio nazionale, il Nord presenta tempi di pagamento mediamente inferiori di 8 giorni, mentre il Sud fa registrare un valore medio superiore di 11 giorni e quello del Centro risulta di 3 giorni superiore.  Il processo di miglioramento dei tempi di pagamento, riscontrato nel triennio di osservazione, è stato favorito dai vari interventi diretti a consentire il rispetto dei termini stabiliti dalla direttiva europea 2011/7/Ue.

Lo stock di debito residuo scaduto e non pagato alla data del 31 dicembre 2018 risulta, per il complesso dei 28 milioni di fatture, pari a circa 26,9 miliardi. Il dato si riferisce a quelle emesse lo scorso anno poichè con l’avvio del sistema Siope plus per molti enti è stata avviata l’acquisizione automatica dei dati di pagamento. In questo quadro va tenuto conto che la stima di tutte le fatture per le quali non è stata effettuata la comunicazione del pagamento sono considerate non pagate ed è quindi probabile che tale dato sovrastimi il debito effettivo relativo alle fatture emesse nel 2018. In considerazione a ciò vi saranno successivi aggiornamenti in esito alle verifiche con le Amministrazioni debitrici.

Guido Guidi: la fotografia italiana del secondo dopoguerra

Il MAN Museo d’Arte Provincia di Nuoro ospiterà, da venerdì 21 giugno a domenica 20 ottobre 2019, la prima grande mostra in un museo italiano dedicata a Guido Guidi (Cesena, 1941), uno dei più significativi protagonisti della fotografia italiana del secondo dopoguerra. Guido Guidi – IN SARDEGNA: 1974, 2011 è una mostra curata da Irina Zucca Alessandrelli e coprodotta dal MAN in collaborazione con ISRE, Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna. La mostra presenta 250 fotografie inedite che testimoniano la relazione di Guido Guidi con il territorio sardo, ripreso una prima volta nel 1974 e successivamente nel 2011, anno di una importante committenza da parte dell’ISRE.

L’esposizione costituisce a un tempo un racconto antropologico e paesaggistico dei cambiamenti occorsi nell’isola nel corso di quattro decenni e un percorso di ricerca sul medium della fotografia che pone in dialogo immagini in bianco e nero degli anni Settanta e opere a colori degli anni Duemila.

Le opere esposte, ristampate dall’artista in occasione della mostra, sono documentate in un catalogo in tre volumi in cofanetto pubblicato da MACK Books, editore londinese di fotografia contemporanea d’autore.

I Nas chiudono 52 centri sanitari privati

Il Comando carabinieri per la Tutela della Salute, d’intesa con il ministro della Salute, ha intensificato le verifiche sulla regolarità delle strutture e dei centri privati che erogano prestazioni mediche. Ispezionati 607 studi professionali medici, ambulatori e poliambulatori: accertate irregolarità in 172 strutture, 52 delle quali sono state chiuse. Evidenziato l’esercizio abusivo della professione sanitaria, in particolare odontoiatrica.

Inoltre sono state rilevate 341 violazioni penali e amministrative, 222 medici e professionisti nel settore sanitario sono stati denunciati all’autorità giudiziaria e altri 77 sanzionati per infrazioni amministrative per 193mila euro. E’ il bilancio delle attività di controllo, condotte nel corso del 2019.

Durante le operazioni i Nas hanno sequestrato di 1.915 confezioni di medicinali scaduti o defustellati e svariate apparecchiature e dispositivi medici non regolari, per un valore stimato in oltre 103mila euro. Infine, a causa di gravi irregolarità igieniche e strutturali, spesso associate all’assenza autorizzativa e abilitativa dello studio oggetto di accertamento, sono stati eseguiti provvedimenti di chiusura o sospensione dell’attività nei confronti di 52 strutture sanitarie, il cui valore economico ammonta a oltre 16 milioni di euro.

Zingaretti nella palude. Non ci obbliga, il ricordo di Moro, alla serietà della politica?

Zingaretti cerca di trascrivere in grassetto, sperando di ottenere un rilievo maggiore, l’indirizzo programmatico del Partito democratico. Si muove con apparente disinvoltura, benché una coltre d’incertezza, attorno allo stato maggiore, annebbi il suo disegno politico. L’opinione pubblica osserva la cosa con alterni sentimenti di attenzione e scetticismo. C’è un effetto di slittamento,  come in una palude inesorabile, che manda fuori giri il motore della politica del Nazareno.

La novità, in effetti, si gioca sul tentativo di sovrapporre al populismo dei Cinque Stelle il discorso sul ritorno al “popolo della sinistra”. Si tratta di una torsione ingiustificata – non doveva essere, questo partito, il luogo d’incontro dei riformismi, tanto di centro quanto di sinistra? – che finisce per indebolire la leadership di Zingaretti. Si scivola così nel pantano della demagogia. In modo obliquo, ad esempio, si lotta con eguale piglio contro l’austerità di marca tedesca, mettendo sotto accusa quei freddi parametri finanziari che in verità la Commissione europea custodisce e difende sulla base degli accordi intercorsi negli anni passati tra i 28 Paesi dell’Unione, Italia compresa.

È difficile credere che il ceto medio riflessivo, spesso rintanato nell’astensionismo elettorale, sia attratto dalla competizione tra forze che si assomigliano nel loro armeggiare contro gli odiati burocrati di Bruxelles. Zingaretti sottovaluta il rischio di consegnare il partito alla spirale della incomcludenza, poiché tale azione di aggiramento dei populisti – appunto sul loro stesso terreno – è destinata a non incrociare “il sogno di un’Italia che vuole tornare a crescere”, secondo il convegno promosso ieri dal Censis, ma a crescere non attraverso la brutta scorciatoia che la leva del deficit di bilancio regala illusoriamente e solo nel breve periodo.

Ora, quanti si collocano all’opposizione del quadro attuale di governo, registrano l’implausibilità di un messaggio al tempo stesso mellifluo e ringhioso, in particolare laddove si traduce nella minaccia di un ricorso alle elezioni anticipate, addirittura in estate. Zingaretti in questo modo scivola su posizioni a dir poco  bizzarre. In sostanza, la marcia di avvicinamento al M5S dovrebbe interrompersi bruscamente allorché, rompendo con Salvini dopo le europee, Di Maio si disponesse a un cambio di alleanze.

Ciò avrebbe senso, in effetti, se il rigore dell’antipopulismo fosse l’elemento incontrovertibile del Partito democratico. Quando invece predomina il tatticismo, nel presupposto che un andazzo mimetico aiuti oggi a riconquistare l’elettorato deluso, l’esito più probabile consiste  nell’accogliere domani l’invito alla sperimentazione di una nuova alleanza di governo. Altro che elezioni anticipate, spacciate per giunta come toccasana per il Paese! Manca la lungimiranza del disegno politico, manca il respiro di una proposta strategica. C’è un’Italia che rimane all’opposizione, non solo del governo ma anche della stessa opposizione odierna, perché non si sente rappresentata dal modo di intendere e prefigurare l’alternativa al blocco sovran-populista.  

Dunque, in questa ricorrenza del 9 maggio, con la mente rivolta alla lezione di Aldo Moro, viene da pensare quanto la politica esiga temperamento serietà e coerenza, un’insieme cioè di regole e attitudini che prima o poi una nuova forza politica, da molti evocata come cardine della ricostruzione morale e civile, dovrà finalmente incarnare.

 

9 Maggio. Giorno della memoria delle vittime del terrorismo Manca ancora a Roma un Memoriale per ricordare i 428 caduti

Il 9 maggio 1978,veniva ritrovato nel centro di Roma, nel portabagagli di un auto, il corpo senza vita dell’On. Aldo Moro, Presidente della Democrazia Cristiana.

Il 4 maggio 2007, a 29 anni da quel drammatico evento, è stata approvata la legge n°56, , con la quale la Repubblica Italiana istituiva, il 9 maggio, quale “Giorno della memoria, dedicato alle vittime del terrorismo interno e internazionale, e alle stragi di tale matrice”.

Le vicende del terrorismo, nel nostro Paese e a Roma in particolare, o del periodo chiamato “anni di piombo”, avvenute nella seconda metà del secolo scorso, hanno determinato fra vittime individuali, stragi terroristiche e violenza politica: 428 morti e

oltre 2000 feriti, di cui una parte con danni permanenti.

La vicenda dell’estradizione dal Brasile del terrorista Cesare Battisti, condannato dalla Giustizia Italiana per 4 omicidi, ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica a gennaio di questo 2019, attraverso giornali e TV, su un periodo della nostra storia recente, che  spesso, viene rimossa, per motivi di non conoscenza, d’ignoranza, di pigrizia culturale e di indifferenza.

Eppure, i 14.615 attentati compiuti (Sergio Zavoli “La notte della Repubblica” ed.2009), ha visto protagonisti, tra gli altri, Prima Linea, Brigate Rosse, Nuclei Armati Rivoluzionari e Ordine Nuovo, sono la riprova di un disegno eversivo che ha cercato di minacciare e colpire drammaticamente la nostra democrazia repubblicana.

E’ finito il terrorismo ? O ci dobbiamo interrogare, se esistono nuovi rischi di una nuova rinascita del terrorismo interno ma soprattutto  internazionale .

Importante è ricordare le vittime di ieri e i motivi che l’hanno generato, ma è anche urgente e necessario diffondere ,veicolare e alimentare la cultura della legalità, della giustizia sociale, e della solidarietà. Ricordare le vittime del terrorismo è un dovere.

Dedicare strade, scuole, parchi, targhe e lapidi, a persone che sono state sacrificate dalla violenza del terrorismo, sono atti lodevoli, ma è necessario fare di più, in modo particolare nei confronti delle nuove generazioni, nelle scuole che conoscono poco queste vicende.

Spiegare, informare, testimoniare che cosa sono stati gli  “anni di piombo” per chi li ha vissuti, è anche un dovere civico verso le vittime di quei anni opachi e drammatici.

In questo senso è necessario pensare concretamente di realizzare a Roma un memoriale, un monumento, un sacrario, dedicato alle vittime del terrorismo del nostro paese.

Roma è stata teatro di attentati che hanno colpito politici, magistrati, professori universitari, tutori dell’ordine (carabinieri e polizia di stato) e altre categorie di gente comune.

Negli anni passati, in occasione della giornata dedicata alle vittime del terrorismo, le Istituzioni, a partire dal Comune di Roma, la Regione Lazio e da ultimo il Ministero dei Beni Culturali, hanno ipotizzato soluzioni per “un sito simbolico” per ricordare i nuovi martiri della nostra democrazia, ma sono rimaste buone intenzioni, anche se l’ipotesi di un “Memoriale” sembrava quella più semplice da realizzare, in un luogo significativo della Città Eterna.

Quast’anno le celebrazioni ufficiali si svolgeranno alla Camera dei Deputati, presente il Capo dello Stato ( in altri anni anche il Quirinale ha ospitato questa “Giornata della Memoria) e il significato è ricordare a tutti noi, e in particolare alle nuove generazioni, che non hanno vissuto il dramma del terrorismo, che è necessario coltivare la memoria, non dimenticare mai chi si è battuto ed ha accettato il rischio di sacrificare la propria vita, per “stare dalla parte giusta”. Ecco perché è urgente, superando le difficoltà, realizzare il “Memoriale” per i caduti degli anni di piombo.

Infine c’è un vecchio detto o adagio popolare, che ci deve far riflettere: “Ricordiamo sempre, che senza memoria, siamo tutti più fragili e più deboli”.  

Quale classe dirigente? (Zappalà risponde a Giorgio Merlo)

Giorgio Merlo, sul “Domani” dell’altroieri si dice sinceramente imbarazzato nel fare un confronto tra la classe dirigente della prima Repubblica e quella messa in onda attualmente dalla compagine penta-legata al governo del Paese.

Siamo imbarazzati anche noi e siamo con lui anche quando ripercorre le tappe di un’involuzione della cultura politica a partire dalla rivoluzione liberale lanciata da Berlusconi e accelerata poi nelle tappe del vaffa grillino e, addirittura, della  rottamazione di Renzi. Il fil rouge che le lega essendo un continuo attacco ad una passata classe dirigente per disgregarne il sistema di comando.

La conclusione del ragionamento è ovvia: se è vero che una linea seleziona i suoi quadri, la “rivolta contro il passato” di Berlusconi e i successivi teatri del vaffa e della rottamazione non potevano non condurre alla sconcertante e stravagante situazione di governance in cui ci troviamo.

Giorgio Merlo non se ne avrà se abbiamo spinto il suo ragionamento fino a fare apparire le deficienze dei governanti da lui puntualmente evidenziate in quanto tali, come una logica conseguenza dello scadimento più generale e più preoccupante di tutta una cultura politica. In effetti la caduta del muro diede l’inizio ad un crollo di ideologie che avevano costituito cemento di tutta un’antropologia culturale della comunità. Si votava per un mondo migliore e più giusto, da una parte, o per la strenua difesa della libertà, dall’altra, sia consentita la semplificazione e quelle idee forza generavano analisi, cultura, critica e programmi che ne venivano profondamente ispirati.

Crollato il muro, svanita anche la guerra fredda che aveva fatto dell’Italia una linea fondamentale di confine nella guerra tra est ed ovest, venivano meno anche relazioni e ruoli geopolitici. In una parola, in Italia scoppiava la pace e, con essa, la dura realtà che ci strappava ruolo e ideali su cui si era sviluppata fino ad allora, la nostra cultura politica e su cui si era forgiata la classe dirigente. Con la caduta delle ideologie, scrisse Cantone almeno venti anni fa, i partiti non potevano più dare per scontata la fedeltà degli elettori, il cui voto diveniva una specie di merce da acquisire.

Spiegare l’attuale situazione con questa specie di analisi storica sarebbe però riduttivo. Non dimentichiamo che la classe politica che Merlo rimpiange – e noi con lui – si era formata nella fase pionieristica della cultura democratica, quando le democrazie coincidevano anche in termini geografici con le economie nazionali ed erano uno stile di vita vincente ed appetito in tutto il mondo, quando l’Europa era il mercato principale e l’Italia veleggiava ai primi posti in occidente, quando, infine, il debito pubblico era una leva di sviluppo essendo, in buona parte, una partita di giro tra il debitore Stato e i cittadini creditori.

Tutte queste cose vanno tenute presenti quando parliamo della classe dirigente, altrimenti si corre il rischio di leggere la storia come una sorta di diario personale di soggetti sempre più incapaci ed inadeguati non si sa perché. Ma il pericolo maggiore è fare quello che fanno oggi i politici, anche quelli dell’opposizione. Vedono che l’Italia è malata, che la febbre è alta e cresce ancora…e si incazzano con il termometro. Perché attribuiscono tutta la colpa ai penta-legati dimenticando che il loro populismo –sintomo e non causa della malattia- nasce da un declino antico che loro stessi non hanno saputo combattere.

Non me la voglio, però, cavare così, con analisi da cento lire al mazzetto. Vorrei dire a Merlo che bisogna ci si interroghi su possibili soluzioni del problema della qualità della classe dirigente e, a questo proposito, faccio solo un esempio: nel PD c’era e probabilmente c’è ancora la litania sulla deriva che vede il partito politico sussunto (mi si perdoni il termine marxiano) nel partito degli eletti. Problema assai rilevante, al punto che alla vigilia dei voti amministrativi ci si chiede spesso se convenga candidare qualcuno competente o, invece, qualcuno in grado di prendere molti voti (amministratori di condominio, commercianti, belle ragazze e via dicendo). Un recente film francese – Chez nous – (A casa nostra) illustra bene, passo passo, la scelta per la candidatura tra le fila populiste, di una donna molto positiva, infermiera a domicilio apprezzata da tutti, vagamente di sinistra in partenza, ma assolutamente impolitica. Quel film vale più di molte analisi per comprendere la nascita e la crescita del rifiuto antisistema che affligge la politica.

Non è che a queste derive non ci sia rimedio. Ad esempio: perché non trasformare le Commissioni di Garanzia del partito in vere e proprie funzioni di Auditing? Potrebbero gestire un sistema di qualificazione dei candidati che si propongano, stilando un regolamento che preveda percorsi di formazione obbligatori, certificati antimafia e di buona condotta, esperienze politiche e curricula, tutto con punteggi, accresciuti o diminuiti secondo il comportamento tenuto dal candidato prima e dall’eletto poi. Piccolo esempio di partito aperto alla società, con servizi resi alla comunità.

E ancora: alla luce del rischio di questa trasformazione del consenso in voto di scambio sul territorio, non sarebbe meglio che si votassero, per esempio per i Consigli Municipali delle grandi città, candidati per competenza e non per appartenenza territoriale? Certo, qui il discorso si complica, perché una modifica del genere avrebbe, nonostante l’irrilevanza dei consigli municipali,  un impatto rilevante nella vita dei partiti. Ma la cosa si può fare o, almeno, se ne potrebbe parlare. Già, ma con chi?

L’Iran annuncia che non rispetterà più parte degli impegni dell’accordo nucleare

L’Iran ha annunciato che non rispetterà più parte degli impegni dell’accordo nucleare siglato nel 2015 in risposta all’abbandono del patto da parte degli Stati Uniti appena un anno fa.

Il paese quindi non limiterà le scorte di acqua pesante e uranio arricchito come promesso. 

“Teheran ha inviato lettere mercoledì a cinque membri del Piano comprensivo di Azione, notificando loro che l’Iran ha deciso di sospendere parzialmente i suoi impegni”, ha detto il presidente Rohani. “Cinque lettere sono state inviate a nome mio ai capi dei Paesi che sono ancora membri dell’accordo nucleare iraniano”. L’accordo sul programma nucleare iraniano era stato raggiunto ”nell’interesse del mondo e della regione”, ma i nemici dell’Iran hanno fatto pressioni affinché Teheran si ritirasse dal Piano comprensivo di Azione, ha proseguito Rohani in un discorso al Parlamento trasmesso in diretta dalla televisione di Stato in occasione del primo anniversario della decisione degli Stati Uniti di ritirarsi dall’accordo, l’8 maggio 2018.

L’accordo sul nucleare dell’Iran siglato nel 2015 deve essere confermato e pienamente attuato. E’ la posizione della Cina espressa dal portavoce del ministero degli Esteri Geng Shuang, secondo cui “tutte le parti coinvolte hanno la responsabilità perché questo accada”.

Unicef: “nei primi tre mesi del 2019 arrivati in Europa via mare 3.800 bambini”

Sono circa 16mila i migranti e rifugiati che nei primi tre mesi del 2019 sono arrivati in Europa attraverso le rotte migratorie del Mediterraneo. Anche se si registra una leggera flessione rispetto allo scorso anno, il numero dei bambini è aumentato. Nel 2018 un migrante su cinque era minorenne, mentre quest’anno il rapporto è di uno su quattro.

A denunciarlo è l’Unicef, che fa presente che il numero totale di bambini giunti sulle coste europee in questi mesi è di 3.800. Questi si aggiungono ai circa 41mila bambini già presenti nelle strutture di accoglienza in Grecia, Italia e Balcani all’inizio del 2019. Dall’Unicef arriva anche un aggiornamento sulla drammatica conta delle vittime: in soli tre mesi del 2019, 365 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo, oltre il 60% del numero totale di vittime registrate in tutto il 2018.

Fra gennaio e marzo 2019 l’Unicef ha raggiunto circa 4.480 bambini con gli interventi di protezione dell’infanzia e circa 1.950 minorenni non accompagnati a ricevere cure e protezione in Italia, in Grecia e nei Balcani. Altri 15.850 bambini hanno frequentato regolarmente le attività d’istruzione formale e informale supportate dall’Unicef, mentre circa 1.100 persone hanno avuto accesso a servizi per la prevenzione e la risposta alla violenza di genere.

“Molti giovani migranti e rifugiati che hanno compiuto il viaggio verso l’Europa hanno vissuto violenze e abusi, con conseguenze sul loro benessere psicologico e fisico – si legge in un comunicato dell’Unicef –. In particolare in Italia, quasi tutte le donne e le ragazze arrivate hanno riportato di essere sopravvissute a forme di violenza sessuale o di genere. Una ricerca recente ha rilevato che anche gli uomini e i ragazzi sono spesso vittime di violenza sessuale in mano a gruppi armati, mentre sono rapiti o imprigionati, soprattutto in Libia”.

In bici per la città eterna

Per gli amanti della bici e della città eterna, residenti o turisti, sono due gli appuntamenti a pedali organizzati da Legambiente a maggio a Roma. Entrambi all’insegna della mobilità sostenibile e di una dimensione partecipata e condivisa dello spazio pubblico, della storia, delle tradizione, dell’enogastronomia di qualità e del divertimento all’aria aperta.

Due appuntamenti da non perdere che celebrano la città lungo due percorsi assolutamente diversi.

12 maggio, Appia Day:  la grande festa della consolare, nata tre anni fa per chiedere la pedonalizzazione del tratto romano della regina viarum e per individuarne, poi giù fino a Brindisi, una nuova modalità di fruizione intermodale. La passeggiata in bicicletta si svolge lungo l’Archeograb: ciclopasseggiata alla scoperta di una parte del tragitto del futuro GRAB – il Grande Raccordo Anulare delle Bici di Roma – immersi nella millenaria magia della capitale.  

Per informazioni www.appiaday.it

18 maggio, Magnalonga: con una quota di partecipazione di 15 euro, si mangia, si beve e si assiste a performance musicali e artistiche lungo un percorso circolare di circa 20 chilometri, che cambia di anno in anno, da percorrere rigorosamente in bici. A questo giro, le tappe di degustazione e di animazione culturale sono cinque: si parte da piazza Sempione alle 14 per poi fare sosta agli stand sistemati presso il parco Nemorense, la sede dell’Università Luiss Guido Carli, la sede dell’Università la Sapienza e di nuovo a piazza Sempione per un’ultima degustazione intorno alle 20.00.

Per informazioni www.magnalonga.net

 

Dalla terra alla Luna: una nuova era nella storia umana

A cinquant’anni esatti dallo sbarco del primo uomo sulla Luna, Palazzo Madama presenta dal 19 luglio all’11 novembre la mostra Dalla terra alla Luna, a cura di Luca Beatrice e Marco Bazzini, realizzata in collaborazione tra Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica e GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, con il contributo della Regione Piemonte.

In mostra oltre 60 opere: dipinti, sculture, fotografie, disegni e oggetti di design, che raccontano l’influenza dell’astro d’argento sull’arte e sugli artisti dall’Ottocento al 1969.

In mostra si troverà un corposo nucleo di una delle più importanti collezioni internazionali di questi materiali, appartenente a Piero Gondolo della Riva, piemontese, in un ambiente da lui curato come fosse una “stanza delle meraviglie lunari”.

Dopo questo esordio, la mostra prosegue proponendo opere delle avanguardie storiche: le atmosfere fiabesche di Marc Chagall, la metafisica rigorosa di Felice Casorati, la calligrafia minuziosa di Paul Klee, il surrealismo di Max Ernst e Alexander Calder.

Nella seconda parte del Novecento è invece lo spazio a rappresentare una vera e propria ossessione nell’arte: guardare oltre, toccare altre superfici, immaginare qualcosa di più lontano da noi. Non a caso si intitolano Concetto spaziale i lavori più famosi di Lucio Fontana. Giulio Turcato, invece, definisce Superfici lunari i suoi monocromi prodotti con materiali anomali, mentre Robert Rauschenberg realizza la serie di multipli Stoned Moon nel 1968 in prossimità dell’allunaggio e Mario Schifano ne riporta la visione, in chiave pop, attraverso la televisione, con Paesaggi TV.

In mostra, oltre ad altri autori più importanti come Yves Klein, il pittore simbolista Karl Wilhelm Diefenbach , Emilio Isgrò, Arturo Nathan e il concettuale olandese Van Hoeydonck la cui opera fu letteralmente portata sulla Luna e lì lasciata dalla missione Apollo 12. Presenti anche alcune immagini della Nasa e oggetti di design degli anni ’60 di autori come Vico Magistretti, Achille Castiglioni, Piero Fornasetti.

Giunti al 1969 la mostra arresta il proprio viaggio con una scultura di Fausto Melotti perché, arrivato sulla luna, l’uomo è atteso da altri spazi, da nuove avventure.

L’asma uno spasmo complicato

L’asma è una sindrome caratterizzata da aumento delle resistenze presenti nelle vie aeree, a seguito di spasmi della muscolatura bronchiale, spesso associato ad edema della mucosa e aumento delle secrezioni. La causa scatenante è solitamente una reazione allergica a seguito di sensibilizzazione della mucosa da allergeni. Si presenta in forma accessuale, con periodi asintomatici alternati a periodi di crisi. Talvolta decorre in forma cronica.

Di conseguenza l’asma bronchiale provoca:

mancanza o difficoltà di respiro
tosse
respiro fischiante o sibilante
senso di oppressione al torace.

Colpisce in media circa il 5% degli Italiani e quasi il 10% degli infanti.

Non esistono cure capaci di guarire definitivamente l’asma, ma è possibile gestire i sintomi garantendo a chi ne soffre una vita del tutto normale. Per ottenere ciò è necessario studiare delle soluzioni personalizzate per monitorare e trattare la condizione, come ridurre l’esposizione agli allergeni, eseguire test per valutare la gravità dei sintomi e ricorrere all’uso di farmaci. Il piano di trattamento deve essere elaborato e rivisto in base ai cambiamenti nei sintomi.

Il trattamento più efficace per l’asma può essere determinato dopo aver identificato i fattori scatenanti, come il fumo di sigaretta, la presenza di animali domestici o l’assunzione di particolari sostanze, ed eliminando quindi l’esposizione ad essi. Se ciò non fosse sufficiente, si consiglia l’uso di farmaci selezionati in base alla gravità della malattia e alla frequenza dei sintomi. Farmaci specifici per l’asma sono classificati in categorie ad azione rapida e prolungata.

I broncodilatatori sono consigliati per fornire un sollievo a breve termine dai sintomi. In coloro che sperimentano attacchi occasionali, non è necessario alcun altro farmaco. Se una forma lieve della condizione è, tuttavia, persistente (più di due attacchi a settimana), può essere necessario assumere corticosteroidi a basso dosaggio per via inalatoria o, in alternativa, si consiglia un antagonista dei leucotrieni orale o uno stabilizzatore dei mastociti.

Per coloro che hanno attacchi quotidiani, solitamente si prescrive una dose maggiore di corticosteroidi per via inalatoria. In caso di una esacerbazione da moderata o grave, i corticosteroidi orali sono aggiunti a questi trattamenti. Nei casi di asma allergico e non controllato dalla terapia farmacologica di fondo combinata con steroidi e broncodilatatori, la cura si basa su farmaci biologici come omalizumab oppure a monte degli anticorpi IgE come inibitori delle citochine proinfiammatorie.

 

Il pane spezzato e la forza del simbolo

Tratto dall’edizione odierna dell’Osservatore Romano a firma del direttore Andrea Monda 

Appena sceso dall’aereo a Skopje Papa Francesco ha ricevuto in dono un cesto pieno di pani e prendendone uno lo ha spezzato offrendolo al presidente della Macedonia del Nord Gjorge Ivanov dicendo: «È così che si fa l’amicizia, vero?». Un gesto simbolico che ha colpito il presidente, cristiano ortodosso, che nel saluto ufficiale si è dilungato su questo tema sottolineando come «Per l’uomo moderno, il simbolo è vuoto di sostanza» e ha elogiato il Santo Padre per il suo tenace lavoro di restituire quella consistenza perduta al linguaggio simbolico. Il Papa come “vivificatore” dei simboli ormai logorati, è una bella immagine che si attaglia bene al pontificato di Papa Francesco, grazie al quale, ha aggiunto Ivanov, «noi riconosciamo l’essenza dei simboli. Con Lei, le parole si identificano con i fatti e i fatti sono quelli che riguardano le reali necessità dell’umanità».

Quello che manca oggi è dunque il riconoscimento dei simboli, come se le parole avessero perso significato, peso. Siamo diventati cinici secondo l’espressione di Oscar Wilde per cui conosciamo di ogni cosa il prezzo ma non il valore. L’uomo moderno non sembra più essere un animale simbolico, da sim-bàllo che in greco vuol dire “gettare, mettere insieme”, ma è diventato “dia-bolico”, “colui che divide”. C’è un modo per uscire dalla spirale diabolica ed è seguire il cammino dell’incarnazione, cioè delle reali necessità dell’umanità, delle diverse forme di fame che assillano l’uomo: «fame di pane, di fraternità, di Dio» ha detto il Papa nell’omelia di martedì commentando il brano del Vangelo di Giovanni del discorso sul pane dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Sono quelle tre necessità, ha detto il Papa, che hanno spinto Madre Teresa, piccola suora di Skopje, ad agire, a com-muoversi, avendo come fondamento due pilastri: Gesù incarnato nell’Eucaristia e Gesù incarnato nei poveri.

L’amore per Dio e l’amore per il prossimo come legge fondamentale del cristiano; lo aveva ribadito lunedì pomeriggio in occasione delle Prime Comunioni (ben 245, un record nella storia dei viaggi apostolici) dei bambini raccolti nella chiesa del Sacro Cuore di Rakovskj, quando ha spiegato loro qual è «la nostra carta di identità: Dio è nostro Padre, Gesù è nostro Fratello, la Chiesa è la nostra famiglia, noi siamo fratelli, la nostra legge è l’amore». In un mondo in crisi di identità, prova paradossale ne sono i diversi sovranismi (è l’uomo insicuro che alza la voce), il Papa ha il coraggio di parlare di identità e andare al cuore, all’essenza della fede cristiana. E l’essenza è in quel simbolo, che per il cristiano è molto più di un simbolo, del pane spezzato: «In ogni Eucaristia, il Signore si spezza e si distribuisce» ha ricordato il Papa nell’omelia di martedì, «e invita anche noi a spezzarci e distribuirci insieme a Lui e a partecipare a quel miracolo moltiplicatore che vuole raggiungere e toccare ogni angolo di questa città, di questo Paese, di questa terra con un poco di tenerezza e di compassione». È allo spezzare del pane che i discepoli di Emmaus hanno riconosciuto Gesù risorto; è questa la chiamata per ogni cattolico, oggi: diventare anch’egli quel pane spezzato in modo da aprire gli occhi all’uomo contemporaneo che altrimenti finisce «per mangiare distrazione, chiusura e solitudine».

Cei: nominato Vincenzo Corrado vice-direttore dell’Ufficio nazionale comunicazioni sociali

La Presidenza della Cei ha nominato Vincenzo Corrado, finora direttore dell’Agenzia Sir, vice-direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana. Contestualmente il Cda del Sir ha nominato Amerigo Vecchiarelli, finora caporedattore centrale di Tv2000, nuovo direttore dell’Agenzia.

Il disegno complessivo, con la regia della Segreteria Generale e nello specifico dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, punta a sviluppare “una sempre maggiore convergenza e interattività tra le diverse testate che fanno capo alla Chiesa italiana”. A Corrado e Vecchiarelli, si legge in una nota dell’Ufficio, “vanno gli auguri di buon lavoro da parte di tutta la Presidenza della Cei”.

Corrado, nato a Maglie (Le) nel 1976, è direttore del Sir dal 2017. Sposato e padre di tre figlie, per il Sir ha curato negli ultimi quindici anni le relazioni con i settimanali cattolici della Fisc, mantenendo rapporti quotidiani con tutto il territorio italiano. Esperto di questioni ecclesiali, ha seguito gli ultimi sviluppi della vita della Chiesa italiana e universale.
Amerigo Vecchiarelli, nato a Roma nel 1961, finora ha ricoperto il ruolo di caporedattore centrale per i servizi di informazione del Tg2000.

Sposato e padre di due figli, è stato redattore dell’Agenzia giornalistica News Press e caposervizio del Tg2000. Nel corso della sua vita professionale ha lavorato anche con Radio Vaticana e la Rai.

Il Grande Torino, campioni diventati leggenda

Fonte (http://www.associazionepopolari.it) a firma di Aldo Novelli

Cosa accadde all’aereo che stava portando il Torino a casa dopo la trasferta di Lisbona? Un guasto all’altimetro che fece credere al pilota di viaggiare ad una quota più elevata? O furono invece le nubi basse ad impedire la visibilità salvo poi, forse, diradarsi d’improvviso facendo intravedere al pilota la sagoma della Basilica di Superga, ormai troppo vicina per essere evitata? Sono questi gli ultimi interrogativi di quel tragico volo, destinati ovviamente a rimanere senza una risposta precisa.

Allo stesso modo non sapremo mai come si svolse il viaggio, prima del suo assurdo  epilogo. Possiamo solo immaginare che i giocatori, i dirigenti, i giornalisti presenti sull’aereo abbiano scherzato tra loro, bevuto magari qualcosa, letto qualche rivista o giornale. Che abbiano guardato fuori dai finestrini il paesaggio sottostante, provando a individuare, dopo il lungo tratto sul mare, gli incerti e sempre più nitidi contorni della costa ligure, poi le colline piemontesi, già pregustando l’imminente ritorno a casa, agli affetti familiari, alla vita di tutti i giorni, dopo quattro straordinari giorni a Lisbona. Un soggiorno che li vide ospiti di lusso della squadra del Benfica e della capitale portoghese, tra momenti trascorsi tra le sue strade e suoi monumenti, ricevimenti ufficiali e cena di gala, la sera prima della partenza.

E così può anche capitare a chi si trovi in vacanza a Lisbona – specie se è tifoso granata, ma non solo – di ripensare al Grande Torino, cercando di immaginare cosa possano aver visto i giocatori, dove possano essere andati, cosa fecero in quelle giornate portoghesi. Ultimi frammenti di spensieratezza, in attesa di un ritorno che non ci sarebbe mai stato.

In Portogallo – come ben sappiamo – il Torino andò per giocare contro il Benfica e salutare Josè Ferreira, colonna del calcio lusitano, che abbandonava il calcio. I granata avevano già in tasca il quinto campionato consecutivo, dopo un risicato pareggio con l’Inter a San Siro e con lo scudetto virtualmente cucito sulle maglie, il presidente della società, Ferruccio Novo, aveva dato il via libera al viaggio. Quasi una sorta di premio dopo un’altra stagione esaltante.

Due settimane prima, il 17 aprile vi era stata – certo nessuno poteva saperlo – l’ultima esibizione dei granata al Filadelfia: 3-1 al Modena, che lottava per non retrocedere ed  era persino passato in vantaggio. Alla rete dei canarini con Cavazzuti, seguì il pareggio di Mazzola e quindi, ma solo a sei minuti dal termine, il vantaggio con Menti e la rete della sicurezza con Ballarin. Poi ci sarebbero state due trasferte a Bari (1-1 con gol di Mazzola, l’ultimo della sua carriera) e a Milano, quindi l’8 maggio il ritorno tra le mura amiche contro la Fiorentina, magari per festeggiare ufficialmente l’ennesimo scudetto. E chissà quanti altri ne sarebbero seguiti ancora.

Invece, alle 17,03 del 4 maggio 1949, tutto svanì. Forse a bordo dell’aereo si sentì un boato, che in un istante cancellò ogni cosa. I passeggeri, tutti quanti, passarono dalla vita alla morte in un baleno, senza neanche avere il tempo di rendersene conto, con quello spaventoso schianto che travolse tutto. Un attimo dopo, ai piedi del muraglione della Basilica c’era solo il gelo della morte e quella magnifica squadra non esisteva più.

Mette sempre i brividi ricordarne i nomi, imparati a memoria sin da bambini: Bacigalupo, Ballarin, Maroso; Grezar, Rigamonti, Castigliano; Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola. Ma vanno anche ricordati, Ballarin II, Martelli, Operto, Fadini, Grava, Schubert e Bongiorni. E poi i tecnici; Erbstein, Lievesley e Cortina; i dirigenti, Agnisetta e Civalleri; l’organizzatore del viaggio Bonaiuti; i tre giornalisti al seguito: Casalbore, Cavallero e Tosatti; e infine l’equipaggio: Meroni, Bianciardi, Pangrazzi e D’Incà.

A questi ultimi, spesso dimenticati, è dedicata una mostra fotografica al museo del Grande Torino di Grugliasco. E Torino rende omaggio ai caduti anche con un nuovo monumento al campo volo dell’Aeritalia, proprio nel luogo dove avrebbero dovuto tornare se non si fossero schiantati a Superga.

Settanta anni ci separano ormai da quel tragico 4 maggio, ma del Grande Torino resta perenne ed indelebile il ricordo: quello di una formidabile squadra, diventata leggenda e vinta – è proprio il caso di dirlo – soltanto dal fato.

Donald Trump: 375 ex giudici federali lo vorrebbero incriminare

L’inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, sarebbe stato incriminato per ostruzione alla giustizia dal procuratore speciale Robert Mueller, se non fosse stato presidente degli Stati Uniti. A sostenerlo sono circa 375 ex giudici federali che hanno firmato una dichiarazione pubblicata il 6 maggio.

Tra i firmatari di alto profilo ci sono Bill Weld, ex funzionario degli Stati Uniti e funzionario del dipartimento di Giustizia nell’amministrazione Reagan che corre contro Trump come repubblicano; Donald Ayer, un ex vice procuratore generale dell’amministrazione di George HW Bush; John S. Martin, ex procuratore americano e giudice federale nominato nei suoi incarichi da due presidenti repubblicani; Paul Rosenzweig, che ha prestato servizio come consulente legale del consulente indipendente Kenneth Starr; e Jeffrey Harris, che ha lavorato come assistente principale di Rudolph Giuliani quando era al dipartimento di Giustizia nell’amministrazione Reagan.

Il rapporto conclusivo di Mueller sull’inchiesta “Russiagate” relativa alle ingerenze russe nelle elezioni del 2016, scagiona Donald Trump dalle accuse di collusione con la Russia durante la campagna elettorale, ma ha lasciato in parte “aperta” l’ipotesi di ostruzione alla giustizia, pur non riscontrando prove che possano portare ad una incriminazione.

Libera critica il decreto sblocca cantieri

“Andrebbe battezzato col suo vero nome, il decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri il 18 aprile scorso, quello che forse meglio rispecchia i suoi prevedibili effetti: non decreto sblocca cantieri, ma sblocca tangenti. Una liberalizzazione dell’appalto pubblico che rischia di trasformarsi in un “liberi tutti” per corrotti e corruttori. Uno scenario plausibile che si delinea dalla futura applicazione dal decreto sblocca tangenti, somiglia all’Eden , della corruzione futura e delle infiltrazioni di imprese mafiose, fatto di poteri arbitrari dei decisori pubblici, liberi da qualsiasi reale supervisione e convertiti in tangenti variamente dissimulate; impoverimento di competenze progettuali e poteri di controllo dell’amministrazione pubblica; ferrei accordi collusivi tra imprenditori, per cancellare qualsiasi parvenza di concorrenza; invisibili infiltrazioni mafiose nei subappalti. Così in una nota Alberto Vannucci, ufficio di presidenza di Libera e professore Scienze Politica Università di Pisa  critica il decreto sblocca cantieri.

Proprio quando il codice degli appalti stava entrando a regime, tanto che le gare bandite sono aumentate di circa il 30% nel 2018, ecco entrare in vigore la contro-riforma che rivoluziona ben 32 su 220 articoli, una nuova stratificazione di disposizioni tutte da capire, leggere, interpretare, coordinare con quelle preesistenti.

Nel provvedimento  si intravvedono però alcune linee ispiratrici, otto punti che ne svelano la natura potenzialmente criminogena:

  • innalzamento a 200mila euro della soglia finora prevista per procedure negoziate e affidamenti diretti di lavori senza gara, previa “consultazione di tre operatori”;
  • ritorno in pompa magna del prezzo più basso per lavori fino alla soglia europea di 5,5 milioni di euro, meccanismo integrato da un astruso calcolo delle soglie di esclusione, da sempre pane quotidiano dei cartelli di imprenditori che truccano le gare;
  • percentuale più elevata, fino al 50%, di lavori liberamente subappaltati dalla ditta vincitrice – quota del tutto liberalizzata per i consorzi di imprese;
  • abolizione delle linee guida dell’Autorità anticorruzione, sostituite da un regolamento governativo;
  • reintroduzione (per pudore limitata intanto ai prossimi due anni) dell’appalto integrato, ossia quelle gare in cui sono i costruttori a farla da padroni proponendo progetti definitivi ed esecutivi – premessa per il moltiplicarsi di varianti in corso d’opera, contenziosi, paralisi dei lavori;
  • eliminazione dell’albo dei direttori e dei lavori negli appalti affidati da contraenti generali – azzerando ogni qualifica per i professionisti incaricati;
  • cancellazione del divieto di affidare lavori in subappalto a imprese partecipanti alla gara, di norma contropartita negli accordi preliminare per concordare le offerte;
  • per finire, ciliegina su una torta maleodorante, moltiplicazione a discrezione dell’esecutivo di figure commissariali straordinarie con poteri in deroga alla legislazione ordinaria e allo stesso codice degli appalti: si tratta, per chi si fosse distratto, del modello criminale della “cricca della protezione civile” innalzato all’ennesima potenza.

Italiani e Pubblica Amministrazione: il nuovo rapporto Agi-Censis

Il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione migliora, ma non soddisfa ancora la maggior parte degli italiani. Critici i giudizi sulla transizione digitale della PA. Ma se si indaga sui singoli servizi si scopre una scarsa conoscenza dei processi in atto. E se si va ancora più a fondo si vede che la popolazione ha un livello di competenze digitali decisamente basso e che una quota significativa di italiani vive in un mondo completamente “analogico”.

L’Italia è agli ultimi posti in Europa per “interazione digitale” tra cittadini e PA: nel 2018 solo il 24% degli italiani dichiara aver interagito con la PA per via telematica, contro il 92% dei danesi, il 71% dei francesi, il 57% degli spagnoli. Il valore medio nell’Unione Europea è del 52%. Peggio di noi solo Bulgaria e Romania.

Ma quali sono le ragioni di questo ritardo? Lo rivela il nuovo rapporto Agi-Censis realizzato nell’ambito del programma pluriennale “Diario dell’Innovazione” della Fondazione per l’Innovazione COTEC, che indaga la reazione degli italiani di fronte ai processi innovativi.

A presentarlo il segretario generale Censis Giorgio De Rita e il direttore Agi Riccardo Luna durante Transformers, la giornata che ha riunito per i “Digital Days” di Napoli i campioni italiani della trasformazione digitale del Paese.

Presenti, tra gli altri, il Ministro per la Pubblica Amministrazione Giulia Bongiorno, il direttore generale AgID (Agenzia per l’Italia Digitale) Teresa Alvaro e il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca.

«Negli anni passati si è sempre detto che la trasformazione digitale era già avvenuta e che praticamente dovevamo soltanto esultare. Invece io mi sono insediata da 10 mesi e posso dire che siamo all’anno zero». Così ha detto la ministra Bongiorno, spiegando di aver «dovuto nominare i responsabili della transizione digitale, cioè delle figure chiave che mancavano». «Stiamo ancora partendo, quindi ma ci sono dei segnali confortanti, ecco perché sono qui» ha aggiunto rivolgendosi alla platea della Apple Academy a Napoli.

«La pubblica amministrazione deve essere semplificata e vicina ai cittadini, che possano ottenere servizi con un’app» ha continuato la ministra, raccontando che «per avere carta identità a Roma da privato cittadino ho chiesto appuntamento il 1° febbraio e me lo hanno dato per oggi». «Non basta quindi che ci sia un prodotto digitale, ma ci vuole un’organizzazione alla base» , ha aggiunto.

Ad aprile il clima di fiducia dei consumatori è diminuito

Il Pil italiano mostra una “flessione meno marcata” che potrebbe essere il segnale di “un miglioramento dei ritmi produttivi” nei prossimi mesi, anche se restano “rischi al ribasso”. Lo scrive l’Istat nella nota sull’andamento dell’economia italiana di aprile. Secondo la stima preliminare, nel primo trimestre 2019 il Pil ha registrato un aumento congiunturale pari a 0,2%.

A marzo, anche il mercato del lavoro ha mostrato segnali di ripresa, segnando un ulteriore miglioramento del tasso di occupazione e una riduzione della disoccupazione che, tuttavia, si mantiene ancora distante dai livelli registrati nell’area euro.

Aumenta marginalmente l’inflazione al consumo, ma con un’intensità più contenuta rispetto alla media dell’area dell’euro. La distanza si amplia anche in termini di core inflation.

Però, comunque, ad aprile, il clima di fiducia dei consumatori è diminuito per il terzo mese consecutivo. Tutte le componenti sono risultate in peggioramento con un calo più contenuto per le attese sul futuro.

L’indicatore anticipatore ha registrato una flessione meno marcata rispetto ai mesi precedenti, prospettando un possibile miglioramento dei ritmi produttivi.

Unicredit si prepara all’uscita da Fineco

Unicredit getta le basi per un possibile disimpegno da FinecoBank di cui detiene il 35,47% del capitale. Le due banche hanno comunicato, in una nota congiunta  che i rispettivi cda hanno approvato una serie di azioni “al fine di assicurare a Fineco di poter operare come società pienamente indipendente dal punto di vista regolamentare, di liquidità ed operativo, anche nel caso di potenziale futura uscita dal gruppo Unicredit “.

Da inizio anno il titolo Fineco ha registrato in borsa un rialzo del 26% e capitalizza 6,7 miliardi, mentre Unicredit un +19,5% per una capitalizzazione di oltre 26 miliardi.

Epatite C: in Italia i farmacieliminano il virus nel 96% dei pazienti

Le terapie basate sui farmaci ad azione diretta anti-Hcv sono in grado di eliminare del tutto il virus dell’epatite C in oltre il 96% dei pazienti trattati.

Stefano Vella, direttore del Centro nazionale per la Salute Globale dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), spiega che l’Italia ha raggiunto il primo target dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms): ridurre al 65% le morti collegate all’epatite C. Grazie agli oltre 180mila trattamenti effettuati, la Penisola può vantare una delle più vaste esperienze in quest’ambito.

Loreta Kondili, responsabile scientifico della piattaforma Piter, afferma che “raggiungere gli obiettivi attesi dall’uso di farmaci antivirali è legato non solo alla loro elevatissima efficacia e all’ottimo profilo di sicurezza, ma anche allo sviluppo di ricerche adeguate per valutare il loro impatto alla vita reale in un contesto specifico epidemiologico come quello italiano, che ha mantenuto il primato di alta prevalenza in Europa per l’infezione da Hcv”.

Quale classe dirigente?

È francamente difficile per chi ha maturato la vocazione e la passione alla politica con alcuni esponenti – o molti esponenti – della prima repubblica, dare giudizi sull’attuale classe politica. È difficile perché è talmente siderale la differenza che e’ addirittura imbarazzante azzardare dei confronti. Per parlarci chiaro, chi è stato educato alla politica, come cattolico democratico e cattolico popolare, da uomini come Carlo Donat-Cattin,Guido Bodrato e Sandro Fontana, entra in difficoltà quando si tratta di parlare di qualità, di autorevolezza e di spessore della attuale classe dirigente politica. Nessun pregiudizio personale e nessuna pregiudiziale politica. Ma è indubbio che la profonda differenza tra “quella” classe dirigente – che comunque non va santificata, com’è ovvio – e quella che attualmente spadroneggia nel nostro paese e’ quasi antropologica.

Certo, non possiamo fare di tutta l’erba un fascio. E non si può accomunare i comportamenti di tutti i partiti e di tutti i movimenti. Ma la volontà di rimuovere definitivamente l’autorevolezza e lo spessore della classe dirigente del passato e’ un processo che parte da lontano. Addirittura dalla “rivoluzione liberale” annunciata da Berlusconi che poi si è trasformata progressivamente in una sorta di riesumazione di pezzi della vecchia classe dirigente, soprattutto a livello locale. Un processo proseguito con Grillo con il profondo involgarimento della politica e l’ormai famoso “vaffa” accompagnata dalla volontà di annientare e di distruggere tutto ciò che non era riconducibile al suo movimento. Un percorso completato da Renzi con la sua “rottamazione” che era partito con l’obiettivo di mandare in pensione tutti coloro che avevano una certa età alle spalle e che poi si è risolto, come ormai è chiaro a tutti, solo come uno strumento più rapido per la conquista del potere. Per cui, tanto per fare un esempio, Massimo D’Alema – che resta un grande statista e un raffinato politico – andava rimosso dalla scena politica perche’ suo oppositore politico interno mentre Piero Fassino andava premiato e valorizzato perché, nel frattempo, era diventato un turbo renziano schierandosi sulle posizioni del segretario senza se e senza ma.

Com’è ovvio, la rottamazione era applicata agli oppositori politici e bypassata per gli adulatori acritici. Cioè, per capirci, una buffonata. O meglio, una mera operazione di potere. Ora, il tema della qualità e della autorevolezza della classe dirigente politica e’ antico. Ogni stagione storica ha le sue regole e le sue condizioni. Ma le ipocrisie vanno adesso smentite. Sia quella che recita che il cambiamento e il rinnovamento si basano esclusivamente sul rinnegamento di tutto ciò che e’ riconducibile al passato. E, al contempo, va smascherata la goffa proposta di coloro, come quelli dell’attuale Pd, che promettono cambiamenti palingenetici del,a classe dirigente di partito e poi scorri i componenti della segreteria e della direzione nazionale e li vedi sempre tutti lì’. Imperturbabili e onnipresenti. Due ipocrisie speculari che vanno semplicemente denunciate e poi battute. Sul terreno politico, com’è ovvio.

Ecco perché il nuovo corso della politica italiana che decollerà dopo il voto europeo, non potrà non porre il nodo cruciale della classe dirigente politica e, soprattutto, della sua qualità e autorevolezza. Nessuno pretende, com’è ovvio e scontato, di tornare al profilo di quegli statisti che citavo all’inizio di questa rapida riflessione. Per fermarsi solo agli esponenti del cattolicesimo democratico e popolare. Ma nessuno può pensare che al “tutto della politica” possa essere sostituito il “nulla della politica”, per dirla con Mino Martinazzoli. Perché il “nulla della politica”, prima o poi, degenera nella crisi irreversibile della politica e nel decadimento della stessa democrazia.

Il cambio di passo della politica italiana non potrà non passare anche dal profilo della sua classe dirigente. Senza riproporre le panzanate della verginità della società civile, le stupidaggini della rottamazione di vario titolo e la buffonaggine che tutto ciò che è riconducibile al passato e’ da archiviare e da distruggere. Dopo l’esperienza concreta di questi ultimi tempi conviene fare una riflessione meno frettolosa e più approfondita. Per il bene di tutti. Propagandisti, demagoghi e populisti compresi.

Educazione alla cittadinanza: La Camera approva progetto legge per reintrodurla come materia obbligatoria nella scuola

Con 451 voti favorevoli e tre astenuti la Camera ha approvato la legge che istituisce l’insegnamento dell’educazione civica come materia obbligatoria, con tanto di voto in pagella e valutazione finale, nella scuola primaria e secondaria. Il provvedimento passa ora all’esame del Senato.
Il progetto di legge è la sintesi di circa 15 proposte presentate da diverse forze politiche e della proposta di legge d’iniziativa popolare dell’Anci per l’introduzione dell’educazione alla cittadinanza.

La proposta dell’Anci è partita da un’iniziativa della città di Firenze e ha raggiunto 100mila firme, riscuotendo immediatamente il sostegno unanime dell’Associazione, grazie alla quale centinaia di sindaci di tutta Italia si sono attivati per raccogliere le firme dei cittadini.
Il testo approvato dalla Camera ha recepito diverse questioni contenute nella proposta dell’Anci. Tra queste: la declinazione delle materie di insegnamento, dallo studio della Costituzione, delle istituzioni dello Stato Italiano e dell’Unione europea, alla educazione ambientale, digitale, dei diritti umani, elementi del diritto del lavoro , educazione alla legalità, rispetto dei beni comuni; ancora che l’insegnamento sia oggetto di valutazione autonoma con un monte orario non inferiore alle 33 ore annue; e la promozione da parte dei comuni di iniziative in collaborazione con le scuole, con particolare riguardo al funzionamento delle amministrazioni locali e dei loro organi e alla conoscenza storica del territorio.

Tuttavia Anci sottolinea come sia fondamentale introdurre nella legge il concetto di “educazione alla cittadinanza” piuttosto che di educazione civica, perché l’obiettivo della proposta di legge è quello di formare i cittadini e le cittadine responsabili e attivi.
“Se, come diceva Mandela, è l’educazione l’arma più potente per cambiare il mondo, oggi è una bella giornata, perché è stata approvata una legge che rafforza la materia di educazione civica nelle scuole”, afferma il presidente dell’Anci Antonio Decaro. “Non è esattamente il provvedimento che noi sindaci avevamo scritto e sotto il quale avevamo raccolto ben centomila firme di cittadini di tutta Italia. E noi ci sforzeremo di apportare delle modifiche nell’iter parlamentare. Ma è un buon punto di partenza – conclude il presidente Anci – per affrontare un tema, quello del senso civico, del senso di appartenenza a una comunità, che è necessario instillare cominciando fin dai banchi di scuola. Un tema che non può vedere contrapposizioni politiche”.

Mons. Lojudice nuovo arcivescovo di Siena

Mons. Paolo Lojudice è stato nominato ieri da Papa Francesco nuovo Arcivescovo di Siena. Per anni impegnato nella pastorale migratoria della diocesi di Roma il neo arcivescovo senese è attualmente vescovo ausiliare di Roma per il settore Sud, Segretario della Commissione Episcopale per le Migrazioni e Vescovo delegato della Conferenza Episcopale del Lazio.

Nato il 1° luglio del 1964 e ordinato sacerdote il 6 maggio 1989 nella diocesi di Roma Mons. Lojudice, dopo l’ordinazione sacerdotale è stato Vicario parrocchiale della parrocchia S. Maria del Buon Consiglio (1989-1992); Vicario parrocchiale della parrocchia S. Virgilio (1992-1997); Parroco della parrocchia S. Maria Madre del Redentore a Tor Bella Monaca (1997-2005); Padre Spirituale al Pontificio Seminario Romano Maggiore e parroco a S. Luca al Prenestino.

A Mons. Lojudice gli auguri da parte di tutta la nostra redazione, per questa nuova avventura.

Spagna: al via le consultazioni

Il presidente in carica del governo spagnolo, Pedro Sanchez, ha iniziato un giro di consultazioni per verificare la possibilità di stabilire relazioni istituzionali con i partiti che, dopo il Psoe, hanno ricevuto più voti alle elezioni generali del 28 aprile.

Il leader socialista ha convocato, ieri, alla Moncloa, il leader del Partito popolare (Pp), Pablo Casado, e per oggi Albert Rivera, di Ciudadanos, per capire se ci sono gli estremi per dialogare su questioni di Stato.

“El Pais” ricorda a tal proposito che, durante la campagna elettorale, sia Casado che Rivera hanno accusato il premier uscente e vincitore delle elezioni di essere un “illegittimo” per essere arrivato al potere senza il voto dei cittadini ma attraverso una mozione di sfiducia contro Mariano Rajoy. Le due formazioni, inoltre, lo hanno accusato di aver violato la Costituzione per essere sceso a patti con gli indipendentisti. Dati questi presupposti, sottolinea il giornale madrileno, ogni forma di trattativa si preannuncia complessa e laboriosa.

Maltempo, danni per milioni con piante abbattute e serre divelte

Vigneti e alberi abbattuti, serre scoperchiate, vivai distrutti in Lombardia nel Bresciano mentre in Emilia Romagna si segnalano campi allagati e serre divelte ma danni si contano a macchia di leopardo in tutte le aree colpite dall’ondata di maltempo che si è manifestata anche con un brusco abbassamento della temperatura che rischia di compromettere la produzione di frutta che si sta appena iniziando a raccogliere, con perdite di milioni di euro.

E’ quanto emerge dal primo monitoraggio della Coldiretti sugli effetti nelle campagne dell’ondata artica di maltempo, vento forte e neve con l’arrivo del vortice polare. I tecnici della Coldiretti continuano a ricevere segnalazioni dalle aziende agricole colpite in una faste stagionale particolarmente delicata per i raccolti. Interi filari di vigneti sono stati stesi a terra, alberi caduti e semine sono andate perdute nei campi allagati ma sono stati colpiti – sottolinea la Coldiretti – anche i prati per il foraggio da destinare all’alimentazione degli animali che è rimasto schiacciato dalla forza delle correnti d’aria.

Se la neve in montagna è positiva per ripristinare le scorte idriche, la caduta della grandine invece è l’evento più temuto dagli agricoltori in questo momento perché si abbatte sulle verdure e sui frutteti – precisa la Coldiretti – spogliando le piante e compromettendo irreversibilmente i raccolti, facendo perdere un intero anno di lavoro.

A preoccupare – conclude la Coldiretti – è anche la tenuta idrogeologica del territorio soprattutto nelle aree rurali dove si segnalano frane e smottamenti per l’arrivo di temporali violenti dopo un inverno caldo e siccitoso che ha fatto registrare temperature di 0,40 gradi superiori alla media storica e 1/3 di pioggia in meno sulla Penisola.

Vertice Europa/Giappone per un’Intelligenza artificiale a misura d’uomo

Il  responsabile per il Mercato unico digitale europeo Andrus Ansip  e il ministro per la Politica scientifica e tecnologica giapponese, Takuya Hirai, hanno parlato in particolare di come promuovere un approccio antropocentrico all’intelligenza artificiale e svolgere un lavoro comune su dati e fiducia (in linea con la recente comunicazione “Creare fiducia nell’intelligenza artificiale antropocentrica”. Scopo del dibattito è stato anche preparare le riunioni ministeriali sul digitale del G7 e del G20 che si svolgeranno rispettivamente a Parigi il 15 maggio e in Giappone l’8-9 giugno e che vedranno partecipe il vicepresidente Ansip. Il commissario per la Ricerca, la scienza e l’innovazione dell’Ue, Carlos Moedas, e il ministro Hirai hanno discusso l’introduzione presso entrambe le parti di nuovi programmi di ricerca e innovazione prospettando un aumento della cooperazione Ue-Giappone in materia di scienza e tecnologia nei settori di reciproco interesse, in linea con l’accordo di partenariato strategico Ue-Giappone dello scorso anno. Secondo le linee guida condivise, un’IA affidabile dovrebbe rispettare tutte le disposizioni legislative e regolamentari applicabili e una serie di requisiti. Liste di controllo specifiche aiuteranno a verificare l’applicazione di ciascuno dei seguenti requisiti fondamentali.

Azione e sorveglianza umane: i sistemi di IA dovrebbero promuovere lo sviluppo di società eque sostenendo l’azione umana e i diritti fondamentali e non dovrebbero ridurre, limitare o sviare l’autonomia dell’uomo.

Robustezza e sicurezza: per un’IA di cui ci si possa fidare è indispensabile che gli algoritmi siano sicuri, affidabili e sufficientemente robusti per far fronte a errori o incongruenze durante tutte le fasi del ciclo di vita dei sistemi di IA.

Riservatezza e governance dei dati: i cittadini dovrebbero avere il pieno controllo dei propri dati personali e nel contempo i dati che li riguardano non dovranno essere utilizzati per danneggiarli o discriminarli.

Trasparenza: dovrebbe essere garantita la tracciabilità dei sistemi di IA.

Diversità, non discriminazione ed equità: i sistemi di IA dovrebbero tenere in considerazione l’intera gamma delle capacità, delle competenze e dei bisogni umani ed essere accessibili.

Benessere sociale e ambientale: i sistemi di IA dovrebbero essere utilizzati per promuovere i cambiamenti sociali positivi e accrescere la sostenibilità e la responsabilità ecologica.

Responsabilità intesa anche come accountability: dovrebbero essere previsti meccanismi che garantiscano la responsabilità e l’accountability dei sistemi di IA e dei loro risultati.

Nei prossimi mesi la Commissione avvierà una fase pilota con la partecipazione delle diverse parti interessate. Già oggi le amministrazioni, le imprese e le organizzazioni pubbliche possono iscriversi all’Alleanza europea per l’intelligenza artificiale e riceveranno una notifica quando inizierà la fase pilota. I membri del gruppo di esperti ad alto livello sull’IA forniranno inoltre la loro assistenza nella presentazione e illustrazione degli orientamenti alle parti interessate di tutti gli Stati membri. La Commissione europea intende promuovere a livello internazionale questo approccio relativo all’etica dell’IA, perché le tecnologie, i dati e gli algoritmi non conoscono frontiere. Per questo verrà rafforzata la cooperazione con i partner che condividono gli stessi principi, come il Giappone, il Canada e Singapore.

Smartwatch, nel primo trimestre 2019 il mercato è cresciuto del 48%

Le analisi condotte da Counterpoint sul primo trimestre del 2019 indicano che il mercato degli smartwatch è in crescita. Durante i primi tre mesi dell’anno, le spedizioni del settore sono incrementate del 48% rispetto allo stesso periodo del 2018. Con una quota di mercato di quasi il 40%, Apple Watch resta lo smartwatch più venduto, come confermato anche dai dati diffusi dall’azienda di Cupertino.

La popolarità del dispositivo è legata soprattutto alle funzionalità dedicate alla salute. Samsung occupa il secondo gradino del podio con una quota di mercato dell’11,1%.

In crescita anche Fitbit: e Huawei.

Gli analisti di Counterpoint prevedono che nei prossimi anni saranno gli smartwatch dotati di display flessibili a trainare il mercato: un andamento del tutto simile a quello ipotizzato per il settore degli smartphone. In base alle loro stime, i dispositivi indossabili con uno schermo pieghevole diventeranno di massa dopo il 2025.

Tu sei un poeta! A Cori la mostra per raccontare l’universo di Leo Lionni

Fino al 31 Maggio, presso la biblioteca comunale di Cori “Elio Filippo Accrocca”, sarà possibile visitare nei normali orari di apertura al pubblico, la mostra itinerante, “Tu sei un poeta!”, curata dalla casa editrice Babalibri, in collaborazione con l’Associazione culturale Arcadia e il patrocinio del Comune di Cori. Si tratta di percorso celebrativo di conoscenza e divulgazione dell’opera di Leo Lionni, a 20 anni dalla scomparsa dell’artista e nel 60° anniversario della pubblicazione di “Piccolo blu e piccolo giallo”.

Nato ad Amsterdam nel 1910, nel 1939 Leo Lionni deve emigrare a causa delle leggi razziali. Ha vissuto fra Italia e Stati Uniti, lavorando come grafico pubblicitario. Il suo primo libro, “Piccolo blu e piccolo giallo” è stato realizzato durante un viaggio in treno con piccoli pezzi di carta colorata per i due nipoti Pippo e Annie. Nella casa di campagna, fra le colline del Chianti, ha disegnato e realizzato in bronzo piante immaginarie descritte nel libro “La botanica parallela”. Amava la musica e suonava la fisarmonica. È morto nel 1999.
Leo Lionni ha creato un mondo magico e incantato. I protagonisti dei suoi libri sono coccodrilli esploratori, topini curiosi, poeti, musicisti, pesci alla scoperta del mondo, lumache dal guscio multicolore, civette, alberi parlanti, uccelli dorati. Sono bambini che giocano e abbracciandosi cambiano colore.

I 10 pannelli in esposizione riprendono i personaggi più rappresentativi dell’universo di Leo Lionni preceduti da un pannello introduttivo. I visitatori saranno coinvolti in attività creative e di stimolo alla riflessione.

L’iniziativa rientra nel Maggio dei Libri, campagna nazionale di promozione della lettura a cura di MiBACT e Cepell, alla quale l’Istituto Culturale di Cori aderisce con vari appuntamenti: Libri Salvati, progetto dell’Associazione Italiana Biblioteche (10 Maggio, 18:00); Maratona Nati per Leggere, insieme al Gruppo Locale Nati per Leggere (20-24 Maggio); presentazione del libro “La colomba e il caduceo” di Giuseppina Rossi e Giancarlo Onorati, nell’ambito del Sistema Territoriale delle Biblioteche dei Monti Lepini (31 Maggiore, 18:00).

Congo: l’epidemia di Ebola che non si ferma

È l’allarmante bilancio reso noto dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

Sono circa 12mila le persone nella Repubblica democratica del Congo sotto osservazione perché potrebbero essere entrate in contatto con il virus. Il bilancio delle vittime  è salito a oltre 1.000.

L’epidemia nella Rdc è iniziata nell’agosto scorso ed è la seconda che ha provocato più morti nella storia.

Inoltre visiti gli scontri sempre presenti sul territorio, anche i centri medici di assistenza ai malati di ebola sono vengono attaccati da miliziani e dalla popolazione  che “teme il contagio”.

In queste settimane oltre un centinaio di medici e personale sanitario straniero hanno manifestato a Goma per denunciare l’inerzia delle autorità locali.

Caro David, che ne pensi di Biden? “Io voto Warren”. Alinsky Jr. parla delle primarie americane.

Camera dei Deputati - 14 luglio 2011 - A destra nella foto David Alinsky

Ho conosciuto David qualche anno fa. Venne in Italia perché “Il Mulino” aveva pubblicato un mio lavoro sul padre, il radicale ebreo-americano Saul Alinsky.   Anni fa Jacques Maritain ne Il contadino della Garonna – libro controverso (Parigi, 1966) perché critico con il post-Concilio – lo aveva indicato come uno dei tre rivoluzionari del suo tempo, gli altri due essendo il cileno Edoardo Frei e lui stesso, il filosofo francese. L’amicizia tra di loro fu cementata dalla curiosità per le rispettive attitudini e convinzioni. Maritain, in una lettera, provava ad applicare a Saul la categoria del “tomista di strada”, pur non avendo molto a che vedere con la filosofia dell’Aquinate.  

Era l’estate del 2011, a Roma il caldo si faceva sentire. David venne con la sua signora, Joanne, e passammo alcune giornate piacevoli, in occasioni pubbliche e private, tra commenti e ricordi sempre vivaci, specialmente sulla figura del padre. David possiede dell’americano medio il classico pragmatismo, intriso però di quell’acume critico e senso di introspezione tipici della cultura ebraica. Presentammo il libro presso la Camera dei Deputati e poi alla Festa dell’Unità a Caracalla. Da quel momento siamo rimasti in contatto, trovando modo di comunicare, volta a volta, le cose più importanti.

Recentemente gli ho scritto per sapere cosa ne pensasse della candidatura, appena presentata, di Joe Biden. A mio parere, dopo aver atteso a lungo, l’ex vice Presidente di Obama ha fatto la scelta più giusta e coraggiosa, proponendo una possibile soluzione in alternativa alla consacrata (e deleteria) polarizzazione del confronto democratico che in America ha condotto alla vittoria di Trump.

Secondo una interpretazione originale, di cui si è fatto interprete sul “New York Times” (“The Revolt of Democratic Elites” – 2 maggio 2019) David Brooks, la radicalizzazione del bipartitismo americano avrebbe un’origine diversa, e quindi uno sviluppo altrettanto diverso, per i Democratici e i Repubblicani. I primi sono attraversati da un sentimento di “rivolta”, che nasce appunto dai vertici, ovvero dall’establishment intellettuale, mentre la base popolare conserva mediamente un approccio moderato. A rovescio, nel partito repubblicano ha preso piede una corrente radicale che ha investito  direttamente gli elettori, essendo il gruppo dirigente più legato alla visione di un confronto a sfondo tradizionale, quindi più attento alle esigenze di una certa politica bipartisan.

Se questa è la raffigurazione più corretta della dialettica politica operante negli Stati Uniti, non è difficile comprendere il successo  della “socialista” Ocasio-Cortez nel campo democratico. Molti candidati alle primarie, a partire dal vecchio Sanders, si atteggiano a campioni della lotta contro la finanza predatrice e il potere dei grandi gruppi economico-imprenditoriali. Il populismo ha radici antiche negli Stati Uniti. Stavolta, allora, il centrista Biden si presenta come l’uomo della sfida, pronto ad andare contro corrente, perché rimette in discussione l’assunto in base al quale solo un radicale di sinistra può vantare i requisiti giusti per affrontare e battere la “politica estremista” dell’attuale inquilino della Casa Bianca.

La risposta di Dave – di seguito riportata in inglese e italiano – non si è fatta attendere. Si nota, tra le righe, che la figura di Biden incontra la sua stima. Tuttavia, da buon democratico bostoniano, i suoi favori vanno alla governatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren. Del resto, non potevo sperare che il figlio del grande reinventore e interprete del radicalismo americano del Novecento fosse attratto dal moderato Biden! Rimango però convinto, a parte i sondaggi,  che sia lui il candidato che incarna meglio l’ambizione dei Democratici a porsi come alternativa credibile nelle elezioni del 2020. La strada è lunga, staremo a vedere.

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Dear Lucio,

With 20 some candidates some of whom I don’t even know, Biden is probably the best middle-of-the-road candidate but he’s carrying a lot of political “baggage” and I’m not sure he can stand up and return, blow for blow, the punishment and the lies Trump will throw at him.  Sanders (to me) is really un-electable.  Warren is also on the far (but not extreme left) and presently I am in support of her.  She can give as good as she’s going to get, has some interesting programs – and how to pay for them – and can certainly stand up to Trump.  Pete Buttigieg, Mayor of South Bend, Indiana is also very interesting and worth watching. There are a few others but it’s very early yet so we shall see.

Best to you my friend,

David

Caro Lucio,

con 20 candidati, alcuni dei quali nemmeno conosco, Biden è probabilmente il miglior candidato di centro. Tuttavia sulle spalle reca un voluminoso “fardello” politico e non sono sicuro che possa resistere e rispondere, colpo su colpo, all’aggressione e alle bugie che Trump riverserà su di lui. Sanders (per me) è davvero poco eleggibile. Invece Warren è su posizioni più di sinistra (ma non di estrema sinistra), tant’è che al momento mi ritrovo schierato a suo favore. Lei garantisce quanto ha in animo di ottenere, presenta alcuni programmi validi – insieme a come fare per sostenerne il costo – e possiede certamente i requisiti per resistere a Trump. Anche Pete Buttigieg, sindaco di South Bend, Indiana, è molto interessante e vale perciò la pena di tenerlo d’occhio. Ce ne sono ancora altri, ma è presto per darne conto, e quindi staremo a vedere.

I migliori auguri a te, amico mio.

David

Il cerchio magico del potere e la politica economica

E’ possibile fare uscire il Paese dalla crisi senza affrontare le cause vere? Evidentemente no. Eppure è quello che succede. Dunque è lecito chiedersi perché ciò non avviene.

Nel mondo, ed in modo particolare in Italia, è in atto un impressionante fenomeno di ricostituzione della ricchezza privata, come dimostra il rapporto capitale/reddito oramai prossimo a 7 volte! Infatti a fronte di un reddito nazionale di circa 1750 miliardi la ricchezza privata è di oltre 12.000 miliardi.

Parallelamente è in atto un altrettanto significativo processo di concentrazione dei patrimoni e dei redditi individuali.

Un solo dato: 1%. degli italiani possiede il 25%  del patrimonio ( 3.000 miliardi) e guadagna un reddito nazionale pari al 10% ( 175 miliardi).
Di contro il 50% più povero degli italiani detiene  solo il 5% del patrimonio e guadagna il 25% del reddito!
Eppure nessuno ne parla. Perché?

Perché parlarne significherebbe già di per sè mettere il discussione lo scandaloso livello delle disuguaglianze del nostro Paese, destinate peraltro a crescere ancora.
Meglio “cazzeggiare” parlando di crescita del PIL e soprattutto di flat tax.

Chi detiene il reale potere economico/finanziario e, alla lunga, politico, del nostro Paese può permettere tutto, tranne una cosa: che si metta in discussione questa  evoluzione e  concentrazione.
Cioè la causa della nostra crisi attuale.

Fino a quando il “popolo” ( il 99% degli italiani) non prenderà coscienza di ciò e sfiderà il potere (1% ) l’ Italia non uscirà dalla crisi.

È possibile? Si. Ma è difficile perché il cerchio magico controlla tutto, soprattutto stampa e università, le sedi naturali di un pensiero critico e democratico, come ha dimostrato il prof. Thomas Piketty scrivendo “Il capitale nel ventunesimo secolo”, un libro  che vale un Nobel che mai gli verrà assegnato.

Da Milano a Roma a piedi con croce sulle spalle

Un viaggio lungo e faticoso quello di Gennaro Speria, ex carcerato che uscito dal carcere ha scelto di dedicarsi ai ragazzi di strada per insegnare loro valori importanti che lui ha scoperto pagandone le conseguenze.

Da 7 anni Gennaro racconta questi valori ai giovani e ha deciso di partire da Milano e raggiungere Roma a piedi con una croce sulle spalle, e durante il viaggio già tanti giovani lo stanno raggiungendo poiché avendolo scoperto sui social hanno deciso di incontrarlo di persona.

Le stelle del tennis mondiale al Foro Italico

La 76esima edizione degli Internazionali BNL d’Italia si svolgerà dal 6 al 19 maggio al Parco del Foro Italico.

Dal 2011 il torneo si gioca con la formula “combined event”: le gare del tabellone femminile si alternano a quelle del maschile. Nella stessa giornata, come nei quattro tornei del Grande Slam, sarà possibile ammirare il numero uno al mondo Novak Djokovic, Rafa Nadal  e gli altri top player a cominciare dai Next Gen Alexander Zverev (vincitore nel 2017 e finalista lo scorso anno) e Stefanos Tsitsipas. Nella entry list è presente anche Roger Federer. Sempre nella stessa giornata si potranno applaudire le protagoniste del circuito femminile: da Serena Williams, che torna al Foro Italico dopo tre anni, alla numero uno Wta Naomi Osaka, da Simona Halep a Elina Svitolina, vincitrice delle ultime due edizioni. Gli appassionati potranno inoltre sostenere le azzurre e gli azzurri: da Camila Giorgi e Sara Errani a Fabio Fognini (recente trionfatore a Monte Carlo), Andreas Seppi, Marco Cecchinato e Matteo Berrettini (vincitore la scorsa settimana a Budapest).

Un appuntamento da anni a pieno titolo tra i più prestigiosi del calendario mondiale. Le prime gare si giocheranno già sabato 4 maggio con le pre-qualificazioni; sabato 11 e domenica 12 le qualificazioni e anche 8 incontri del main draw maschile. Domenica 19 maggio le finali.

Gli incontri dei tabelloni principali saranno suddivisi in due sessioni, una diurna e una serale. L’inizio alle ore 11 su tutti i campi. Sul Centrale, giudicato da tennisti e addetti ai lavori come lo stadio con la miglior visibilità al mondo, la sessione serale avrà inizio alle ore 19.30: in campo un incontro maschile e uno femminile.

Sulla Grand Stand Arena il programma proporrà, invece, una “long session” (cinque match al giorno a partire dalle ore 11) che offrirà agli appassionati un “menu” lunghissimo e di prim’ordine. Semifinali e finali si giocheranno sul Centrale.

Il glifosato non provoca più il cancro

L’Epa conferma quanto già detto in precedenza scagionando l’ingrediente chiave del pesticida Roundup della Monsanto, azienda ora controllata dalla Bayer.

Contro la Monsanto ci sono 13 mila cause sui presunti effetti del glifosato, una delle quali è una class action. Già due sentenze hanno condannato l’azienda a risarcimenti milionari.

L’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha espresso un giudizio rassicurante con una valutazione che ricalca quelle dei produttori del glifosato.

In particolare ha aggiornato il profilo tossicologico e dichiarato che “è improbabile che il glifosato costituisca un pericolo di cancerogenicità per l’uomo” proponendo “nuovi livelli di sicurezza che renderanno più severo il controllo dei residui di glifosato negli alimenti”.

Ma sempre l’Oms assicura che pesticidi ed erbicidi avrebbero causato la morte di almeno 200mila persone, nel mondo, per avvelenamento.

Azione Cattolica. Truffelli: “Camminare insieme a persone di ogni età, condizione sociale e culturale”

Fonte Agensir a firma di Andrea Regimenti

“Essere popolo per tutti vuol dire sapere che la nostra vocazione, che è anche la nostra identità, è quella di camminare insieme a chiunque”. Ne è convinto Matteo Truffelli, presidente nazionale dell’Azione cattolica (Ac), impegnato in questi giorni a Chianciano Terme nel convegno delle presidenze diocesane. Un’occasione per riflettere “sul tema della fraternità come categoria unificante, attraverso la quale l’Ac intende declinare il tema del popolo ‘civile’ poiché ‘il primo nome di cristiani è fratelli’”. A margine dell’evento il Sir lo ha intervistato.

Presidente, cosa vuol dire oggi essere un popolo per tutti, riscoprirsi fratelli e stare nella realtà del nostro tempo?
“Essere popolo per tutti vuol dire sapere che la nostra vocazione, che è anche la nostra identità, è quella di camminare insieme a chiunque, a quella che nel Vangelo viene chiamata ‘la folla’.

Camminare insieme a persone di ogni età, condizione sociale e culturale, credenti e non credenti, prendendoci cura della vita concreta e dei bisogni più profondi della loro esistenza.

Consapevoli del fatto che tutti questi bisogni hanno alla radice una necessità fondamentale: riscoprire dentro la vita la presenza del Signore. Se essere ‘popolo per tutti’ significa quindi aiutarci reciprocamente a riscoprire la presenza del Signore, esserlo come fratelli implica invece una seconda domanda fondamentale, quella che il Signore pone a Caino: ‘Dov’è tuo fratello?’. Questa domanda deve guidare ogni nostra riflessione e ogni nostro programma di vita, ovvero cosa fare per essere dove sono i nostri fratelli, per scoprire in ciascuno il volto di un nostro fratello, compreso chi è diverso da noi.

Il fratello è anche l’altro.

Questo ha una valenza ancora più particolare nella dimensione della città, perché è lo spazio in cui la fraternità va scelta, non te la ritrovi come famiglia”.

Questa è una prerogativa che spetta solo ai cattolici?
“Non è chiaramente una prerogativa esclusivamente cattolica. È un elemento che nasce dal desiderio di convivere, del vivere bene insieme. In questo senso

la dimensione della fraternità diventa fondativa della città, perché diventa lo spazio in cui essa viene messa alla prova essendo le città anche un luogo di sopraffazione, violenza, ingiustizia.

Non si devono chiudere gli occhi davanti a queste situazioni, ma bisogna accettare la sfida di prendersene carico”.

Papa Francesco, nell’ Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, in un certo modo lancia questa sfida. “La sfida – scrive il Pontefice – di scoprire e trasmettere la ‘mistica’ di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità”. Cosa ne pensa?
“Da questo punto di vista l’Evangelii Gaudium è molto provocante, perché ci spinge a interpretare la nostra identità di credenti come un qualche cosa che non può essere circoscritta a noi stessi, ma che ci chiede di cercare gli altri come necessari compagni del nostro camminare dentro al mondo.

La ‘mistica del vivere insieme’ è proprio questo sentimento di bisogno che noi abbiamo degli altri e che abbiamo di camminare insieme con gli altri e per gli altri.

È realizzazione della nostra identità più profonda”.

Questo include anche le drammaticità del nostro tempo?
“Certo! Quando parliamo di fraternità, di camminare insieme, non possiamo farlo pensando che sia tutto ‘rose e fiori’. La condizione della convivenza tra gli uomini è sempre anche una condizione di drammaticità e proprio per questo deve essere un camminare insieme che sa farsi carico delle situazioni di criticità, a partire da coloro che, dentro la città, meno sono ritenuti fratelli, come chi vive nella marginalità, chi non è considerato cittadino perché non membro della comunità e chi addirittura viene ritenuto membro di un’altra fraternità, quelli che consideriamo avversari o nemici. Lo scoprire in ciascuno di essi tratti fraterni ci aiuta a capire e ricordare che apparteniamo tutti a una sola universale famiglia, quella umana”.

Nella grande famiglia umana c’è anche la grande famiglia europea, che si sta preparando all’importante appuntamento delle elezioni di fine mese. Cosa auspica?
“Le elezioni europee sono un passaggio importante da cui dipende, più di quello che crediamo, il futuro del nostro Paese.

Noi siamo abituati a pensare alle elezioni europee come a qualche cosa di relativamente importante. Invece, sempre di più, dobbiamo acquisire la consapevolezza che stare in Europa è decisivo per il nostro futuro.

Pertanto, si deve arrivare a queste elezioni con consapevolezza, sapendo per cosa e come si vota, e sapendo anche che dal modo in cui staremo dentro l’Europa dopo l’appuntamento elettorale dipenderà gran parte di quello che l’Italia potrà essere, perché, in un contesto di fortissima globalizzazione, da soli non possiamo sopravvivere né tantomeno essere protagonisti. Possiamo essere protagonisti solo se lo facciamo assieme a tutta l’Europa”.

In questo senso quanto è importante riscoprire i valori che hanno ispirato i padri fondatori? Alcide De Gasperi, ad esempio, il 21 aprile 1954 alla Conferenza parlamentare europea di Parigi, ha parlato dell’Europa come della “nostra patria”…
“Sì! Dobbiamo riscoprire, saper ridire e saper rilanciare le ragioni del nostro stare in Europa come cittadini europei, che sono certamente legate anche ai benefici economici e di vita, ma ancora di più a un progetto di convivenza pacifica dentro al Continente e per il resto del mondo. Questi sono i fondamento entro i quali dobbiamo riscoprirci europei”.

Se l’aspirazione all’unità non è più una costante

Tratto dall’edizione odierna dell’Osservatore Romano a firma di Flavio Felice

Una «costante della storia mi pare possa dirsi l’aspirazione e la tendenza degli uomini all’unità, ad una unità sempre maggiore». Sono queste le parole che introducono l’intervento di Alcide De Gasperi alla tavola rotonda sull’Europa che si tenne a Roma il 13 ottobre 1953, intitolato: «Il problema spirituale e culturale dell’Europa considerato nella sua unità storica, e i mezzi per esprimere tale unità in termini attuali». Lo statista italiano considerava una tendenza spontanea quella che va da aggregati di scala minore, come il comune, le province e le nazioni, ad aggregati più ampi che possano rispondere al «desiderio di Dio» che tutti gli uomini siano uno: «Ut unum sint» (Giovanni, 17; 22).

L’intenzione che muove De Gasperi e, insieme a lui, l’opera dei padri del processo d’integrazione europea è di lavorare per questa unità, affinché non siano «la crudeltà» e «l’odio» a muovere e a reggere le ragioni della coesistenza civile, bensì il valore della pace: «noi proponiamo e promuoviamo l’Europa unita in sé e per sé». Così come le città unite hanno dato vita alle nazioni, De Gasperi immagina che le Nazioni Unite possano dar vita al processo di unificazione europea, sebbene, precisa De Gasperi, mancandoci la «cosa», ci manchi ancora il «nome»; in pratica, emerge il metodo gradualista o processuale dello statista democristiano, il quale non intende ingabbiare il progetto europeo all’interno di un determinato schema istituzionale, in nome di un dogmatismo dottrinale. De Gasperi, non volendo rinchiudere il progetto europeo all’interno dello schema federale, confederale o altro, si limita a dire che «le nazioni europee creeranno l’Europa».

Le sorgenti culturali che nutrivano il progetto istituzionale degasperiano erano la civiltà classica, l’Europa medioevale, l’età moderna e, affermava De Gasperi, anche la sua contemporaneità, con tutto il carico di desolazione di cui essa era portatrice. Sebbene nel Nostro fosse chiaro il portato universale del cristianesimo che lo renderebbe indisponibile a qualsiasi riduzione geopolitica, riconosceva che non possiamo neppure immaginare l’Europa senza il cristianesimo, fonte di culture politiche e, inevitabilmente, di prospettive sul diritto e sulla socialità, ispirate ai principi di fraternità, di tolleranza, di giustizia e di pace.

Per questa ragione, osservava De Gasperi, l’Europa, almeno nei suoi «elementi spirituali», appariva già abbastanza unita, ciò che mancava erano gli «elementi materiali», quella implementazione istituzionale che rappresentò il vero capolavoro politico dei padri fondatori, intendendo per politica «la via istituzionale della carità» (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 7), e che condusse al processo d’integrazione europea che, pur tra alti e bassi, è ancora in corso.

Tra gli aspetti più significativi di tale processo, abbiamo la condivisione, da parte di De Gasperi, del modello economico chiamato «economia sociale di mercato», sintetizzato dallo statista trentino con l’espressione, forse oggi equivoca, ma all’epoca molto diffusa, di «terza via» e inserito nel trattato di Lisbona all’articolo 3: «L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico».

De Gasperi ha più volte richiamato tale espressione sia in sede di Assemblea costituente, il 4 ottobre del 1947, sia durante i lavori parlamentari, il 14 febbraio del 1950, sia in occasione del discorso al Congresso della Democrazia Cristiana del 25 novembre 1952, unitamente al corollario di idee politiche, economiche e culturali, tanto nel contesto domestico quanto in quello internazionale, di cui un tale concetto è portatore. Lo statista democristiano riconosce come la teoria dell’economia sociale di mercato possa offrire un contributo originale al rinnovamento della cultura politica liberale europea, fornendo concetti e mostrando una sensibilità non così distanti da quell’umanesimo cristiano che aveva ispirato la nascita della Dottrina sociale della Chiesa e l’opera di tanti pensatori sociali cristiani, fino all’elaborazione politica, economica e sociologica di un esponente della cultura europea come Luigi Sturzo.

L’attenzione di De Gasperi alla nozione di «terza via», così come è stata elaborata dall’economista svizzero tedesco Wilhelm Röpke, è carico di conseguenze rispetto, ad esempio, nei confronti dei possibili sviluppi che la cultura politica del cattolicesimo popolare e la cultura liberale avrebbero potuto testare, e che solo in parte hanno sperimentato, in merito al ruolo di regolatore e di arbitro imparziale, e non di giocatore, dello Stato nell’economia e all’idea stessa di uno «Stato forte» che scongiuri la deriva totalitaria. È interessante leggere come De Gasperi, nel 1950, trovi ormai «ridicolo polemizzare con il liberalismo», come se fossimo ancora ai tempi della Breccia di Porta Pia, essendo venute meno quelle contrapposizioni ideologiche che ponevano in maniera «semplice» e «rude» l’alternativa tra «collettivismo» da una parte e «capitalismo» dall’altro, contrapposizione — a detta di De Gasperi — superata dalla teoria di Röpke che distingue tra un’economia programmatica, conforme al mercato, ed una difforme ad esso.

Un altro tema dal quale, leggendo alcune dichiarazioni di De Gasperi, sembrerebbero riecheggiare i principi dell’economa sociale di mercato e caro a tutta la tradizione ordo-friburghese, è l’affermazione di uno «Stato forte» per una società libera. Come afferma Pier Luigi Ballini, De Gasperi precisò il senso di una locuzione così problematica in un’intervista rilasciata al Messaggero l’8 luglio del 1952, dove alla domanda: «Crede lei allo Stato forte», il leader democristiano risponde: «Lo Stato forte? Sicuro, io credo nello Stato “forte”. Ma bisogna intendersi sulle parole. “Forte” significa reazionario e totalitario? Regime arbitrario o addirittura di classe borghese o proletaria o regime prevalentemente militare? Significa, infine, lo Stato politico? Se si escludono queste interpretazioni, lo “Stato forte” non può essere che quello ove si rispetta e si fa rispettare la legge. La legge, cioè la Costituzione e tutte le altre leggi che sono in vigore e che servono per applicarla». È questa, in buona sostanza, anche l’idea espressa da Röpke, il quale, nella ricerca di una soluzione qualitativamente alternativa tanto alla soluzione libertaria quanto a quella totalitaria, delinea i contorni di «uno Stato che sa tracciare esattamente il limite tra l’agendum e il non agendum, che nel campo spettantegli fa valere con ogni energia la propria autorità, tenendosi invece lontano da ogni immissione al di fuori di quel campo; un arbitro robusto, il cui compito non è né di prender parte al gioco né di prescrivere ai giocatori tutte le mosse, ma invece di vegliare con assoluta imparzialità e incorruttibilità per la più stretta osservanza delle regole del gioco e della correttezza sportiva». Un ruolo per lo Stato che sia «forte ma non affaccendato», per usare un’efficace espressione di Dario Antiseri. Un’idea peraltro condivisa da altri illustri esponenti del pensiero liberale del Novecento: «È alla luce di riflessioni di grandi pensatori come L. von Mises, F.A. von Hayek, K.R. Popper, L. Sturzo e L. Einaudi che appare chiara l’inconsistenza della nefasta falsità stando alla quale il liberalismo non significherebbe altro che «assenza dello Stato», e cioè uno «sregolato laissez faire – laissez passer» o, in altre parole, una giungla anarchica dove scorrazzano impuniti pezzenti ben vestiti ingrassati dal sangue di schiere di sfruttati».

Ritornando all’intervento di De Gasperi dal quale siamo partiti, possiamo concludere che la sua visione europeista fa i conti con il realismo tipico dell’uomo politico, consapevole delle ragioni spirituali dell’unione, ma non per questo soddisfatto e appagato, dal momento che, affinché si dia un’unione politica, è necessario avviare un processo di istituzionalizzazione tutt’altro che scontato. Tale processo prevede alcuni punti fondamentali. In primo luogo, al pari di Sturzo, De Gasperi proponeva la progressiva integrazione della Gran Bretagna e della Russia. In secondo luogo, i popoli europei si sarebbero dovuti definitivamente liberare da secoli di rancori e di pregiudizi che alimentano infondati complessi di superiorità e di inferiorità. In terzo luogo, la progressiva riduzione delle barriere che limitano il movimento degli uomini, delle idee e delle cose; un essenziale prerequisito per la cooperazione tra nozioni, per la giustizia sociale e per la pace. In quarto luogo, procedere gradualmente e «ricercare l’unione soltanto nella misura in cui è indispensabile», preservando, dunque, l’indipendenza in tutti quei campi della vita spirituale, culturale e politica che possano conservare le «fonti naturali della vita comune». Infine, promuovere l’integrazione a partire dal principio: «unità nella varietà delle forze naturali e storiche». Probabilmente in questi anni abbiamo dimenticato l’eredità degasperiana e abbiamo parlato troppo di burocrazia europea e troppo poco di economia reale europea, ancor meno di politica europea e di cultura europea. I Padri fondatori dell’Ue, e con loro Giovanni Paolo II e Helmut Kohl, avevano una visione dell’Europa come famiglia di nazioni che unificava nazioni affratellate da una comune radice cristiana. Era una Europa «nazione di nazioni», in cui la propria originaria identità nazionale si ampliava in una più comprensiva identità europea. Per tale ragione era essenziale che questa Europa avesse delle radici: ebraico-cristiane e greco-latine. Avere delle radici significa anche avere dei confini, aprirsi gradualmente a chi ci è più vicino. I popoli possono essere generosi verso i profughi, ma vogliono possedere le chiavi di casa propria e costruire la fratellanza universale a partire dalla unità con quanti sono culturalmente più vicini. L’apertura illimitata e indiscriminata genera alla fine un timore e un rifiuto altrettanto illimitato e indiscriminato.

Forse dovremmo ripartire dal progetto degasperiano, non volendoci arrendere al populismo autarchico, al totalitarismo aggressivo e al protezionismo liberticida, amando la libertà propria e altrui più di ogni altra cosa e amando la patria altrui almeno quanto la propria. Consapevoli che nessun ordinamento burocratico può evitare e negligere la realtà che esiste sempre qualcosa, come recita il testamento spirituale di Röpke, “oltre l’offerta e la domanda”; questo qualcosa è la dignità della persona (Su questo tema rinvio al “Rapporto Globale sulla Dignità Umana”, curato dalla Fondazione Novae Terrae). Un ordine etico, quello della dignità umana, che chiede ancor oggi di essere compreso con la massima urgenza e profondità, per non correre il rischio di essere sacrificato sull’altare tecnocratico ovvero dell’anarchismo degli interessi individuali, rispettivamente, figli di una logica neocorporativa o lobbistica e di un ottimistico disinteresse per le ragioni dell’ordine sociale e della civitas humana.

Eurostat: “Nel 2018 forte calo di deprivazione materiale in Italia”

Secondo le ultime tabelle Eurostat, le persone che affrontano una “grave deprivazione materiale” erano 5.035.000, oltre un milione in meno dei 6,1 milioni del 2017. E’ l’8,4% della popolazione a fronte del 10,1% del 2017, il dato migliore dopo il 2010.

Tra le spese normali si intende pagare un mutuo, riscaldamento, mangiare proteine regolarmente, fare una settimana di vacanza, avere la macchina o un telefono. Ma la percentuale, seppur in diminuzione, resta la più alta tra i grandi paesi europei con la Germania stabile al 3,4% e la Francia in aumento al 4,7% mentre la Gran Bretagna registra una crescita al 4,6%. Per la Spagna manca la previsione 2018, ma era al 5,1% nel 2017.

In Italia la situazione è migliorata per tutte le fasce di età ad esclusione di quella dei bambini più piccoli con la percentuale dei minori di sei anni in condizione di disagio che passa nel 2018 dall’8,5% all’8,8%.

Per gli under 16 si registra un miglioramento tra il 9,8% del 2017 all’8,4% del 2017 mentre per gli over 65 la situazione migliora notevolmente passando dal 9,4% al 7%.

Alta anche la percentuale delle persone in difficoltà nella fascia centrale di chi è in età da lavoro (25-54 anni) . Tra le spese alle quali non si riesce a fare fronte ci sono il pagamento del mutuo, dell’affitto o delle bollette, il riscaldamento per l’abitazione, la possibilità di mangiare proteine con regolarità, una settimana di vacanza, la lavatrice, la televisione, la gestione di una macchina e il telefono.

Accesa a Roma la fiamma di Minsk 2019. Malagò, l’Italia sarà protagonista

Parte da Roma il cammino della fiaccola che porta a Minsk 2019. E’ stata infatti la suggestiva cornice dell’Ara Pacis ad ospitare la cerimonia di accensione del simbolo della seconda edizione dei Giochi Olimpici Europei che prenderanno il via nella capitale bielorussa il prossimo 21 giugno.

Presenti il Presidente del CONI, Giovanni Malagò, assieme al Segretario Generale, Carlo Mornati, il Presidente dei Comitati Olimpici Europei, Janez Kocijancic, il Segretario Generale dei COE Raffaele Pagnozzi.

“Sono molto onorato di essere qui, Roma è la casa dei Comitati Olimpici Europei, una fantastica associazione – ha sottolineato Malagò -. La Bielorussia ha forti tradizioni in differenti discipline e ho respirato personalmente la splendida atmosfera del vostro comitato olimpico nazionale. L’Italia vuole essere protagonista a Minsk, avremo 188 atleti e103 tecnici e saremo presenti in tutte le quindici discipline anche perché alcune di queste qualificheranno per i Giochi di Tokyo 2020”.

“A Minsk proveremo a dimostrare l’idea di sport, fratellanza, pace ed Europa – ha detto Kocijancic – Tra atleti, tecnici e delegazioni coinvolgeremo migliaia di persone e sarà un evento sportivo fantastico in un bellissimo Paese”. La fiaccola olimpica è quindi passata tra le mani di tre campioni olimpici bielorussi come Alena Bialova (scherma), Uladzislau Hancharou (ginnastica) e Yuliya Nestsiarenka (atletica) prima di essere affidata a dei bikers che attraverseranno l’Europa con il simbolo dei Giochi.

Sambuca di Sicilia: “Case a 1 euro”

L’iniziativa delle “Case a 1 euro” proposte da diversi Comuni si diffonde con successo in tutta la Penisola. E’ l’ora di Sambuca di Sicilia. Il progetto che ha conquistato la ribalta internazionale in seguito alla decisione dell’amministrazione comunale di vendere alcuni immobili abbandonati del centro storico al prezzo simbolico di 1 euro a base d’asta partirà mercoledì 8 Maggio alle 10:30 presso la sede di Palazzo Panitteri. Alla presenza di un notaio e dei rappresentanti della stampa, saranno aperte le buste con le offerte pervenute da tutto il mondo: dagli Stati Uniti al Giappone, dall’Argentina alla Norvegia, dalla Russia a Israele, dall’Ungheria ai paesi Arabi. Complice un servizio televisivo della Cnn che ha diffuso le immagini di Sambuca, poi ripreso dai media italiani e internazionali, centinaia di telefonate provenienti da oltre 100 mila email da tutto il mondo si sono riversate sui centralini del Comune, tanto da rendere necessaria la creazione di una task force per rispondere alle migliaia di richieste.

Il progetto s’inserisce all’interno delle numerose iniziative per la promozione del Comune della Valle del Belice, che nel 2016 ha conquistato il titolo di “Borgo più bello d’Italia”, registrando negli ultimi tre mesi un vero e proprio boom di presenze turistiche, soprattutto dall’estero. Ne è derivato anche un formidabile impulso al mercato immobiliare privato, con oltre cinquanta case già vendute, in particolare ad acquirenti stranieri alla ricerca di un “buen ritiro” in Sicilia. Le “Case a 1 euro”, infine, diventeranno anche un format televisivo internazionale: il network “Discovery Channel” ha infatti inviato un’offerta per l’acquisto di una casa la cui ristrutturazione sarà seguita passo passo da una troupe tv e raccontata da una nota attrice americana.

Aids. I farmaci antiretrovirali prevengono la trasmissione sessuale dell’Hiv

Uno studio europeo condotto su quasi 1.000 coppie di uomini gay che hanno avuto rapporti non protetti – con un partner affetto da HIV e sotto terapia con farmaci antiretrovirali (ART) – ha riscontrato che il trattamento è in grado di prevenire la trasmissione sessuale del virus. Dopo otto anni di follow-up delle coppie sierodifferenti, i ricercatori non hanno rilevato casi di trasmissione di HIV all’interno delle coppie.

“I nostri risultati forniscono evidenze certe agli uomini gay che il rischio di trasmissione dell’HIV con la terapia antiretrovirale soppressiva è pari a zero”, dice Alison Rodger, docente presso lo University College London, che ha co-condotto la ricerca.

Rodger ha sottolineato che questo “messaggio forte” potrebbe contribuire ad arrestare la pandemia di HIV prevenendo la trasmissione del virus in popolazioni ad alto rischio. Soltanto all’interno dello studio, ad esempio, i ricercatori stimano che la terapia antiretrovirale soppressiva abbia prevenuto circa 472 trasmissioni di HIV in otto anni.