Brics, scatta l’allargamento ma senza l’Argentina.

È qualcosa che ci riguarda - innanzi tutto come europei e poi come occidentali - visto che 4 dei 5 nuovi membri sono Paesi di un'area a noi vicina, quella del Mediterraneo e del Medio Oriente.

I Brics, il coordinamento promosso da Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa da domani, primo gennaio 2024, raddoppiano, passando da cinque a dieci Stati membri a pieno titolo, con l’ingresso di Egitto, Arabia Saudita, Iran, Emirati Arabi Uniti ed Etiopia.

Si tratta del primo allargamento, deciso all’ultimo vertice Brics di Johannesburg lo scorso agosto, di questa associazione intercontinentale sui generis, se si esclude l’ingresso del Sudafrica avvenuto nel 2010, dopo appena un anno dalla sua costituzione. E un altro gruppo di Paesi potrebbe unirsi già nel 2024, fra le decine di quelli che hanno intenzione di aderirvi.

Tuttavia il processo di allargamento dei Brics subisce anche uno stop a sorpresa, con la rinuncia dell’Argentina che era il sesto Paese candidato a entrare adesso. Una decisione dovuta al cambiamento politico avvenuto nel Paese sudamericano con le presidenziali dello scorso autunno, che hanno portato al potere l’economista ultraconservatore Javier Milei. Sarà interessante vedere se questo deciso cambio di politica estera aiuterà il nuovo presidente argentino a superare la grave crisi economica del paese oppure se renderà tale compito più arduo. In ogni caso si tratta di una decisione che distingue l’Argentina dal vicino Brasile dove la permanenza nei Brics è stata condivisa da presidenti di diverso colore politico nel corso degli ultimi quindici anni.

Questo allargamento dei Brics presenta un altro grande motivo di interesse per un’area a noi vicina, il Mediterraneo e il Medio Oriente.

L’Egitto è il primo Paese mediterraneo formalmente membro dei Brics. Questo costituisce un motivo di riflessione per noi. I Brics sembrano capaci di costruire un coinvolgimento anche con altri Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, a partire dall’Algeria, pari, se non addirittura superiore a quello che è riuscita a compiere l’Unione Europea.

Se si esclude la travagliata Etiopia, Paese dalle enormi potenzialità, ma ancora insanguinata da diversi conflitti armati, gli altri quattro Stati che entrano ora nei Brics sono situati in una delle aree più calde del pianeta, tra Medio Oriente (Arabia Saudita, Emirati, Iran) e Nord Africa (Egitto), proprio mentre è in corso una guerra che da Gaza minaccia la stabilità in quella regione. Sotto questo profilo l’ingresso nei Brics dei suddetti quattro stati contribuisce a cambiare gli equilibri della regione, rafforzando da un lato la ricerca di una completa normalizzazione delle relazioni con Israele, ma nel contempo rendendo improcrastinabile la fine delle ostilità a Gaza e la ricerca di una soluzione a due stati del conflitto israelo-palestinese.

Vi sono poi le incognite rappresentate dall’ adesione dell’Iran ai Brics, controbilanciate dal fatto che l’entrata in questo Coordinamento ha reso il regime di Teheran più sensibile alle istanze di pace, espresse soprattutto dalla Cina, sia in termini di riappacificazione con l’Arabia Saudita, sia, di conseguenza, con la ricerca di una soluzione diplomatica alla guerra nello Yemen.

Questo allargamento, storico per i Brics quanto per ciascuno dei cinque paesi che entrano, alla fine riguarda anche noi, come europei innanzitutto, e come occidentali.

Di fronte al modo multipolare in cui il mondo va configurandosi, comunque va adottata una linea. Una linea che può essere quella del confronto, anche duro, ma riconoscendo i nuovi interlocutori costituiti da associazioni internazionali (non solo i Brics), regionali o tematiche di stati che si affacciano sulla scena globale per esprimere il loro punto di vista. Probabilmente ciò costituisce il presupposto per un disinnesco effettivo ed equo dei principali conflitti in corso e per radicare le speranze di pace che nutriamo per il 2024 e per gli anni a venire.

Se invece nei nostri gruppi dirigenti dovesse prevalere la convinzione che occorre mantenere sostanzialmente immutato l’assetto internazionale ereditato dal secolo scorso, occorrerà spiegare ai cittadini anche il prezzo via via crescente, che richiederà un tale orientamento.

Con il rischio che, già in vista delle elezioni europee, e di quelle americane, del 2024, possa ricrearsi il terreno adatto allo sviluppo di illusorie risposte populiste a questioni che invece richiederebbero di esser affrontare in modo sostanziale, concorrendo a costruire insieme quel mondo nuovo che il XXI secolo sembra deciso a volerci portare.