Dopo Mosca, unità contro il terrorismo non guerra delle narrazioni.

La condanna unanime dell'attentato delinea la possibilità di un impegno comune che può riavvicinare i sistemi in conflitto per sconfiggere gli obiettivi del terrorismo: accrescere caos e instabilità ovunque possibile.

I fatti politicamente più rilevanti del giorno successivo alla strage al Crocus City Hall di Mosca sono stati essenzialmente quattro: il quadro completo delle reazioni internazionali di condanna dell’atto terroristico, la tempestiva cattura di tutti e quattro i presunti terroristi autori della carneficina, il messaggio di Putin alla nazione, la diversità fra la Russia e l’opinione pubblica occidentale nel tenere in conto la rivendicazione dell’attentato da parte dell’Isis-K.

Va registrata l’unanimità della comunità internazionale nel condannare l’attacco a Mosca e nel ribadire la condanna del terrorismo, visto in tutto il mondo come un nemico degli stati e delle organizzazioni internazionali, che cerca di condizionare l’agenda politica regionale e globale per conto di forze che operano dietro, o al di fuori, delle istituzioni. Oltre le divisioni che sussistono fra Occidente e Russia, e Sud del mondo, l’attentato a Mosca ha fatto emergere un comune posizionamento della comunità internazionale nel combattere la minaccia per i singoli stati e per il mondo costituita dal terrorismo.

Sul fronte delle indagini, l’Fsb, i servizi russi, ha reso noto che sono state arrestate undici persone, fra cui tutti e quattro i presunti terroristi autori della sparatoria e dell’incendio alla sala concerti moscovita, mentre tentavano di fuggire in auto verso il confine ucraino.

E ieri vi è stato anche il messaggio del presidente russo Vladimir Putin alla nazione. Un discorso duro ma equilibrato, senza riferimenti alle due rivendicazioni targate Isis, ma anche senza, almeno per ora, puntare il dito sui suoi nemici interni o esterni come il governo ucraino, limitandosi a specificare il confine dove erano diretti i presunti attentatori arrestati. Il leader del Cremlino ha posto l’accento sul fatto che la Russia conta sulla cooperazione “con tutti gli Stati che condividono sinceramente il nostro dolore”, facendo appello a una comune lotta che interessa gli stati, compresi quelli occidentali, contro un fattore destabilizzante e incontrollabile come il terrorismo, che, almeno per le sue azioni più eclatanti, necessità di complicità e di appoggi possibili solo con il coinvolgimento di pezzi di apparati deviati. Forse a questo ha alluso Putin parlando delle responsabilità di “tutti coloro che stanno dietro i terroristi” e della necessità di non permettere a costoro, “chiunque siano, chiunque li guidi” di compiere nuovi crimini. Da questo passaggio si potrebbe evincere che ciò che più interessa al governo russo sia reagire rispetto a quelle forze che, non da oggi, mirano alla destabilizzazione della Federazione Russa, più che cercare di strumentalizzare l’attentato in funzione della guerra di invasione in Ucraina.

In ogni caso, si rafforza l’impressione che i tempi successivi a questo attentato saranno caratterizzati da una guerra delle narrazioni, sia in Russia che in Occidente. Contesa che, com’era prevedibile, le due rivendicazioni dell’attentato a Mosca di venerdì sera da parte dell’Isis della provincia afghana di Khorasan, hanno già innescato. Le istituzioni russe non hanno sinora fatto riferimento a un marchio come quello dello Stato Islamico caratterizzato da un alto tasso di ambiguità, di indefinitezza, di mutevolezza, di sorprendente tempismo, tanto più nella sua versione afghana che è riuscita a suon di attentati e di provocazioni persino ad avvicinare, anziché far accentuare i loro contrasti, i governi di Teheran e di Kabul, facendo loro mettere in secondo piano vari contenziosi.

La speranza è che non si impongano quelle narrazioni, di opposto segno, capaci di aggravare ulteriormente la tensione internazionale, perché significherebbe assecondare ciò a cui il terrorismo mira, l’estensione del caos e dell’instabilità, riducendo le possibilità che la transizione geopolitica in corso, di ridefinizione di un nuovo assetto globale più adeguato ai tempi e più partecipato e inclusivo, possa avvenire con i mezzi della politica in modo il più incruento possibile.