Ora una vera riforma delle Province siciliane

L’Assemblea Regionale ha respinto il progetto di Schifani. Adesso bisogna mettere in piedi un disegno utile non solo alla democrazia comunitaria ma anche alla capacità di governo delle istituzioni locali.

Con uno spettacolare ‘colpo di reni’, l’Assemblea Regionale Siciliana, saggiamente, ha bocciato il disegno di legge presentato dal governo Schifani che reintroduceva in Sicilia le Province, l’elezione diretta dei loro organi e quella degli organi delle Città metropolitane. Si è trattato di un voto che ha squassato la maggioranza di governo, avendo fatto registrare almeno dagli 11 ai 14 franchi tiratori su una disponibilità di 39 deputati, ma che consente ora all’Assemblea regionale, con il ritorno del ddl in Commissione “Affari Istituzionali”, la possibilità di rivedere tutte le principali scelte che in esso erano contenute e venivano contestate oltre che dall’opposizione anche da larghi strati dell’opinione pubblica. A partire dalla configurazione delle Province e delle Città metropolitane quali “enti di area vasta” ma dai territori identici a quelli della riforma mussoliniana del 1927 e dalla sostituzione dei Liberi Consorzi comunali con le Province (e le Città metropolitane), per arrivare, soprattutto, al ripristino dell’elezione diretta a suffragio popolare degli organi delle Province e delle Città metropolitane prevista all’interno di un rinnovato progetto di governance locale. E, naturalmente, riconsiderando anche tutte le quistioni di legittimità costituzionale legate alla immodificata legge “Delrio” che, ponendosi come “grande riforma economico-sociale” (art.1, comma 5), continua ad essere per la potestà legislativa esclusiva della Regione siciliana parametro invalicabile in ordine ad alcuni principi in essa stabiliti. Non solo. Ma stante questa nuova situazione parlamentare, non sarebbe inopportuno che si bandissero da questa vicenda anche tutte le intenzioni strumentali che la becera politica di questi tempi usa per darsi battaglia e che ormai hanno ampiamente stancato la gente, concentrandosi invece sui contenuti di rilievo istituzionale che caratterizzano questa importante riforma non certo priva di riflessi sull’organizzazione ed il funzionamento della stessa Regione.

In questa prospettiva, allora, conviene farsi subito una ragione della circostanza che, continuando ad essere in vigore (anche per mancanza di ogni impugnativa da parte della Regione siciliana) la legge “Delrio”, non c’è assicurazione alcuna, ricevuta dal governo nazionale, che possa preservare dalla possibilità che la legge della Regione venga impugnata qualora si discostasse dai principi dettati dalla legislazione nazionale. Soprattutto, considerato il fatto che la Corte costituzionale ha già censurato per illegittimità costituzionale con la sentenza 20 luglio 2018 n. 168 la legge regionale 1 agosto 2017 n. 17 istitutiva proprio dell’elezione diretta degli organi dei Liberi Consorzi e delle Città metropolitane.

In secondo luogo, bisognerebbe prendere atto che le vecchie circoscrizioni provinciali non sono più funzionali alle esigenze di uno sviluppo tecnologicamente avanzato e dovrebbero essere riconsiderate per riunirle ed accorparle in dimensioni più ampie in modo da consentire di esercitare le attività di gestione con efficienza, efficacia ed economicità. Circostanza, questa, che ormai è sistematicamente indicata dalle più significative esperienze di pianificazione strategica e di programmazione territoriale oltre che dalle più avanzate riorganizzazioni di istituzioni pubbliche come le Camere di Commercio, le Autorità di sistema portuale, la rete degli Aeroporti di interesse nazionale. Come già accennato, il vecchio testo del ddl, dopo aver proclamato di voler istituire “enti di area vasta”, di questa riconsiderazione dei confini amministrativi delle province e delle città metropolitane non ne parla assolutamente, così negando alla fine qualsiasi adeguamento dei nuovi enti alle esigenze tecnico-funzionali dei servizi da fornire alle comunità e delle esigenze dello sviluppo socio-economico e, quindi, in ultimo anche le stesse ragioni del cambiamento della governance.

Altra quistione della massima importanza è il ritorno, nel testo del ddl bocciato dall’Assemblea, dai “Liberi Consorzi comunali” alle “Province”, né meno più regionali come le definiva la legge siciliana del 6 marzo 1986 n. 9. Qui la faccenda è molto delicata perché espone la legge che si dovesse eventualmente approvare ad altra e più penetrante censura costituzionale per violazione dell’art. 15 dello Statuto speciale della Regione. E non per una vicenda meramente formale quale sarebbe quella della denominazione (di “Province” invece che di “Liberi Consorzi comunali”) dell’ente di area vasta. Quanto, piuttosto, per una ragione sostanziale dalle implicazioni della massima importanza. Infatti, l’uso dell’una invece che dell’altra definizione dell’ente sovracomunale evoca modelli organizzativi totalmente diversi fra di loro ed anzi alternativi. In estrema sintesi, significando con l’espressione “Libero Consorzio comunale” che l’ente intermedio tra Comuni e Regione è costituito dall’associazione di Comuni che perseguono l’interesse proprio dei loro territori e quindi non danno vita ad un ente altro rispetto alla loro organizzazione unitaria sancita da un patto federativo. Mentre, con il termine “Provincia” indicando che l’organizzazione di area vasta costituisce un nuovo ente con personalità giuridica diversa ed autonoma dai Comuni che ne fanno parte e spesso che finisce con il contrapporsi ad essi in funzione di ente ausiliario dello Stato di cui fin dalla sua origine è stato organo territoriale periferico.

E qui emerge in tutta la sua dimensione politica il problema del modo di eleggere gli organi di questo ente di area vasta che a motivo della sua natura consortile (o, meglio, federativa) non può essere per entrambi (Presidente e Consiglio) dello stesso tipo indiretto-di secondo grado o popolare-diretto. Perché così, mentre nella prima ipotesi l’ente intermedio finirebbe per esercitare una semplice funzione di coordinamento degli interessi comunali senza poter imprimere un proprio indirizzo autonomo al governo delle politiche provinciali, nella seconda evenienza di elezione di primo grado vedrebbe riprodotti al proprio interno gli stessi equilibri politici dello Stato o della Regione di appartenenza e quindi asservite le sue funzioni di governo all’indirizzo politico di quest’ultima o dello Stato. Mortificando l’autonomia dei Comuni e contrapponendosi al loro presidio del territorio ed alla loro rappresentanza delle Comunità che vi sono insediate. Per evitare un esito di tal genere, in entrambe le ipotesi sbagliato, è necessario allora che uno dei due organi venga eletto non direttamente dal corpo elettorale provinciale (o metropolitano) ma piuttosto dai rappresentanti dei Comuni (sindaci e/o consiglieri). Senza una tale diversificazione, infatti, la nuova governance provinciale o metropolitana non potrebbe che risultare sbilanciata ed, in ultima istanza, priva di equilibrio territoriale.

Per realizzare questo modello istituzionale, però, le scelte non sono libere, poiché devono essere funzionali a garantire la partecipazione dei Comuni all’organizzazione delle Province o delle Città metropolitane. E il modo per rendere effettiva e permanente questa opzione è assicurare la loro presenza, attraverso i propri rappresentanti, nell’unico organo delle Province o Città in cui ciò è possibile per la sua natura collegiale. Vale a dire: il consiglio provinciale o metropolitano. Situazione, questa, che imporrebbe allora la sua formazione per mezzo dell’elezione indiretta di secondo grado ad opera dei sindaci e/o dei consiglieri comunali che realizzerebbe così la rappresentazione territoriale degli interessi dei Comuni che è l’unica modalità in grado di valorizzare la loro autonomia, secondo quanto previsto dalla Costituzione e dallo Statuto siciliano. Con la logica conseguenza, per quanto sopra detto, che il presidente delle Province o Città metropolitane dovrà, a sua volta, essere eletto direttamente dal corpo elettorale popolare garantendo così la rappresentanza politica della comunità provinciale o metropolitana e l’autonomia della sua funzione di governo. In un inedito equilibrio rappresentativo che farebbe fare un balzo in avanti non solo alla democrazia comunitaria ma anche alla capacità di governo delle istituzioni locali.

Non sarebbe per nulla un risultato trascurabile. Soprattutto, tenuto conto che potrebbe costituire un modello anche per la stessa riforma “Delrio”!