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mercoledì, Aprile 30, 2025
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Roma: la procura apre un fascicolo di indagine per odio razziale

La Procura di Roma ha aperto un fascicolo di indagine in relazione agli scontri avvenuti a Torre Maura dove circa 200 abitanti della zona, supportati anche da militanti di Casapound, sono scesi in strada per protestare contro il trasferimento di 60 rom in un centro di accoglienza. In attesa delle informative delle forze dell’ordine intervenute, i reati ipotizzati sono di danneggiamento e minacce aggravate dall’odio razziale.

Intanto la Digos di Roma è al lavoro per individuare gli autori della violenta protesta anti-nomadi.

Comunque dopo la rivolta il Campidoglio ha deciso il ricollocamento in centri su tutto il territorio romano dei 60 rom arrivati a Torre Maura.

 

Conte, la sfida e l’opacità

Articolo già apparso sulle pagine di www.ildemocristiano.it a firma di Marco Follini

Prima la chiacchiera sull’eventualità di una “lista Conte” alle prossime elezioni. Poi un cenno da Assisi al fatto che si possa discutere, un giorno o l’altro, di ius soli, prontamente derubricata da Di Maio a “sensibilità” personale. Da ultimo la bacchettata a Salvini sul troppo parlare e sul poco pensare.

E’ evidente che il premier sta cercando di cucirsi addosso i panni di figura politica e non più solo di “avvocato del popolo”, o meglio di notaio del contratto. Come se nel governo si stesse profilando una inedita “triarchia” in luogo del patto stipulato tra i due dioscuri del populismo all’indomani del voto del marzo scorso.

Tutto questo potrebbe perfino portare a una paradossale forma di stabilizzazione di questo quadro politico, reso meno traballante dal fatto di poggiare su tre zampe invece che su due.

Si vedrà. Da parte mia viene solo un sommesso consiglio. Chi organizza una posizione politica avrebbe il dovere di essere meno criptico. Se tutto invece avviene dietro la cortina di segnali di fumo di difficile decifrazione ne risente la limpidezza della politica. Che a me pare appunto oggi assai più opaca e velenosa di quanto non fosse prima.

Renzi ci ha salvati dal vero bipolarismo giallo-verde

Articolo già apparso sulla rivista www.laboratorio.info a firma di Luca Vincenzo Calcagno

Di Maio e Salvini litigano, litigano sempre.
E in quasi un anno di vita del governo, i Cinque Stelle si saranno mangiati più e più volte le mani per quella sera da Fazio in cui Renzi ha chiuso le porte al loro tentativo di intesa con il Partito Democratico.

È vero: con i dem forse non ci sarebbe stato un contratto di governo, quindi niente taglio dei vitalizi; niente decreto dignità; niente Reddito di Cittadinanza.
Ma a giudicare dai risultati, queste misure non stanno ripagano in termini elettorali come dovrebbero.

Infatti, gli alleati verdi crescono, mentre gli ampi consensi registrati il 4 marzo non si sono ripetuti nelle competizioni elettorali di Marche, Sardegna e Basilicata. E in più il Pd cresce.

Sarà l’iniezione di fiducia data dal cambio di segretario?
Forse.

Resta il fatto che con Lega contraria agli sbarchi, Forza Italia e Fratelli d’Italia a ruota di Salvini e i Pentastellati ondivaghi sul tema, a denunciare la politica sui flussi migratori del governo restano il Pd e le forze alla sua sinistra.

Proprio quelle cui sta guardando Zingaretti. Risultato: al governo con la Lega, i Cinque Stelle vengono tirati a destra, lasciando incustodito uno spazio politico che un tempo aveva anche rubato alla sinistra (le elezioni di Torino 2016 insegnano).

Quella poteva essere la collocazione di un Movimento Cinque Stelle che avesse chiuso l’accordo col Pd; quei democratici, reduci dalle pesante sconfitta delle politiche, dopo i mille giorni renziani che li hanno condotti il più distanti possibile dal loro elettorato storico.

Dunque è tanto azzardato immaginare che nelle segrete stanze, qualche sera particolarmente difficile, il giovane ministro di Pomigliano d’Arco abbia mormorato un Mannagg! all’indirizzo di Renzi? Il tanto criticato fiorentino, cui forse andrà reso almeno il merito di aver impedito che si instaurasse il vero bipolarismo Lega da un lato, Cinque Stelle (più Pd) dall’altro.

Hope Solo: una storia americana

Se non fosse vera, questa sarebbe la storia perfetta per un film hollywoodiano.

Una di quelle che ripercorrono il mito americano del self made man, dove, partendo dal basso, si può raggiungere  il successo per i propri ed esclusivi meriti.

Uno di quei racconti insomma che tanto piacciano al pubblico.

Questa è la storia di Hope Amelia Solo; nata a Richland, nello Stato di Washington, il 30 luglio 1981.

Figlia di un veterano della guerra del Vietnam, di origine italiana, che dopo l’esperienza asiatica continua la sua esistenza entrando e uscendo da diversi istituti penitenziari.

Come lei stessa ha dichiarato nel suo libro: “Mia madre venne messa incinta dopo una visita coniugale a mio padre nel carcere di Walla Walla (stato di Washington)” e: “Mio padre era un truffatore, un donnaiolo e non ci si poteva fidare di lui. Ma era  mio padre, si prese cura di me e io lo amo ” e ancora: “Non era un marito responsabile o un padre modello, ma ha contribuito a creare la persona che sono oggi”.

Ma la loro storia fatta di amore e odio non si limita a questo.

Infatti Johnny Solo, dopo la richiesta di divorzio, portò i figli ad una partita di baseball nella vicina città di Yakima , ma finì per guidare oltre tre ore a ovest di Seattle, dove rimasero per diversi giorni in un hotel .

E quella che poteva sembrare, per gli occhi ingenui di due bimbi, una vacanza si trasformò in un rapimento.

Fu la polizia a trovarli ed ad arrestare il papà per presunto sequestro di persona.  

Solo molti anni dopo si riuscirono a rincontrare ed a riallacciare uno stretto rapporto.

Nella sua autobiografia, “Solo: A Memoir of Hope”, racconterà che il padre non l’ha odiato, che in fondo l’ha capito, nonostante tutto: non era tutta colpa sua, dice Hope, non riusciva a rientrare nella società civile dopo essere stato in guerra.

Una storia che va avanti tra alti e bassi fino alla fine, quando il padre viene stroncato da un infarto.

Ma questa storia turbolenta non ferma la ragazza.

La sua vita calcistica, da centravanti, inizia dopo aver portato la sua squadra scolastica a un titolo statale.

Questa vittoria permette all’anatroccolo attaccante dinamico, di farsi notare e di dirigersi a Washington per diventare portiere. Ruolo che dominerà fino ad arrivare nel 1999 alla convocazione nazionale.

L’anno seguente, il 5 di aprile, fa il proprio debutto nella nazionale maggiore, in una gara contro l’Islanda.

Nel 2007, durante il campionato mondiale, si rende protagonista di una polemica contro il proprio allenatore, Greg Ryan, che nella semifinale contro il Brasile, persa poi per 0-4, le preferisce la “veterana” Briana Scurry, nonostante i tre rigori parati nella partita precedente; lo sfogo polemico al termine della partita costa alla Solo l’allontanamento dalla squadra in vista della finale per il terzo posto.

L’anno dopo, vince con la propria nazionale la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Pechino.

Ma la vita riserva sempre qualche sorpresa e così nel giugno del 2014 viene arrestata con l’accusa di violenza domestica ai danni della sorella e del nipote diciassettenne. Viene in seguito rilasciata senza cauzione anche se il procedimento penale nei suoi confronti è ancora in corso.

Ma si sa, l’America è disposta a perdonare tutto ad un vincente.

Così fino al 24 agosto 2016, quando la Federazione USA le ha sospeso il contratto, la Solo ha collezionato oltre 120 presenze, vinto due titoli olimpici (nel 2008 e nel 2012), un titolo mondiale (2015) e ottenuto un secondo posto nel campionato del mondo nel 2011; detenendo il primato di 1.054 minuti di imbattibilità della propria porta.

Un’atleta che ha, quindi, una padronanza spettacolare dell’area di rigore, una tempra indomita, un carattere rivoluzionario e irriverente, insomma un classico mito del calcio moderno.

Tutte qualità che la portano a far parte di quella élite calcistica mondiale che annovera tra i suoi membri i più grandi nomi.

Finita questa esperienza da professionista, ora, sta cercando la sua missione nel mondo fuori dal calcio. Assumendo un ruolo preminente nella lotta per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere.

Chissà se nel prossimo futuro sentiremo ancora parlare di lei.

L’Esortazione Apostolica Post Sinodale “Christus Vivit”

1. Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che Lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita. Perciò, le prime parole che voglio rivolgere a ciascun giovane cristiano sono: Lui vive e ti vuole vivo!

2. Lui è in te, Lui è con te e non se ne va mai. Per quanto tu ti possa allontanare, accanto a te c’è il Risorto, che ti chiama e ti aspetta per ricominciare. Quando ti senti vecchio per la tristezza, i rancori, le paure, i dubbi o i fallimenti, Lui sarà lì per ridarti la forza e la speranza.

3. A tutti i giovani cristiani scrivo con affetto questa Esortazione apostolica, vale a dire una lettera che richiama alcune convinzioni della nostra fede e, nello stesso tempo, incoraggia a crescere nella santità e nell’impegno per la propria vocazione. Tuttavia, dato che si tratta di una pietra miliare nell’ambito di un cammino sinodale, mi rivolgo contemporaneamente a tutto il Popolo di Dio, ai pastori e ai fedeli, perché la riflessione sui giovani e per i giovani interpella e stimola tutti noi. Pertanto, in alcuni paragrafi parlerò direttamente ai giovani e in altri proporrò approcci più generali per il discernimento ecclesiale.

4. Mi sono lasciato ispirare dalla ricchezza delle riflessioni e dei dialoghi del Sinodo dell’anno scorso. Non potrò raccogliere qui tutti i contributi, che potrete leggere nel Documento Finale, ma ho cercato di recepire, nella stesura di questa lettera, le proposte che mi sembravano più significative. In questo modo, la mia parola sarà arricchita da migliaia di voci di credenti di tutto il mondo che hanno fatto arrivare le loro opinioni al Sinodo. Anche i giovani non credenti, che hanno voluto partecipare con le loro riflessioni, hanno proposto questioni che hanno fatto nascere in me nuove domande.

CAPITOLO PRIMO

Che cosa dice la Parola di Dio sui giovani?

5. Andiamo a recuperare alcuni tesori delle Sacre Scritture, in cui diverse volte si parla dei giovani e di come il Signore va loro incontro.

Nell’Antico Testamento

6. In un’epoca in cui i giovani contavano poco, alcuni testi mostrano che Dio guarda con altri occhi. Ad esempio, vediamo che Giuseppe era quasi il più piccolo della famiglia (cfr Gen 37,2-3). Tuttavia, Dio gli comunicò grandi cose in sogno ed egli superò tutti i suoi fratelli in incarichi importanti quando aveva circa vent’anni (cfr Gen 37-47).

7. In Gedeone riconosciamo la sincerità dei giovani, che non hanno l’abitudine di addolcire la realtà. Quando gli fu detto che il Signore era con lui, rispose: «Se il Signore è con noi, perché ci è capitato tutto questo?» (Gdc 6,13). Dio però non fu infastidito da quel rimprovero e gli raddoppiò la posta in gioco: «Va’ con questa tua forza e salva Israele» (Gdc 6,14).

8. Samuele era un giovane insicuro, ma il Signore comunicava con lui. Grazie al consiglio di un adulto, aprì il suo cuore per ascoltare la chiamata di Dio: «Parla Signore, perché il tuo servo ti ascolta» (1 Sam 3,9.10). Per questo è stato un grande profeta che è intervenuto in momenti importanti per la sua patria. Anche il re Saul era un giovane quando il Signore lo chiamò a compiere la sua missione (cfr 1 Sam 9,2).

9. Il re Davide è stato scelto quando era un ragazzo. Quando il profeta Samuele stava cercando il futuro re d’Israele, un uomo gli presentò come candidati i suoi figli più grandi e più esperti. Il profeta, però, disse che il prescelto era il giovane Davide, che pascolava le pecore (cfr 1 Sam 16,6-13), perché «l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (v. 7). La gloria della gioventù sta nel cuore più che nella forza fisica o nell’impressione che si provoca negli altri.

10. Salomone, quando doveva succedere a suo padre, si sentì perduto e disse a Dio: «Io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi» (1 Re 3,7). Tuttavia, l’audacia della giovinezza lo spinse a chiedere a Dio la saggezza e si dedicò alla sua missione. Qualcosa di simile accadde al profeta Geremia, chiamato a risvegliare il suo popolo quando era molto giovane. Nel suo timore disse: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane» (Ger 1,6), ma il Signore gli chiese di non dire così (cfr Ger 1,7) e aggiunse: «Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti» (Ger 1,8). La dedizione del profeta Geremia alla sua missione mostra ciò che diventa possibile se si uniscono la freschezza della gioventù e la forza di Dio.

11. Una ragazzina ebrea, che era al servizio del militare straniero Naaman, intervenne con fede per aiutarlo a guarire dalla sua malattia (cfr 2 Re 5,2-6). La giovane Rut fu un esempio di generosità nel rimanere con la suocera caduta in disgrazia (cfr Rt 1,1-18) e mostrò anche la sua audacia per andare avanti nella vita (cfr Rt 4,1-17).

Nel Nuovo Testamento

12. Racconta una parabola di Gesù (cfr Lc 15,11-32) che il figlio “più giovane” volle andarsene dalla casa paterna verso un paese lontano (cfr vv. 12-13). Ma i suoi sogni di autonomia si trasformarono in libertinaggio e dissolutezza (cfr v. 13) e sperimentò la durezza della solitudine e della povertà (cfr vv. 14-16). Tuttavia, fu capace di ripensarci per ricominciare (cfr vv. 17-19) e decise di alzarsi (cfr v. 20). È tipico del cuore giovane essere disponibile al cambiamento, essere in grado di rialzarsi e lasciarsi istruire dalla vita. Come non accompagnare il figlio in questa nuova impresa? Il fratello maggiore, però, aveva già un cuore vecchio e si lasciò possedere dall’avidità, dall’egoismo e dall’invidia (cfr vv. 28-30). Gesù elogia il giovane peccatore che riprende la buona strada più di colui che crede di essere fedele ma non vive lo spirito dell’amore e della misericordia.

13. Gesù, l’eternamente giovane, vuole donarci un cuore sempre giovane. La Parola di Dio ci chiede: «Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova» (1 Cor 5,7). Al tempo stesso, ci invita a spogliarci dell’«uomo vecchio» per rivestirci dell’uomo «nuovo» (cfr Col 3,9.10).[1] E quando spiega cosa significa rivestirsi di quella giovinezza «che si rinnova» (v. 10), dice che vuol dire avere «sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro» (Col 3,12-13). Ciò significa che la vera giovinezza consiste nell’avere un cuore capace di amare. Viceversa, ad invecchiare l’anima è tutto ciò che ci separa dagli altri. Ecco perché conclude: «Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto» (Col 3,14).

14. Notiamo che a Gesù non piaceva il fatto che gli adulti guardassero con disprezzo i più giovani o li tenessero al loro servizio in modo dispotico. Al contrario, chiedeva: «Chi tra voi è più grande diventi come il più giovane» (Lc 22,26). Per Lui, l’età non stabiliva privilegi, e che qualcuno avesse meno anni non significava che valesse di meno o che avesse meno dignità.

15. La Parola di Dio dice che i giovani vanno trattati «come fratelli» (1 Tm 5,1) e raccomanda ai genitori: «Non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino» (Col 3,21). Un giovane non può essere scoraggiato, la sua caratteristica è sognare grandi cose, cercare orizzonti ampi, osare di più, aver voglia di conquistare il mondo, saper accettare proposte impegnative e voler dare il meglio di sé per costruire qualcosa di migliore. Per questo insisto coi giovani che non si lascino rubare la speranza e ad ognuno ripeto: «Nessuno disprezzi la tua giovane età» (1 Tm 4,12).

16. Tuttavia, nello stesso tempo ai giovani si raccomanda: «Siate sottomessi agli anziani» (1 Pt 5,5). La Bibbia invita sempre ad avere un profondo rispetto per gli anziani, perché possiedono un patrimonio di esperienza, hanno sperimentato i successi e i fallimenti, le gioie e i grandi dolori della vita, le speranze e le delusioni, e nel silenzio del loro cuore custodiscono tante storie che possono aiutarci a non sbagliare e a non essere ingannati da falsi miraggi. La parola di un anziano saggio invita a rispettare certi limiti e a sapersi dominare al momento giusto: «Esorta ancora i più giovani a essere prudenti» (Tt 2,6). Non va bene cadere nel culto della gioventù, oppure in un atteggiamento giovanile che disprezza gli altri per i loro anni o perché sono di un’altra epoca. Gesù diceva che la persona saggia sa estrarre cose nuove e cose antiche dal suo tesoro (cfr Mt 13,52). Un giovane saggio si apre al futuro, ma è sempre capace di valorizzare qualcosa dell’esperienza degli altri.

17. Nel Vangelo di Marco compare una persona che, quando Gesù gli ricorda i comandamenti, afferma: «Tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza» (10,20). Lo diceva già il Salmo: «Sei tu, mio Signore, la mia speranza, la mia fiducia, Signore, fin dalla mia giovinezza. […] Fin dalla giovinezza, o Dio, mi hai istruito e oggi ancora proclamo le tue meraviglie» (71,5.17). Non bisogna pentirsi di spendere la propria gioventù essendo buoni, aprendo il cuore al Signore, vivendo in un modo diverso. Nulla di tutto ciò ci toglie la giovinezza, bensì la rafforza e la rinnova: «Si rinnova come aquila la tua giovinezza» (Sal 103,5). Per questo S. Agostino si lamentava: «Tardi ti ho amato, bellezza così antica e così nuova! Tardi ti ho amato!».[2] Tuttavia quell’uomo ricco, che era stato fedele a Dio nella sua giovinezza, lasciò che gli anni gli portassero via i sogni, e preferì rimanere attaccato ai propri beni (cfr Mc 10,22).

18. Invece, nel Vangelo di Matteo appare un giovane (cfr Mt 19,20.22) che si avvicina a Gesù per chiedere di più (cfr v. 20), con quello spirito aperto tipico dei giovani, alla ricerca di nuovi orizzonti e grandi sfide. In realtà, il suo spirito non era così giovane, perché si era già aggrappato alle ricchezze e alle comodità. Con la bocca affermava di volere qualcosa di più, ma quando Gesù gli chiese di essere generoso e di distribuire i suoi beni, si rese conto che non era capace di staccarsi da ciò che possedeva. Alla fine, «udita questa parola, il giovane se ne andò, triste» (v. 22). Aveva rinunciato alla sua giovinezza.

19. Il Vangelo ci parla anche di alcune giovani prudenti che erano pronte e attente, mentre altre vivevano distratte e addormentate (cfr Mt 25,1-13). Infatti, si può trascorrere la propria giovinezza distratti, volando sulla superficie della vita, addormentati, incapaci di coltivare relazioni profonde e di entrare nel cuore della vita. In questo modo si prepara un futuro povero, senza sostanza. Oppure si può spendere la propria giovinezza coltivando cose belle e grandi, e in questo modo preparare un futuro pieno di vita e di ricchezza interiore.

20. Se hai perso il vigore interiore, i sogni, l’entusiasmo, la speranza e la generosità, davanti a te si presenta Gesù come si presentò davanti al figlio morto della vedova, e con tutta la sua potenza di Risorto il Signore ti esorta: «Ragazzo, dico a te, alzati!» (Lc 7,14).

21. Indubbiamente ci sono molti altri testi della Parola di Dio che possono illuminarci su questa stagione della vita. Ne analizzeremo alcuni nei prossimi capitoli.

CAPITOLO SECONDO

Gesù Cristo sempre giovane

22. Gesù è «giovane tra i giovani per essere l’esempio dei giovani e consacrarli al Signore».[3] Per questo il Sinodo ha affermato che «la giovinezza è un periodo originale e stimolante della vita, che Gesù stesso ha vissuto, santificandola».[4] Cosa ci racconta il Vangelo sulla giovinezza di Gesù?

La giovinezza di Gesù

23. Il Signore «emise lo spirito» (Mt 27,50) su una croce quando aveva poco più di trent’anni (cfr Lc 3,23). È importante prendere coscienza che Gesù è stato un giovane. Ha dato la sua vita in una fase che oggi è definita come quella di un giovane-adulto. Nel pieno della sua giovinezza iniziò la sua missione pubblica e così «una luce è sorta» (Mt 4,16), specialmente quando diede la sua vita fino alla fine. Questo finale non è stato improvvisato, al contrario tutta la sua giovinezza è stata una preparazione preziosa, in ognuno dei suoi momenti, perché «tutto nella vita di Gesù è segno del suo mistero»[5] e «tutta la vita di Cristo è mistero di redenzione».[6]

24. Il Vangelo non parla della fanciullezza di Gesù, ma ci racconta alcuni avvenimenti della sua adolescenza e giovinezza. Matteo colloca questo periodo della giovinezza del Signore tra due eventi: il ritorno della sua famiglia a Nazaret, dopo il tempo di esilio, e il suo battesimo nel Giordano, dove ha iniziato la sua missione pubblica. Le ultime immagini di Gesù bambino sono quella di un piccolo rifugiato in Egitto (cfr Mt 2,14-15) e poi quella di un rimpatriato a Nazaret (cfr Mt 2,19-23). Le prime immagini di Gesù giovane-adulto sono quelle che ce lo presentano tra la folla accanto al fiume Giordano, venuto per farsi battezzare da suo cugino Giovanni il Battista come uno dei tanti del suo popolo (cfr Mt 3,13-17).

25. Quel battesimo non era come il nostro, che ci introduce alla vita della grazia, bensì è stata una consacrazione prima di iniziare la grande missione della sua vita. Il Vangelo dice che il suo battesimo è stato motivo della gioia e del beneplacito del Padre: «Tu sei il Figlio mio, l’amato» (Lc 3,22). Immediatamente Gesù è apparso ricolmo di Spirito Santo ed è stato condotto dallo Spirito nel deserto. In questo modo, era pronto per andare a predicare e a fare prodigi, per liberare e guarire (cfr Lc 4,1-14). Ogni giovane, quando si sente chiamato a compiere una missione su questa terra, è invitato a riconoscere nella sua interiorità quelle stesse parole che Dio Padre gli rivolge: «Tu sei mio figlio amato».

26. Tra questi racconti, ne troviamo uno che mostra Gesù in piena adolescenza. È quando ritornò con i suoi genitori a Nazaret, dopo che lo avevano perso e ritrovato nel Tempio (cfr Lc 2,41-51). Qui dice che «stava loro sottomesso» (cfr Lc 2,51), perché non aveva rinnegato la sua famiglia. Subito Luca aggiunge che Gesù «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Vale a dire, si stava preparando e in quel periodo stava approfondendo il suo rapporto con il Padre e con gli altri. San Giovanni Paolo II ha spiegato che non cresceva solo fisicamente, ma che «vi è stata in Gesù anche una crescita spirituale» perché «la pienezza di grazia in Gesù era relativa all’età: c’era sempre pienezza, ma una pienezza crescente col crescere dell’età».[7]

27. In base a questi dati evangelici possiamo affermare che, nella sua fase giovanile, Gesù si stava “formando”, si stava preparando a realizzare il progetto del Padre. La sua adolescenza e la sua giovinezza lo hanno orientato verso quella missione suprema.

28. Nell’adolescenza e nella giovinezza il suo rapporto con il Padre era quello del Figlio amato; attratto dal Padre, cresceva occupandosi delle sue cose: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Tuttavia, non dobbiamo pensare che Gesù fosse un adolescente solitario o un giovane che pensava a sé stesso. Il suo rapporto con la gente era quello di un giovane che condivideva tutta la vita di una famiglia ben integrata nel villaggio. Aveva imparato il lavoro del padre e poi lo ha sostituito come falegname. Per questo, nel Vangelo in una occasione viene chiamato «il figlio del falegname» (Mt 13,55) e un’altra volta semplicemente «il falegname» (Mc 6,3). Questo dettaglio mostra che era un ragazzo del villaggio come gli altri e che aveva relazioni del tutto normali. Nessuno lo considerava un giovane strano o separato dagli altri. Proprio per questo motivo, quando Gesù si presentò a predicare, la gente non si spiegava da dove prendesse quella saggezza: «Non è costui il figlio di Giuseppe?» (Lc 4,22).

29. Il fatto è che «neppure Gesù crebbe in una relazione chiusa ed esclusiva con Maria e Giuseppe, ma si muoveva con piacere nella famiglia allargata in cui c’erano parenti e amici».[8] Comprendiamo così perché, al momento di ritornare dal pellegrinaggio a Gerusalemme, i genitori fossero tranquilli pensando che quel ragazzo di dodici anni (cfr Lc 2,42) camminasse liberamente tra la gente, benché non lo vedessero per un giorno intero: «credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio» (Lc 2,44). Di certo – pensavano – Gesù stava lì, andava e veniva in mezzo agli altri, scherzava con quelli della sua età, ascoltava i racconti degli adulti e condivideva le gioie e le tristezze della carovana. Il termine greco usato da Luca per la carovana dei pellegrini – synodía – indica precisamente questa “comunità in cammino” di cui la Santa Famiglia è parte. Grazie alla fiducia dei suoi genitori, Gesù si muove con libertà e impara a camminare con tutti gli altri.

La sua giovinezza ci illumina

30. Questi aspetti della vita di Gesù possono costituire un’ispirazione per ogni giovane che cresce e si prepara a compiere la sua missione. Ciò comporta maturare nel rapporto con il Padre, nella consapevolezza di essere uno dei membri della famiglia e della comunità, e nell’apertura ad essere colmato dallo Spirito e condotto a compiere la missione che Dio affida, la propria vocazione. Nulla di tutto questo dovrebbe essere ignorato nella pastorale giovanile, per non creare progetti che isolino i giovani dalla famiglia e dal mondo, o che li trasformino in una minoranza selezionata e preservata da ogni contagio. Abbiamo bisogno, piuttosto, di progetti che li rafforzino, li accompagnino e li proiettino verso l’incontro con gli altri, il servizio generoso, la missione.

31. Gesù non illumina voi, giovani, da lontano o dall’esterno, ma partendo dalla sua stessa giovinezza, che egli condivide con voi. È molto importante contemplare il Gesù giovane che ci mostrano i Vangeli, perché Egli è stato veramente uno di voi, e in Lui si possono riconoscere molti aspetti tipici dei cuori giovani. Lo vediamo, ad esempio, nelle seguenti caratteristiche: «Gesù ha avuto una incondizionata fiducia nel Padre, ha curato l’amicizia con i suoi discepoli, e persino nei momenti di crisi vi è rimasto fedele. Ha manifestato una profonda compassione nei confronti dei più deboli, specialmente i poveri, gli ammalati, i peccatori e gli esclusi. Ha avuto il coraggio di affrontare le autorità religiose e politiche del suo tempo; ha fatto l’esperienza di sentirsi incompreso e scartato; ha provato la paura della sofferenza e conosciuto la fragilità della Passione; ha rivolto il proprio sguardo verso il futuro affidandosi alle mani sicure del Padre e alla forza dello Spirito. In Gesù tutti i giovani possono ritrovarsi».[9]

32. D’altra parte, Gesù è risorto e vuole farci partecipare alla novità della sua risurrezione. Egli è la vera giovinezza di un mondo invecchiato ed è anche la giovinezza di un universo che attende con «le doglie del parto» (Rm 8,22) di essere rivestito della sua luce e della sua vita. Vicino a Lui possiamo bere dalla vera sorgente, che mantiene vivi i nostri sogni, i nostri progetti, i nostri grandi ideali, e che ci lancia nell’annuncio della vita che vale la pena vivere. In due curiosi dettagli del Vangelo di Marco possiamo vedere la chiamata alla vera giovinezza dei risorti. Da una parte, nella passione del Signore appare un giovane timoroso che cercava di seguire Gesù ma che fuggì via nudo (cfr 14,51-52), un giovane che non ebbe la forza di rischiare tutto per seguire il Signore. Invece, vicino al sepolcro vuoto, vediamo un giovane «vestito di una veste bianca» (16,5) che invitava a vincere la paura e annunciava la gioia della risurrezione (cfr 16,6-7).

33. Il Signore ci chiama ad accendere stelle nella notte di altri giovani; ci invita a guardare i veri astri, quei segni così diversificati che Egli ci dà perché non rimaniamo fermi, ma imitiamo il seminatore che osservava le stelle per poter arare il campo. Dio accende stelle per noi affinché possiamo continuare a camminare: «Le stelle hanno brillato nei loro posti di guardia e hanno gioito; egli le ha chiamate e hanno risposto» (Bar 3,34-35). Ma Cristo stesso è per noi la grande luce di speranza e di guida nella nostra notte, perché Egli è «la stella radiosa del mattino» (Ap 22,16).

La giovinezza della Chiesa

34. Essere giovani, più che un’età, è uno stato del cuore. Quindi, un’istituzione antica come la Chiesa può rinnovarsi e tornare ad essere giovane in diverse fasi della sua lunghissima storia. In realtà, nei suoi momenti più tragici, sente la chiamata a tornare all’essenziale del primo amore. Ricordando questa verità, il Concilio Vaticano II affermava che «ricca di un lungo passato sempre in essa vivente, e camminando verso la perfezione umana nel tempo e verso i destini ultimi della storia e della vita, essa è la vera giovinezza del mondo». In essa è sempre possibile incontrare Cristo «il compagno e l’amico dei giovani».[10]

Una Chiesa che si lascia rinnovare

35. Chiediamo al Signore che liberi la Chiesa da coloro che vogliono invecchiarla, fissarla sul passato, frenarla, renderla immobile. Chiediamo anche che la liberi da un’altra tentazione: credere che è giovane perché cede a tutto ciò che il mondo le offre, credere che si rinnova perché nasconde il suo messaggio e si mimetizza con gli altri. No. È giovane quando è sé stessa, quando riceve la forza sempre nuova della Parola di Dio, dell’Eucaristia, della presenza di Cristo e della forza del suo Spirito ogni giorno. È giovane quando è capace di ritornare continuamente alla sua fonte.

36. È vero che noi membri della Chiesa non dobbiamo essere tipi strani. Tutti devono poterci sentire fratelli e vicini, come gli Apostoli, che godevano «il favore di tutto il popolo» (At 2,47; cfr 4,21.33; 5,13). Allo stesso tempo, però, dobbiamo avere il coraggio di essere diversi, di mostrare altri sogni che questo mondo non offre, di testimoniare la bellezza della generosità, del servizio, della purezza, della fortezza, del perdono, della fedeltà alla propria vocazione, della preghiera, della lotta per la giustizia e il bene comune, dell’amore per i poveri, dell’amicizia sociale.

37. La Chiesa di Cristo può sempre cadere nella tentazione di perdere l’entusiasmo perché non ascolta più la chiamata del Signore al rischio della fede, a dare tutto senza misurare i pericoli, e torna a cercare false sicurezze mondane. Sono proprio i giovani che possono aiutarla a rimanere giovane, a non cadere nella corruzione, a non fermarsi, a non inorgoglirsi, a non trasformarsi in una setta, ad essere più povera e capace di testimonianza, a stare vicino agli ultimi e agli scartati, a lottare per la giustizia, a lasciarsi interpellare con umiltà. Essi possono portare alla Chiesa la bellezza della giovinezza quando stimolano «la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi senza ritorno, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste».[11]

38. Chi di noi non è più giovane ha bisogno di occasioni per avere vicini la loro voce e il loro stimolo, e «la vicinanza crea le condizioni perché la Chiesa sia spazio di dialogo e testimonianza di fraternità che affascina».[12] Abbiamo bisogno di creare più spazi dove risuoni la voce dei giovani: «L’ascolto rende possibile uno scambio di doni, in un contesto di empatia. […] Allo stesso tempo pone le condizioni per un annuncio del Vangelo che raggiunga veramente il cuore, in modo incisivo e fecondo».[13]

Una Chiesa attenta ai segni dei tempi

39. «Se per molti giovani Dio, la religione e la Chiesa appaiono parole vuote, essi sono sensibili alla figura di Gesù, quando viene presentata in modo attraente ed efficace».[14] Per questo bisogna che la Chiesa non sia troppo concentrata su sé stessa, ma che rifletta soprattutto Gesù Cristo. Questo comporta che riconosca con umiltà che alcune cose concrete devono cambiare, e a tale scopo ha anche bisogno di raccogliere la visione e persino le critiche dei giovani.

40. Al Sinodo si è riconosciuto che «un numero consistente di giovani, per le ragioni più diverse, non chiedono nulla alla Chiesa perché non la ritengono significativa per la loro esistenza. Alcuni, anzi, chiedono espressamente di essere lasciati in pace, poiché sentono la sua presenza come fastidiosa e perfino irritante. Tale richiesta spesso non nasce da un disprezzo acritico e impulsivo, ma affonda le radici anche in ragioni serie e rispettabili: gli scandali sessuali ed economici; l’impreparazione dei ministri ordinati che non sanno intercettare adeguatamente la sensibilità dei giovani; la scarsa cura nella preparazione dell’omelia e nella presentazione della Parola di Dio; il ruolo passivo assegnato ai giovani all’interno della comunità cristiana; la fatica della Chiesa di rendere ragione delle proprie posizioni dottrinali ed etiche di fronte alla società contemporanea».[15]

41. Anche se ci sono giovani che sono contenti quando vedono una Chiesa che si mostra umilmente sicura dei suoi doni e anche capace di esercitare una critica leale e fraterna, altri giovani chiedono una Chiesa che ascolti di più, che non stia continuamente a condannare il mondo. Non vogliono vedere una Chiesa silenziosa e timida, ma nemmeno sempre in guerra per due o tre temi che la ossessionano. Per essere credibile agli occhi dei giovani, a volte ha bisogno di recuperare l’umiltà e semplicemente ascoltare, riconoscere in ciò che altri dicono una luce che la può aiutare a scoprire meglio il Vangelo. Una Chiesa sulla difensiva, che dimentica l’umiltà, che smette di ascoltare, che non si lascia mettere in discussione, perde la giovinezza e si trasforma in un museo. Come potrà accogliere così i sogni dei giovani? Benché possieda la verità del Vangelo, questo non significa che l’abbia compresa pienamente; piuttosto, deve sempre crescere nella comprensione di questo tesoro inesauribile.[16]

42. Ad esempio, una Chiesa eccessivamente timorosa e strutturata può essere costantemente critica nei confronti di tutti i discorsi sulla difesa dei diritti delle donne ed evidenziare costantemente i rischi e i possibili errori di tali rivendicazioni. Viceversa, una Chiesa viva può reagire prestando attenzione alle legittime rivendicazioni delle donne che chiedono maggiore giustizia e uguaglianza. Può ricordare la storia e riconoscere una lunga trama di autoritarismo da parte degli uomini, di sottomissione, di varie forme di schiavitù, di abusi e di violenza maschilista. Con questo sguardo sarà capace di fare proprie queste rivendicazioni di diritti, e darà il suo contributo con convinzione per una maggiore reciprocità tra uomini e donne, pur non essendo d’accordo con tutto ciò che propongono alcuni gruppi femministi. In questa linea, il Sinodo ha voluto rinnovare l’impegno della Chiesa «contro ogni discriminazione e violenza su base sessuale».[17] Questa è la reazione di una Chiesa che si mantiene giovane e si lascia interrogare e stimolare dalla sensibilità dei giovani.

Maria, la ragazza di Nazaret

43. Nel cuore della Chiesa risplende Maria. Ella è il grande modello per una Chiesa giovane che vuole seguire Cristo con freschezza e docilità. Quando era molto giovane, ricevette l’annuncio dell’angelo e non rinunciò a fare domande (cfr Lc 1,34). Ma aveva un’anima disponibile e disse: «Ecco la serva del Signore» (Lc 1,38).

44. «Sempre impressiona la forza del “sì” di Maria, giovane. La forza di quell’“avvenga per me” che disse all’angelo. È stata una cosa diversa da un’accettazione passiva o rassegnata. È stato qualcosa di diverso da un “sì” come a dire: “Bene, proviamo a vedere che succede”. Maria non conosceva questa espressione: vediamo cosa succede. Era decisa, ha capito di cosa si trattava e ha detto “sì”, senza giri di parole. È stato qualcosa di più, qualcosa di diverso. È stato il “sì” di chi vuole coinvolgersi e rischiare, di chi vuole scommettere tutto, senza altra garanzia che la certezza di sapere di essere portatrice di una promessa. E domando a ognuno di voi: vi sentite portatori di una promessa? Quale promessa porto nel cuore, da portare avanti? Maria, indubbiamente, avrebbe avuto una missione difficile, ma le difficoltà non erano un motivo per dire “no”. Certo che avrebbe avuto complicazioni, ma non sarebbero state le stesse complicazioni che si verificano quando la viltà ci paralizza per il fatto che non abbiamo tutto chiaro o assicurato in anticipo. Maria non ha comprato un’assicurazione sulla vita! Maria si è messa in gioco, e per questo è forte, per questo è una influencer, è l’influencer di Dio! Il “sì” e il desiderio di servire sono stati più forti dei dubbi e delle difficoltà».[18]

45. Senza cedere a evasioni o miraggi, «Ella seppe accompagnare il dolore di suo Figlio, […] sostenerlo con lo sguardo e proteggerlo con il cuore. Dolore che soffrì, ma che non la piegò. È stata la donna forte del “sì”, che sostiene e accompagna, protegge e abbraccia. Ella è la grande custode della speranza. […] Da lei impariamo a dire “sì” alla pazienza testarda e alla creatività di quelli che non si perdono d’animo e ricominciano da capo».[19]

46. Maria era la ragazza con un’anima grande che esultava di gioia (cfr Lc 1,47), era la fanciulla con gli occhi illuminati dallo Spirito Santo che contemplava la vita con fede e custodiva tutto nel suo cuore (cfr Lc 2,19,51). Era quella inquieta, quella pronta a partire, che quando seppe che sua cugina aveva bisogno di lei non pensò ai propri progetti, ma si avviò «senza indugio» (Lc 1,39) verso la regione montuosa.

47. E quando c’è bisogno di proteggere il suo bambino, eccola andare con Giuseppe in un paese lontano (cfr Mt 2,13-14). Per questo rimase in mezzo ai discepoli riuniti in preghiera in attesa dello Spirito Santo (cfr At 1,14). Così, con la sua presenza, è nata una Chiesa giovane, con i suoi Apostoli in uscita per far nascere un mondo nuovo (cfr At 2,4-11).

48. Quella ragazza oggi è la Madre che veglia sui figli, su di noi suoi figli che camminiamo nella vita spesso stanchi, bisognosi, ma col desiderio che la luce della speranza non si spenga. Questo è ciò che vogliamo: che la luce della speranza non si spenga. La nostra Madre guarda questo popolo pellegrino, popolo di giovani che lei ama, che la cerca facendo silenzio nel proprio cuore nonostante che lungo il cammino ci sia tanto rumore, conversazioni e distrazioni. Ma davanti agli occhi della Madre c’è posto soltanto per il silenzio colmo di speranza. E così Maria illumina di nuovo la nostra giovinezza.

Giovani santi

49. Il cuore della Chiesa è pieno anche di giovani santi, che hanno dato la loro vita per Cristo, molti di loro fino al martirio. Sono stati preziosi riflessi di Cristo giovane che risplendono per stimolarci e farci uscire dalla sonnolenza. Il Sinodo ha sottolineato che «molti giovani santi hanno fatto risplendere i lineamenti dell’età giovanile in tutta la loro bellezza e sono stati nella loro epoca veri profeti di cambiamento; il loro esempio mostra di che cosa siano capaci i giovani quando si aprono all’incontro con Cristo».[20]

50. «Attraverso la santità dei giovani la Chiesa può rinnovare il suo ardore spirituale e il suo vigore apostolico. Il balsamo della santità generata dalla vita buona di tanti giovani può curare le ferite della Chiesa e del mondo, riportandoci a quella pienezza dell’amore a cui da sempre siamo stati chiamati: i giovani santi ci spingono a ritornare al nostro primo amore (cfr Ap 2,4)».[21] Ci sono santi che non hanno conosciuto la vita adulta e ci hanno lasciato la testimonianza di un altro modo di vivere la giovinezza. Ricordiamo almeno alcuni di loro, di diversi periodi storici, che hanno vissuto la santità ognuno a suo modo.

51. Nel III secolo, San Sebastiano era un giovane capitano della guardia pretoriana. Raccontano che parlava di Cristo dappertutto e cercava di convertire i suoi compagni, fino a quando gli ordinarono di rinunciare alla sua fede. Poiché non accettò, gli lanciarono addosso una pioggia di frecce, ma sopravvisse e continuò ad annunciare Cristo senza paura. Alla fine lo frustarono fino ad ucciderlo.

52. San Francesco d’Assisi, quando era molto giovane e pieno di sogni, sentì la chiamata di Gesù ad essere povero come Lui e a restaurare la Chiesa con la sua testimonianza. Rinunciò a tutto con gioia ed è il santo della fraternità universale, il fratello di tutti, che lodava il Signore per le sue creature. Morì nel 1226.

53. Santa Giovanna d’Arco nacque nel 1412. Era una giovane contadina che, nonostante la giovane età, combatté per difendere la Francia dagli invasori. Incompresa per il suo aspetto e per il suo modo di vivere la fede, morì sul rogo.

54. Il beato Andrew Phû Yên era un giovane vietnamita del XVII secolo. Era catechista e aiutava i missionari. Venne fatto prigioniero per la sua fede e, poiché non volle rinunciarvi, fu ucciso. Morì dicendo: “Gesù”.

55. Nello stesso secolo, Santa Kateri Tekakwitha, una giovane laica nativa del Nord America, fu perseguitata per la fede e nella sua fuga percorse a piedi più di trecento chilometri attraverso fitte foreste. Si consacrò a Dio e morì dicendo: “Gesù, ti amo!”.

56. San Domenico Savio offriva a Maria tutte le sue sofferenze. Quando San Giovanni Bosco gli insegnò che la santità comporta l’essere sempre gioiosi, aprì il suo cuore ad una gioia contagiosa. Cercava di stare vicino ai suoi compagni più emarginati e malati. Morì nel 1857 all’età di quattordici anni, dicendo: “Che meraviglia che sto vedendo!”.

57. Santa Teresa di Gesù Bambino nacque nel 1873. All’età di quindici anni, superando molte difficoltà, riuscì ad entrare in un convento carmelitano. Visse la piccola via della fiducia totale nell’amore del Signore proponendosi di alimentare con la sua preghiera il fuoco dell’amore che muove la Chiesa.

58. Il beato Ceferino Namuncurá era un giovane argentino, figlio di un importante capo delle popolazioni indigene. Divenne un seminarista salesiano, col forte desiderio di ritornare alla sua tribù per portare Gesù Cristo. Morì nel 1905.

59. Il beato Isidoro Bakanja era un laico del Congo che dava testimonianza della sua fede. Fu torturato a lungo per aver proposto il cristianesimo ad altri giovani. Morì perdonando il suo carnefice nel 1909.

60. Il beato Pier Giorgio Frassati, morto nel 1925, «era un giovane di una gioia trascinante, una gioia che superava anche tante difficoltà della sua vita».[22] Diceva di voler ripagare l’amore di Gesù che riceveva nella Comunione visitando e aiutando i poveri.

61. Il beato Marcel Callo era un giovane francese che morì nel 1945. In Austria venne imprigionato in un campo di concentramento dove confortava nella fede i suoi compagni di prigionia, in mezzo a duri lavori.

62. La giovane beata Chiara Badano, che morì nel 1990, «ha sperimentato come il dolore possa essere trasfigurato dall’amore […]. La chiave della sua pace e della sua gioia era la completa fiducia nel Signore e l’accettazione anche della malattia come misteriosa espressione della sua volontà per il bene suo e di tutti».[23]

63. Che costoro, insieme a tanti giovani che, spesso nel silenzio e nell’anonimato, hanno vissuto a fondo il Vangelo, intercedano per la Chiesa, perché sia piena di giovani gioiosi, coraggiosi e impegnati che donino al mondo nuove testimonianze di santità.

CAPITOLO TERZO

Voi siete l’adesso di Dio

64. Dopo aver preso visione della Parola di Dio, non possiamo limitarci a dire che i giovani sono il futuro del mondo: sono il presente, lo stanno arricchendo con il loro contributo. Un giovane non è più un bambino, si trova in un momento della vita in cui comincia ad assumersi diverse responsabilità, partecipando insieme agli adulti allo sviluppo della famiglia, della società, della Chiesa. Però i tempi cambiano, e ritorna la domanda: come sono i giovani oggi, cosa succede adesso ai giovani?

In positivo

65. Il Sinodo ha riconosciuto che i fedeli della Chiesa non sempre hanno l’atteggiamento di Gesù. Invece di disporci ad ascoltarli a fondo, «prevale talora la tendenza a fornire risposte preconfezionate e ricette pronte, senza lasciar emergere le domande giovanili nella loro novità e coglierne la provocazione».[24] D’altra parte, quando la Chiesa abbandona gli schemi rigidi e si apre ad un ascolto disponibile e attento dei giovani, questa empatia la arricchisce, perché «consente ai giovani di donare alla comunità il proprio apporto, aiutandola a cogliere sensibilità nuove e a porsi domande inedite».[25]

66. Oggi noi adulti corriamo il rischio di fare una lista di disastri, di difetti della gioventù del nostro tempo. Alcuni forse ci applaudiranno perché sembriamo esperti nell’individuare aspetti negativi e pericoli. Ma quale sarebbe il risultato di questo atteggiamento? Una distanza sempre maggiore, meno vicinanza, meno aiuto reciproco.

67. Lo sguardo attento di chi è stato chiamato ad essere padre, pastore e guida dei giovani consiste nell’individuare la piccola fiamma che continua ad ardere, la canna che sembra spezzarsi ma non si è ancora rotta (cfr Is 42,3). È la capacità di individuare percorsi dove altri vedono solo muri, è il saper riconoscere possibilità dove altri vedono solo pericoli. Così è lo sguardo di Dio Padre, capace di valorizzare e alimentare i germi di bene seminati nel cuore dei giovani. Il cuore di ogni giovane deve pertanto essere considerato “terra sacra”, portatore di semi di vita divina e davanti al quale dobbiamo “toglierci i sandali” per poterci avvicinare e approfondire il Mistero.

Molte gioventù

68. Potremmo cercare di descrivere le caratteristiche dei giovani di oggi, ma prima di tutto voglio raccogliere un’osservazione dei Padri sinodali: «La composizione stessa del Sinodo ha reso visibile la presenza e l’apporto delle diverse regioni del mondo, evidenziando la bellezza di essere Chiesa universale. Pur in un contesto di globalizzazione crescente, i Padri sinodali hanno chiesto di mettere in evidenza le molte differenze tra contesti e culture, anche all’interno di uno stesso Paese. Esiste una pluralità di mondi giovanili, tanto che in alcuni Paesi si tende a utilizzare il termine “gioventù” al plurale. Inoltre la fascia di età considerata dal presente Sinodo (16-29 anni) non rappresenta un insieme omogeneo, ma è composta di gruppi che vivono situazioni peculiari».[26]

69. Già dal punto di vista demografico, in alcuni Paesi ci sono molti giovani, mentre altri hanno un tasso di natalità molto basso. Tuttavia, «un’ulteriore differenza deriva dalla storia, che rende diversi i Paesi e i continenti di antica tradizione cristiana, la cui cultura è portatrice di una memoria da non disperdere, dai Paesi e continenti segnati invece da altre tradizioni religiose e in cui il cristianesimo è una presenza minoritaria e talvolta recente. In altri territori poi le comunità cristiane e i giovani che ne fanno parte sono oggetto di persecuzione».[27] Occorre inoltre distinguere quei giovani «che hanno accesso a una quantità crescente di opportunità offerte dalla globalizzazione, da quanti invece vivono ai margini della società o nel mondo rurale e patiscono gli effetti di forme di esclusione e scarto».[28]

70. Ci sono molte altre differenze che sarebbe complicato descrivere qui nei dettagli. Pertanto, non mi sembra opportuno soffermarmi ad offrire un’analisi esaustiva dei giovani nel mondo di oggi, di come vivono e di cosa stia succedendo loro. Tuttavia, poiché non posso evitare di osservare la realtà, segnalerò brevemente alcuni contributi che sono pervenuti prima del Sinodo e altri che ho potuto raccogliere durante il suo svolgimento.

Alcune cose che succedono ai giovani

71. La gioventù non è un oggetto che può essere analizzato in termini astratti. In realtà, “la gioventù” non esiste, esistono i giovani con le loro vite concrete. Nel mondo di oggi, pieno di progressi, tante di queste vite sono esposte alla sofferenza e alla manipolazione.

Giovani di un mondo in crisi

72. I Padri sinodali hanno evidenziato con dolore che «molti giovani vivono in contesti di guerra e subiscono la violenza in una innumerevole varietà di forme: rapimenti, estorsioni, criminalità organizzata, tratta di esseri umani, schiavitù e sfruttamento sessuale, stupri di guerra, ecc. Altri giovani, a causa della loro fede, faticano a trovare un posto nelle loro società e subiscono vari tipi di persecuzioni, fino alla morte. Numerosi sono i giovani che, per costrizione o mancanza di alternative, vivono perpetrando crimini e violenze: bambini soldato, bande armate e criminali, traffico di droga, terrorismo, ecc. Questa violenza spezza molte giovani vite. Abusi e dipendenze, così come violenza e devianza sono tra le ragioni che portano i giovani in carcere, con una particolare incidenza in alcuni gruppi etnici e sociali».[29]

73. Molti giovani sono ideologizzati, strumentalizzati e usati come carne da macello o come forza d’urto per distruggere, intimidire o ridicolizzare altri. E la cosa peggiore è che molti si trasformano in soggetti individualisti, nemici e diffidenti verso tutti, e diventano così facile preda di proposte disumanizzanti e dei piani distruttivi elaborati da gruppi politici o poteri economici.

74. Ancora «più numerosi nel mondo sono i giovani che patiscono forme di emarginazione ed esclusione sociale, per ragioni religiose, etniche o economiche. Ricordiamo la difficile situazione di adolescenti e giovani che restano incinte e la piaga dell’aborto, così come la diffusione dell’HIV, le diverse forme di dipendenza (droghe, azzardo, pornografia, ecc.) e la situazione dei bambini e ragazzi di strada, che mancano di casa, famiglia e risorse economiche».[30]E quando poi si tratta di donne, queste situazioni di emarginazione diventano doppiamente dolorose e difficili.

75. Non possiamo essere una Chiesa che non piange di fronte a questi drammi dei suoi figli giovani. Non dobbiamo mai farci l’abitudine, perché chi non sa piangere non è madre. Noi vogliamo piangere perché anche la società sia più madre, perché invece di uccidere impari a partorire, perché sia promessa di vita. Piangiamo quando ricordiamo quei giovani che sono morti a causa della miseria e della violenza e chiediamo alla società di imparare ad essere una madre solidale. Quel dolore non se ne va, ci accompagna ad ogni passo, perché la realtà non può essere nascosta. La cosa peggiore che possiamo fare è applicare la ricetta dello spirito mondano che consiste nell’anestetizzare i giovani con altre notizie, con altre distrazioni, con banalità.

76. Forse «quelli che facciamo una vita più o meno senza necessità non sappiamo piangere. Certe realtà della vita si vedono soltanto con gli occhi puliti dalle lacrime. Invito ciascuno di voi a domandarsi: io ho imparato a piangere? Quando vedo un bambino affamato, un bambino drogato per la strada, un bambino senza casa, un bambino abbandonato, un bambino abusato, un bambino usato come schiavo per la società? O il mio è il pianto capriccioso di chi piange perché vorrebbe avere qualcosa di più?».[31]Cerca di imparare a piangere per i giovani che stanno peggio di te. La misericordia e la compassione si esprimono anche piangendo. Se non ti viene, chiedi al Signore di concederti di versare lacrime per la sofferenza degli altri. Quando saprai piangere, soltanto allora sarai capace di fare qualcosa per gli altri con il cuore.

77. A volte il dolore di alcuni giovani è lacerante; è un dolore che non si può esprimere a parole; è un dolore che ci colpisce come uno schiaffo. Questi giovani possono solo dire a Dio che soffrono molto, che è troppo difficile per loro andare avanti, che non credono più in nessuno. In questo grido straziante, però, si fanno presenti le parole di Gesù: «Beati gli afflitti, perché saranno consolati» (Mt 5,4). Ci sono giovani che sono riusciti ad aprirsi un sentiero nella vita perché li ha raggiunti questa promessa divina. Possa sempre esserci una comunità cristiana vicino a un giovane che soffre, per far risuonare quelle parole con gesti, abbracci e aiuti concreti!

78. È vero che i potenti forniscono alcuni aiuti, ma spesso ad un costo elevato. In molti Paesi poveri, l’aiuto economico di alcuni Paesi più ricchi o di alcuni organismi internazionali è solitamente vincolato all’accettazione di proposte occidentali in materia di sessualità, matrimonio, vita o giustizia sociale. Questa colonizzazione ideologica danneggia in modo particolare i giovani. Nello stesso tempo, vediamo come una certa pubblicità insegna alle persone ad essere sempre insoddisfatte e contribuisce alla cultura dello scarto, in cui i giovani stessi finiscono per diventare un materiale “usa e getta”.

79. La cultura di oggi presenta un modello di persona strettamente associato all’immagine del giovane. Si sente bello chi appare giovane, chi effettua trattamenti per far scomparire le tracce del tempo. I corpi giovani sono utilizzati costantemente nella pubblicità, per vendere. Il modello di bellezza è un modello giovanile, ma stiamo attenti, perché questo non è un elogio rivolto ai giovani. Significa soltanto che gli adulti vogliono rubare la gioventù per sé stessi, non che rispettino, amino i giovani e se ne prendano cura.

80. Alcuni giovani «sentono le tradizioni familiari come opprimenti e ne fuggono sotto la spinta di una cultura globalizzata che a volte li lascia senza punti di riferimento. In altre parti del mondo invece tra giovani e adulti non vi è un vero e proprio conflitto generazionale, ma una reciproca estraneità. Talora gli adulti non cercano o non riescono a trasmettere i valori fondanti dell’esistenza oppure assumono stili giovanilistici, rovesciando il rapporto tra le generazioni. In questo modo la relazione tra giovani e adulti rischia di rimanere sul piano affettivo, senza toccare la dimensione educativa e culturale».[32] Come fa male questo ai giovani, benché alcuni non se ne rendano conto! I giovani stessi ci hanno fatto notare che questo ostacola enormemente la trasmissione della fede «in quei Paesi in cui non vi è libertà di espressione, dove ai giovani […] non è permesso partecipare alla vita della Chiesa».[33]

Desideri, ferite e ricerche

81. I giovani riconoscono che il corpo e la sessualità sono essenziali per la loro vita e per la crescita della loro identità. Tuttavia, in un mondo che enfatizza esclusivamente la sessualità, è difficile mantenere una buona relazione col proprio corpo e vivere serenamente le relazioni affettive. Per questa e per altre ragioni, la morale sessuale è spesso «causa di incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa, in quanto è percepita come uno spazio di giudizio e di condanna». Nello stesso tempo, i giovani esprimono «un esplicito desiderio di confronto sulle questioni relative alla differenza tra identità maschile e femminile, alla reciprocità tra uomini e donne, all’omosessualità».[34]

82. Nel nostro tempo, «gli sviluppi della scienza e delle tecnologie biomediche incidono fortemente sulla percezione del corpo, inducendo l’idea che sia modificabile senza limite. La capacità di intervenire sul DNA, la possibilità di inserire elementi artificiali nell’organismo (cyborg) e lo sviluppo delle neuroscienze costituiscono una grande risorsa, ma sollevano allo stesso tempo interrogativi antropologici ed etici».[35] Possono farci dimenticare che la vita è un dono, che siamo esseri creati e limitati, che possiamo facilmente essere strumentalizzati da chi detiene il potere tecnologico.[36] «Inoltre in alcuni contesti giovanili si diffonde il fascino per comportamenti a rischio come strumento per esplorare se stessi, ricercare emozioni forti e ottenere riconoscimento. […] Tali fenomeni, a cui le nuove generazioni sono esposte, costituiscono un ostacolo per una serena maturazione».[37]

83. Nei giovani troviamo anche, impressi nell’anima, i colpi ricevuti, i fallimenti, i ricordi tristi. Molte volte «sono le ferite delle sconfitte della propria storia, dei desideri frustrati, delle discriminazioni e ingiustizie subite, del non essersi sentiti amati o riconosciuti». «Ci sono poi le ferite morali, il peso dei propri errori, i sensi di colpa per aver sbagliato».[38]Gesù si fa presente in queste croci dei giovani, per offrire loro la sua amicizia, il suo sollievo, la sua compagnia risanatrice, e la Chiesa vuole essere il suo strumento in questo percorso verso la guarigione interiore e la pace del cuore.

84. In alcuni giovani riconosciamo un desiderio di Dio, anche se non con tutti i contorni del Dio rivelato. In altri possiamo intravedere un sogno di fraternità, che non è poco. In molti ci può essere un reale desiderio di sviluppare le capacità di cui sono dotati per offrire qualcosa al mondo. In alcuni vediamo una particolare sensibilità artistica, o una ricerca di armonia con la natura. In altri ci può essere forse un grande bisogno di comunicazione. In molti di loro troveremo un profondo desiderio di una vita diversa. Sono autentici punti di partenza, energie interiori che attendono con apertura una parola di stimolo, di luce e di incoraggiamento.

85. Il Sinodo ha trattato in modo particolare tre temi di grande importanza, e su questi voglio accoglierne le conclusioni testualmente, anche se ci richiederanno ancora di proseguire con ulteriori analisi e di sviluppare una capacità di risposta più adeguata ed efficace.

L’ambiente digitale

86. «L’ambiente digitale caratterizza il mondo contemporaneo. Larghe fasce dell’umanità vi sono immerse in maniera ordinaria e continua. Non si tratta più soltanto di “usare” strumenti di comunicazione, ma di vivere in una cultura ampiamente digitalizzata che ha impatti profondissimi sulla nozione di tempo e di spazio, sulla percezione di sé, degli altri e del mondo, sul modo di comunicare, di apprendere, di informarsi, di entrare in relazione con gli altri. Un approccio alla realtà che tende a privilegiare l’immagine rispetto all’ascolto e alla lettura influenza il modo di imparare e lo sviluppo del senso critico».[39]

87. Internet e le reti sociali hanno creato un nuovo modo di comunicare e stabilire legami, e «sono una piazza in cui i giovani trascorrono molto tempo e si incontrano facilmente, anche se non tutti vi hanno ugualmente accesso, in particolare in alcune regioni del mondo. Essi costituiscono comunque una straordinaria opportunità di dialogo, incontro e scambio tra le persone, oltre che di accesso all’informazione e alla conoscenza. Inoltre, quello digitale è un contesto di partecipazione sociopolitica e di cittadinanza attiva, e può facilitare la circolazione di informazione indipendente capace di tutelare efficacemente le persone più vulnerabili palesando le violazioni dei loro diritti. In molti Paesi web e social network rappresentano ormai un luogo irrinunciabile per raggiungere e coinvolgere i giovani, anche in iniziative e attività pastorali».[40]

88. Tuttavia, per comprendere questo fenomeno nella sua totalità, occorre riconoscere che, come ogni realtà umana, esso è attraversato da limiti e carenze. Non è sano confondere la comunicazione con il semplice contatto virtuale. Infatti, «l’ambiente digitale è anche un territorio di solitudine, manipolazione, sfruttamento e violenza, fino al caso estremo del dark web. I media digitali possono esporre al rischio di dipendenza, di isolamento e di progressiva perdita di contatto con la realtà concreta, ostacolando lo sviluppo di relazioni interpersonali autentiche. Nuove forme di violenza si diffondono attraverso i social media, ad esempio il cyberbullismo; il web è anche un canale di diffusione della pornografia e di sfruttamento delle persone a scopo sessuale o tramite il gioco d’azzardo».[41]

89. Non andrebbe dimenticato che «operano nel mondo digitale giganteschi interessi economici, capaci di realizzare forme di controllo tanto sottili quanto invasive, creando meccanismi di manipolazione delle coscienze e del processo democratico. Il funzionamento di molte piattaforme finisce spesso per favorire l’incontro tra persone che la pensano allo stesso modo, ostacolando il confronto tra le differenze. Questi circuiti chiusi facilitano la diffusione di informazioni e notizie false, fomentando pregiudizi e odio. La proliferazione delle fake news è espressione di una cultura che ha smarrito il senso della verità e piega i fatti a interessi particolari. La reputazione delle persone è messa a repentaglio tramite processi sommari on line. Il fenomeno riguarda anche la Chiesa e i suoi pastori».[42]

90. In un documento preparato da 300 giovani di tutto il mondo prima del Sinodo, essi hanno segnalato che «le relazioni on line possono diventare disumane. Gli spazi digitali ci rendono ciechi alla fragilità dell’altro e ci impediscono l’introspezione. Problemi come la pornografia distorcono la percezione della sessualità umana da parte dei giovani. La tecnologia usata in questo modo crea una ingannevole realtà parallela che ignora la dignità umana».[43]L’immersione nel mondo virtuale ha favorito una sorta di “migrazione digitale”, vale a dire un distanziamento dalla famiglia, dai valori culturali e religiosi, che conduce molte persone verso un mondo di solitudine e di auto-invenzione, fino a sperimentare una mancanza di radici, benché rimangano fisicamente nello stesso luogo. La vita nuova e traboccante dei giovani, che preme e cerca di affermare la propria personalità, affronta oggi una nuova sfida: interagire con un mondo reale e virtuale in cui si addentrano da soli come in un continente sconosciuto. I giovani di oggi sono i primi a operare questa sintesi tra ciò che è personale, ciò che è specifico di una cultura e ciò che è globale. Questo però richiede che riescano a passare dal contatto virtuale a una comunicazione buona e sana.

I migranti come paradigma del nostro tempo

91. Come non ricordare i tanti giovani direttamente coinvolti nelle migrazioni? Queste «rappresentano a livello mondiale un fenomeno strutturale e non un’emergenza transitoria. Le migrazioni possono avvenire all’interno dello stesso Paese oppure tra Paesi diversi. La preoccupazione della Chiesa riguarda in particolare coloro che fuggono dalla guerra, dalla violenza, dalla persecuzione politica o religiosa, dai disastri naturali dovuti anche ai cambiamenti climatici e dalla povertà estrema: molti di loro sono giovani. In genere sono alla ricerca di opportunità per sé e per la propria famiglia. Sognano un futuro migliore e desiderano creare le condizioni perché si realizzi».[44]I migranti «ci ricordano la condizione originaria della fede, ovvero quella di essere “stranieri e pellegrini sulla terra” (Eb 11,13)».[45]

92. Altri migranti sono «attirati dalla cultura occidentale, nutrendo talvolta aspettative irrealistiche che li espongono a pesanti delusioni. Trafficanti senza scrupolo, spesso legati ai cartelli della droga e delle armi, sfruttano la debolezza dei migranti, che lungo il loro percorso troppo spesso incontrano la violenza, la tratta, l’abuso psicologico e anche fisico, e sofferenze indicibili. Va segnalata la particolare vulnerabilità dei migranti minori non accompagnati, e la situazione di coloro che sono costretti a passare molti anni nei campi profughi o che rimangono bloccati a lungo nei Paesi di transito, senza poter proseguire il corso di studi né esprimere i propri talenti. In alcuni Paesi di arrivo, i fenomeni migratori suscitano allarme e paure, spesso fomentate e sfruttate a fini politici. Si diffonde così una mentalità xenofoba, di chiusura e di ripiegamento su se stessi, a cui occorre reagire con decisione».[46]

93. «I giovani che migrano sperimentano la separazione dal proprio contesto di origine e spesso anche uno sradicamento culturale e religioso. La frattura riguarda anche le comunità di origine, che perdono gli elementi più vigorosi e intraprendenti, e le famiglie, in particolare quando migra uno o entrambi i genitori, lasciando i figli nel Paese di origine. La Chiesa ha un ruolo importante come riferimento per i giovani di queste famiglie spezzate. Ma quelle dei migranti sono anche storie di incontro tra persone e tra culture: per le comunità e le società in cui arrivano sono una opportunità di arricchimento e di sviluppo umano integrale di tutti. Le iniziative di accoglienza che fanno riferimento alla Chiesa hanno un ruolo importante da questo punto di vista, e possono rivitalizzare le comunità capaci di realizzarle».[47]

94. «Grazie alla diversa provenienza dei Padri, rispetto al tema dei migranti il Sinodo ha visto l’incontro di molte prospettive, in particolare tra Paesi di partenza e Paesi di arrivo. Inoltre è risuonato il grido di allarme di quelle Chiese i cui membri sono costretti a scappare dalla guerra e dalla persecuzione e che vedono in queste migrazioni forzate una minaccia per la loro stessa esistenza. Proprio il fatto di includere al suo interno tutte queste diverse prospettive mette la Chiesa in condizione di esercitare un ruolo profetico nei confronti della società sul tema delle migrazioni»[48]. Chiedo in particolare ai giovani di non cadere nelle reti di coloro che vogliono metterli contro altri giovani che arrivano nei loro Paesi, descrivendoli come soggetti pericolosi e come se non avessero la stessa inalienabile dignità di ogni essere umano.

Porre fine a ogni forma di abuso

95. Negli ultimi tempi ci è stato chiesto con forza di ascoltare il grido delle vittime dei vari tipi di abusi commessi da alcuni vescovi, sacerdoti, religiosi e laici. Questi peccati provocano nelle vittime «sofferenze che possono durare tutta la vita e a cui nessun pentimento può porre rimedio. Tale fenomeno è diffuso nella società, tocca anche la Chiesa e rappresenta un serio ostacolo alla sua missione».[49]

96. È vero che «la piaga degli abusi sessuali su minori è un fenomeno storicamente diffuso purtroppo in tutte le culture e le società», soprattutto all’interno delle famiglie stesse e in diverse istituzioni, la cui estensione è venuta in evidenza in particolare «grazie al cambiamento della sensibilità dell’opinione pubblica». Tuttavia, «l’universalità di tale piaga, mentre conferma la sua gravità nelle nostre società, non diminuisce la sua mostruosità all’interno della Chiesa» e «nella rabbia, giustificata, della gente, la Chiesa vede il riflesso dell’ira di Dio, tradito e schiaffeggiato».[50]

97. «Il Sinodo ribadisce il fermo impegno per l’adozione di rigorose misure di prevenzione che ne impediscano il ripetersi, a partire dalla selezione e dalla formazione di coloro a cui saranno affidati compiti di responsabilità ed educativi».[51]Allo stesso tempo, non deve più essere abbandonata la decisione di applicare «azioni e sanzioni così necessarie».[52] E tutto questo con la grazia di Cristo. Non si può più tornare indietro.

98. «Esistono diversi tipi di abuso: di potere, economici, di coscienza, sessuali. Si rende evidente il compito di sradicare le forme di esercizio dell’autorità su cui essi si innestano e di contrastare la mancanza di responsabilità e trasparenza con cui molti casi sono stati gestiti. Il desiderio di dominio, la mancanza di dialogo e di trasparenza, le forme di doppia vita, il vuoto spirituale, nonché le fragilità psicologiche sono il terreno su cui prospera la corruzione».[53] Il clericalismo è una tentazione permanente dei sacerdoti, che interpretano «il ministero ricevuto come un potere da esercitare piuttosto che come un servizio gratuito e generoso da offrire; e ciò conduce a ritenere di appartenere a un gruppo che possiede tutte le risposte e non ha più bisogno di ascoltare e di imparare nulla».[54]Indubbiamente, il clericalismo espone le persone consacrate al rischio di perdere il rispetto per il valore sacro e inalienabile di ogni persona e della sua libertà.

99. Insieme ai Padri sinodali, voglio esprimere con affetto e riconoscenza la mia «gratitudine verso coloro che hanno il coraggio di denunciare il male subìto: aiutano la Chiesa a prendere coscienza di quanto avvenuto e della necessità di reagire con decisione».[55] Tuttavia, merita una riconoscenza speciale anche «l’impegno sincero di innumerevoli laiche e laici, sacerdoti, consacrati, consacrate e vescovi che ogni giorno si spendono con onestà e dedizione al servizio dei giovani. La loro opera è una foresta che cresce senza fare rumore. Anche molti tra i giovani presenti al Sinodo hanno manifestato gratitudine per coloro da cui sono stati accompagnati e ribadito il grande bisogno di figure di riferimento».[56]

100. Grazie a Dio, i sacerdoti che si sono macchiati di questi orribili crimini non sono la maggioranza, che invece è costituita da chi porta avanti un ministero fedele e generoso. Ai giovani chiedo di lasciarsi stimolare da questa maggioranza. In ogni caso, se vedete un sacerdote a rischio, perché ha perso la gioia del suo ministero, perché cerca compensazioni affettive o ha imboccato la strada sbagliata, abbiate il coraggio di ricordargli il suo impegno verso Dio e verso il suo popolo, annunciategli voi stessi il Vangelo e incoraggiatelo a rimanere sulla strada giusta. Così facendo, offrirete un aiuto inestimabile su un aspetto fondamentale: la prevenzione che permette di evitare il ripetersi di queste atrocità. Questa nuvola nera diventa anche una sfida per i giovani che amano Gesù Cristo e la sua Chiesa, perché possono contribuire molto a guarire questa ferita se mettono in gioco la loro capacità di rinnovare, rivendicare, esigere coerenza e testimonianza, di tornare a sognare e a reinventare.

101. Questo non è l’unico peccato dei membri della Chiesa, la cui storia presenta molte ombre. I nostri peccati sono davanti agli occhi di tutti; si riflettono senza pietà nelle rughe del volto millenario della nostra Madre e Maestra. Perché essa cammina da duemila anni, condividendo «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini».[57]E cammina così com’è, senza ricorrere ad alcuna chirurgia estetica. Non ha paura di mostrare i peccati dei suoi membri, che talvolta alcuni di loro cercano di nascondere, davanti alla luce ardente della Parola del Vangelo che pulisce e purifica. E non cessa di ripetere ogni giorno, con vergogna: «Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; […] il mio peccato mi sta sempre dinanzi» (Sal 51,3.5). Ricordiamoci però che non si abbandona la Madre quando è ferita, al contrario, la si accompagna affinché tragga da sé tutta la sua forza e la sua capacità di cominciare sempre di nuovo.

102. Nel pieno di questa tragedia che, giustamente, ci ferisce l’anima, «il Signore Gesù, che mai abbandona la sua Chiesa, le offre la forza e gli strumenti per un nuovo cammino».[58] Così, questo momento oscuro, «con il prezioso aiuto dei giovani, può essere davvero un’opportunità per una riforma di portata epocale»,[59] per aprirsi a una nuova Pentecoste e iniziare una fase di purificazione e di cambiamento che conferisca alla Chiesa una rinnovata giovinezza. Ma i giovani potranno aiutare molto di più se di cuore si sentono parte del «santo e paziente Popolo fedele di Dio, sostenuto e vivificato dallo Spirito Santo», perché «sarà proprio questo santo Popolo di Dio a liberarci dalla piaga del clericalismo, che è il terreno fertile per tutti questi abomini».[60]

C’è una via d’uscita

103. In questo capitolo mi sono soffermato a guardare la realtà dei giovani nel mondo di oggi. Alcuni altri aspetti compariranno nei capitoli successivi. Come ho già detto, non pretendo di essere esaustivo con questa analisi. Esorto le comunità a realizzare con rispetto e serietà un esame della propria realtà giovanile più vicina, per poter discernere i percorsi pastorali più adeguati. Non voglio però concludere questo capitolo senza rivolgere alcune parole ad ognuno di voi.

104. Ti ricordo la buona notizia che ci è stata donata il mattino della Risurrezione: che in tutte le situazioni buie e dolorose di cui parliamo c’è una via d’uscita. Ad esempio, è vero che il mondo digitale può esporti al rischio di chiuderti in te stesso, dell’isolamento o del piacere vuoto. Ma non dimenticare che ci sono giovani che anche in questi ambiti sono creativi e a volte geniali. È il caso del giovane Venerabile Carlo Acutis.

105. Egli sapeva molto bene che questi meccanismi della comunicazione, della pubblicità e delle reti sociali possono essere utilizzati per farci diventare soggetti addormentati, dipendenti dal consumo e dalle novità che possiamo comprare, ossessionati dal tempo libero, chiusi nella negatività. Lui però ha saputo usare le nuove tecniche di comunicazione per trasmettere il Vangelo, per comunicare valori e bellezza.

106. Non è caduto nella trappola. Vedeva che molti giovani, pur sembrando diversi, in realtà finiscono per essere uguali agli altri, correndo dietro a ciò che i potenti impongono loro attraverso i meccanismi del consumo e dello stordimento. In tal modo, non lasciano sbocciare i doni che il Signore ha dato loro, non offrono a questo mondo quelle capacità così personali e uniche che Dio ha seminato in ognuno. Così, diceva Carlo, succede che “tutti nascono come originali, ma molti muoiono come fotocopie”. Non lasciare che ti succeda questo.

107. Non lasciare che ti rubino la speranza e la gioia, che ti narcotizzino per usarti come schiavo dei loro interessi. Osa essere di più, perché il tuo essere è più importante di ogni altra cosa. Non hai bisogno di possedere o di apparire. Puoi arrivare ad essere ciò che Dio, il tuo Creatore, sa che tu sei, se riconosci che sei chiamato a molto. Invoca lo Spirito Santo e cammina con fiducia verso la grande meta: la santità. In questo modo non sarai una fotocopia, sarai pienamente te stesso.

108. Per questo hai bisogno di riconoscere una cosa fondamentale: essere giovani non significa solo cercare piaceri passeggeri e successi superficiali. Affinché la giovinezza realizzi la sua finalità nel percorso della tua vita, dev’essere un tempo di donazione generosa, di offerta sincera, di sacrifici che costano ma ci rendono fecondi. È come diceva un grande poeta:

«Se per recuperare ciò che ho recuperato
ho dovuto perdere prima ciò che ho perso,
se per ottenere ciò che ho ottenuto
ho dovuto sopportare ciò che ho sopportato,

se per essere adesso innamorato
ho dovuto essere ferito,
ritengo giusto aver sofferto ciò che ho sofferto,
ritengo giusto aver pianto ciò che ho pianto.

Perché dopotutto ho constatato
che non si gode bene del goduto
se non dopo averlo patito.

Perché dopotutto ho capito
che ciò che l’albero ha di fiorito
vive di ciò che ha di sotterrato».[61]

109. Se sei giovane di età, ma ti senti debole, stanco o deluso, chiedi a Gesù di rinnovarti. Con Lui non viene meno la speranza. Lo stesso puoi fare se ti senti immerso nei vizi, nelle cattive abitudini, nell’egoismo o nella comodità morbosa. Gesù, pieno di vita, vuole aiutarti perché valga la pena essere giovane. Così non priverai il mondo di quel contributo che solo tu puoi dare, essendo unico e irripetibile come sei.

110. Voglio anche ricordarti, però, che «è molto difficile lottare contro la propria concupiscenza e contro le insidie e tentazioni del demonio e del mondo egoista se siamo isolati. È tale il bombardamento che ci seduce che, se siamo troppo soli, facilmente perdiamo il senso della realtà, la chiarezza interiore, e soccombiamo».[62]Questo vale soprattutto per i giovani, perché insieme voi avete una forza ammirevole. Quando vi entusiasmate per una vita comunitaria, siete capaci di grandi sacrifici per gli altri e per la comunità. L’isolamento, al contrario, vi indebolisce e vi espone ai peggiori mali del nostro tempo.

CAPITOLO QUARTO

Il grande annuncio per tutti i giovani

111. Al di là di ogni circostanza, a tutti i giovani voglio annunciare ora la cosa più importante, la prima cosa, quella che non dovrebbe mai essere taciuta. Si tratta di un annuncio che include tre grandi verità che tutti abbiamo bisogno di ascoltare sempre, più volte.

Un Dio che è amore

112. Anzitutto voglio dire ad ognuno la prima verità: “Dio ti ama”. Se l’hai già sentito, non importa, voglio ricordartelo: Dio ti ama. Non dubitarne mai, qualunque cosa ti accada nella vita. In qualunque circostanza, sei infinitamente amato.

113. Forse l’esperienza di paternità che hai vissuto non è stata la migliore, il tuo padre terreno forse è stato lontano e assente o, al contrario, dominante e possessivo; o semplicemente non è stato il padre di cui avevi bisogno. Non lo so. Però quello che posso dirti con certezza è che puoi gettarti in tutta sicurezza nelle braccia del tuo Padre divino, di quel Dio che ti ha dato la vita e che te la dà in ogni momento. Egli ti sosterrà saldamente e, nello stesso tempo, sentirai che rispetta fino in fondo la tua libertà.

114. Nella sua Parola troviamo molte espressioni del suo amore. È come se stesse cercando diversi modi di manifestarlo per vedere se qualcuna di quelle parole può arrivare al tuo cuore.

Per esempio, a volte si presenta come quei genitori affettuosi che giocano con i loro figli: «Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia» (Os 11,4).

A volte appare colmo dell’amore di quelle madri che amano sinceramente i loro figli, con un amore viscerale che è incapace di dimenticare e di abbandonare: «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,15).

Si mostra persino come un innamorato che arriva al punto di tatuarsi la persona amata sul palmo della mano per poter avere il suo viso sempre vicino: «Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato» (Is 49,16).

Altre volte sottolinea la forza e la fermezza del suo amore, che non si lascia vincere: «Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace» (Is 54,10).

Oppure ci dice che siamo stati attesi da sempre, perché non siamo apparsi in questo mondo per caso. Prima ancora di esistere, eravamo un progetto del suo amore: «Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo a esserti fedele» (Ger 31,3).

Oppure ci fa notare che Egli sa vedere la nostra bellezza, quella che nessun altro può riconoscere: «Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo» (Is 43,4).

O ci porta a scoprire che il suo amore non è triste, ma pura gioia che si rinnova quando ci lasciamo amare da Lui: «Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (Sof 3,17).

115. Per Lui tu sei realmente prezioso, non sei insignificante, sei importante per Lui, perché sei opera delle sue mani. Per questo ti dedica attenzione e ti ricorda con affetto. Devi avere fiducia nel «ricordo di Dio: la sua memoria non è un “disco rigido” che registra e archivia tutti i nostri dati, la sua memoria è un cuore tenero di compassione, che gioisce nel cancellare definitivamente ogni nostra traccia di male».[63]Non vuole tenere il conto dei tuoi errori e, in ogni caso, ti aiuterà ad imparare qualcosa anche dalle tue cadute. Perché ti ama. Cerca di rimanere un momento in silenzio lasciandoti amare da Lui. Cerca di mettere a tacere tutte le voci e le grida interiori e rimani un momento nel suo abbraccio d’amore.

116. È un amore «che non si impone e non schiaccia, un amore che non emargina e non mette a tacere e non tace, un amore che non umilia e non soggioga. È l’amore del Signore, amore quotidiano, discreto e rispettoso, amore di libertà e per la libertà, amore che guarisce ed eleva. È l’amore del Signore, che sa più di risalite che di cadute, di riconciliazione che di proibizione, di dare nuova opportunità che di condannare, di futuro che di passato».[64]

117. Quando ti chiede qualcosa o quando semplicemente permette quelle sfide che la vita ti presenta, si aspetta che tu gli faccia spazio per spingerti ad andare avanti, per spronarti, per farti maturare. Non gli dà fastidio che tu gli esprima i tuoi dubbi, quello che lo preoccupa è che non gli parli, che tu non ti apra con sincerità al dialogo con Lui. Racconta la Bibbia che Giacobbe lottò con Dio (cfr Gen 32,25-31), ma questo non lo allontanò dalla via del Signore. In realtà è Lui stesso che ci esorta: «Su, venite e discutiamo» (Is 1,18). Il suo amore è così reale, così vero, così concreto, che ci offre una relazione piena di dialogo sincero e fecondo. Infine, cerca l’abbraccio del tuo Padre celeste nel volto amorevole dei suoi coraggiosi testimoni sulla terra!

Cristo ti salva

118. La seconda verità è che Cristo, per amore, ha dato sé stesso fino alla fine per salvarti. Le sue braccia aperte sulla croce sono il segno più prezioso di un amico capace di arrivare fino all’estremo: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1).

San Paolo affermava di vivere affidato a quell’amore che ha dato tutto: «Questa vita, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me» (Gal 2,20).

119. Quel Cristo che ci ha salvato sulla croce dai nostri peccati, con lo stesso potere del suo totale dono di sé continua a salvarci e redimerci oggi. Guarda la sua Croce, aggrappati a Lui, lasciati salvare, perché «coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento».[65] E se pecchi e ti allontani, Egli di nuovo ti rialza con il potere della sua Croce. Non dimenticare mai che «Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia».[66]

120. Noi «siamo salvati da Gesù: perché ci ama e non può farne a meno. Possiamo fargli qualunque cosa, ma Lui ci ama, e ci salva. Perché solo quello che si ama può essere salvato. Solo quello che si abbraccia può essere trasformato. L’amore del Signore è più grande di tutte le nostre contraddizioni, di tutte le nostre fragilità e di tutte le nostre meschinità. Ma è precisamente attraverso le nostre contraddizioni, fragilità e meschinità che Lui vuole scrivere questa storia d’amore. Ha abbracciato il figlio prodigo, ha abbracciato Pietro dopo i suoi rinnegamenti e ci abbraccia sempre, sempre, sempre dopo le nostre cadute aiutandoci ad alzarci e a rimetterci in piedi. Perché la vera caduta – attenzione a questo – la vera caduta, quella che può rovinarci la vita, è rimanere a terra e non lasciarsi aiutare».[67]

121. Il suo perdono e la sua salvezza non sono qualcosa che abbiamo comprato o che dovremmo acquisire con le nostre opere o i nostri sforzi. Egli ci perdona e ci libera gratuitamente. Il suo donarsi sulla croce è qualcosa di così grande che noi non possiamo né dobbiamo pagarlo, dobbiamo soltanto accoglierlo con immensa gratitudine e con la gioia di essere amati così tanto prima di poterlo immaginare: «egli ci ha amati per primo» (1 Gv 4,19).

122. Giovani amati dal Signore, quanto valete voi se siete stati redenti dal sangue prezioso di Cristo! Cari giovani, voi «non avete prezzo! Non siete pezzi da vendere all’asta! Per favore, non lasciatevi comprare, non lasciatevi sedurre, non lasciatevi schiavizzare dalle colonizzazioni ideologiche che ci mettono strane idee in testa e alla fine diventiamo schiavi, dipendenti, falliti nella vita. Voi non avete prezzo: dovete sempre ripetervelo: non sono all’asta, non ho prezzo. Sono libero, sono libero! Innamoratevi di questa libertà, che è quella che offre Gesù».[68]

123. Guarda le braccia aperte di Cristo crocifisso, lasciati salvare sempre nuovamente. E quando ti avvicini per confessare i tuoi peccati, credi fermamente nella sua misericordia che ti libera dalla colpa. Contempla il suo sangue versato con tanto affetto e lasciati purificare da esso. Così potrai rinascere sempre di nuovo.

Egli vive!

124. C’è però una terza verità, che è inseparabile dalla precedente: Egli vive! Occorre ricordarlo spesso, perché corriamo il rischio di prendere Gesù Cristo solo come un buon esempio del passato, come un ricordo, come qualcuno che ci ha salvato duemila anni fa. Questo non ci servirebbe a nulla, ci lascerebbe uguali a prima, non ci libererebbe. Colui che ci colma della sua grazia, Colui che ci libera, Colui che ci trasforma, Colui che ci guarisce e ci conforta è qualcuno che vive. È Cristo risorto, pieno di vitalità soprannaturale, rivestito di luce infinita. Per questo San Paolo affermava: «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede» (1 Cor 15,17).

125. Se Egli vive, allora davvero potrà essere presente nella tua vita, in ogni momento, per riempirlo di luce. Così non ci saranno mai più solitudine e abbandono. Anche se tutti se ne andassero, Egli sarà lì, come ha promesso: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Egli riempie tutto con la sua presenza invisibile, e dovunque tu vada ti starà aspettando. Perché non solo è venuto, ma viene e continuerà a venire ogni giorno per invitarti a camminare verso un orizzonte sempre nuovo.

126. Contempla Gesù felice, traboccante di gioia. Gioisci con il tuo Amico che ha trionfato. Hanno ucciso il santo, il giusto, l’innocente, ma Egli ha vinto. Il male non ha l’ultima parola. Nemmeno nella tua vita il male avrà l’ultima parola, perché il tuo Amico che ti ama vuole trionfare in te. Il tuo Salvatore vive.

127. Se Egli vive, questo è una garanzia che il bene può farsi strada nella nostra vita, e che le nostre fatiche serviranno a qualcosa. Allora possiamo smettere di lamentarci e guardare avanti, perché con Lui si può sempre guardare avanti. Questa è la sicurezza che abbiamo. Gesù è l’eterno vivente. Aggrappati a Lui, vivremo e attraverseremo indenni tutte le forme di morte e di violenza che si nascondono lungo il cammino.

128. Qualsiasi altra soluzione risulterà debole e temporanea. Forse risulterà utile per un po’ di tempo, poi ci troveremo di nuovo indifesi, abbandonati, esposti alle intemperie. Con Lui, invece, il cuore è radicato in una sicurezza di fondo, che permane al di là di tutto. San Paolo dice di voler essere unito a Cristo per «conoscere lui, la potenza della sua risurrezione» (Fil 3,10). È il potere che si manifesterà molte volte anche nella tua esistenza, perché Egli è venuto per darti la vita, «e la vita in abbondanza» (Gv 10,10).

129. Se riesci ad apprezzare con il cuore la bellezza di questo annuncio e a lasciarti incontrare dal Signore; se ti lasci amare e salvare da Lui; se entri in amicizia con Lui e cominci a conversare con Cristo vivo sulle cose concrete della tua vita, questa sarà la grande esperienza, sarà l’esperienza fondamentale che sosterrà la tua vita cristiana. Questa è anche l’esperienza che potrai comunicare ad altri giovani. Perché «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».[69]

Lo Spirito dà vita

130. In queste tre verità – Dio ti ama, Cristo è il tuo salvatore, Egli vive – compare Dio Padre e compare Gesù. Dove ci sono il Padre e Gesù, c’è anche lo Spirito Santo. È Lui che prepara e apre i cuori perché accolgano questo annuncio, è Lui che mantiene viva questa esperienza di salvezza, è Lui che ti aiuterà a crescere in questa gioia se lo lasci agire. Lo Spirito Santo riempie il cuore di Cristo risorto e da lì si riversa nella tua vita come una sorgente. E quando lo accogli, lo Spirito Santo ti fa entrare sempre più nel cuore di Cristo, affinché tu sia sempre più colmo del suo amore, della sua luce e della sua forza.

131. Invoca ogni giorno lo Spirito Santo perché rinnovi costantemente in te l’esperienza del grande annuncio. Perché no? Non perdi nulla ed Egli può cambiare la tua vita, può illuminarla e darle una rotta migliore. Non ti mutila, non ti toglie niente, anzi, ti aiuta a trovare ciò di cui hai bisogno nel modo migliore. Hai bisogno di amore? Non lo troverai nella sfrenatezza, usando gli altri, possedendoli o dominandoli. Lo troverai in un modo che ti renderà davvero felice. Cerchi intensità? Non la vivrai accumulando oggetti, spendendo soldi, correndo disperatamente dietro le cose di questo mondo. Arriverà in una maniera molto più bella e soddisfacente se ti lascerai guidare dallo Spirito Santo.

132. Cerchi passione? Come dice una bella poesia: innamorati! (o lasciati innamorare), perché «niente può essere più importante che incontrare Dio. Vale a dire, innamorarsi di Lui in una maniera definitiva e assoluta. Ciò di cui tu ti innamori cattura la tua immaginazione e finisce per lasciare la sua orma su tutto quanto. Sarà quello che decide che cosa ti farà alzare dal letto la mattina, cosa farai nei tuoi tramonti, come trascorrerai i tuoi fine settimana, quello che leggi, quello che sai, quello che ti spezza il cuore e quello che ti travolge di gioia e gratitudine. Innamorati! Rimani nell’amore! Tutto sarà diverso».[70] Questo amore di Dio, che prende con passione tutta la vita, è possibile grazie allo Spirito Santo, perché «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).

133. Egli è la sorgente della migliore gioventù. Perché chi confida nel Signore «è come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi» (Ger 17,8). Mentre «i giovani faticano e si stancano» (Is 40,30), coloro che ripongono la loro fiducia nel Signore «riacquistano forza,mettono ali come aquile,corrono senza affannarsi,camminano senza stancarsi» (Is 40,31).

CAPITOLO QUINTO

Percorsi di gioventù

134. Come si vive la giovinezza quando ci lasciamo illuminare e trasformare dal grande annuncio del Vangelo? È importante porsi questa domanda, perché la giovinezza, più che un vanto, è un dono di Dio: «Essere giovani è una grazia, una fortuna».[71] È un dono che possiamo sprecare inutilmente, oppure possiamo riceverlo con gratitudine e viverlo in pienezza.

135. Dio è l’autore della giovinezza e opera in ogni giovane. La giovinezza è un tempo benedetto per il giovane e una benedizione per la Chiesa e per il mondo. È una gioia, un canto di speranza e una beatitudine. Apprezzare la giovinezza significa vedere questo periodo della vita come un momento prezioso e non come una fase di passaggio in cui i giovani si sentono spinti verso l’età adulta.

Tempo di sogni e di scelte

136. Al tempo di Gesù l’uscita dall’infanzia era un passaggio della vita quanto mai atteso, molto celebrato e festeggiato. Perciò, quando Gesù restituì la vita a una «bambina» (Mc 5,39), le fece fare un passo in più, la fece crescere e diventare «fanciulla» (Mc 5,41). Quando le disse: «Fanciulla, alzati!» (talitá kum), al tempo stesso la rese più responsabile della sua vita, aprendole le porte della giovinezza.

137. «La giovinezza, fase dello sviluppo della personalità, è marcata da sogni che vanno prendendo corpo, da relazioni che acquistano sempre più consistenza ed equilibrio, da tentativi e sperimentazioni, da scelte che costruiscono gradualmente un progetto di vita. In questa stagione della vita i giovani sono chiamati a proiettarsi in avanti senza tagliare le radici, a costruire autonomia, ma non in solitudine».[72]

138. L’amore di Dio e il nostro rapporto con Cristo vivo non ci impediscono di sognare, non ci chiedono di restringere i nostri orizzonti. Al contrario, questo amore ci sprona, ci stimola, ci proietta verso una vita migliore e più bella. La parola “inquietudine” riassume molte delle aspirazioni dei cuori dei giovani. Come diceva san Paolo VI, «proprio nell’insoddisfazione che vi tormenta […] c’è un elemento di luce».[73] L’inquietudine insoddisfatta, insieme allo stupore per le novità che si presentano all’orizzonte, apre la strada all’audacia che li spinge a prendere la propria vita tra le mani e a diventare responsabili di una missione. Questa sana inquietudine, che si risveglia soprattutto nella giovinezza, rimane la caratteristica di ogni cuore che si mantiene giovane, disponibile, aperto. La vera pace interiore convive con questa insoddisfazione profonda. Sant’Agostino diceva: «Signore, ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te».[74]

139. Qualche tempo fa un amico mi ha chiesto che cosa vedo io quando penso a un giovane. La mia risposta è stata: «Vedo un ragazzo o una ragazza che cerca la propria strada, che vuole volare con i piedi, che si affaccia sul mondo e guarda l’orizzonte con occhi colmi di speranza, pieni di futuro e anche di illusioni. Il giovane va con due piedi come gli adulti, ma a differenza degli adulti, che li tengono paralleli, ne ha sempre uno davanti all’altro, pronto per partire, per scattare. Sempre lanciato in avanti. Parlare dei giovani significa parlare di promesse, e significa parlare di gioia. Hanno tanta forza i giovani, sono capaci di guardare con speranza. Un giovane è una promessa di vita che ha insito un certo grado di tenacia; ha abbastanza follia per potersi illudere e la sufficiente capacità per poter guarire dalla delusione che ne può derivare».[75]

140. Alcuni giovani forse rifiutano questa tappa della vita perché vorrebbero rimanere bambini, o desiderano «un prolungamento indefinito dell’adolescenza e il rimando delle decisioni; la paura del definitivo genera così una sorta di paralisi decisionale. La giovinezza però non può restare un tempo sospeso: essa è l’età delle scelte e proprio in questo consiste il suo fascino e il suo compito più grande. I giovani prendono decisioni in ambito professionale, sociale, politico, e altre più radicali che daranno alla loro esistenza una configurazione determinante».[76] Prendono decisioni anche per quanto riguarda l’amore, la scelta del partner o quella di avere i primi figli. Approfondiremo questi temi negli ultimi capitoli, dedicati alla vocazione personale e al suo discernimento.

141. Ma contro i sogni che ispirano le decisioni, sempre «c’è la minaccia del lamento, della rassegnazione. Questi li lasciamo a quelli che seguono la “dea lamentela”! […] è un inganno: ti fa prendere la strada sbagliata. Quando tutto sembra fermo e stagnante, quando i problemi personali ci inquietano, i disagi sociali non trovano le dovute risposte, non è buono darsi per vinti. La strada è Gesù: farlo salire sulla nostra “barca” e prendere il largo con Lui! Lui è il Signore! Lui cambia la prospettiva della vita. La fede in Gesù conduce a una speranza che va oltre, a una certezza fondata non soltanto sulle nostre qualità e abilità, ma sulla Parola di Dio, sull’invito che viene da Lui. Senza fare troppi calcoli umani e non preoccuparsi di verificare se la realtà che vi circonda coincide con le vostre sicurezze. Prendete il largo, uscite da voi stessi».[77]

142. Dobbiamo perseverare sulla strada dei sogni. Per questo, bisogna stare attenti a una tentazione che spesso ci fa brutti scherzi: l’ansia. Può diventare una grande nemica quando ci porta ad arrenderci perché scopriamo che i risultati non sono immediati. I sogni più belli si conquistano con speranza, pazienza e impegno, rinunciando alla fretta. Nello stesso tempo, non bisogna bloccarsi per insicurezza, non bisogna avere paura di rischiare e di commettere errori. Piuttosto dobbiamo avere paura di vivere paralizzati, come morti viventi, ridotti a soggetti che non vivono perché non vogliono rischiare, perché non portano avanti i loro impegni o hanno paura di sbagliare. Anche se sbagli, potrai sempre rialzare la testa e ricominciare, perché nessuno ha il diritto di rubarti la speranza.

143. Giovani, non rinunciate al meglio della vostra giovinezza, non osservate la vita dal balcone. Non confondete la felicità con un divano e non passate tutta la vostra vita davanti a uno schermo. Non riducetevi nemmeno al triste spettacolo di un veicolo abbandonato. Non siate auto parcheggiate, lasciate piuttosto sbocciare i sogni e prendete decisioni. Rischiate, anche se sbaglierete. Non sopravvivete con l’anima anestetizzata e non guardate il mondo come se foste turisti. Fatevi sentire! Scacciate le paure che vi paralizzano, per non diventare giovani mummificati. Vivete! Datevi al meglio della vita! Aprite le porte della gabbia e volate via! Per favore, non andate in pensione prima del tempo.

La voglia di vivere e di sperimentare

144. Questa proiezione verso il futuro che si sogna, non significa che i giovani siano completamente proiettati in avanti, perché allo stesso tempo c’è in loro un forte desiderio di vivere il presente, di sfruttare al massimo le possibilità che questa vita dona loro. Questo mondo è pieno di bellezza! Come possiamo disprezzare i doni di Dio?

145. Contrariamente a quanto molti pensano, il Signore non vuole indebolire questa voglia di vivere. Fa bene ricordare ciò che insegnava un sapiente dell’Antico Testamento: «Figlio, per quanto ti è possibile, trattati bene […]. Non privarti di un giorno felice» (Sir 14,11.14). Il vero Dio, quello che ti ama, ti vuole felice. Ecco perché nella Bibbia troviamo anche questo consiglio rivolto ai giovani: «Godi, o giovane, nella tua giovinezza, e si rallegri il tuo cuore nei giorni della tua gioventù. […] Caccia la malinconia dal tuo cuore» (Qo 11,9-10). Perché è Dio che «tutto ci dà con abbondanza perché possiamo goderne» (1 Tm 6,17).

146. Come potrà essere grato a Dio chi non è capace di godere dei suoi piccoli regali di ogni giorno, chi non sa soffermarsi davanti alle cose semplici e piacevoli che incontra ad ogni passo? Perché «nessuno è peggiore di chi danneggia se stesso» (Sir 14,6). Non si tratta di essere insaziabili, sempre ossessionati da piaceri senza fine. Al contrario, perché questo ti impedirà di vivere il presente. Si tratta di saper aprire gli occhi e soffermarti per vivere pienamente e con gratitudine ogni piccolo dono della vita.

147. È chiaro che la Parola di Dio ti invita a vivere il presente, non solo a preparare il domani: «Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena» (Mt 6,34). Questo però non significa lanciarsi in una dissolutezza irresponsabile che ci lascia vuoti e sempre insoddisfatti, bensì vivere pienamente il presente, usando le energie per cose buone, coltivando la fraternità, seguendo Gesù e apprezzando ogni piccola gioia della vita come un dono dell’amore di Dio.

148. A questo proposito, vorrei ricordare che il Cardinale Francesco Saverio Nguyên Van Thuân, quando fu imprigionato in un campo di concentramento, non volle che i suoi giorni consistessero soltanto nell’attendere e sperare un futuro. Scelse di «vivere il momento presente riempiendolo d’amore»; e il modo in cui lo realizzava era questo: «Afferro le occasioni che si presentano ogni giorno, per compiere azioni ordinarie in un modo straordinario».[78] Mentre lotti per realizzare i tuoi sogni, vivi pienamente l’oggi, donalo interamente e riempi d’amore ogni momento. Perché è vero che questo giorno della tua giovinezza può essere l’ultimo, e allora vale la pena di viverlo con tutto il desiderio e con tutta la profondità possibili.

149. Questo vale anche per i momenti difficili, che devono essere vissuti a fondo per riuscire a imparare il loro messaggio. Come insegnano i Vescovi svizzeri: «Egli è lì dove noi pensavamo che ci avesse abbandonato e che non ci fosse più alcuna possibilità di salvezza. È un paradosso, ma la sofferenza, le tenebre, sono diventate, per molti cristiani […] luoghi di incontro con Dio».[79] Inoltre, il desiderio di vivere e di fare esperienze nuove riguarda specialmente molti giovani in condizione di disabilità fisica, psichica e sensoriale. Essi, anche se non possono fare sempre le stesse esperienze dei coetanei, hanno risorse sorprendenti, inimmaginabili, che talvolta superano quelle comuni. Il Signore Gesù li ricolma di altri doni, che la comunità è chiamata a valorizzare, perché possano scoprire il suo progetto d’amore per ciascuno di loro.

In amicizia con Cristo

150. Per quanto tu possa vivere e fare esperienze, non arriverai al fondo della giovinezza, non conoscerai la vera pienezza dell’essere giovane, se non incontri ogni giorno il grande Amico, se non vivi in amicizia con Gesù.

151. L’amicizia è un regalo della vita e un dono di Dio. Attraverso gli amici, il Signore ci purifica e ci fa maturare. Allo stesso tempo, gli amici fedeli, che sono al nostro fianco nei momenti difficili, sono un riflesso dell’affetto del Signore, della sua consolazione e della sua presenza amorevole. Avere amici ci insegna ad aprirci, a capire, a prenderci cura degli altri, a uscire dalla nostra comodità e dall’isolamento, a condividere la vita. Ecco perché «per un amico fedele non c’è prezzo» (Sir 6,15).

152. L’amicizia non è una relazione fugace e passeggera, ma stabile, salda, fedele, che matura col passare del tempo. È un rapporto di affetto che ci fa sentire uniti, e nello stesso tempo è un amore generoso che ci porta a cercare il bene dell’amico. Anche se gli amici possono essere molto diversi tra loro, ci sono sempre alcune cose in comune che li portano a sentirsi vicini, c’è un’intimità che si condivide con sincerità e fiducia.

153. L’amicizia è così importante che Gesù stesso si presenta come amico: «Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamato amici» (Gv 15,15). Per la grazia che Egli ci dona, siamo elevati in modo tale che siamo veramente suoi amici. Con lo stesso amore che Egli riversa in noi, possiamo amarlo, estendendo il suo amore agli altri, nella speranza che anch’essi troveranno il loro posto nella comunità di amicizia fondata da Gesù Cristo.[80] E sebbene Egli sia già pienamente felice da risorto, è possibile essere generosi con Lui, aiutandolo a costruire il suo Regno in questo mondo, essendo suoi strumenti per portare il suo messaggio, la sua luce e soprattutto il suo amore agli altri (cfr Gv 15,16). I discepoli hanno ascoltato la chiamata di Gesù all’amicizia con Lui. È stato un invito che non li ha costretti, ma si è proposto delicatamente alla loro libertà: «Venite e vedrete», disse loro, ed essi «andarono e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui» (Gv 1,39). Dopo quell’incontro, intimo e inaspettato, lasciarono tutto e andarono con Lui.

154. L’amicizia con Gesù è indissolubile. Egli non ci abbandona mai, anche se a volte sembra stare in silenzio. Quando abbiamo bisogno di Lui, si lascia trovare da noi (cfr Ger 29,14) e sta al nostro fianco dovunque andiamo (cfr Gs 1,9). Perché Egli non rompe mai un’alleanza. A noi chiede di non abbandonarlo: «Rimanete in me e io in voi» (Gv 15,4). Ma se ci allontaniamo, «Egli rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso» (2 Tm 2,13).

155. Con l’amico parliamo, condividiamo le cose più segrete. Con Gesù pure conversiamo. La preghiera è una sfida e un’avventura. E che avventura! Ci permette di conoscerlo sempre meglio, di entrare nel suo profondo e di crescere in un’unione sempre più forte. La preghiera ci permette di raccontargli tutto ciò che ci accade e di stare fiduciosi tra le sue braccia, e nello stesso tempo ci regala momenti di preziosa intimità e affetto, nei quali Gesù riversa in noi la sua vita. Pregando «facciamo il suo gioco», gli facciamo spazio «perché Egli possa agire e possa entrare e possa vincere».[81]

156. Così è possibile arrivare a sperimentare un’unità costante con Lui, che supera tutto ciò che possiamo vivere con altre persone: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Non privare la tua giovinezza di questa amicizia. Potrai sentirlo al tuo fianco non solo quando preghi. Riconoscerai che cammina con te in ogni momento. Cerca di scoprirlo e vivrai la bella esperienza di saperti sempre accompagnato. È quello che hanno vissuto i discepoli di Emmaus quando, mentre camminavano e conversavano disorientati, Gesù si fece presente e «camminava con loro» (Lc 24,15). Un santo diceva che «il cristianesimo non è un insieme di verità in cui occorre credere, di leggi da osservare, di divieti. Così risulta ripugnante. Il cristianesimo è una Persona che mi ha amato così tanto da reclamare il mio amore. Il cristianesimo è Cristo».[82]

157. Gesù può unire tutti i giovani della Chiesa in un unico sogno, «un sogno grande e un sogno capace di coinvolgere tutti. Il sogno per il quale Gesù ha dato la vita sulla croce e lo Spirito Santo si è riversato e ha marchiato a fuoco il giorno di Pentecoste nel cuore di ogni uomo e di ogni donna, nel cuore di ciascuno, […] lo ha impresso nella speranza che trovi spazio per crescere e svilupparsi. Un sogno, un sogno chiamato Gesù, seminato dal Padre: Dio come Lui, come il Padre, inviato dal Padre con la fiducia che crescerà e vivrà in ogni cuore. Un sogno concreto, che è una Persona, che scorre nelle nostre vene, fa trasalire il cuore e lo fa sussultare».[83]

La crescita e la maturazione

158. Molti giovani si preoccupano del proprio corpo, cercando di sviluppare la forza fisica o l’aspetto. Altri si danno da fare per potenziare le loro capacità e conoscenze, e in questo modo si sentono più sicuri. Alcuni puntano più in alto, si sforzano di impegnarsi di più e cercano uno sviluppo spirituale. San Giovanni diceva: «Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la Parola di Dio rimane in voi» (1 Gv 2,14). Cercare il Signore, custodire la sua Parola, cercare di rispondere ad essa con la propria vita, crescere nelle virtù, questo rende forti i cuori dei giovani. Per questo occorre mantenere la “connessione” con Gesù, essere “in linea” con Lui, perché non crescerai nella felicità e nella santità solo con le tue forze e la tua mente. Così come ti preoccupi di non perdere la connessione a Internet, assicurati che sia attiva la tua connessione con il Signore, e questo significa non interrompere il dialogo, ascoltarlo, raccontargli le tue cose, e quando non hai le idee chiare su cosa dovresti fare, domandagli: «Gesù, cosa faresti Tu al mio posto?».[84]

159. Spero che tu possa stimare così tanto te stesso, prenderti così sul serio, da cercare la tua crescita spirituale. Oltre all’entusiasmo tipico della giovinezza, c’è anche la bellezza di cercare «la giustizia, la fede, la carità, la pace» (2 Tm 2,22). Questo non significa perdere la spontaneità, la freschezza, l’entusiasmo, la tenerezza. Perché diventare adulti non significa abbandonare i migliori valori di questa fase della vita. Altrimenti, il Signore potrebbe rimproverarti un giorno: «Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto» (Ger 2,2).

160. D’altra parte, anche un adulto deve maturare senza perdere i valori della gioventù. Perché in realtà ogni fase della vita è una grazia permanente, contiene un valore che non deve passare. Una giovinezza vissuta bene rimane come esperienza interiore, e nella vita adulta viene assimilata, viene approfondita e continua a dare i suoi frutti. Se è tipico del giovane sentirsi attratto dall’infinito che si apre e che comincia,[85] un rischio della vita adulta, con le sue sicurezze e comodità, consiste nel trascurare sempre più questo orizzonte e perdere quel valore proprio degli anni della gioventù. Invece dovrebbe accadere il contrario: maturare, crescere e organizzare la propria vita senza perdere quell’attrazione, quell’apertura ampia, quel fascino per una realtà che è sempre qualcosa di più. In ogni momento della vita potremo rinnovare e accrescere la nostra giovinezza. Quando ho iniziato il mio ministero come Papa, il Signore ha allargato i miei orizzonti e mi ha dato una rinnovata giovinezza. La stessa cosa può accadere a una coppia sposata da molti anni, o a un monaco nel suo monastero. Ci sono cose che hanno bisogno di sedimentarsi negli anni, ma questa maturazione può convivere con un fuoco che si rinnova, con un cuore sempre giovane.

161. Crescere vuol dire conservare e alimentare le cose più preziose che ti regala la giovinezza, ma nello stesso tempo significa essere aperti a purificare ciò che non è buono e a ricevere nuovi doni da Dio che ti chiama a sviluppare ciò che vale. A volte, i complessi di inferiorità possono portarti a non voler vedere i tuoi difetti e le tue debolezze, e in questo modo puoi chiuderti alla crescita e alla maturazione. Lasciati piuttosto amare da Dio, che ti ama così come sei, ti apprezza e ti rispetta, ma ti offre anche sempre di più: più amicizia con Lui, più fervore nella preghiera, più sete della sua Parola, più desiderio di ricevere Cristo nell’Eucaristia, più voglia di vivere il suo Vangelo, più forza interiore, più pace e gioia spirituale.

162. Ti ricordo però che non sarai santo e realizzato copiando gli altri. E nemmeno imitare i santi significa copiare il loro modo di essere e di vivere la santità: «Ci sono testimonianze che sono utili per stimolarci e motivarci, ma non perché cerchiamo di copiarle, in quanto ciò potrebbe perfino allontanarci dalla via unica e specifica che il Signore ha in serbo per noi».[86] Tu devi scoprire chi sei e sviluppare il tuo modo personale di essere santo, indipendentemente da ciò che dicono e pensano gli altri. Diventare santo vuol dire diventare più pienamente te stesso, quello che Dio ha voluto sognare e creare, non una fotocopia. La tua vita dev’essere uno stimolo profetico, che sia d’ispirazione ad altri, che lasci un’impronta in questo mondo, quell’impronta unica che solo tu potrai lasciare. Invece, se copi, priverai questa terra, e anche il cielo, di ciò che nessun altro potrà offrire al tuo posto. Ricordo che San Giovanni della Croce, nel suo Cantico Spirituale, scriveva che ognuno doveva approfittare dei suoi consigli spirituali «a modo proprio»,[87] perché Dio stesso ha voluto manifestare la sua grazia «ad alcuni in un modo e ad altri in un altro».[88]

Percorsi di fraternità

163. La tua crescita spirituale si esprime soprattutto nell’amore fraterno, generoso, misericordioso. Lo diceva San Paolo: «Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi» (1 Ts 3,12). Che tu possa vivere sempre più quella “estasi” che consiste nell’uscire da te stesso per cercare il bene degli altri, fino a dare la vita.

164. Quando un incontro con Dio si chiama “estasi”, è perché ci tira fuori da noi stessi e ci eleva, catturati dall’amore e dalla bellezza di Dio. Ma possiamo anche essere fatti uscire da noi stessi per riconoscere la bellezza nascosta in ogni essere umano, la sua dignità, la sua grandezza come immagine di Dio e figlio del Padre. Lo Spirito Santo vuole spingerci ad uscire da noi stessi, ad abbracciare gli altri con l’amore e cercare il loro bene. Per questo è sempre meglio vivere la fede insieme ed esprimere il nostro amore in una vita comunitaria, condividendo con altri giovani il nostro affetto, il nostro tempo, la nostra fede e le nostre inquietudini. La Chiesa offre molti e diversi spazi per vivere la fede in comunità, perché insieme tutto è più facile.

165. Le ferite ricevute possono condurti alla tentazione dell’isolamento, a ripiegarti su te stesso, ad accumulare rancori, ma non smettere mai di ascoltare la chiamata di Dio al perdono. Come hanno insegnato bene i Vescovi del Ruanda, «la riconciliazione con l’altro chiede prima di tutto di scoprire in lui lo splendore dell’immagine di Dio. […] In quest’ottica, è vitale distinguere il peccatore dal suo peccato e dalla sua offesa, per arrivare all’autentica riconciliazione. Questo significa che odi il male che l’altro ti infligge, ma continui ad amarlo perché riconosci la sua debolezza e vedi l’immagine di Dio in lui».[89]

166. A volte tutta l’energia, i sogni e l’entusiasmo della giovinezza si affievoliscono per la tentazione di chiuderci in noi stessi, nei nostri problemi, nei sentimenti feriti, nelle lamentele e nelle comodità. Non lasciare che questo ti accada, perché diventerai vecchio dentro e prima del tempo. Ogni età ha la sua bellezza, e alla giovinezza non possono mancare l’utopia comunitaria, la capacità di sognare insieme, i grandi orizzonti che guardiamo insieme.

167. Dio ama la gioia dei giovani e li invita soprattutto a quell’allegria che si vive nella comunione fraterna, a quel godimento superiore di chi sa condividere, perché «c’è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35) e «Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). L’amore fraterno moltiplica la nostra capacità di gioire, perché ci rende capaci di godere del bene degli altri: «Rallegratevi con quelli che sono nella gioia» (Rm 12,15). Che la spontaneità e l’impulso della tua giovinezza si trasformino sempre più nella spontaneità dell’amore fraterno, nella freschezza che ci fa reagire sempre con il perdono, con la generosità, con il desiderio di fare comunità. Un proverbio africano dice: «Se vuoi andare veloce, cammina da solo. Se vuoi arrivare lontano, cammina con gli altri». Non lasciamoci rubare la fraternità.

Giovani impegnati

168. In effetti, di fronte ad una realtà così piena di violenza e di egoismo, i giovani possono a volte correre il rischio di chiudersi in piccoli gruppi, privandosi così delle sfide della vita in società, di un mondo vasto, stimolante e con tanti bisogni. Sentono di vivere l’amore fraterno, ma forse il loro gruppo è diventato un semplice prolungamento del loro io. Questo si aggrava se la vocazione del laico è concepita solo come un servizio all’interno della Chiesa (lettori, accoliti, catechisti,…), dimenticando che la vocazione laicale è prima di tutto la carità nella famiglia e la carità sociale o politica: è un impegno concreto a partire dalla fede per la costruzione di una società nuova, è vivere in mezzo al mondo e alla società per evangelizzarne le sue diverse istanze, per far crescere la pace, la convivenza, la giustizia, i diritti umani, la misericordia, e così estendere il Regno di Dio nel mondo.

169. Propongo ai giovani di andare oltre i gruppi di amici e costruire l’«amicizia sociale, cercare il bene comune. L’inimicizia sociale distrugge. E una famiglia si distrugge per l’inimicizia. Un paese si distrugge per l’inimicizia. Il mondo si distrugge per l’inimicizia. E l’inimicizia più grande è la guerra. Oggigiorno vediamo che il mondo si sta distruggendo per la guerra. Perché sono incapaci di sedersi e parlare. […] Siate capaci di creare l’amicizia sociale».[90] Non è facile, occorre sempre rinunciare a qualcosa, occorre negoziare, ma se lo facciamo pensando al bene di tutti potremo realizzare la magnifica esperienza di mettere da parte le differenze per lottare insieme per uno scopo comune. Se riusciamo a trovare dei punti di coincidenza in mezzo a tante divergenze, in questo impegno artigianale e a volte faticoso di gettare ponti, di costruire una pace che sia buona per tutti, questo è il miracolo della cultura dell’incontro che i giovani possono avere il coraggio di vivere con passione.

170. Il Sinodo ha riconosciuto che «anche se in forma differente rispetto alle generazioni passate, l’impegno sociale è un tratto specifico dei giovani d’oggi. A fianco di alcuni indifferenti, ve ne sono molti altri disponibili a impegnarsi in iniziative di volontariato, cittadinanza attiva e solidarietà sociale, da accompagnare e incoraggiare per far emergere i talenti, le competenze e la creatività dei giovani e incentivare l’assunzione di responsabilità da parte loro. L’impegno sociale e il contatto diretto con i poveri restano una occasione fondamentale di scoperta o approfondimento della fede e di discernimento della propria vocazione. […] È stata segnalata anche la disponibilità all’impegno in campo politico per la costruzione del bene comune».[91]

171. Oggi, grazie a Dio, i gruppi di giovani di parrocchie, scuole, movimenti o gruppi universitari hanno l’abitudine di andare a fare compagnia agli anziani e agli ammalati, o di visitare quartieri poveri, oppure vanno insieme ad aiutare gli indigenti nelle cosiddette “notti della carità”. Spesso riconoscono che in queste attività quello che ricevono è più di quello che danno, perché si impara e si matura molto quando si ha il coraggio di entrare in contatto con la sofferenza degli altri. Inoltre, nei poveri c’è una saggezza nascosta, ed essi, con parole semplici, possono aiutarci a scoprire valori che non vediamo.

172. Altri giovani partecipano a programmi sociali finalizzati a costruire case per chi è senza un tetto, o a bonificare aree contaminate, o a raccogliere aiuti per i più bisognosi. Sarebbe bene che questa energia comunitaria fosse applicata non solo ad azioni sporadiche ma in modo stabile, con obiettivi chiari e una buona organizzazione che aiuti a realizzare un’attività più continuativa ed efficiente. Gli universitari possono unirsi in modalità interdisciplinare per applicare le loro conoscenze alla risoluzione di problemi sociali, e in questo compito possono lavorare fianco a fianco con giovani di altre Chiese o di altre religioni.

173. Come nel miracolo di Gesù, i pani e i pesci dei giovani possono moltiplicarsi (cfr Gv 6,4-13). Come avviene nella parabola, i piccoli semi dei giovani diventano alberi e frutti da raccogliere (cfr Mt 13,23.31-32). Tutto questo a partire dalla sorgente viva dell’Eucaristia, in cui il nostro pane e il nostro vino sono trasfigurati per darci la Vita eterna. Ai giovani è affidato un compito immenso e difficile. Con la fede nel Risorto, potranno affrontarlo con creatività e speranza, ponendosi sempre nella posizione del servizio, come i servitori di quella festa nuziale, stupefatti collaboratori del primo segno di Gesù, che seguirono soltanto la consegna di sua Madre: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5). Misericordia, creatività e speranza fanno crescere la vita.

174. Voglio incoraggiarti ad assumere questo impegno, perché so che «il tuo cuore, cuore giovane, vuole costruire un mondo migliore. Seguo le notizie del mondo e vedo che tanti giovani in tante parti del mondo sono usciti per le strade per esprimere il desiderio di una civiltà più giusta e fraterna. I giovani nelle strade. Sono giovani che vogliono essere protagonisti del cambiamento. Per favore, non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento! Voi siete quelli che hanno il futuro! Attraverso di voi entra il futuro nel mondo. A voi chiedo anche di essere protagonisti di questo cambiamento. Continuate a superare l’apatia, offrendo una risposta cristiana alle inquietudini sociali e politiche, che si stanno presentando in varie parti del mondo. Vi chiedo di essere costruttori del mondo, di mettervi al lavoro per un mondo migliore. Cari giovani, per favore, non guardate la vita “dal balcone”, ponetevi dentro di essa. Gesù non è rimasto sul balcone, si è messo dentro; non guardate la vita “dal balcone”, entrate in essa come ha fatto Gesù».[92] Ma soprattutto, in un modo o nell’altro, lottate per il bene comune, siate servitori dei poveri, siate protagonisti della rivoluzione della carità e del servizio, capaci di resistere alle patologie dell’individualismo consumista e superficiale.

Missionari coraggiosi

175. Innamorati di Cristo, i giovani sono chiamati a testimoniare il Vangelo ovunque con la propria vita. Sant’Alberto Hurtado diceva che «essere apostoli non significa portare un distintivo all’occhiello della giacca; non significa parlare della verità, ma viverla, incarnarsi in essa, trasformarsi in Cristo. Essere apostolo non consiste nel portare una torcia in mano, nel possedere la luce, ma nell’essere la luce […]. Il Vangelo, […] più che una lezione è un esempio. Il messaggio trasformato in vita vissuta».[93]

176. Il valore della testimonianza non significa che la parola debba essere messa a tacere. Perché non parlare di Gesù, perché non raccontare agli altri che Lui ci dà la forza di vivere, che è bello conversare con Lui, che ci fa bene meditare le sue parole? Giovani, non lasciate che il mondo vi trascini a condividere solo le cose negative o superficiali. Siate capaci di andare controcorrente e sappiate condividere Gesù, comunicate la fede che Lui vi ha donato. Vi auguro di sentire nel cuore lo stesso impulso irresistibile che muoveva San Paolo quando affermava: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16).

177. «Dove ci invia Gesù? Non ci sono confini, non ci sono limiti: ci invia a tutti. Il Vangelo è per tutti e non per alcuni. Non è solo per quelli che ci sembrano più vicini, più ricettivi, più accoglienti. È per tutti. Non abbiate paura di andare e portare Cristo in ogni ambiente, fino alle periferie esistenziali, anche a chi sembra più lontano, più indifferente. Il Signore cerca tutti, vuole che tutti sentano il calore della sua misericordia e del suo amore».[94] E ci invita ad andare senza paura con l’annuncio missionario, dovunque ci troviamo e con chiunque siamo, nel quartiere, nello studio, nello sport, quando usciamo con gli amici, facendo volontariato o al lavoro, è sempre bene e opportuno condividere la gioia del Vangelo. Questo è il modo in cui il Signore si avvicina a tutti. E vuole voi, giovani, come suoi strumenti per irradiare luce e speranza, perché vuole contare sul vostro coraggio, sulla vostra freschezza e sul vostro entusiasmo.

178. Non ci si può aspettare che la missione sia facile e comoda. Alcuni giovani hanno dato la vita pur di non frenare il loro impulso missionario. I Vescovi della Corea si sono espressi così: «Speriamo di poter essere chicchi di grano e strumenti per la salvezza dell’umanità, seguendo l’esempio dei martiri. Anche se la nostra fede è piccola come un granello di senape, Dio la farà crescere e la utilizzerà come strumento per la sua opera di salvezza».[95] Amici, non aspettate fino a domani per collaborare alla trasformazione del mondo con la vostra energia, la vostra audacia e la vostra creatività. La vostra vita non è un “nel frattempo”. Voi siete l’adesso di Dio, che vi vuole fecondi.[96] Perché «è dando che si riceve»[97] e il modo migliore di preparare un buon futuro è vivere bene il presente con dedizione e generosità.

CAPITOLO SESTO

Giovani con radici

179. A volte ho visto alberi giovani, belli, che alzavano i loro rami verso il cielo tendendo sempre più in alto, e sembravano un canto di speranza. Successivamente, dopo una tempesta, li ho trovati caduti, senza vita. Poiché avevano poche radici, avevano disteso i loro rami senza mettere radici profonde nel terreno, e così hanno ceduto agli assalti della natura. Per questo mi fa male vedere che alcuni propongono ai giovani di costruire un futuro senza radici, come se il mondo iniziasse adesso. Perché «è impossibile che uno cresca se non ha radici forti che aiutino a stare bene in piedi e attaccato alla terra. È facile “volare via” quando non si ha dove attaccarsi, dove fissarsi».[98]

Che non ti strappino dalla terra

180. Tale questione non è secondaria, e mi sembra opportuno dedicarvi un breve capitolo. Comprenderla permette di distinguere la gioia della giovinezza da un falso culto di essa, che alcuni utilizzano per sedurre i giovani e usarli per i loro fini.

181. Pensate a questo: se una persona vi fa una proposta e vi dice di ignorare la storia, di non fare tesoro dell’esperienza degli anziani, di disprezzare tutto ciò che è passato e guardare solo al futuro che lui vi offre, non è forse questo un modo facile di attirarvi con la sua proposta per farvi fare solo quello che lui vi dice? Quella persona ha bisogno che siate vuoti, sradicati, diffidenti di tutto, perché possiate fidarvi solo delle sue promesse e sottomettervi ai suoi piani. È così che funzionano le ideologie di diversi colori, che distruggono (o de-costruiscono) tutto ciò che è diverso e in questo modo possono dominare senza opposizioni. A tale scopo hanno bisogno di giovani che disprezzino la storia, che rifiutino la ricchezza spirituale e umana che è stata tramandata attraverso le generazioni, che ignorino tutto ciò che li ha preceduti.

182. Allo stesso tempo, i manipolatori usano un’altra risorsa: un’adorazione della giovinezza, come se tutto ciò che non è giovane risultasse detestabile e caduco. Il corpo giovane diventa il simbolo di questo nuovo culto, quindi tutto ciò che ha a che fare con quel corpo è idolatrato e desiderato senza limiti, e ciò che non è giovane è guardato con disprezzo. Questa però è un’arma che finisce per degradare prima di tutto i giovani, svuotandoli di valori reali, usandoli per ottenere vantaggi personali, economici o politici.

183. Cari giovani, non permettete che usino la vostra giovinezza per favorire una vita superficiale, che confonde la bellezza con l’apparenza. Sappiate invece scoprire che c’è una bellezza nel lavoratore che torna a casa sporco e in disordine, ma con la gioia di aver guadagnato il pane per i suoi figli. C’è una bellezza straordinaria nella comunione della famiglia riunita intorno alla tavola e nel pane condiviso con generosità, anche se la mensa è molto povera. C’è una bellezza nella moglie spettinata e un po’ anziana che continua a prendersi cura del marito malato al di là delle proprie forze e della propria salute. Malgrado sia lontana la primavera del corteggiamento, c’è una bellezza nella fedeltà delle coppie che si amano nell’autunno della vita e in quei vecchietti che camminano tenendosi per mano. C’è una bellezza che va al di là dell’apparenza o dell’estetica di moda in ogni uomo e ogni donna che vivono con amore la loro vocazione personale, nel servizio disinteressato per la comunità, per la patria, nel lavoro generoso per la felicità della famiglia, impegnati nell’arduo lavoro anonimo e gratuito di ripristinare l’amicizia sociale. Scoprire, mostrare e mettere in risalto questa bellezza, che ricorda quella di Cristo sulla croce, significa mettere le basi della vera solidarietà sociale e della cultura dell’incontro.

184. Insieme alle strategie del falso culto della giovinezza e dell’apparenza, oggi si promuove una spiritualità senza Dio, un’affettività senza comunità e senza impegno verso chi soffre, una paura dei poveri visti come soggetti pericolosi, e una serie di offerte che pretendono di farvi credere in un futuro paradisiaco che sarà sempre rimandato più in là. Non voglio proporvi questo, e con tutto il mio affetto voglio mettervi in guardia dal lasciarvi dominare da questa ideologia che non vi renderà più giovani ma vi trasformerà in schiavi. Vi propongo un’altra strada, fatta di libertà, di entusiasmo, di creatività, di orizzonti nuovi, ma coltivando nello stesso tempo le radici che alimentano e sostengono.

185. In questa prospettiva, voglio sottolineare che «molti Padri sinodali provenienti da contesti non occidentali segnalano come nei loro Paesi la globalizzazione rechi con sé autentiche forme di colonizzazione culturale, che sradicano i giovani dalle appartenenze culturali e religiose da cui provengono. È necessario un impegno della Chiesa per accompagnarli in questo passaggio senza che smarriscano i tratti più preziosi della propria identità».[99]

186. Oggi assistiamo a una tendenza ad “omogeneizzare” i giovani, a dissolvere le differenze proprie del loro luogo di origine, a trasformarli in soggetti manipolabili fatti in serie. Così si produce una distruzione culturale, che è tanto grave quanto l’estinzione delle specie animali e vegetali.[100] Per questo, in un messaggio ai giovani indigeni riuniti a Panama, li ho esortati a «farsi carico delle radici, perché dalle radici viene la forza che vi farà crescere, fiorire e fruttificare».[101]

Il tuo rapporto con gli anziani

187. Al Sinodo è stato affermato che «i giovani sono proiettati verso il futuro e affrontano la vita con energia e dinamismo. Però […] talora tendono a dare poca attenzione alla memoria del passato da cui provengono, in particolare dei tanti doni loro trasmessi dai genitori, dai nonni, dal bagaglio culturale della società in cui vivono. Aiutare i giovani a scoprire la ricchezza viva del passato, facendone memoria e servendosene per le proprie scelte e possibilità, è un vero atto di amore nei loro confronti in vista della loro crescita e delle scelte che sono chiamati a compiere».[102]

188. La Parola di Dio raccomanda di non perdere il contatto con gli anziani, per poter raccogliere la loro esperienza: «Frequenta le riunioni degli anziani, e se qualcuno è saggio unisciti a lui. […] Se vedi una persona saggia, va’ di buon mattino da lei, i tuoi piedi logorino i gradini della sua porta» (Sir 6,34.36). In ogni caso, i lunghi anni che essi hanno vissuto e tutto ciò che è loro capitato nella vita devono portarci a guardarli con rispetto: «Alzati davanti a chi ha i capelli bianchi» (Lv 19,32), perché «vanto dei giovani è la loro forza, ornamento dei vecchi è la canizie» (Pr 20,29).

189. La Bibbia ci chiede: «Ascolta tuo padre che ti ha generato, non disprezzare tua madre quando è vecchia» (Pr 23,22). Il comandamento di onorare il padre e la madre «è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa» (Ef 6,2; cfr Es 20,12; Dt 5,16; Lv 19,3), e la promessa è: «perché tu sia felice e goda di una lunga vita sulla terra» (Ef 6,3).

190. Questo non significa che tu debba essere d’accordo con tutto quello che dicono, né che tu debba approvare tutte le loro azioni. Un giovane dovrebbe avere sempre uno spirito critico. San Basilio Magno, riferendosi agli antichi autori greci, raccomandava ai giovani di stimarli, ma di accogliere solo ciò che di buono essi possono insegnare.[103] Si tratta semplicemente di essere aperti a raccogliere una sapienza che viene comunicata di generazione in generazione, che può convivere con alcune miserie umane, e che non ha motivo di scomparire davanti alle novità del consumo e del mercato.

191. Al mondo non è mai servita né servirà mai la rottura tra generazioni. Sono i canti di sirena di un futuro senza radici, senza radicamento. È la menzogna che vuol farti credere che solo ciò che è nuovo è buono e bello. L’esistenza delle relazioni intergenerazionali implica che nelle comunità si possieda una memoria collettiva, poiché ogni generazione riprende gli insegnamenti dei predecessori, lasciando così un’eredità ai successori. Questo costituisce dei quadri di riferimento per cementare saldamente una società nuova. Come dice l’adagio: “Se il giovane sapesse e il vecchio potesse, non vi sarebbe cosa che non si farebbe”.

Sogni e visioni

192. Nella profezia di Gioele troviamo un annuncio che ci permette di capire questo in un modo molto bello. Dice così: «Dopo questo, io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni» (Gl 3,1; cfr At 2,17). Se i giovani e gli anziani si aprono allo Spirito Santo, insieme producono una combinazione meravigliosa. Gli anziani sognano e i giovani hanno visioni. In che modo le due cose si completano a vicenda?

193. Gli anziani hanno sogni intessuti di ricordi, delle immagini di tante cose vissute, segnati dall’esperienza e dagli anni. Se i giovani si radicano nei sogni degli anziani riescono a vedere il futuro, possono avere visioni che aprono loro l’orizzonte e mostrano loro nuovi cammini. Ma se gli anziani non sognano, i giovani non possono più vedere chiaramente l’orizzonte.

194. È bello trovare, tra le cose che i nostri genitori hanno conservato, qualche ricordo che ci permette di immaginare ciò che hanno sognato per noi i nostri nonni e le nostre nonne. Ogni essere umano, prima ancora di nascere, ha ricevuto dai suoi nonni, come regalo, la benedizione di un sogno pieno d’amore e di speranza: quello di una vita migliore. E se non l’avesse avuto da alcuno dei suoi nonni, sicuramente un bisnonno lo ha sognato e ha gioito per lui, contemplando nella culla i suoi figli e poi i suoi nipoti. Il sogno primordiale, il sogno creatore di Dio nostro Padre, precede e accompagna la vita di tutti i suoi figli. Fare memoria di questa benedizione, che si estende di generazione in generazione, è una preziosa eredità che dobbiamo saper mantenere viva per poterla trasmettere a nostra volta.

195. Per questo è bene lasciare che gli anziani facciano lunghe narrazioni, che a volte sembrano mitologiche, fantasiose – sono sogni di anziani – ma molte volte sono piene di preziosa esperienza, di simboli eloquenti, di messaggi nascosti. Queste narrazioni richiedono tempo, e che ci disponiamo gratuitamente ad ascoltare e interpretare con pazienza, perché non entrano in un messaggio delle reti sociali. Dobbiamo accettare che tutta la saggezza di cui abbiamo bisogno per la vita non può essere racchiusa entro i limiti imposti dalle attuali risorse della comunicazione.

196. Nel libro La saggezza del tempo[104] ho espresso alcuni desideri sotto forma di richieste. «Che cosa chiedo agli anziani, tra i quali annovero anche me stesso? Chiedo che siamo custodi della memoria. Noi nonni e nonne abbiamo bisogno di formare un coro. Immagino gli anziani come il coro permanente di un importante santuario spirituale, in cui le preghiere di supplica e i canti di lode sostengono l’intera comunità che lavora e lotta nel campo della vita».[105] È bello che «i giovani e le ragazze, i vecchi insieme ai bambini, lodino il nome del Signore» (Sal 148,12-13).

197. Che cosa possiamo dare ai giovani noi anziani? «Ai giovani di oggi che vivono la loro miscela di ambizioni eroiche e di insicurezze, possiamo ricordare che una vita senza amore è una vita sterile».[106] Cosa possiamo dire loro? «Ai giovani timorosi possiamo dire che l’ansia per il futuro può essere superata».[107] Cosa possiamo insegnare loro? «Ai giovani eccessivamente preoccupati di sé stessi possiamo insegnare che si sperimenta una gioia più grande nel dare che nel ricevere, e che l’amore non si dimostra solo con le parole, ma anche con le opere».[108]

Rischiare insieme

198. L’amore che si dà e che opera, tante volte sbaglia. Colui che agisce, che rischia, spesso commette errori. A questo proposito, può risultare interessante la testimonianza di Maria Gabriela Perin, orfana di padre dalla nascita, che riflette sul modo in cui questo ha influenzato la sua vita, in una relazione che non è durata ma che ha fatto di lei una madre e ora una nonna: «Quello che so è che Dio crea storie. Nel suo genio e nella sua misericordia, Egli prende i nostri trionfi e fallimenti e tesse bellissimi arazzi pieni di ironia. Il rovescio del tessuto può sembrare disordinato con i suoi fili aggrovigliati – gli avvenimenti della nostra vita – e forse è quel lato che non ci lascia in pace quando abbiamo dei dubbi. Tuttavia, il lato buono dell’arazzo mostra una storia magnifica, e questo è il lato che vede Dio».[109] Quando le persone anziane guardano con attenzione la vita, spesso capiscono istintivamente cosa c’è dietro i fili aggrovigliati e riconoscono ciò che Dio compie in modo creativo persino con i nostri errori.

199. Se camminiamo insieme, giovani e anziani, potremo essere ben radicati nel presente e, da questa posizione, frequentare il passato e il futuro: frequentare il passato, per imparare dalla storia e per guarire le ferite che a volte ci condizionano; frequentare il futuro, per alimentare l’entusiasmo, far germogliare i sogni, suscitare profezie, far fiorire le speranze. In questo modo, uniti, potremo imparare gli uni dagli altri, riscaldare i cuori, ispirare le nostre menti con la luce del Vangelo e dare nuova forza alle nostre mani.

200. Le radici non sono ancore che ci legano ad altre epoche e ci impediscono di incarnarci nel mondo attuale per far nascere qualcosa di nuovo. Sono, al contrario, un punto di radicamento che ci consente di crescere e di rispondere alle nuove sfide. Quindi, non serve neanche «che ci sediamo a ricordare con nostalgia i tempi passati; dobbiamo prenderci a cuore la nostra cultura con realismo e amore e riempirla di Vangelo. Siamo inviati oggi ad annunciare la Buona Novella di Gesù ai tempi nuovi. Dobbiamo amare il nostro tempo con le sue possibilità e i suoi rischi, con le sue gioie e i suoi dolori, con le sue ricchezze e i suoi limiti, con i suoi successi e i suoi errori».[110]

201. Nel Sinodo uno degli uditori, un giovane delle Isole Samoa, ha detto che la Chiesa è una canoa, in cui gli anziani aiutano a mantenere la rotta interpretando la posizione delle stelle e i giovani remano con forza immaginando ciò che li attende più in là. Non lasciamoci portare fuori strada né dai giovani che pensano che gli adulti siano un passato che non conta più, che è già superato, né dagli adulti che credono di sapere sempre come dovrebbero comportarsi i giovani. Piuttosto, saliamo tutti sulla stessa canoa e insieme cerchiamo un mondo migliore, sotto l’impulso sempre nuovo dello Spirito Santo.

CAPITOLO SETTIMO

La pastorale dei giovani

202. La pastorale giovanile, così come eravamo abituati a portarla avanti, ha subito l’assalto dei cambiamenti sociali e culturali. I giovani, nelle strutture consuete, spesso non trovano risposte alle loro inquietudini, alle loro esigenze, alle loro problematiche e alle loro ferite. La proliferazione e la crescita di associazioni e movimenti con caratteristiche prevalentemente giovanili possono essere interpretate come un’azione dello Spirito che apre nuove strade. È necessario, tuttavia, approfondire la loro partecipazione alla pastorale d’insieme della Chiesa, come pure una maggiore comunione tra loro entro un migliore coordinamento dell’azione. Anche se non è sempre facile accostare i giovani, stiamo crescendo su due aspetti: la consapevolezza che è l’intera comunità che li evangelizza e l’urgenza che i giovani siano più protagonisti nelle proposte pastorali.

Una pastorale sinodale

203. Voglio sottolineare che i giovani stessi sono attori della pastorale giovanile, accompagnati e guidati, ma liberi di trovare strade sempre nuove con creatività e audacia. Di conseguenza, sarebbe superfluo soffermarmi qui a proporre qualche sorta di manuale di pastorale giovanile o una guida pratica di pastorale. Si tratta piuttosto di fare ricorso all’astuzia, all’ingegno e alla conoscenza che i giovani stessi hanno della sensibilità, del linguaggio e delle problematiche degli altri giovani.

204. Essi ci mostrano la necessità di assumere nuovi stili e nuove strategie. Ad esempio, mentre gli adulti cercano di avere tutto programmato, con riunioni periodiche e orari fissi, oggi la maggior parte dei giovani si sente poco attratta da questi schemi pastorali. La pastorale giovanile ha bisogno di acquisire un’altra flessibilità e invitare i giovani ad avvenimenti che ogni tanto offrano loro un luogo dove non solo ricevano una formazione, ma che permetta loro anche di condividere la vita, festeggiare, cantare, ascoltare testimonianze concrete e sperimentare l’incontro comunitario con il Dio vivente.

205. D’altra parte, sarebbe molto auspicabile raccogliere ancora di più le buone pratiche: quelle metodologie, quei linguaggi, quelle motivazioni che sono risultati effettivamente attraenti per avvicinare i giovani a Cristo e alla Chiesa. Non importa di che colore siano, se “conservatori o progressisti”, se “di destra o di sinistra”. L’importante è raccogliere tutto ciò che ha dato buoni risultati e che sia efficace per comunicare la gioia del Vangelo.

206. La pastorale giovanile non può che essere sinodale, vale a dire capace di dar forma a un “camminare insieme” che implica una «valorizzazione dei carismi che lo Spirito dona secondo la vocazione e il ruolo di ciascuno dei membri [della Chiesa], attraverso un dinamismo di corresponsabilità. […] Animati da questo spirito, potremo procedere verso una Chiesa partecipativa e corresponsabile, capace di valorizzare la ricchezza della varietà di cui si compone, accogliendo con gratitudine anche l’apporto dei fedeli laici, tra cui giovani e donne, quello della vita consacrata femminile e maschile, e quello di gruppi, associazioni e movimenti. Nessuno deve essere messo o potersi mettere in disparte».[111]

207. In questo modo, imparando gli uni dagli altri, potremo riflettere meglio quel meraviglioso poliedro che dev’essere la Chiesa di Gesù Cristo. Essa può attrarre i giovani proprio perché non è un’unità monolitica, ma una rete di svariati doni che lo Spirito riversa incessantemente in essa, rendendola sempre nuova nonostante le sue miserie.

208. Al Sinodo sono emerse molte proposte concrete volte a rinnovare la pastorale giovanile e liberarla da schemi che non sono più efficaci perché non entrano in dialogo con la cultura attuale dei giovani. È chiaro che non mi sarebbe possibile raccoglierle tutte qui; alcune di esse si possono trovare nel Documento Finale del Sinodo.

Grandi linee d’azione

209. Vorrei solo sottolineare brevemente che la pastorale giovanile comporta due grandi linee d’azione. Una è la ricerca, l’invito, la chiamata che attiri nuovi giovani verso l’esperienza del Signore. L’altra è la crescita, lo sviluppo di un percorso di maturazione di chi ha già vissuto quell’esperienza.

210. Per quanto riguarda il primo punto, la ricerca, confido nella capacità dei giovani stessi, che sanno trovare le vie attraenti per invitare. Sanno organizzare festival, competizioni sportive, e sanno anche evangelizzare nelle reti sociali con messaggi, canzoni, video e altri interventi. Dobbiamo soltanto stimolare i giovani e dare loro libertà di azione perché si entusiasmino alla missione negli ambienti giovanili. Il primo annuncio può risvegliare una profonda esperienza di fede durante un “ritiro di impatto”, in una conversazione al bar, in un momento di pausa nella facoltà, o attraverso una delle insondabili vie di Dio. Ma la cosa più importante è che ogni giovane trovi il coraggio di seminare il primo annuncio in quella terra fertile che è il cuore di un altro giovane.

211. In questa ricerca va privilegiato il linguaggio della vicinanza, il linguaggio dell’amore disinteressato, relazionale ed esistenziale che tocca il cuore, raggiunge la vita, risveglia speranza e desideri. Bisogna avvicinarsi ai giovani con la grammatica dell’amore, non con il proselitismo. Il linguaggio che i giovani comprendono è quello di coloro che danno la vita, che sono lì a causa loro e per loro, e di coloro che, nonostante i propri limiti e le proprie debolezze, si sforzano di vivere la fede in modo coerente. Allo stesso tempo, dobbiamo ancora ricercare con maggiore sensibilità come incarnare il kerygma nel linguaggio dei giovani d’oggi.

212. Per quanto riguarda la crescita, vorrei dare un avvertimento importante. In alcuni luoghi accade che, dopo aver provocato nei giovani un’intensa esperienza di Dio, un incontro con Gesù che ha toccato il loro cuore, vengono loro proposti incontri di “formazione” nei quali si affrontano solo questioni dottrinali e morali: sui mali del mondo di oggi, sulla Chiesa, sulla dottrina sociale, sulla castità, sul matrimonio, sul controllo delle nascite e su altri temi. Il risultato è che molti giovani si annoiano, perdono il fuoco dell’incontro con Cristo e la gioia di seguirlo, molti abbandonano il cammino e altri diventano tristi e negativi. Plachiamo l’ansia di trasmettere una gran quantità di contenuti dottrinali e, soprattutto, cerchiamo di suscitare e radicare le grandi esperienze che sostengono la vita cristiana. Come diceva Romano Guardini: «Nell’esperienza di un grande amore […] tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito».[112]

213. Qualsiasi progetto formativo, qualsiasi percorso di crescita per i giovani, deve certamente includere una formazione dottrinale e morale. È altrettanto importante che sia centrato su due assi principali: uno è l’approfondimento del kerygma, l’esperienza fondante dell’incontro con Dio attraverso Cristo morto e risorto. L’altro è la crescita nell’amore fraterno, nella vita comunitaria, nel servizio.

214. Ho insistito molto su questo in Evangelii gaudium e penso che sia opportuno ricordarlo. Da un lato, sarebbe un grave errore pensare che nella pastorale giovanile «il kerygma venga abbandonato a favore di una formazione che si presupporrebbe essere più “solida”. Non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio. Tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’approfondimento del kerygma che va facendosi carne sempre più e sempre meglio».[113] Pertanto, la pastorale giovanile dovrebbe sempre includere momenti che aiutino a rinnovare e ad approfondire l’esperienza personale dell’amore di Dio e di Gesù Cristo vivo. Lo farà attingendo a varie risorse: testimonianze, canti, momenti di adorazione, spazi di riflessione spirituale con la Sacra Scrittura, e anche con vari stimoli attraverso le reti sociali. Ma questa gioiosa esperienza di incontro con il Signore non deve mai essere sostituita da una sorta di “indottrinamento”.

215. D’altra parte, qualunque piano di pastorale giovanile deve chiaramente incorporare vari mezzi e risorse per aiutare i giovani a crescere nella fraternità, a vivere come fratelli, ad aiutarsi a vicenda, a fare comunità, a servire gli altri, ad essere vicini ai poveri. Se l’amore fraterno è il «comandamento nuovo» (Gv 13,34), se è la «pienezza della Legge» (Rm 13,10), se è ciò che meglio manifesta il nostro amore per Dio, allora deve occupare un posto rilevante in ogni piano di formazione e di crescita dei giovani.

Ambienti adeguati

216. In tutte le nostre istituzioni dobbiamo sviluppare e potenziare molto di più la nostra capacità di accoglienza cordiale, perché molti giovani che arrivano si trovano in una profonda situazione di orfanezza. E non mi riferisco a determinati conflitti familiari, ma ad un’esperienza che riguarda allo stesso modo bambini, giovani e adulti, madri, padri e figli. Per tanti orfani e orfane nostri contemporanei – forse per noi stessi – le comunità come la parrocchia e la scuola dovrebbero offrire percorsi di amore gratuito e promozione, di affermazione e crescita. Molti giovani oggi si sentono figli del fallimento, perché i sogni dei loro genitori e dei loro nonni sono bruciati sul rogo dell’ingiustizia, della violenza sociale, del “si salvi chi può”. Quanto sradicamento! Se i giovani sono cresciuti in un mondo di ceneri, non è facile per loro sostenere il fuoco di grandi desideri e progetti. Se sono cresciuti in un deserto vuoto di significato, come potranno aver voglia di sacrificarsi per seminare? L’esperienza di discontinuità, di sradicamento e la caduta delle certezze di base, favorita dall’odierna cultura mediatica, provocano quella sensazione di profonda orfanezza alla quale dobbiamo rispondere creando spazi fraterni e attraenti dove si viva con un senso.

217. Fare “casa” in definitiva «è fare famiglia; è imparare a sentirsi uniti agli altri al di là di vincoli utilitaristici o funzionali, uniti in modo da sentire la vita un po’ più umana. Creare casa è permettere che la profezia prenda corpo e renda le nostre ore e i nostri giorni meno inospitali, meno indifferenti e anonimi. È creare legami che si costruiscono con gesti semplici, quotidiani e che tutti possiamo compiere. Una casa, lo sappiamo tutti molto bene, ha bisogno della collaborazione di tutti. Nessuno può essere indifferente o estraneo, perché ognuno è una pietra necessaria alla sua costruzione. Questo implica il chiedere al Signore che ci dia la grazia di imparare ad aver pazienza, di imparare a perdonarci; imparare ogni giorno a ricominciare. E quante volte perdonare e ricominciare? Settanta volte sette, tutte quelle che sono necessarie. Creare relazioni forti esige la fiducia che si alimenta ogni giorno di pazienza e di perdono. E così si attua il miracolo di sperimentare che qui si nasce di nuovo; qui tutti nasciamo di nuovo perché sentiamo efficace la carezza di Dio che ci rende possibile sognare il mondo più umano e, perciò, più divino».[114]

218. In questo quadro, nelle nostre istituzioni dobbiamo offrire ai giovani luoghi appropriati, che essi possano gestire a loro piacimento e dove possano entrare e uscire liberamente, luoghi che li accolgano e dove possano recarsi spontaneamente e con fiducia per incontrare altri giovani sia nei momenti di sofferenza o di noia, sia quando desiderano festeggiare le loro gioie. Qualcosa del genere hanno realizzato alcuni oratori e altri centri giovanili, che in molti casi sono l’ambiente in cui i giovani vivono esperienze di amicizia e di innamoramento, dove si ritrovano, possono condividere musica, attività ricreative, sport, e anche la riflessione e la preghiera, con piccoli sussidi e diverse proposte. In questo modo si fa strada quell’indispensabile annuncio da persona a persona, che non può essere sostituito da nessuna risorsa o strategia pastorale.

219. «L’amicizia e il confronto, spesso anche in gruppi più o meno strutturati, offre l’opportunità di rafforzare competenze sociali e relazionali in un contesto in cui non si è valutati e giudicati. L’esperienza di gruppo costituisce anche una grande risorsa per la condivisione della fede e per l’aiuto reciproco nella testimonianza. I giovani sono capaci di guidare altri giovani e di vivere un vero apostolato in mezzo ai propri amici».[115]

220. Questo non significa che si isolino e perdano ogni contatto con le comunità parrocchiali, i movimenti e le altre istituzioni ecclesiali. Essi però si inseriranno meglio in comunità aperte, vive nella fede, desiderose di irradiare Gesù Cristo, gioiose, libere, fraterne e impegnate. Queste comunità possono essere i canali in cui loro sentono che è possibile coltivare relazioni preziose.

La pastorale delle istituzioni educative

221. La scuola è senza dubbio una piattaforma per avvicinarsi ai bambini e ai giovani. Essa è luogo privilegiato di promozione della persona, e per questo la comunità cristiana ha sempre avuto per essa grande attenzione, sia formando docenti e dirigenti, sia istituendo proprie scuole, di ogni genere e grado. In questo campo lo Spirito ha suscitato innumerevoli carismi e testimonianze di santità. Tuttavia, la scuola ha bisogno di una urgente autocritica, se si considerano i risultati della pastorale di molte istituzioni educative, una pastorale concentrata sull’istruzione religiosa che risulta spesso incapace di suscitare esperienze di fede durature. Inoltre, ci sono alcune scuole cattoliche che sembrano essere organizzate solo per conservare l’esistente. La fobia del cambiamento le rende incapaci di sopportare l’incertezza e le spinge a chiudersi di fronte ai pericoli, reali o immaginari, che ogni cambiamento porta con sé. La scuola trasformata in un “bunker” che protegge dagli errori “di fuori” è l’espressione caricaturale di questa tendenza. Questa immagine riflette in modo provocatorio ciò che sperimentano molti giovani al momento della loro uscita da alcuni istituti educativi: un’insormontabile discrepanza tra ciò che hanno loro insegnato e il mondo in cui si trovano a vivere. Anche le proposte religiose e morali che hanno ricevuto non li hanno preparati a confrontarle con un mondo che le ridicolizza, e non hanno imparato modi di pregare e di vivere la fede che possano essere facilmente sostenuti in mezzo al ritmo di questa società. In realtà, una delle gioie più grandi di un educatore consiste nel vedere un allievo che si costituisce come una persona forte, integrata, protagonista e capace di dare.

222. La scuola cattolica continua ad essere essenziale come spazio di evangelizzazione dei giovani. È importante tener conto di alcuni criteri ispiratori indicati nella Costituzione apostolica Veritatis gaudium in vista di un rinnovamento e rilancio delle scuole e delle università “in uscita” missionaria, quali: l’esperienza del kerygma, il dialogo a tutti i livelli, l’interdisciplinarietà e la transdisciplinarietà, la promozione della cultura dell’incontro, l’urgente necessità di “fare rete” e l’opzione per gli ultimi, per coloro che la società scarta e getta via.[116] E anche la capacità di integrare i saperi della testa, del cuore e delle mani.

223. D’altra parte, non possiamo separare la formazione spirituale dalla formazione culturale. La Chiesa ha sempre voluto sviluppare per i giovani spazi per la migliore cultura. Non deve rinunciarvi, perché i giovani ne hanno diritto. «Oggi specialmente, diritto alla cultura significa tutelare la sapienza, cioè un sapere umano e umanizzante. Troppo spesso si è condizionati da modelli di vita banali ed effimeri, che spingono a perseguire il successo a basso costo, screditando il sacrificio, inculcando l’idea che lo studio non serve se non dà subito qualcosa di concreto. No, lo studio serve a porsi domande, a non farsi anestetizzare dalla banalità, a cercare senso nella vita. È da rivendicare il diritto a non far prevalere le tante sirene che oggi distolgono da questa ricerca. Ulisse, per non cedere al canto delle sirene, che ammaliavano i marinai e li facevano sfracellare contro gli scogli, si legò all’albero della nave e turò gli orecchi dei compagni di viaggio. Invece Orfeo, per contrastare il canto delle sirene, fece qualcos’altro: intonò una melodia più bella, che incantò le sirene. Ecco il vostro grande compito: rispondere ai ritornelli paralizzanti del consumismo culturale con scelte dinamiche e forti, con la ricerca, la conoscenza e la condivisione».[117]

Diversi ambiti di sviluppo pastorale

224. Molti giovani sono capaci di imparare a gustare il silenzio e l’intimità con Dio. Sono aumentati anche i gruppi che si riuniscono per adorare il Santissimo Sacramento e per pregare con la Parola di Dio. Non bisogna sottovalutare i giovani come se fossero incapaci di aprirsi a proposte contemplative. Occorre solo trovare gli stili e le modalità appropriati per aiutarli a introdursi in questa esperienza di così alto valore. Per quanto riguarda gli ambiti del culto e della preghiera, «in diversi contesti i giovani cattolici chiedono proposte di preghiera e momenti sacramentali capaci di intercettare la loro vita quotidiana in una liturgia fresca, autentica e gioiosa».[118] È importante valorizzare i momenti più forti dell’anno liturgico, in particolare la Settimana Santa, la Pentecoste e il Natale. A loro piacciono molto anche altri incontri di festa, che spezzano la routine e aiutano a sperimentare la gioia della fede.

225. Un’opportunità privilegiata per la crescita e anche per l’apertura al dono divino della fede e della carità è il servizio: molti giovani si sentono attratti dalla possibilità di aiutare gli altri, specialmente i bambini e i poveri. Spesso questo servizio rappresenta il primo passo per scoprire o riscoprire la vita cristiana ed ecclesiale. Molti giovani si stancano dei nostri programmi di formazione dottrinale e anche spirituale, e a volte rivendicano la possibilità di essere più protagonisti in attività che facciano qualcosa per la gente.

226. Non possiamo dimenticare le espressioni artistiche, come il teatro, la pittura e altre. «Del tutto peculiare è l’importanza della musica, che rappresenta un vero e proprio ambiente in cui i giovani sono costantemente immersi, come pure una cultura e un linguaggio capaci di suscitare emozioni e di plasmare l’identità. Il linguaggio musicale rappresenta anche una risorsa pastorale, che interpella in particolare la liturgia e il suo rinnovamento».[119] Il canto può essere un grande stimolo per il percorso dei giovani. Diceva Sant’Agostino: «Canta, ma cammina; allevia con il canto il tuo lavoro, non amare la pigrizia: canta e cammina. […] Tu, se avanzi, cammini; però avanza nel bene, nella retta fede, nelle buone opere: canta e cammina».[120]

227. «Altrettanto significativo è il rilievo che tra i giovani assume la pratica sportiva, di cui la Chiesa non deve sottovalutare le potenzialità in chiave educativa e formativa, mantenendo una solida presenza al suo interno. Il mondo dello sport ha bisogno di essere aiutato a superare le ambiguità da cui è percorso, quali la mitizzazione dei campioni, l’asservimento a logiche commerciali e l’ideologia del successo a ogni costo».[121] Alla base dell’esperienza sportiva c’è «la gioia: la gioia di muoversi, la gioia di stare insieme, la gioia per la vita e per i doni che il Creatore ci fa ogni giorno».[122] D’altra parte, alcuni Padri della Chiesa hanno utilizzato l’esempio delle pratiche sportive per invitare i giovani a crescere in termini di forza e a padroneggiare la sonnolenza o la comodità. San Basilio Magno, rivolgendosi ai giovani, prendeva l’esempio dello sforzo richiesto dallo sport e così inculcava in loro la capacità di sacrificarsi per crescere nelle virtù: «Dopo essersi imposti mille e mille sacrifici per accrescere con tutti i mezzi la loro forza fisica, sudando nei faticosi esercizi della palestra, […] e, per farla breve, dopo aver fatto in modo che tutto il periodo che precede la grande prova non sia che una preparazione, […] danno fondo a tutte le loro risorse fisiche e psichiche, pur di guadagnare una corona […]. E noi che ci attendiamo, nell’altra vita, premi così straordinari che nessuna lingua può degnamente descrivere, pensiamo forse di poterli raggiungere passando la vita tra le mollezze e nell’inerzia?».[123]

228. In molti adolescenti e giovani suscita speciale attrazione il contatto con il creato e sono sensibili alla salvaguardia dell’ambiente, come nel caso degli scout e di altri gruppi che organizzano giornate in mezzo alla natura, campeggi, passeggiate, escursioni e campagne ambientaliste. Nello spirito di San Francesco d’Assisi, queste sono esperienze che possono tracciare un cammino per introdursi alla scuola della fraternità universale e alla preghiera contemplativa.

229. Queste e altre diverse possibilità che si aprono all’evangelizzazione dei giovani non devono farci dimenticare che, al di là dei cambiamenti della storia e della sensibilità dei giovani, ci sono doni di Dio che sono sempre attuali, che contengono una forza che trascende tutte le epoche e tutte le circostanze: la Parola del Signore sempre viva ed efficace, la presenza di Cristo nell’Eucaristia che ci nutre, il Sacramento del perdono che ci libera e ci fortifica. Possiamo anche menzionare l’inesauribile ricchezza spirituale che la Chiesa conserva nella testimonianza dei suoi santi e nell’insegnamento dei grandi maestri spirituali. Anche se dobbiamo rispettare le diverse fasi e a volte dobbiamo aspettare con pazienza il momento giusto, non possiamo non invitare i giovani a queste sorgenti di vita nuova, non abbiamo il diritto di privarli di tanto bene.

Una pastorale giovanile popolare

230. Oltre al consueto lavoro pastorale che realizzano le parrocchie e i movimenti, secondo determinati schemi, è molto importante dare spazio a una “pastorale giovanile popolare”, che ha un altro stile, altri tempi, un altro ritmo, un’altra metodologia. Consiste in una pastorale più ampia e flessibile che stimoli, nei diversi luoghi in cui si muovono concretamente i giovani, quelle guide naturali e quei carismi che lo Spirito Santo ha già seminato tra loro. Si tratta prima di tutto di non porre tanti ostacoli, norme, controlli e inquadramenti obbligatori a quei giovani credenti che sono leader naturali nei quartieri e nei diversi ambienti. Dobbiamo limitarci ad accompagnarli e stimolarli, confidando un po’ di più nella fantasia dello Spirito Santo che agisce come vuole.

231. Parliamo di leader realmente “popolari”, non elitari o chiusi in piccoli gruppi di eletti. Perché siano capaci di dar vita a una pastorale popolare nel mondo dei giovani, occorre che «imparino a percepire i sentimenti della gente, a farsi suoi portavoce e a lavorare per la sua promozione».[124] Quando parliamo di “popolo” non si deve intendere le strutture della società o della Chiesa, quanto piuttosto l’insieme di persone che non camminano come individui ma come il tessuto di una comunità di tutti e per tutti, che non può permettere che i più poveri e i più deboli rimangano indietro: «Il popolo vuole che tutti partecipino dei beni comuni e per questo accetta di adattarsi al passo degli ultimi per arrivare tutti insieme».[125] I leader popolari, quindi, sono coloro che hanno la capacità di coinvolgere tutti, includendo nel cammino giovanile i più poveri, deboli, limitati e feriti. Non provano disagio né sono spaventati dai giovani piagati e crocifissi.

232. In questa stessa linea, specialmente con i giovani che non sono cresciuti in famiglie o istituzioni cristiane, e sono in un cammino di lenta maturazione, dobbiamo stimolare il bene possibile.[126] Cristo ci ha avvertito di non pretendere che tutto sia solo grano (cfr Mt 13,24-30). A volte, per pretendere una pastorale giovanile asettica, pura, caratterizzata da idee astratte, lontana dal mondo e preservata da ogni macchia, riduciamo il Vangelo a una proposta insipida, incomprensibile, lontana, separata dalle culture giovanili e adatta solo ad un’élite giovanile cristiana che si sente diversa, ma che in realtà galleggia in un isolamento senza vita né fecondità. Così, insieme alla zizzania che rifiutiamo, sradichiamo o soffochiamo migliaia di germogli che cercano di crescere in mezzo ai limiti.

233. Invece di «soffocarli con un insieme di regole che danno del cristianesimo un’immagine riduttiva e moralistica, siamo chiamati a investire sulla loro audacia ed educarli ad assumersi le loro responsabilità, certi che anche l’errore, il fallimento e la crisi sono esperienze che possono rafforzare la loro umanità».[127]

234. Nel Sinodo si è esortato a costruire una pastorale giovanile capace di creare spazi inclusivi, dove ci sia posto per ogni tipo di giovani e dove si manifesti realmente che siamo una Chiesa con le porte aperte. E non è nemmeno necessario che uno accetti completamente tutti gli insegnamenti della Chiesa per poter partecipare ad alcuni dei nostri spazi dedicati ai giovani. Basta un atteggiamento aperto verso tutti quelli che hanno il desiderio e la disponibilità a lasciarsi incontrare dalla verità rivelata da Dio. Alcune proposte pastorali possono richiedere di aver già percorso un certo cammino di fede, ma abbiamo bisogno di una pastorale giovanile popolare che apra le porte e dia spazio a tutti e a ciascuno con i loro dubbi, traumi, problemi e la loro ricerca di identità, con i loro errori, storie, esperienze del peccato e tutte le loro difficoltà.

235. Deve esserci spazio anche per «tutti quelli che hanno altre visioni della vita, professano altre fedi o si dichiarano estranei all’orizzonte religioso. Tutti i giovani, nessuno escluso, sono nel cuore di Dio e quindi anche nel cuore della Chiesa. Riconosciamo però francamente che non sempre questa affermazione che risuona sulle nostre labbra trova reale espressione nella nostra azione pastorale: spesso restiamo chiusi nei nostri ambienti, dove la loro voce non arriva, o ci dedichiamo ad attività meno esigenti e più gratificanti, soffocando quella sana inquietudine pastorale che ci fa uscire dalle nostre presunte sicurezze. Eppure il Vangelo ci chiede di osare e vogliamo farlo senza presunzione e senza fare proselitismo, testimoniando l’amore del Signore e tendendo la mano a tutti i giovani del mondo».[128]

236. La pastorale giovanile, quando smette di essere elitaria e accetta di essere “popolare”, è un processo lento, rispettoso, paziente, fiducioso, instancabile, compassionevole. Nel Sinodo è stato proposto l’esempio dei discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35), che può essere anche modello di quanto avviene nella pastorale giovanile.

237. «Gesù cammina con i due discepoli che non hanno compreso il senso della sua vicenda e si stanno allontanando da Gerusalemme e dalla comunità. Per stare in loro compagnia, percorre la strada con loro. Li interroga e si mette in paziente ascolto della loro versione dei fatti per aiutarli a riconoscere quanto stanno vivendo. Poi, con affetto ed energia, annuncia loro la Parola, conducendoli a interpretare alla luce delle Scritture gli eventi che hanno vissuto. Accetta l’invito a fermarsi presso di loro al calar della sera: entra nella loro notte. Nell’ascolto il loro cuore si riscalda e la loro mente si illumina, nella frazione del pane i loro occhi si aprono. Sono loro stessi a scegliere di riprendere senza indugio il cammino in direzione opposta, per ritornare alla comunità, condividendo l’esperienza dell’incontro con il Risorto».[129]

238. Le diverse manifestazioni della pietà popolare, specialmente i pellegrinaggi, attirano giovani che non si inseriscono facilmente nelle strutture ecclesiali, e sono un’espressione concreta della fiducia in Dio. Queste forme di ricerca di Dio, presenti particolarmente nei giovani più poveri, ma anche negli altri settori della società, non devono essere disprezzate, ma incoraggiate e stimolate. Perché la pietà popolare «è un modo legittimo di vivere la fede»[130] ed è «espressione dell’azione missionaria spontanea del popolo di Dio».[131]

Sempre missionari

239. Voglio ricordare che non è necessario fare un lungo percorso perché i giovani diventino missionari. Anche i più deboli, limitati e feriti possono esserlo a modo loro, perché bisogna sempre permettere che il bene venga comunicato, anche se coesiste con molte fragilità. Un giovane che va in pellegrinaggio per chiedere aiuto alla Madonna e invita un amico o un compagno ad accompagnarlo, con questo semplice gesto sta compiendo una preziosa azione missionaria. Insieme alla pastorale giovanile popolare è presente, inseparabilmente, una missione popolare, incontrollabile, che rompe tutti gli schemi ecclesiastici. Accompagniamola, incoraggiamola, ma non pretendiamo di regolarla troppo.

240. Se sappiamo ascoltare quello che ci sta dicendo lo Spirito, non possiamo ignorare che la pastorale giovanile dev’essere sempre una pastorale missionaria. I giovani si arricchiscono molto quando superano la timidezza e trovano il coraggio di andare a visitare le case, e in questo modo entrano in contatto con la vita delle persone, imparano a guardare al di là della propria famiglia e del proprio gruppo, cominciano a capire la vita in una prospettiva più ampia. Nello stesso tempo, la loro fede e il loro senso di appartenenza alla Chiesa si rafforzano. Le missioni giovanili, che di solito vengono organizzate durante i periodi di vacanza dopo un periodo di preparazione, possono suscitare un rinnovamento dell’esperienza di fede e anche seri approcci vocazionali.

241. I giovani, però, sono capaci di creare nuove forme di missione, negli ambiti più diversi. Per esempio, dal momento che si muovono così bene nelle reti sociali, bisogna coinvolgerli perché le riempiano di Dio, di fraternità, di impegno.

L’accompagnamento da parte degli adulti

242. I giovani hanno bisogno di essere rispettati nella loro libertà, ma hanno bisogno anche di essere accompagnati. La famiglia dovrebbe essere il primo spazio di accompagnamento. La pastorale giovanile propone un progetto di vita basato su Cristo: la costruzione di una casa, di una famiglia costruita sulla roccia (cfr Mt 7,24-25). Quella famiglia, quel progetto, per la maggior parte di loro si concretizzerà nel matrimonio e nella carità coniugale. Per questo è necessario che la pastorale giovanile e la pastorale familiare stiano in una continuità naturale, operando in modo coordinato e integrato per poter accompagnare adeguatamente il processo vocazionale.

243. La comunità svolge un ruolo molto importante nell’accompagnamento dei giovani, ed è la comunità intera che deve sentirsi responsabile di accoglierli, motivarli, incoraggiarli e stimolarli. Ciò implica che i giovani siano guardati con comprensione, stima e affetto, e che non li si giudichi continuamente o si esiga da loro una perfezione che non corrisponde alla loro età.

244. Nel Sinodo «molti hanno rilevato la carenza di persone esperte e dedicate all’accompagnamento. Credere al valore teologico e pastorale dell’ascolto implica un ripensamento per rinnovare le forme con cui ordinariamente il ministero presbiterale si esprime e una verifica delle sue priorità. Inoltre il Sinodo riconosce la necessità di preparare consacrati e laici, uomini e donne, che siano qualificati per l’accompagnamento dei giovani. Il carisma dell’ascolto che lo Spirito Santo fa sorgere nelle comunità potrebbe anche ricevere una forma di riconoscimento istituzionale per il servizio ecclesiale».[132]

245. Inoltre, bisogna accompagnare specialmente i giovani che si presentano come potenziali leader, in modo che possano formarsi e prepararsi. I giovani che si sono riuniti prima del Sinodo hanno chiesto che si sviluppino «nuovi programmi di leadership per la formazione e lo sviluppo continuo di giovani guide. Alcune giovani donne percepiscono una mancanza di figure di riferimento femminili all’interno della Chiesa, alla quale anch’esse desiderano donare i loro talenti intellettuali e professionali. Riteniamo inoltre che seminaristi e religiosi dovrebbero essere ancor più capaci di accompagnare i giovani che ricoprono tali ruoli di responsabilità».[133]

246. I giovani stessi ci hanno descritto quali sono le caratteristiche che sperano di trovare in chi li accompagna, e lo hanno espresso molto chiaramente: «Un simile accompagnatore dovrebbe possedere alcune qualità: essere un cristiano fedele impegnato nella Chiesa e nel mondo; essere in continua ricerca della santità; essere un confidente che non giudica; ascoltare attivamente i bisogni dei giovani e dare risposte adeguate; essere pieno d’amore e di consapevolezza di sé; riconoscere i propri limiti ed essere esperto delle gioie e dei dolori della vita spirituale. Una qualità di primaria importanza negli accompagnatori è il riconoscimento della propria umanità, ovvero che sono esseri umani e che quindi sbagliano: non persone perfette, ma peccatori perdonati. A volte gli accompagnatori vengono messi su un piedistallo, e la loro caduta può avere effetti devastanti sulla capacità dei giovani di continuare ad impegnarsi nella Chiesa. Gli accompagnatori non dovrebbero guidare i giovani come se questi fossero seguaci passivi, ma camminare al loro fianco, consentendo loro di essere partecipanti attivi del cammino. Dovrebbero rispettare la libertà che fa parte del processo di discernimento di un giovane, fornendo gli strumenti per compierlo al meglio. Un accompagnatore dovrebbe essere profondamente convinto della capacità di un giovane di prendere parte alla vita della Chiesa. Un accompagnatore dovrebbe coltivare i semi della fede nei giovani, senza aspettarsi di vedere immediatamente i frutti dell’opera dello Spirito Santo. Il ruolo di accompagnatore non è e non può essere riservato solo a sacerdoti e a persone consacrate, ma anche i laici dovrebbero essere messi in condizione di ricoprirlo. Tutti gli accompagnatori dovrebbero ricevere una solida formazione di base e impegnarsi nella formazione permanente».[134]

247. Senza dubbio le istituzioni educative della Chiesa sono un ambiente comunitario di accompagnamento che permette di orientare molti giovani, soprattutto quando «cercano di accogliere tutti i giovani, indipendentemente dalle loro scelte religiose, provenienza culturale e situazione personale, familiare o sociale. In questo modo la Chiesa dà un apporto fondamentale all’educazione integrale dei giovani nelle più diverse parti del mondo».[135] Ridurrebbero indebitamente la loro funzione se stabilissero criteri rigidi per l’ammissione degli studenti o per la loro permanenza, perché priverebbero molti giovani di un accompagnamento che li aiuterebbe ad arricchire la loro vita.

CAPITOLO OTTAVO

La vocazione

248. La parola “vocazione” può essere intesa in senso ampio, come chiamata di Dio. Comprende la chiamata alla vita, la chiamata all’amicizia con Lui, la chiamata alla santità, e così via. Questo ha un grande valore, perché colloca tutta la nostra vita di fronte a quel Dio che ci ama e ci permette di capire che nulla è frutto di un caos senza senso, ma al contrario tutto può essere inserito in un cammino di risposta al Signore, che ha un progetto stupendo per noi.

249. Nell’Esortazione Gaudete et exsultate ho voluto soffermarmi sulla vocazione di tutti a crescere per la gloria di Dio, e mi sono proposto di «far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità, cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità».[136] Il Concilio Vaticano II ci ha aiutato a rinnovare la consapevolezza di questa chiamata rivolta ad ognuno: «Tutti i fedeli d’ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità, la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste».[137]

La chiamata all’amicizia con Lui

250. La cosa fondamentale è discernere e scoprire che ciò che vuole Gesù da ogni giovane è prima di tutto la sua amicizia. Questo è il discernimento fondamentale. Nel dialogo del Signore risorto con il suo amico Simon Pietro, la grande domanda era: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?» (Gv 21,16). In altre parole: mi vuoi come amico? La missione che Pietro riceve di prendersi cura delle sue pecore e degli agnelli sarà sempre in relazione a questo amore gratuito, a questo amore di amicizia.

251. E, se fosse necessario un esempio nel senso contrario, ricordiamo l’incontro-scontro tra il Signore e il giovane ricco, che ci dice chiaramente come ciò che quel giovane non aveva colto era lo sguardo amorevole del Signore (cfr Mc 10,21). Se ne andò rattristato, dopo aver seguito una buona ispirazione, perché non era riuscito a staccarsi dalle molte cose che possedeva (cfr Mt 19,22). Perse l’occasione di quella che sicuramente avrebbe potuto essere una grande amicizia. E noi rimaniamo senza sapere che cosa avrebbe potuto essere per noi, che cosa avrebbe potuto fare per l’umanità quel giovane unico che Gesù aveva guardato con amore e al quale aveva teso la mano.

252. Perché «la vita che Gesù ci dona è una storia d’amore, una storia di vita che desidera mescolarsi con la nostra e mettere radici nella terra di ognuno. Quella vita non è una salvezza appesa “nella nuvola” in attesa di venire scaricata, né una nuova “applicazione” da scoprire o un esercizio mentale frutto di tecniche di crescita personale. Neppure la vita che Dio ci offre è un tutorial con cui apprendere l’ultima novità. La salvezza che Dio ci dona è un invito a far parte di una storia d’amore che si intreccia con le nostre storie; che vive e vuole nascere tra noi perché possiamo dare frutto lì dove siamo, come siamo e con chi siamo. Lì viene il Signore a piantare e a piantarsi».[138]

Il tuo essere per gli altri

253. Vorrei ora soffermarmi sulla vocazione intesa nel senso specifico della chiamata al servizio missionario verso gli altri. Siamo chiamati dal Signore a partecipare alla sua opera creatrice, offrendo il nostro contributo al bene comune sulla base delle capacità che abbiamo ricevuto.

254. Questa vocazione missionaria riguarda il nostro servizio agli altri. Perché la nostra vita sulla terra raggiunge la sua pienezza quando si trasforma in offerta. Ricordo che «la missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo».[139] Di conseguenza, dobbiamo pensare che ogni pastorale è vocazionale, ogni formazione è vocazionale e ogni spiritualità è vocazionale.

255. La tua vocazione non consiste solo nelle attività che devi fare, anche se si esprime in esse. È qualcosa di più, è un percorso che orienterà molti sforzi e molte azioni verso una direzione di servizio. Per questo, nel discernimento di una vocazione è importante vedere se uno riconosce in se stesso le capacità necessarie per quel servizio specifico alla società.

256. Questo dà un valore molto grande a tali compiti, perché essi smettono di essere una somma di azioni che si compiono per guadagnare denaro, per essere occupati o per compiacere gli altri. Tutto questo costituisce una vocazione perché siamo chiamati, c’è qualcosa di più di una mera scelta pragmatica da parte nostra. In definitiva, si tratta di riconoscere per che cosa sono fatto, per che cosa passo da questa terra, qual è il piano del Signore per la mia vita. Egli non mi indicherà tutti i luoghi, i tempi e i dettagli, che io sceglierò con prudenza, ma certamente ci sarà un orientamento della mia vita che Egli deve indicarmi perché è il mio Creatore, il mio vasaio, e io ho bisogno di ascoltare la sua voce per lasciarmi plasmare e portare da Lui. Allora sarò ciò che devo essere e sarò anche fedele alla mia realtà personale.

257. Per realizzare la propria vocazione è necessario sviluppare, far germogliare e coltivare tutto ciò che si è. Non si tratta di inventarsi, di creare sé stessi dal nulla, ma di scoprirsi alla luce di Dio e far fiorire il proprio essere: «Nel disegno di Dio, ogni uomo è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione».[140] La tua vocazione ti orienta a tirare fuori il meglio di te stesso per la gloria di Dio e per il bene degli altri. Non si tratta solo di fare delle cose, ma di farle con un significato, con un orientamento. A questo proposito, Sant’Alberto Hurtado diceva ai giovani che devono prendere molto sul serio la rotta: «In una nave, il pilota negligente viene licenziato in tronco, perché quello che ha in mano è troppo sacro. E nella vita, noi stiamo attenti alla nostra rotta? Qual è la tua rotta? Se fosse necessario soffermarsi un po’ di più su questa idea, chiedo a ciascuno di voi di attribuirle la massima importanza, perché riuscire in questo equivale semplicemente ad avere successo; fallire in questo equivale semplicemente a fallire».[141]

258. Questo “essere per gli altri” nella vita di ogni giovane è normalmente collegato a due questioni fondamentali: la formazione di una nuova famiglia e il lavoro. I diversi sondaggi effettuati tra i giovani confermano ancora una volta che questi sono i due grandi temi per cui nutrono desideri e preoccupazioni. Entrambi devono essere oggetto di uno speciale discernimento. Soffermiamoci brevemente su di essi.

L’amore e la famiglia

259. I giovani sentono fortemente la chiamata all’amore e sognano di incontrare la persona giusta con cui formare una famiglia e costruire una vita insieme. Senza dubbio è una vocazione che Dio stesso propone attraverso i sentimenti, i desideri, i sogni. Su questo tema mi sono soffermato a lungo nell’Esortazione Amoris laetitia e invito tutti i giovani a leggere in particolare i capitoli 4 e 5.

260. Mi piace pensare che «due cristiani che si sposano hanno riconosciuto nella loro storia di amore la chiamata del Signore, la vocazione a formare di due, maschio e femmina, una sola carne, una sola vita. E il Sacramento del matrimonio avvolge questo amore con la grazia di Dio, lo radica in Dio stesso. Con questo dono, con la certezza di questa chiamata, si può partire sicuri, non si ha paura di nulla, si può affrontare tutto, insieme!».[142]

261. In questo contesto, ricordo che Dio ci ha creati sessuati. Egli stesso «ha creato la sessualità, che è un regalo meraviglioso per le sue creature».[143] All’interno della vocazione al matrimonio, dobbiamo riconoscere ed essere grati per il fatto che «la sessualità, il sesso, è un dono di Dio. Niente tabù. È un dono di Dio, un dono che il Signore ci dà. Ha due scopi: amarsi e generare vita. È una passione, è l’amore appassionato. Il vero amore è appassionato. L’amore fra un uomo e una donna, quando è appassionato, ti porta a dare la vita per sempre. Sempre. E a darla con il corpo e l’anima».[144]

262. Il Sinodo ha sottolineato che «la famiglia continua a rappresentare il principale punto di riferimento per i giovani. I figli apprezzano l’amore e la cura da parte dei genitori, hanno a cuore i legami familiari e sperano di riuscire a formare a loro volta una famiglia. Indubbiamente l’aumento di separazioni, divorzi, seconde unioni e famiglie monoparentali può causare nei giovani grandi sofferenze e crisi d’identità. Talora devono farsi carico di responsabilità che non sono proporzionate alla loro età e li costringono a divenire adulti prima del tempo. I nonni offrono spesso un contributo decisivo nell’affetto e nell’educazione religiosa: con la loro saggezza sono un anello decisivo nel rapporto tra le generazioni».[145]

263. Queste difficoltà incontrate nella famiglia di origine portano certamente molti giovani a chiedersi se vale la pena formare una nuova famiglia, essere fedeli, essere generosi. Voglio dirvi di sì, che vale la pena scommettere sulla famiglia e che in essa troverete gli stimoli migliori per maturare e le gioie più belle da condividere. Non lasciate che vi rubino la possibilità di amare sul serio. Non fatevi ingannare da coloro che propongono una vita di sregolatezza individualistica che finisce per portare all’isolamento e alla peggiore solitudine.

264. Oggi regna una cultura del provvisorio che è un’illusione. Credere che nulla può essere definitivo è un inganno e una menzogna. Molte volte «c’è chi dice che oggi il matrimonio è “fuori moda”. […] Nella cultura del provvisorio, del relativo, molti predicano che l’importante è “godere” il momento, che non vale la pena di impegnarsi per tutta la vita, di fare scelte definitive. […] Io, invece, vi chiedo di essere rivoluzionari, vi chiedo di andare controcorrente; sì, in questo vi chiedo di ribellarvi a questa cultura del provvisorio, che, in fondo, crede che voi non siate in grado di assumervi responsabilità, crede che voi non siate capaci di amare veramente».[146] Io invece ho fiducia in voi, per questo vi incoraggio a scegliere il matrimonio.

265. Al matrimonio bisogna prepararsi, e questo richiede di educare sé stessi, di sviluppare le migliori virtù, specialmente l’amore, la pazienza, la capacità di dialogo e di servizio. Implica anche educare la propria sessualità, in modo che sia sempre meno uno strumento per usare gli altri e sempre più una capacità di donarsi pienamente a una persona in modo esclusivo e generoso.

266. I Vescovi della Colombia ci hanno insegnato che «Cristo sa che gli sposi non sono perfetti e che hanno bisogno di superare la loro debolezza e incostanza perché il loro amore possa crescere e durare nel tempo. Per questo, concede ai coniugi la sua grazia che è, allo stesso tempo, luce e forza che permette loro di realizzare il loro progetto di vita matrimoniale in conformità con il piano di Dio».[147]

267. Per coloro che non sono chiamati al matrimonio o alla vita consacrata, occorre ricordare sempre che la prima e più importante vocazione è la vocazione battesimale. Le persone non sposate, anche non per scelta, possono diventare in modo particolare testimoni di tale vocazione nel loro cammino di crescita personale.

Il lavoro

268. I Vescovi degli Stati Uniti d’America hanno rilevato con chiarezza che la gioventù, una volta raggiunta la maggior età, «segna spesso l’ingresso di una persona nel mondo del lavoro. “Cosa fai per vivere?” è un argomento costante di conversazione, perché il lavoro è una parte molto importante della loro vita. Per i giovani adulti, questa esperienza è molto fluida perché passano da un lavoro all’altro e anche da una carriera all’altra. Il lavoro può definire l’uso del tempo e può determinare cosa possono fare o acquistare. Può anche determinare la qualità e la quantità del tempo libero. Il lavoro definisce e influenza l’identità e il concetto di sé di un giovane adulto ed è un luogo fondamentale dove si sviluppano le amicizie e altre relazioni, perché di solito non si lavora da soli. I giovani, uomini e donne, parlano del lavoro come adempimento di una funzione e come qualcosa che fornisce un significato. Permette ai giovani adulti di soddisfare le loro necessità pratiche, nonché – cosa ancora più importante – di cercare il senso e la realizzazione dei loro sogni e delle loro visioni. Anche se il lavoro potrebbe non aiutarli a realizzare i loro sogni, è importante per i giovani-adulti coltivare una visione, imparare a lavorare in un modo veramente personale e soddisfacente per la loro vita, e continuare a discernere la chiamata di Dio».[148]

269. Invito i giovani a non aspettarsi di vivere senza lavorare, dipendendo dall’aiuto degli altri. Questo non va bene, perché «il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale. In questo senso, aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze».[149] Ne consegue che «la spiritualità cristiana, insieme con lo stupore contemplativo per le creature che troviamo in san Francesco d’Assisi, ha sviluppato anche una ricca e sana comprensione del lavoro, come possiamo riscontrare, per esempio, nella vita del beato Charles de Foucauld e dei suoi discepoli».[150]

270. Il Sinodo ha sottolineato che il mondo del lavoro è un ambito in cui i giovani «sperimentano forme di esclusione ed emarginazione. La prima e più grave è la disoccupazione giovanile, che in alcuni Paesi raggiunge livelli esorbitanti. Oltre a renderli poveri, la mancanza di lavoro recide nei giovani la capacità di sognare e di sperare e li priva della possibilità di dare un contributo allo sviluppo della società. In molti Paesi questa situazione dipende dal fatto che alcune fasce di popolazione giovanile sono sprovviste di adeguate capacità professionali, anche a causa dei deficit del sistema educativo e formativo. Spesso la precarietà occupazionale che affligge i giovani risponde agli interessi economici che sfruttano il lavoro».[151]

271. È una questione molto delicata che la politica deve considerare come una problematica prioritaria, in particolare oggi che la velocità degli sviluppi tecnologici, insieme all’ossessione per la riduzione del costo del lavoro, può portare rapidamente a sostituire innumerevoli posti di lavoro con macchinari. Si tratta di una questione fondamentale della società, perché il lavoro per un giovane non è semplicemente un’attività finalizzata a produrre un reddito. È un’espressione della dignità umana, è un cammino di maturazione e di inserimento sociale, è uno stimolo costante a crescere in termini di responsabilità e di creatività, è una protezione contro la tendenza all’individualismo e alla comodità, ed è anche dar gloria a Dio attraverso lo sviluppo delle proprie capacità.

272. Non sempre un giovane ha la possibilità di decidere a che cosa dedicare i suoi sforzi, per quali compiti spendere le sue energie e la sua capacità di innovazione. Perché, al di là dei propri desideri e molto al di là delle proprie capacità e del discernimento che una persona può maturare, ci sono i duri limiti della realtà. È vero che non puoi vivere senza lavorare e che a volte dovrai accettare quello che trovi, ma non rinunciare mai ai tuoi sogni, non seppellire mai definitivamente una vocazione, non darti mai per vinto. Continua sempre a cercare, come minimo, modalità parziali o imperfette di vivere ciò che nel tuo discernimento riconosci come un’autentica vocazione.

273. Quando uno scopre che Dio lo chiama a qualcosa, che è fatto per questo – può essere l’infermieristica, la falegnameria, la comunicazione, l’ingegneria, l’insegnamento, l’arte o qualsiasi altro lavoro – allora sarà capace di far sbocciare le sue migliori capacità di sacrificio, generosità e dedizione. Sapere che non si fanno le cose tanto per farle, ma con un significato, come risposta a una chiamata che risuona nel più profondo del proprio essere per dare qualcosa agli altri, fa sì che queste attività offrano al proprio cuore un’esperienza speciale di pienezza. Questo è ciò che diceva l’antico libro biblico del Qoèlet: «Mi sono accorto che nulla c’è di meglio per l’uomo che godere delle sue opere» (3,22).

Vocazioni a una consacrazione speciale

274. Se partiamo dalla convinzione che lo Spirito continua a suscitare vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa, possiamo “gettare di nuovo le reti” nel nome del Signore, con piena fiducia. Possiamo – e dobbiamo – avere il coraggio di dire ad ogni giovane di interrogarsi sulla possibilità di seguire questa strada.

275. Alcune volte ho fatto questa proposta a dei giovani, che mi hanno risposto quasi in tono beffardo dicendo: «No, veramente io non vado in quella direzione». Tuttavia, anni dopo alcuni di loro erano in Seminario. Il Signore non può venir meno alla sua promessa di non lasciare la Chiesa priva dei pastori, senza i quali non potrebbe vivere né svolgere la sua missione. E se alcuni sacerdoti non danno una buona testimonianza, non per questo il Signore smetterà di chiamare. Al contrario, Egli raddoppia la posta, perché non cessa di prendersi cura della sua amata Chiesa.

276. Nel discernimento di una vocazione non si deve escludere la possibilità di consacrarsi a Dio nel sacerdozio, nella vita religiosa o in altre forme di consacrazione. Perché escluderlo? Abbi la certezza che, se riconosci una chiamata di Dio e la segui, ciò sarà la cosa che darà pienezza alla tua vita.

277. Gesù cammina in mezzo a noi come faceva in Galilea. Passa per le nostre strade, si ferma e ci guarda negli occhi, senza fretta. La sua chiamata è attraente, è affascinante. Oggi, però, l’ansia e la velocità di tanti stimoli che ci bombardano fanno sì che non ci sia spazio per quel silenzio interiore in cui si percepisce lo sguardo di Gesù e si ascolta la sua chiamata. Nel frattempo, riceverai molte proposte ben confezionate, che si presentano belle e intense, ma con il tempo ti lasceranno svuotato, stanco e solo. Non lasciare che questo ti accada, perché il turbine di questo mondo ti trascina in una corsa senza senso, senza orientamento, senza obiettivi chiari, e così molti tuoi sforzi andranno sprecati. Cerca piuttosto quegli spazi di calma e di silenzio che ti permettano di riflettere, di pregare, di guardare meglio il mondo che ti circonda, e a quel punto, insieme a Gesù, potrai riconoscere quale è la tua vocazione in questa terra.

CAPITOLO NONO

Il discernimento

278. Sul discernimento in generale, mi sono già soffermato nell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate. Permettetemi di riprendere alcune di quelle riflessioni applicandole al discernimento della propria vocazione nel mondo.

279. Ricordo che tutti, ma «specialmente i giovani, sono esposti a uno zapping costante. È possibile navigare su due o tre schermi simultaneamente e interagire nello stesso tempo in diversi scenari virtuali. Senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento».[152] E «questo risulta particolarmente importante quando compare una novità nella propria vita, e dunque bisogna discernere se sia il vino nuovo che viene da Dio o una novità ingannatrice dello spirito del mondo o dello spirito del diavolo».[153]

280. Questo discernimento, «anche se include la ragione e la prudenza, le supera, perché si tratta di intravedere il mistero del progetto unico e irripetibile che Dio ha per ciascuno. […] È in gioco il senso della mia vita davanti al Padre che mi conosce e mi ama, quello vero, per il quale io possa dare la mia esistenza, e che nessuno conosce meglio di Lui».[154]

281. È in questo quadro che si colloca la formazione della coscienza, che permette che il discernimento cresca in termini di profondità e di fedeltà a Dio: «Formare la coscienza è il cammino di tutta la vita in cui si impara a nutrire gli stessi sentimenti di Gesù Cristo assumendo i criteri delle sue scelte e le intenzioni del suo agire (cfr Fil 2,5)».[155]

282. Questa formazione implica il lasciarsi trasformare da Cristo e allo stesso tempo «una pratica abituale del bene, verificata nell’esame della coscienza: un esercizio in cui non si tratta solo di identificare i peccati, ma anche di riconoscere l’opera di Dio nella propria esperienza quotidiana, nelle vicende della storia e delle culture in cui si è inseriti, nella testimonianza di tanti altri uomini e donne che ci hanno preceduto o ci accompagnano con la loro saggezza. Tutto ciò aiuta a crescere nella virtù della prudenza, articolando l’orientamento globale dell’esistenza con le scelte concrete, nella serena consapevolezza dei propri doni e dei propri limiti».[156]

Come discernere la tua vocazione

283. Un’espressione del discernimento è l’impegno per riconoscere la propria vocazione. È un compito che richiede spazi di solitudine e di silenzio, perché si tratta di una decisione molto personale che nessun altro può prendere al nostro posto: «Anche se il Signore ci parla in modi assai diversi durante il nostro lavoro, attraverso gli altri e in ogni momento, non è possibile prescindere dal silenzio della preghiera prolungata per percepire meglio quel linguaggio, per interpretare il significato reale delle ispirazioni che pensiamo di aver ricevuto, per calmare le ansie e ricomporre l’insieme della propria esistenza alla luce di Dio».[157]

284. Questo silenzio non è una forma di isolamento, perché «occorre ricordare che il discernimento orante richiede di partire da una disposizione ad ascoltare: il Signore, gli altri, la realtà stessa che sempre ci interpella in nuovi modi. Solamente chi è disposto ad ascoltare ha la libertà di rinunciare al proprio punto di vista parziale e insufficiente. […] Così è realmente disponibile ad accogliere una chiamata che rompe le sue sicurezze ma che lo porta a una vita migliore, perché non basta che tutto vada bene, che tutto sia tranquillo. Può essere che Dio ci stia offrendo qualcosa di più, e nella nostra pigra distrazione non lo riconosciamo».[158]

285. Quando si tratta di discernere la propria vocazione, è necessario porsi varie domande. Non si deve iniziare chiedendosi dove si potrebbe guadagnare di più, o dove si potrebbe ottenere più fama e prestigio sociale, ma non si dovrebbe nemmeno cominciare chiedendosi quali compiti ci darebbero più piacere. Per non sbagliarsi, occorre cambiare prospettiva e chiedersi: io conosco me stesso, al di là delle apparenze e delle mie sensazioni? So che cosa dà gioia al mio cuore e che cosa lo intristisce? Quali sono i miei punti di forza e i miei punti deboli? Seguono immediatamente altre domande: come posso servire meglio ed essere più utile al mondo e alla Chiesa? Qual è il mio posto su questa terra? Cosa potrei offrire io alla società? Ne seguono altre molto realistiche: ho le capacità necessarie per prestare quel servizio? Oppure, potrei acquisirle e svilupparle?

286. Queste domande devono essere poste non tanto in relazione a sé stessi e alle proprie inclinazioni, ma piuttosto in relazione agli altri, nei loro confronti, in modo tale che il discernimento imposti la propria vita in riferimento agli altri. Per questo voglio ricordare qual è la grande domanda: «Tante volte, nella vita, perdiamo tempo a domandarci: “Ma chi sono io?”. Tu puoi domandarti chi sei tu e fare tutta una vita cercando chi sei tu. Ma domandati: “Per chi sono io?”».[159] Tu sei per Dio, senza dubbio. Ma Lui ha voluto che tu sia anche per gli altri, e ha posto in te molte qualità, inclinazioni, doni e carismi che non sono per te, ma per gli altri.

La chiamata dell’Amico

287. Per discernere la propria vocazione, bisogna riconoscere che essa è la chiamata di un amico: Gesù. Agli amici, quando si fa un regalo, si regala il meglio. E questo non è necessariamente la cosa più costosa o difficile da procurare, ma quella che sappiamo darà gioia all’altro. Un amico ha una percezione così chiara di questo, che può visualizzare nella sua immaginazione il sorriso dell’amico mentre apre il suo regalo. Questo discernimento di amicizia è quello che propongo ai giovani come modello se vogliono capire qual è la volontà di Dio per la loro vita.

288. Voglio che sappiate che quando il Signore pensa ad ognuno, a quello che vorrebbe regalargli, pensa a lui come un suo amico personale. E se ha deciso di regalarti una grazia, un carisma che ti farà vivere la tua vita in pienezza e ti trasformerà in una persona utile per gli altri, in qualcuno che lasci un’impronta nella storia, sarà sicuramente qualcosa che ti renderà felice nel più intimo e ti entusiasmerà più di ogni altra cosa in questo mondo. Non perché quello che sta per darti sia un carisma straordinario o raro, ma perché sarà giusto su misura per te, su misura di tutta la tua vita.

289. Il regalo della vocazione sarà senza dubbio un regalo esigente. I regali di Dio sono interattivi e per goderli bisogna mettersi molto in gioco, bisogna rischiare. Tuttavia, non sarà l’esigenza di un dovere imposto da un altro dall’esterno, ma qualcosa che ti stimolerà a crescere e a fare delle scelte perché questo regalo maturi e diventi un dono per gli altri. Quando il Signore suscita una vocazione, pensa non solo a quello che sei, ma a tutto ciò che, insieme a Lui e agli altri, potrai diventare.

290. La potenza della vita e la forza della propria personalità si alimentano a vicenda all’interno di ogni giovane e lo spingono ad andare oltre ogni limite. L’inesperienza permette che questo scorra, anche se ben presto si trasforma in esperienza, tante volte dolorosa. È importante mettere in contatto questo desiderio dell’«infinito di quando non si è ancora provato a iniziare»[160] con l’amicizia incondizionata che Gesù ci offre. Prima di ogni legge e di ogni dovere, quello che Gesù ci propone di scegliere è un seguire, come quello degli amici che si seguono, si cercano e si trovano per pura amicizia. Tutto il resto viene dopo, e persino i fallimenti della vita potranno essere un’inestimabile esperienza di questa amicizia che non si rompe mai.

Ascolto e accompagnamento

291. Ci sono sacerdoti, religiosi, religiose, laici, professionisti e anche giovani qualificati che possono accompagnare i giovani nel loro discernimento vocazionale. Quando ci capita di aiutare un altro a discernere la strada della sua vita, la prima cosa è ascoltare. Questo ascolto presuppone tre sensibilità o attenzioni distinte e complementari.

292. La prima sensibilità o attenzione è alla persona. Si tratta di ascoltare l’altro che ci sta dando sé stesso nelle sue parole. Il segno di questo ascolto è il tempo che dedico all’altro. Non è una questione di quantità, ma che l’altro senta che il mio tempo è suo: il tempo di cui ha bisogno per esprimermi ciò che vuole. Deve sentire che lo ascolto incondizionatamente, senza offendermi, senza scandalizzarmi, senza irritarmi, senza stancarmi. Questo ascolto è quello che il Signore esercita quando si mette a camminare accanto ai discepoli di Emmaus e li accompagna per un bel pezzo lungo una strada che andava in direzione opposta a quella giusta (cfr Lc 24,13-35). Quando Gesù fa come se dovesse proseguire perché quei due sono arrivati a casa, allora capiscono che aveva donato loro il suo tempo, e a quel punto gli regalano il proprio, offrendogli ospitalità. Questo ascolto attento e disinteressato indica il valore che l’altra persona ha per noi, al di là delle sue idee e delle sue scelte di vita.

293. La seconda sensibilità o attenzione consiste nel discernere. Si tratta di cogliere il punto giusto in cui si discerne la grazia dalla tentazione. Perché a volte le cose che attraversano la nostra immaginazione sono solo tentazioni che ci allontanano dalla nostra vera strada. Qui devo domandarmi che cosa mi sta dicendo esattamente quella persona, che cosa mi vuole dire, che cosa desidera che io capisca di ciò che le sta succedendo. Sono domande che aiutano a capire come si agganciano fra loro gli argomenti che muovono l’altro e a sentire il peso e il ritmo dei suoi affetti influenzati da questa logica. Questo ascolto è volto a discernere le parole salvifiche dello Spirito buono, che ci propone la verità del Signore, ma anche le trappole dello spirito cattivo, i suoi inganni e le sue seduzioni. Bisogna avere il coraggio, l’affetto e la delicatezza necessari per aiutare l’altro a riconoscere la verità e gli inganni o i pretesti.

294. La terza sensibilità o attenzione consiste nell’ascoltare gli impulsi che l’altro sperimenta “in avanti”. È l’ascolto profondo di “dove vuole andare veramente l’altro”. Al di là di ciò che sente e pensa nel presente e di ciò che ha fatto nel passato, l’attenzione è rivolta a ciò che vorrebbe essere. A volte questo richiede che la persona non guardi tanto ciò che le piace, i suoi desideri superficiali, ma ciò che è più gradito al Signore, il suo progetto per la propria vita che si esprime in un’inclinazione del cuore, al di là della scorza dei gusti e dei sentimenti. Questo ascolto è attenzione all’intenzione ultima, che è quella che alla fine decide la vita, perché esiste Qualcuno come Gesù che comprende e apprezza questa intenzione ultima del cuore. Per questo Egli è sempre pronto ad aiutare ognuno a riconoscerla, e per questo gli basta che qualcuno gli dica: «Signore, salvami! Abbi misericordia di me!».

295. Solo allora il discernimento diventa uno strumento di impegno forte per seguire meglio il Signore.[161] In questo modo, il desiderio di riconoscere la propria vocazione acquista un’intensità suprema, una qualità differente e un livello superiore, che risponde molto meglio alla dignità della propria vita. Perché, in ultima analisi, un buon discernimento è un cammino di libertà che porta alla luce quella realtà unica di ogni persona, quella realtà che è così sua, così personale, che solo Dio la conosce. Gli altri non possono né comprendere pienamente né prevedere dall’esterno come si svilupperà.

296. Perciò, quando uno ascolta l’altro in questo modo, a un certo punto deve scomparire per lasciare che segua la strada che ha scoperto. Scomparire come scompare il Signore dalla vista dei suoi discepoli, lasciandoli soli con l’ardore del cuore, che si trasforma in impulso irresistibile a mettersi in cammino (cfr Lc 24,31-33). Al loro ritorno nella comunità, i discepoli di Emmaus riceveranno la conferma che il Signore è veramente risorto (cfr Lc 24,34).

297. Poiché «il tempo è superiore allo spazio»,[162] dobbiamo suscitare e accompagnare processi, non imporre percorsi. E si tratta di processi di persone che sono sempre uniche e libere. Per questo è difficile costruire ricettari, anche quando tutti i segni sono positivi, perché «si tratta di sottoporre gli stessi fattori positivi ad attento discernimento, perché non si isolino l’uno dall’altro e non vengano in contrasto tra loro, assolutizzandosi e combattendosi a vicenda. Altrettanto si dica dei fattori negativi: non sono da respingere in blocco e senza distinzioni, perché in ciascuno di essi può nascondersi un qualche valore, che attende di essere liberato e ricondotto alla sua verità piena».[163]

298. Ma per accompagnare gli altri in questo cammino, è necessario anzitutto che tu sia ben esercitato a percorrerlo in prima persona. Maria lo ha fatto, affrontando le proprie domande e le proprie difficoltà quando era molto giovane. Possa ella rinnovare la tua giovinezza con la forza della sua preghiera e accompagnarti sempre con la sua presenza di Madre.

* * *

E per concludere… un desiderio

299. Cari giovani, sarò felice nel vedervi correre più velocemente di chi è lento e timoroso. Correte «attratti da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente. Lo Spirito Santo vi spinga in questa corsa in avanti. La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Ne abbiamo bisogno! E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci».[164]

Loreto, presso il Santuario della Santa Casa, 25 marzo, Solennità dell’Annunciazione del Signore, dell’anno 2019, settimo del pontificato

FRANCESCO

[1] La stessa parola greca che significa “nuovo” viene usata per esprimere “giovane”.

[2] Confessioni, X, 27: PL 32, 795.

[3] Sant’Ireneo, Contro le eresie, II, 22, 4: PG 7, 784.

[4] Documento Finale della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 60. D’ora in poi questo documento verrà citato con la sigla DF. Lo si può trovare in http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20181027_doc-final-instrumentum-xvassemblea-giovani_it.html

[5] Catechismo della Chiesa Cattolica, 515.

[6] Ibid., 517.

[7] Catechesi (27 giugno 1990), 2-3: Insegnamenti 13, 1 (1990), 1680-1681.

[8] Esort. ap. postsin. Amoris laetitia (19 marzo 2016), 182: AAS 108 (2016), 384.

[9] DF 63.

[10] Messaggio all’umanità: Ai giovani (8 dicembre 1965): AAS 58 (1966), 18.

[11] Ibid.

[12] DF 1

[13] Ibid, 8.

[14] Ibid., 50.

[15] Ibid., 53.

[16] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 8.

[17] DF 150.

[18] Discorso nella Veglia con i giovani alla XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù a Panama (26 gennaio 2019): L’Osservatore Romano, 28-29 gennaio 2019, 6.

[19] Preghiera al termine della Via Crucis della XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù a Panama (25 gennaio 2019): L’Osservatore Romano, 27 gennaio 2019, 12.

[20] DF 65.

[21] Ibid., 167.

[22] S. Giovanni Paolo II, Discorso ai giovani a Torino (13 aprile 1980), 4: Insegnamenti 3, 1 (1980), 905.

[23] Benedetto XVI, Messaggio per la XXVII Giornata Mondiale della Gioventù (15 marzo 2012): AAS 104 (2012), 359.

[24] DF 8.

[25] Ibid.

[26] Ibid., 10.

[27] Ibid., 11.

[28] Ibid., 12.

[29] Ibid., 41.

[30] Ibid., 42.

[31] Discorso ai giovani a Manila (18 gennaio 2015): L’Osservatore Romano, 19-20 gennaio 2015, 7.

[32] DF 34.

[33] Documento della Riunione pre-sinodale in preparazione alla XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (24 marzo 2018), I, 1.

[34] DF 39.

[35] Ibid., 37.

[36] Cfr Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 106: AAS 107 (2015), 889-890.

[37] DF 37.

[38] Ibid., 67.

[39] Ibid., 21.

[40] Ibid., 22.

[41] Ibid., 23.

[42] Ibid., 24.

[43] Documento della Riunione pre-sinodale in preparazione alla XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (24 marzo 2018), I, 4.

[44] DF 25.

[45] Ibid.

[46] Ibid., 26.

[47] Ibid., 27.

[48] Ibid., 28.

[49] Ibid., 29.

[50] Discorso al termine dell’Incontro su “La protezione dei minori nella Chiesa” (24 febbraio 2019): L’Osservatore Romano, 25-26 febbraio 2019, 10.

[51] DF 29.

[52] Lettera al Popolo di Dio (20 agosto 2018), 2: L’Osservatore Romano, 20-21 agosto 2018, 7.

[53] DF 30.

[54] Discorso alla I Congregazione generale della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (3 ottobre 2018): L’Osservatore Romano, 5 ottobre 2018, 8.

[55] DF 31.

[56] Ibid.

[57] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 1.

[58] DF 31.

[59] Ibid., 31.

[60] Discorso al termine dell’Incontro su “La protezione dei minori nella Chiesa” (24 febbraio 2019): L’Osservatore Romano, 25-26 febbraio 2019, 11.

[61] Francisco Luis Bernárdez, “Soneto”, in Cielo de tierra, Buenos Aires, 1937.

[62] Esort. ap. Gaudete et exsultate (19 marzo 2018), 140.

[63] Omelia nella Messa della XXXI Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia (31 luglio 2016): AAS 108 (2016), 923.

[64] Discorso nella cerimonia di apertura della XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù a Panama (24 gennaio 2019): L’Osservatore Romano, 26 gennaio 2019, 12.

[65] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 1: AAS 105 (2013), 1019.

[66] Ibid., 3: 1020.

[67] Discorso nella Veglia della XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù a Panama (26 gennaio 2019): L’Osservatore Romano, 28-29 gennaio 2019, 6.

[68] Discorso nell’incontro con i giovani durante il Sinodo (6 ottobre 2018): L’Osservatore Romano, 8-9 ottobre 2018, 7.

[69] Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 1: AAS 98 (2006), 217.

[70] Pedro Arrupe, Enamórate.

[71] S. Paolo VI, Discorso per la beatificazione di Nunzio Sulprizio (1 dicembre 1963): AAS 56 (1964), 28.

[72] DF 65.

[73] Omelia nella Messa con i giovani a Sydney (2 dicembre 1970): AAS 63 (1971), 64.

[74] Confessioni, I, 1, 1: PL 32, 661.

[75] Dio è giovane. Una conversazione con Thomas Leoncini, Milano 2018, 16.

[76] DF 68.

[77] Discorso ai giovani a Cagliari (22 settembre 2013): AAS 105 (2013), 904-905.

[78] Cinque pani e due pesci. Dalla sofferenza del carcere una gioiosa testimonianza di fede, Milano 2014, 20.

[79] Conferenza Episcopale Svizzera, Prendre le temps: pour toi, pour moi, pour nous, 2 febbraio 2018.

[80] Cfr San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae II-II, q. 23, art. 1.

[81] Discorso ai volontari della XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù a Panama (27 gennaio 2019): L’Osservatore Romano, 28-29 gennaio 2019, 11.

[82] S. Oscar A. Romero, Omelia (6 novembre 1977): Su pensamiento, I-II, San Salvador 2000, 312.

[83] Discorso alla cerimonia di apertura della XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù a Panama (24 gennaio 2019): L’Osservatore Romano, 26 gennaio 2019, 12.

[84] Cfr Incontro con i giovani nel Santuario Nazionale di Maipú, Santiago del Cile (17 gennaio 2018): L’Osservatore Romano, 19 gennaio 2018, 7.

[85] Cfr Romano Guardini, Le età della vita: Opera omnia IV/ 1, Brescia 2015, 209.

[86] Esort. ap. Gaudete et exsultate (19 marzo 2018), 11.

[87] Cantico Spirituale B, Prologo, 2.

[88] Ibid., XIV-XV, 2.

[89] Conferenza Episcopale del Ruanda, Lettera dei Vescovi cattolici ai fedeli durante l’anno speciale della riconciliazione in Ruanda, Kigali (18 gennaio 2018), 17.

[90] Saluto ai giovani del Centro Culturale Padre Félix Varela all’Avana (20 settembre 2015): L’Osservatore Romano, 21-22 settembre 2015, 6.

[91] DF 46.

[92] Discorso nella Veglia della XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro (27 luglio 2013): AAS 105 (2013), 663.

[93] Ustedes son la luz del mundo, Discurso en el Cerro San Cristóbal, Chile, 1940: https://www.padrealbertohurtado.cl/escritos-2/.

[94] Omelia nella Messa della XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro (28 luglio 2013): AAS 105 (2013), 665.

[95] Conferenza Episcopale Cattolica di Corea, Lettera pastorale in occasione del 150° anniversario del martirio durante la persecuzione Byeong-in (30 marzo 2016).

[96] Cfr Omelia nella Messa per la XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù a Panama (27 gennaio 2019): L’Osservatore Romano, 28-29 gennaio 2019, 12.

[97] Preghiera “Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace”, ispirata a S. Francesco d’Assisi.

[98] Discorso nella Veglia della XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù a Panama (26 gennaio 2019): L’Osservatore Romano, 28-29 gennaio 2019, 6.

[99] DF 14.

[100] Cfr Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 145: AAS 107 (2015), 906.

[101] Video-messaggio per l’Incontro mondiale dei giovani indigeni a Panama (17-21 gennaio 2019): L’Osservatore Romano, 19 gennaio 2019, 8.

[102] DF 35.

[103] Cfr Lettera ai giovani, I, 2: PG 31, 565.

[104] Cfr La saggezza del tempo. In dialogo con Papa Francesco sulle grandi questioni della vita. A cura di Antonio Spadaro, Venezia 2018.

[105] Ibid, 12.

[106] Ibid, 13.

[107] Ibid.

[108] Ibid.

[109] Ibid., 162-163.

[110] Eduardo Pironio, Messaggio ai giovani argentini nell’incontro nazionale giovanile a Cordoba (12-15 settembre 1985), 2.

[111] DF 123.

[112] L’essenza del cristianesimo, Brescia 1984, 12.

[113] N. 165: AAS 105 (2013), 1089.

[114] Discorso nella visita alla Casa del Buon Samaritano a Panama, (27 gennaio 2019): L’Osservatore Romano, 28-29 gennaio 2019, 10.

[115] DF 36.

[116] Cfr Cost. ap. Veritatis gaudium (8 dicembre 2017), 4: AAS 110 (2018), 7-8.

[117] Discorso nell’incontro con gli studenti e il mondo accademico in Piazza San Domenico a Bologna (1 ottobre 2017): AAS 109 (2017), 1115.

[118] DF 51.

[119] Ibid. 47.

[120] Sermo 256, 3: PL 38, 1193.

[121] DF 47.

[122] Discorso a una delegazione di “Special Olympics International” (16 febbraio 2017): L’Osservatore Romano, 17 febbraio 2017, 8.

[123] Lettera ai giovani, VIII, 11-12: PG 31, 580.

[124] Conferenza Episcopale Argentina, Declaración de San Miguel, Buenos Aires, 1969, X, 1.

[125] Rafael Tello, La nueva evangelización, Tomo II (Anexos I y II), Buenos Aires, 2013, 111.

[126] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 44-45: AAS 105 (2013), 1038-1039.

[127] DF 70.

[128] Ibid., 117.

[129] Ibid., 4.

[130] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 124: AAS 105 (2013), 1072.

[131] Ibid., 122: 1071.

[132] DF 9.

[133] Documento della Riunione pre-sinodale in preparazione alla XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (24 marzo 2018), 12.

[134] Ibid., 10.

[135] DF 15.

[136] N. 2.

[137] Cost. dogm. Lumen gentium, 11.

[138] Discorso nella Veglia con i giovani alla XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù a Panama (26 gennaio 2019): L’Osservatore Romano, 28-29 gennaio 2019, 6.

[139] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 273: AAS 105 (2013), 1130.

[140] S. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio (26 marzo 1967), 15: AAS 59 (1967), 265.

[141] Meditación de Semana Santa para jóvenes, scritta a bordo di una nave da carico, di ritorno dagli Stati Uniti, 1946: https://www.padrealbertohurtado.cl/escritos-2/.

[142] Incontro con i giovani dell’Umbria ad Assisi (4 ottobre 2013): AAS 105 (2013), 921.

[143] Esort. ap. postsin. Amoris laetitia (19 marzo 2016), 150: AAS 108 (2016), 369.

[144] Udienza ai giovani della diocesi di Grenoble-Vienne, Francia (17 settembre 2018): L’Osservatore Romano, 19 settembre 2018, 8.

[145] DF 32.

[146] Incontro con i volontari della XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro (28 luglio 2013): Insegnamenti, 1, 2 (2013), 125.

[147] Conferenza Episcopale della Colombia, Mensaje Cristiano sobre el matrimonio (14 maggio 1981).

[148] Conferenza episcopale degli stati uniti, Sons and Daughters of Light: A Pastoral Plan for Ministry with Young Adults, 12 novembre 1996, I, 3.

[149] Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 128: AAS 107 (2015), 898.

[150] Ibid., 125: 897.

[151] DF 40.

[152] Esort. ap. Gaudete et exsultate (19 marzo 2018), 167.

[153] Ibid., 168.

[154] Ibid., 170.

[155] DF 108.

[156] Ibid.

[157] Esort. ap. Gaudete et exsultate (19 marzo 2018), 171.

[158] Ibid., 172.

[159] Discorso nella Veglia di preghiera in preparazione alla XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù, Basilica di S. Maria Maggiore, (8 aprile 2017): AAS 109 (2017), 447.

[160] Romano Guardini, Le età della vita: Opera omnia IV/ 1, Brescia 2015, 209.

[161] Cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate (19 marzo 2018), 169.

[162] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 222: AAS 105 (2013), 1111.

[163] S. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsin. Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 10: AAS 84 (1992), 672.

[164] Incontro e preghiera con i giovani italiani al Circo Massimo a Roma (11 agosto 2018): L’Osservatore Romano, 13-14 agosto 2018, 6.

Cosa succederà oggi nella sessione plenaria del Parlamento europeo

Il “Recesso del Regno Unito dall’Unione europea” sarà il tema con cui si aprirà la sessione plenaria del Parlamento europeo, a Bruxelles oggi, che tornerà a occuparsi del Brexit alla luce dell’ennesimo rifiuto di Westminster dell’accordo proposto dal governo May.

Subito dopo sarà il premier svedese Stefan Löfven a presentare la propria visione sul futuro dell’Europa. È il 19° confronto tra i capi di Stato o di governo dell’Ue e gli eurodeputati che avviene in Parlamento.

Fra gli altri temi in agenda: le misure per conciliare lavoro e vita familiare, compresi dieci giorni lavorativi di congedo di paternità (discussione e votazione 4 aprile); una nuova legislazione sul mercato del gas europeo “per garantire che le stesse regole si applichino sia ai gasdotti all’interno dell’Ue sia a quelli che entrano nell’Ue da Paesi non Ue”; la riforma per la sicurezza delle infrastrutture stradali; una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul prodotto pensionistico individuale paneuropeo e le relazioni commerciali Ue-Cina, in vista del 21° vertice Ue-Cina, che si terrà il 9 aprile.

Le votazioni in fine mattinata il 4 aprile concluderanno i lavori della plenaria.

L’ Agricoltura Italiana: Possiamo Farcela?

Articolo già pubblicato sulle pagine di http://www.fidaf.it a firma di Lodovico Fiano

Il Rapporto della Commissione UE 2018-2030 presenta le prospettive a medio termine dell’Agricoltura Europea. Le proiezioni dell’Esecutivo Comunitario derivano da un esame dei fondamentali di mercato, quali soprattutto la produzione, il consumo, il livello delle scorte, gli indirizzi alimentari e sulla base di una Unione Europea a 28 membri. Infatti, non sono considerati gli effetti della Brexit: effetti del resto che, allo stato attuale dei negoziati, sono del tutto imponderabili ed imprevedibili.

Tale esame dovrebbe costituire lo strumento essenziale per la programmazione produttiva in ciascuna area e conseguentemente puntuale riferimento per innestare un idoneo percorso di consolidamento competitivo. In effetti, purtroppo, si tende invece a porre le conclusioni degli analisti sul piano di una visione globale del tutto futuribile, se non distopica se si considera il lungo termine, disattendendo di fatto ogni previsione tecnologica.

La verifica europea si traduce in una proiezione del livello dei prezzi per specifico comparto e, a differenza delle prospettive agricole OCSE-FAO 2018-2027 recentemente pubblicate e limitate ad individuare il livello dei prevedibili prezzi mondiali, puntualizza il raffronto tra i prezzi mondiali e quelli del mercato interno comunitario. Manca, però, una organica valutazione dell’incidenza di una PAC radicalmente ristrutturata soprattutto a partire dagli anni 2000.

Lo stesso richiamo agli accordi commerciali della UE trascura la considerazione che tali accordi sono essenzialmente focalizzati alla riduzione, se non eliminazione, delle barriere tariffarie e non tariffarie senza un’accurata verifica dell’impatto derivante da incompatibilità economico-sociali di alcune aree ed in assenza di un confronto sistemico degli indirizzi di politica economica dei paesi interessati…

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La conclusione dell’indagine Mueller

Il 23 marzo 2019 l’esito dell’indagine Mueller diviene noto con la consegna del rapporto al ministro della Giustizia Barr e con l’indicazione, da parte di Mueller, che nel rapporto non vi sono incriminazioni. Le conclusioni dell’indagine Mueller, che due giorni dopo il ministro Barr comunica al Congresso e dunque al pubblico, sono le seguenti: non vi è stata alcuna “collusione” tra Trump o persone a lui vicine e agenti russi; non vi è stata “ostruzione della giustizia” da parte di Trump; non un solo collaboratore o familiare, e addirittura non un solo cittadino americano, è incriminato per collusione o contatti illeciti con agenti russi. L’esito dell’indagine Mueller si aggiunge a quelli della Commissione Intelligence del Senato e della Camera (quando a capo di quest’ultima vi era David Nunes, cioè prima che il controllo passasse ai Democratici): niente collusione, niente ostruzione. Per due anni dal maggio 2017, quando a un’indagine dell’FBI già in corso da oltre sei mesi e al relativo polverone mediatico si aggiunse l’incarico affidato a Mueller dal viceministro della Giustizia Rosenstein, la nazione americana e il presidente sono rimasti sotto attacco dall’interno del paese, in quello che è stato uno dei maggiori scandali politici della storia americana e il più invadente tentativo, nella storia, di rovesciare il risultato di un’elezione presidenziale.

 

Non vi è mai stata alcuna giustificazione per accusare Trump di “collusione” con i russi. Non vi è mai stato alcun indizio di una “ostruzione della giustizia”, poiché il licenziamento del direttore dell’FBI Comey fu una scelta dovuta, alla luce di quanto di Comey si è saputo in seguito, e poiché il non consentire, da parte di Trump, a farsi intervistare da Mueller fu una scelta necessaria dei suoi avvocati per evitare la trappola di ulteriori accuse. La nomina di Mueller e la sua indagine appartengono a un colpo di stato. Lo scopo era di costruire accuse, usando il metodo sovietico di fabbricare un crimine per distruggere un avversario. Il complotto ha avvelenato la vita politica americana dal gennaio 2017 in poi. I due anni di indagine Mueller, costati circa 30 milioni di dollari, dopo aver trascinato 42 persone davanti a procuratori faziosi, dopo 2800 interviste sotto giuramento, dopo 13 viaggi di gruppo all’estero in cerca di un crimine, hanno avuto il risultato di far condannare Paul Manafort per reati fiscali commessi nel 2006, di accusare Roger Stone di aver detto bugie al Congresso, di ricattare Mike Flynn per attività di lobby del figlio, e di altre accuse minori senza rapporto con Trump né con la Russia. Inoltre, nel momento in cui la conclusione dell’indagine Mueller diviene pubblica, si deve ricordare che, anche se vi fossero state accuse al presidente o altre incriminazioni, si sarebbe trattato soltanto del parere dell’accusa, cioè del procuratore delegato, e non di una giuria: per arrivare a un giudizio, sarebbe stato necessario ascoltare il parere della difesa. Si deve anche ricordare che la squadra di Mueller non era imparziale, perché composta da 17 avvocati tutti vicini ai Democratici (e in qualche caso finanziatori della campagna di Hillary) e da un procuratore, Weissmann, noto per far condannare persone innocenti. Tanto più risalto, dunque, deve avere il totale esonero di Trump.

 

Fin dal primo momento la nomina e l’indagine di Mueller, con la disinformazione che le hanno circondate, sono state un abuso di potere. L’autonomia dei procedimenti giudiziari, il potere dell’FBI e quello delle agenzie di intelligence, il cui scopo è di proteggere il paese, furono usati contro persone vicine a Trump e contro Trump stesso. Ora, nonostante il sollievo recato, senza dubbio, dalla fine dell’indagine-truffa, il rapporto Mueller non è la vittoria finale della giustizia. Non è arrivato il Settimo Cavalleria a salvare i buoni. Perché vittoria vi sia, i responsabili devono pagare. Chi ha concepito la frode, chi l’ha messa in atto e chi l’ha installata nelle menti del pubblico, deve finire in galera: questo è quanto chiedono le voci migliori in America.

 

Per due anni Mueller ha coperto, con gli estesi poteri conferitigli dal suo ruolo, azioni persecutorie. Egli non ha smentito i rapporti disonesti su quanto accadeva. La persecuzione di Mike Flynn è una grave macchia. I tentativi di estorcere dichiarazioni da Manafort, Stone, Corsi, benché non illegali, sono ingiustificabili. Gli effetti politici di freno sull’azione del governo Trump sono stati un sopruso. Mueller non va lodato per aver detto il vero, alla fine, riguardo alla mai esistita collusione. Mueller ha aspettato almeno un anno a dire ciò che sapeva, forse, da sempre. Ha rimandato l’esito del rapporto a dopo le elezioni di midterm, e in questo modo ne ha influenzato il risultato. Le conclusioni dell’indagine Mueller non cancellano ciò che è accaduto. É stato merito di Trump resistere alle pressioni. É stata una sua scelta alla fine vincente di non fermare l’indagine e non limitarla, come avrebbe potuto. Trump non ha nemmeno messo condizioni all’FBI o al DoJ, che hanno operato contro di lui; non ha licenziato Rosenstein; ha atteso 18 mesi prima di nominare un nuovo ministro della Giustizia; i suoi avvocati hanno consegnato tutti i documenti richiesti. Trump non ha “ostruito”. Quanto alla sua azione di governo, i condizionamenti, a causa della fobia antirussa che ha accompagnato l’indagine-truffa, purtroppo vi sono stati, ma erano inevitabili.  

 

L’indagine Mueller non è stata il trionfo della giustizia americana, bensì la sua  malattia, il cedimento alla politica. Non può essere lodata un’indagine in cui il primo inquisitore era Andrew Weissmann (definito da chi lo conosce bene “un mascalzone legale”), il quale cercò di imporre a Jerome Corsi una falsa versione dei fatti, tanto che Corsi aprì nei suoi confronti una causa giudiziaria, tuttora in corso. Alcune settimane prima della consegna del rapporto Mueller, Weissmann si è dileguato dalla scena pubblica; sappiamo che insegna alla New York University. Nelle conclusioni che il ministro Barr ha reso pubbliche, il giudizio su chi ha gestito l’indagine rimane implicito. Non vi è tutto in quelle conclusioni. Non vi è una denuncia dell’abuso che fu in sé la nomina di Mueller, che non avrebbe mai dovuto avvenire. Non vi è il ruolo svolto da Rosenstein, che nominò Mueller (in accordo con Comey) e consentì che l’indagine si allargasse al di là dell’incarico ricevuto. Negli ultimi mesi del 2018 Rosenstein cambiò linea, incontrò Trump e divenne cauto. Nel febbraio 2019 egli intendeva congedarsi dal DoJ e fu costretto a rimanere da Barr, il quale accortamente voleva che Rosenstein sottoscrivesse con lui, come un mese dopo avvenne, le conclusioni ricavate dal rapporto Mueller, in questo modo rendendo il verdetto non contestato da chi aveva iniziato l’indagine. Infine, nelle conclusioni rese pubbliche da Barr, non vi è in modo esplicito, e non poteva esservi, il ruolo svolto dal governo Obama.

 

In realtà tutte le strade del complotto iniziano dalla Casa Bianca di Obama. Negli anni precedenti, il governo Obama aveva usato l’Agenzia delle Entrate (IRS) per discriminare con penalità fiscali i gruppi del Tea Party. Davanti al pericolo che Trump rappresentava per il potere globalista e per lo stato profondo, il governo Obama ha usato i vertici del DoJ, dell’FBI e della CIA per delegittimare la vittoria di Trump e bloccarne l’azione di governo. Quanta responsabilità personale di Obama vi sia, non lo sappiamo; ma è molto probabile che essa vi sia. A cominciare da Brennan, che ha tenuto le fila della cospirazione servendosi come copertura del suo mantello di ex direttore della CIA; che si è recato di persona a Londra per concordare con agenti stranieri la produzione del falso dossier poi esibito al tribunale FISA; che dagli schermi TV per due anni ha lanciato accuse esplicite a un presidente eletto: tutto ciò non sarebbe stato possibile se Obama non avesse saputo. Un incontro come quello del 5 gennaio 2017 alla Casa Bianca tra Susan Rice, consigliere di Obama, e i direttori dell’FBI e dell’intelligence, in cui si concordò (secondo quanto scrive la Rice in una mail del 20 gennaio) la linea da chiedere ai media nei confronti del governo Trump, in quel momento prossimo a insediarsi, non sarebbe stato possibile se Obama non avesse saputo. L’ideologia ha consentito a Obama di recare un grave danno alla nazione, oltre che alla reputazione del DoJ, dell’FBI e dei vertici dell’intelligence, cioè di agenzie in cui il paese deve avere fiducia.

 

Già con i ministri Holder e Lynch, e con la nomina di decine di giudici di parte, Obama aveva politicizzato la Giustizia. Nei tre anni dopo il 2017, oltre 15 alti funzionari del DoJ e dell’FBI sono stati dequalificati o licenziati, con forti sospetti di corruzione a fini politici. Le interviste pubbliche nel febbraio 2019 dell’ex vicedirettore dell’FBI McCabe, che è accusato di falsa testimonianza in Congresso, hanno confermato che il processo di sovversione nei confronti di Trump era un obiettivo articolato: alla rete CBS (nel programma 60 Minutes) McCabe ha riferito che lui e Rosenstein a inizio estate 2017 fecero “il conto” di quanti funzionari nel governo potessero aderire nel “dichiarare il presidente incapace di eseguire i doveri del suo ufficio”, e quindi aprire una procedura di impeachment. McCabe lo ha affermato impunemente, anzi si è vantato. Vi sono state diverse testimonianze di questa entità, a confermare che ciò a cui abbiamo assistito per tre anni è stata una cospirazione, un tentato colpo di stato e un occultamento di illeciti. La guerra a Trump è stata costruita e articolata fin dal momento in cui la minaccia Trump si è delineata.

 

I responsabili della tossica cospirazione devono pagare. Vi dev’essere una resa dei conti: per i politici, per i funzionari che hanno usato l’FBI e il DoJ per costruire il complotto, per i giornalisti che hanno mentito. Le poche benché autorevoli voci che in America per due anni hanno denunciato il complotto, dopo il rapporto Mueller dicono: coloro che hanno agito in nome della legge, mentre in reltà attuavano un grave abuso di potere, devono essere sottoposti a processo penale. I conduttori TV che dalla CNN, o dalla MSNBC, o altro, hanno diffuso con bieca invadenza notizie infondate, divenendo i portavoce della cospirazione, devono pagare (anziché giovarsi della falsa assoluzione pronunciata dal presidente della CNN Jeff Zucker: “Non siamo investigatori”). Dopo il rapporto Mueller, gli ottimisti dicono che il processo penale vi sarà e che sarà Barr a iniziarlo. Dicono anche che il pubblico punirà i media. Ma per quanto riguarda la richiesta che i responsabili rispondano alla giustizia a seguito di un’indagine penale, tale esito è ostacolato dal controllo Democratico delle Commissioni Intelligence e Giustizia della Camera, le quali anzi rilanciano indagini non giustificate a danno di Trump e dei suoi sostenitori. Chi dirige quelle Commissioni dovrebbe essere destituito. Per esempio, Schiff non può rimanere a capo della Commissione Intelligence: egli ha mentito in Congresso e ai media affermando di avere prove della collusione; ha fatto pervenire distorte fughe di notizie ai media riguardo a indagini non autorizzate; ha incontrato più volte il direttore della ditta Fusion GPS, che fu pagata per costruire dossier di accuse false. Schiff, persona ripugnante (“shifty Schiff”, lo chiamano: il subdolo Schiff), non può restare al suo posto, se tra i leader Democratici è rimasto qualche decoro e se i Repubblicani sono in grado di agire. Stessa cosa per il turpe Nadler, che presiede la Commissione Giustizia.

 

Per quanto riguarda l’impero dei media dire che, per le vicende legate all’indagine Mueller, la copertura di grandi quotidiani un tempo stimati, come il Washington Post o il New York Times, è stata vergognosa, è ancora riduttivo. Come la CNN o la NBC, essi hanno alimentato una cronaca fuorviante che ha diviso il paese e ne ha danneggiato il governo. Per oltre due anni centinaia di articoli di giornale e di programmi TV hanno propagato falsità che avevano come obiettivo l’impeachment di un presidente, con affermazioni quotidiane di “notizie-bomba”, di “svolte decisive”, di “muri che si chiudono” intorno a Trump; dunque di un impeachment imminente. Eppure, anche dopo il rapporto Mueller, la proprietà e gli azionisti di grandi corporations come AT&T, che controlla la CNN, o Comcast, che controlla la NBC, tacciono, non impongono conseguenze per quanto è accaduto sulle loro reti. Senza la complicità dei media, l’abuso di potere che ha generato l’indagine Mueller non sarebbe stato possibile. Da questo punto di vista si tratta del maggiore scandalo della storia americana. Il suo titolo non è Russiagate, bensì Mediagate. Una certa confusione dei più diffusi media americani davanti al rapporto Mueller si riflette nei media italiani, con gli indecorosi titoli il 23 marzo 2019 del Corriere della Sera: “Russiagate, Trump trema” e di Repubblica: “Russiagate, resa dei conti per Trump”, prima di cancellare l’argomento dalle loro cronache. In America la falsa narrativa sulla “collusione” non scompare né dai media né dalla politica. I danni che essa reca alle relazioni con la Russia vengono trascurati, benché ciò riduca la possibilità che il Cremlino lavori insieme agli USA su temi di comune e vitale interesse strategico.

 

La rabbia psicotica di conduttori TV e di politici Democratici non si esaurisce con il rapporto Mueller. Essi non ritrattano le accuse disoneste; al contrario, ne avanzano di nuove. In questo modo assistiamo all’inizio di un secondo colpo di stato. Il tragitto della guerra a Trump, iniziato quando, per esempio, un politico Democratico (Kucinich) dichiarava a fine 2016: “L’intenzione è di abbattere il nuovo presidente”; o quando Brennan affermava che “i funzionari dello stato” avevano “l’obbligo di non eseguire gli ordini del presidente”; o quando il “sito di notizie” The Daily Beast parlava della squadra di Mueller come “un prestigioso team che può distruggere Trump”; quel tragitto non finisce nella primavera 2019 con l’indagine Mueller. Nel partito Democratico vi è chi, in relazione alla vicenda Mueller, ha commesso reati. Secondo il dettato della Costituzione, costoro devono essere “messi sotto accusa per tradimento, corruzione e reati minori”. Ma per fare ciò ai Repubblicani manca l’unità, a causa dei freni imposti da senatori, opinionisti e finanziatori che sono anti-Trump, sono pseudo-conservatori e sono guardiani della palude globalista. Dunque a politici Democratici e a conduttori TV viene consentito non soltanto di non ammettere di aver mentito al pubblico e di aver preso parte a una cospirazione, ma di annunciare nuove indagini, questa volta sulla carriera e sugli affari di Trump prima di entrare in politica. E per la nuova indagine stalinista (cioè in cerca di un crimine) sul business di Trump e dei suoi familiari, i media avversi a Trump sono pronti come venditori ambulanti e ciarlatani.

 

Nella primavera 2019 la Commissione Giustizia della Camera, presieduta dal turpe Nadler, invia 81 lettere a familiari, collaboratori e persone già vicine a Trump, con richieste di documenti o convocazioni in Congresso, in questo modo dando inizio a indagini che riguardano 260 individui o società. Niente di simile è mai accaduto. Mai un presidente e la sua famiglia hanno incontrato molestie così organizzate. Fallita la risorsa Mueller, si vuole fermare il governo Trump con le testimonianze da inquinare, con le notizie alterate, con il teatro logorante delle audizioni congressuali. Usando il supporto mediatico e la confusione generata dall’annuncio di indagini, si vuole ripetere nelle aule del Congresso ciò che nei campus universitari si ottiene con piccole violenze: intimidire e condizionare chi sostiene Trump e ne condivide gli obiettivi. Tra le persone chiamate a testimoniare vi sono: collaboratori della campagna elettorale di Trump nel 2016 e di quella del 2020, segretarie, ragionieri, esperti di computer, guardie del corpo, i dirigenti (executives) del Trump business (la Trump Organization); l’ex avvocato della Casa Bianca, McGahn; l’avvocato di Trump per l’affare Mueller, Jay Sekulow; i figli di Trump; Jared Kushner e le società della sua famiglia; il figlio di Mike Flynn; poi alcuni attori dell’indagine Mueller: Comey, McCabe; poi Avenatti, l’avvocato di Stormy Daniels (se libero da obblighi carcerari, suppongo, poiché è sotto cauzione). Si tratta di un insulto al paese. Si tratta anche di un nuovo abuso di potere, per quanto aprire indagini sia prerogativa della Camera.

 

Ma non basta. Il Democratico Cummings (eletto in un distretto di Baltimora che è un regno del crimine e della droga), che presiede la Commissione Sorveglianza della Camera, “indaga”, con fanfara mediatica, sulle dichiarazioni dei redditi di Trump: chiede 10 anni di documenti fiscali, e li chiede allo studio contabile che li ha elaborati (cosa che gli esperti in materia considerano un sopruso). Egli conta su un’Agenzia Entrate (IRS) ancora politicizzata, come durante la presidenza Obama e come in passato: usare l’IRS per colpire gli oppositori fu praticato da Lyndon Johnson e, in quantità industriale, da F. D. Roosevelt (anche Nixon lo fece: la differenza è che egli fu punito, ciòe tale azione fu tra i motivi del suo impeachment). Chi ha elaborato il secondo colpo di stato intende cercare un crimine, il che – affermano gli esperti di legalità – è in sé un abuso di potere che trasforma il Congresso in una sede giudiziaria, anziché legislativa, del governo. La funzione di controllo che la Costituzione assegna al Congresso è prevista in funzione dell’attività legislativa, non per bloccare un presidente. Di nuovo, in vista del 2020, lo scopo è l’annuncio di accuse, per quanto ingiustificate. Lo scopo è sequestrare il governo, impedire il freno all’immigrazione, cambiare il sistema elettorale in modo che un Trump non possa mai più essere eletto. É un’operazione di terrorismo legale, condotta da persone ripugnanti. La loro azione è così deforme e corrotta, che i Repubblicani in Senato dovrebbero a loro volta indagare (come prova a fare Lindsey Graham per le vicende relative all’indagine Mueller). Le voci autorevoli, che chiedono di resistere al nuovo sopruso, non mancano. Mark Levin suggerisce un “reclamo per motivi etici” presso la Commissione Etica della Camera. Mark Meadows e Jim Jordan denunciano un altro vergognoso uso dei soldi dei contribuenti. Joe DiGenova afferma che tutti gli indagati dovrebbero rifiutarsi di collaborare e di fornire documenti; e se chiamati a testimoniare con un’ingiunzione, appellarsi al Quinto Emendamento per non presentarsi (come hanno fatto alcuni responsabili degli illeciti legati all’indagine Mueller). Alcuni degli indagati, dice DiGenova, possono usare il privilegio legale di comunicazioni riservate con il presidente; e nessuno ha l’obbligo di consegnarsi a una Commissione che molesta con fini politici.

 

La Casa Bianca di Trump, dopo aver consegnato oltre un milione di pagine di documenti a Mueller, può certamente opporsi a nuove richieste, ma non può controllare le 260 persone. Il numero è tale che una risposta univoca alla nuova “caccia alle streghe” non è probabile, e ciò è un effetto calcolato. Per non perdere il potere, i servi dello stato profondo si applicano a distruggere il paese, non soltanto la presidenza Trump. L’ideologia che ha reso possibile nominare un procuratore speciale per indagare un crimine che non esisteva; l’ideologia che ha arruolato burocrati nascosti dietro le scrivanie del Southern District di New York, cioè del tribunale distrettuale in prima linea nelle nuove indagini avverse a Trump; l’ideologia che vuole i confini aperti, l’immigrazione senza freni, la tolleranza verso la droga; che calunnia e attacca i sostenitori di Trump; che disprezza la polizia; che vuole controllare l’informazione e l’istruzione: questa ideologia non è in ritirata dopo il rapporto Mueller. Anzi, essa prepara nuovi strumenti.

 

Anche il secondo colpo di stato inizia con il supporto dei media più diffusi. Nella primavera 2019 essi ignorano la grave crisi e la massiccia invasione in corso sul confine sud: 100 mila migranti fermati in marzo e quasi tutti rilasciati, perché gli spazi di detenzione sono colmi e perché le leggi sul diritto di asilo sono adeguate al 1901, non al 2019. La prospettiva è di oltre un milione di illegali che entrano nel paese nel 2019. Il “ferma e poi rilascia” (catch and release) è a livelli mai raggiunti. Il capo della CBP (Customs and Border Protection), McAleenan, manda messaggi allarmanti: a fine marzo 2019 egli afferma che il 40% dei suoi agenti è impegnato nel trasportare migranti malati negli ospedali e in altre forme di assistenza. Alcuni osservatori (tra questi Lou Dobbs) ritengono che la Homeland Security, di cui la CBP fa parte, non faccia tutto ciò che è necessario, e che il suo ministro, la Nielsen, non sia adeguata al difficile incarico: un’emergenza nazionale è in corso, e la Homeland, che ha avuto un aumento degli agenti in servizio, non ottiene risultati sufficienti. Si delinea dunque l’unica, e in realtà urgente, soluzione possibile: chiudere il confine con il Messico, o grandi parti di esso, incluse le stazioni di entrata. Il che è un’adeguata punizione per il governo messicano che non blocca i traffici illeciti, non ferma – nonostante le severe leggi sull’immigrazione di cui potrebbe avvalersi – gli arrivi dal Centroamerica, non controlla intere regioni messicane, di fatto in mano ai cartelli della droga; e intanto, però, continua a giovarsi delle rimesse degli emigrati negli USA. La chiusura del confine, con il blocco del traffico di merci, per il Messico è un danno misurabile. Lo è anche per alcune corporations immigrazioniste in America, e anche ciò è adeguato.

 

Ma di questo i media non parlano. Senza più Mueller, i media, divenuti l’agenzia operativa del partito democratico, tornano su accuse minori a Trump, come quelle sui pagamenti a Stormy Daniels (che non furono un illecito). Ben altro la Casa Bianca, nella storia, ha nascosto: dalle condizioni di salute di F. D. Roosevelt, al linguaggio di Truman, alle molestie alcoliche di Johnson allo staff, all’arricchimento spregiudicato di Obama e della moglie. In paragone, Trump è un boy scout. Quando era un businessman, Trump non si è fatto scrupolo di finanziare il potere Democratico di New York, dal senatore Schumer alla senatrice Hillary. Da presidente, però, non ha incassato un solo dollaro per la sua carica e ogni trimestre versa lo stipendio per scopi benefici. In paragone ai suoi nemici, che mentono e calunniano, Trump è un idealista puro. Nei tre anni di truffa mediatico-politica sulla “collusione”, egli è stato vittima del più grave scandalo di faziosità e corruzione della moderna storia americana. L’indagine Mueller è derivata da abusi di potere del DoJ e dell’FBI nell’ultimo governo Obama. Essa è rimasta in piedi per due anni a causa della malafede di media e politici. La stessa cosa vale per il secondo colpo di stato, iniziato da politici che non avrebbero mai dovuto arrivare ai vertici della Camera. L’America sta vivendo un incubo da cui la parte migliore della nazione può uscire soltanto confermando la fiducia a Trump. Ne può uscire se Trump avrà la forza di combattere, fermando il logoramento della nazione, che è lo scopo ultimo di chi conduce la guerra a Trump.

 

Bologna: mille case nei prossimi due anni per rispondere al fabbisogno abitativo

La Giunta guidata dal sindaco Virginio Merola ha dato l’ok ad un protocollo d’intesa con Acer, di durata biennale, per promuovere un programma straordinario di interventi di ristrutturazione e di nuova realizzazione di immobili ad uso residenziale di proprietà comunale e di Acer, da assegnare a canone calmierato.

A tal fine saranno realizzati nuovi appartamenti, sbloccati cantieri oggi fermi e, accanto al consueto programma di recupero di alloggi di edilizia residenziale pubblica (Erp) che Acer ristruttura e assegna con cadenza annuale (in media 300 appartamenti), verrà attuato un piano di ristrutturazione di case attualmente sfitte che saranno così riassegnate.

Il Comune di Bologna e Acer s’impegnano a dare piena attuazione alle manutenzioni e alle assegnazioni degli alloggi Erp oggi inutilizzati perché ancora non ripristinati. Per quanto riguarda le nuove realizzazioni, entro i prossimi due anni, l’impegno è di sviluppare la progettazione definitiva ed esecutiva per l’avvio dei lavori di ristrutturazione previsti. Al protocollo seguiranno specifici accordi operativi.

Nel programma straordinario Mille case per Bologna, il Comune destinerà uno stanziamento straordinario di 6 milioni di euro nel biennio 2019-2020 per ristrutturare 600 appartamenti di edilizia residenziale pubblica che hanno bisogno di interventi di manutenzione prima di essere riassegnati. Queste risorse aggiuntive, oltre alla normale programmazione di Acer, permetteranno che alla fine del 2020 siano 1.200 gli appartamenti disponibili.

Lombardia: ok alla videosorveglianza nei nidi

La Giunta regionale ha approvato le linee guida e uno stanziamento di 900.000 euro per la realizzazione di progetti a favore dei minori che frequentano nidi e micro-nidi.
Il provvedimento è così ripartito: 600.000 euro per l’introduzione delle telecamere a circuito chiuso negli asili nido e altri 300.000 euro per la formazione del personale, degli operatori e delle famiglie.

Si tratta di una risposta concreta, proposta dall’assessore alle Politiche per la famiglia, volta a contrastare i fenomeni di maltrattamenti, con interventi mirati sia di prevenzione, attraverso un’adeguata formazione di chi presta servizio negli asili, sia di sicurezza attraverso l’installazione di telecamere di videosorveglianza.

Possono accedere alla misura i nidi e micro-nidi pubblici e privati autorizzati al 31/12/2018. Le domande devono essere presentate direttamente alle ATS che erogheranno il contributo a consuntivo e in un’unica soluzione. Per ogni domanda ammessa a finanziamento sarà assegnato un contributo pari al 90% dei costi sostenuti fino ad un importo massimo di 5.000 euro. Le telecamere sono a circuito chiuso e le immagini sono di esclusivo utilizzo da parte dell’autorità giudiziaria che potrà visionarle solo a seguito di una denuncia o di una segnalazione.

Nano-protesi nervose per le lesioni spinali

uno studio italiano condotto dal Center for Nanomedicine and Tissue Engineering dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, insieme all’ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano, l’Università di Milano Bicocca e le Associazioni No profit per la ricerca e la cura delle malattie degenerative Revert Onlus mette a segno un’importante scoperta.

E’ stato, infatti, sintetizzato in laboratorio nuovo tessuto nervoso umano le cui caratteristiche sono state pre-determinate dai ricercatori proprio grazie alla possibilità di progettare al computer e poi sintetizzare in laboratorio i nanomateriali biologici.

Questi costrutti rappresentano vere e proprie “protesi nervose”, le quali sono state quindi testate in animali con lesioni al midollo spinale.

I risultati sono stati eccellenti poiché, non solo si è ottenuto un miglioramento dell’attecchimento del trapianto rispetto alle tecniche precedenti, ma un oggettiva rigenerazione del tessuto midollare e recupero delle funzioni motorie.

 

Le sfide della realtà. Oggi Famiglia: intervento di Liliana Ocmin (CISL)

Piccolo Auditorium “Aldo Moro” – 28 Marzo 2019

A colloquio con Goffredo Buccini: Una guerra civile a bassa intensità

Articolo apparso sull’edizione odierna dell’Osservatore Romano

«Si combatte una guerra civile a bassa intensità in varie aree del territorio nazionale sulle quali lo stato sembra non avere più alcun controllo: ghetti urbani dove tutto può succedere». La denuncia al centro dell’ultimo libro di Goffredo Buccini, Ghetti (Milano, Solferino, 2019, pagine 336, euro 17) è molto circostanziata. Del resto, sottolinea, «è sotto gli occhi di tutti che ci sia nel paese uno scontro sociale aperto con dei picchi di violenza e di intolleranza». Gli esempi sono numerosi e vengono squadernati uno dopo l’altro nel volume con stile asciutto e senza sconti né per il lettore, interpellato nella sua responsabilità di cittadino, né per chi ricopre incarichi politici: «Se non fermiamo una narrazione di odio e di contrapposizione penso che questi episodi potranno continuare e aumentare, e questo è molto pericoloso per la nostra convivenza».

Prima di tutto va però chiarito se questa narrazione segue gli eventi assecondando le pulsioni più basse, la cosiddetta pancia del paese, o li determina utilizzando un linguaggio scomposto e descrivendo i fenomeni in maniera distorta?

Sono vere entrambe le cose. I populisti che hanno vinto le elezioni in Italia non hanno inventato la paura. Questo sentimento esisteva nelle periferie ed è stato ampiamente sottovalutato dai governi precedenti, di tutte le estrazioni politiche. C’è stata, con poche eccezioni, una grande disattenzione. Certamente le forze attualmente al governo hanno raccolto questo sentimento e hanno soffiato sul fuoco. Bisogna però fare attenzione perché la cambiale della paura è pericolosa per chiunque tenti di andarla a incassare. Chi cavalca il malcontento rischia di ritrovarsi disarcionato perché si troverà nella necessità di dare risposte semplici a questioni complesse. Il problema è che si rischia che a essere disarcionata possa essere anche la nostra democrazia.

«I più spaventati e impoveriti hanno identificato negli immigrati semplicemente il nemico con cui scontrarsi: per una casa, un lavoro, un posto a sedere sul bus», si legge in un passo del libro che sembrerebbe introdurre un elemento di novità in Italia. Per il lavoro e la casa si è sempre lottato, per un posto a sedere sul bus molto meno. Cosa è successo? Quando la situazione si è aggravata in questo modo?

Le condizioni materiali di vita delle persone nelle periferie geografiche e umane sono molto peggiorate. Lo scollamento valoriale ed etico, che pure esiste ed è forte, si è impiantato facilmente su un terreno di grave difficoltà economica. La crisi ha fatto inferocire le persone, la paura di non poter più scommettere sul futuro si è tradotta in uno scontro continuo anche sulle piccole cose di ogni giorno. Può sembrare semplicistico, ma se la gente litiga per un autobus la soluzione è mettere due autobus. È essenziale pensare a degli investimenti mirati.

Ma questo non è ancora sufficiente secondo la tesi del libro.

Oltre all’emergenza economica ce ne è stata un’altra innegabile, quella dell’immigrazione. Ci sono stati potenti flussi di persone. Al tempo stesso l’Italia è stata abbandonata e chiusa nei propri confini dai partner europei. Pur considerando le difficoltà, però, la risposta del sistema di accoglienza è stata inadeguata e questo ha amplificato il problema. Del resto in un paese in cui la giustizia e la burocrazia non funzionano come dovrebbero non si vede perché dovrebbe fare eccezione l’accoglienza che è una attività particolarmente difficile e delicata. Al netto di esempi virtuosi, che pure esistono, il sistema è stato spesso criminogeno. Il tipo di risposta che abbiamo dato all’emergenza esclude le persone, produce persone “invisibili”. Ne abbiamo 600.000 in circolazione e la legge sulla cosiddetta sicurezza appena varata, secondo l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), ne produrrà altri 130.000 nei prossimi due anni.

Ma il libro sostiene che i più “invisibili” restano gli italiani.

La “scoperta” in politica della povertà tra gli italiani è avvenuta quando questi si sono cominciati a scontrare con gli immigrati. Una consapevolezza tardiva molto sospetta e che sembra legata principalmente a calcoli elettorali. Basti pensare ad esempio che negli ultimi 10 anni gli oneri di urbanizzazione che dovevano servire per intervenire sulle periferie sono stati utilizzati per fare cassa corrente dai comuni in deficit. Dagli anni Ottanta in poi un’idea di sviluppo complessivo della periferia non è stata più definita. Le case popolari sono state abbandonate a stratificazioni di occupazioni, i servizi sono scomparsi. I più “invisibili” sono stati e sono gli italiani, e dovremmo chiederci come mai lo scontro sociale sia così contenuto. Ma non credo che si possa tirare la corda ancora per molto, bisogna intervenire.

Ci sono segnali in questo senso?

La commissione periferie nella scorsa legislatura ha indicato in un miliardo ogni dodici mesi per dieci anni l’investimento necessario per riqualificare le periferie italiane, sottolineando che andrebbe creata una agenzia ad hoc per coordinare gli interventi ed evitare finanziamenti a pioggia che potrebbero risultare inefficaci. Questa commissione è stata chiusa, non credo che questa decisione aiuti ad affrontare il problema.

Il libro è dedicato “alla mia patria spaventata”, una frase che sembra un ossimoro. Quello alla patria è un tipo di appartenenza rivendicata spesso da chi non è particolarmente propenso a migliorare l’accoglienza proprio perché ha paura o, in qualche caso, favorisce la diffusione di un timore incontrollato.

Uno degli errori più gravi in alcuni ambienti politici è stato quello di perdere il senso della parola patria, specialmente a sinistra. Ci sono state delle ragioni storiche, certo, ma credo sia arrivato il momento di rivendicare l’appartenenza come denominatore comune, per tutti. La patria è cosa diversa dalla nazione o dallo stato in quanto contiene un fattore sentimentale al quale nessuno può rinunciare. In questo momento la mia patria è spaventata. Questa paura non va però “usata”, ma superata. Questo obiettivo si può raggiungere introducendo interventi legati al controllo del territorio nelle aree delle città che soffrono di più. Sicurezza e solidarietà devono e possono camminare assieme.

Festival dell’economia civile di Firenze: Approvazioni e un pensierino critico

Buone le intenzioni del recente Festival della nuova economia civile, svoltosi a Firenze. Riassumerle qui tutte sarebbe lunghissimo e inutile, perché la gran parte delle persone dotate di buon senso e buona volontà le condividono da tempo: profitto condiviso e non esclusivo; partecipazione; avanti col pil, ma riconoscendone i limiti oggettivi; il bene comune; l’impresa responsabile; eccetera.

Meno inutile, forse, cercare di aggiungere qualcosa anche in senso critico perché il valore della diversità è stato acclamato, giustamente, durante lo stesso Festival.

Prima di tutto, sul clima, anche qui, la solita impostazione: che fare per fermare i cambiamenti climatici. Ma non c’è evidenza empirica o scientifica per dimostrare che essi si possano fermare salvo additare nell’azione dell’uomo la responsabilità del surriscaldamento. Senza diventare “negazionisti” perché i cambiamenti ci sono eccome e risultano già particolarmente gravi: come si spiega che essi si siano verificati innumerevoli volte durante la lunghissima geostoria? Come si spiega che l’unica componente dei gas serra su cui l’uomo abbia impatto (attorno al 50% della nuova formazione di anidride carbonica) costituisca il 2% del totale? Non sarebbe meglio, invece, domandarsi come affrontare i cambiamenti? Ovvero come far leva sulle straordinarie capacità tecnologiche di cui l’umanità ha disponibilità oggi, diversamente dal passato quando, peraltro: 1) l’antropizzazione era molto più limitata; 2) le caratteristiche del vivere civile consentivano di ricominciare dopo le catastrofi con rapide ricostruzioni o, al limite, emigrazioni.

Il professor Jeffrey Sachs bolla le posizioni sovraniste e populiste di Trump come opposte al dialogo ed alla collaborazione propugnate dall’economia civile. Ma non affronta il tema dei modelli macroeconomici: quello attuale – contestato, seppure in modo confuso, dallo stesso Trump e sbandierato dall’Unione Europea – prevede che ciascuno debba puntare alle esportazioni fino al punto di svalutare salari e occupazione, ridurre la domanda interna e, in definitiva, la stessa crescita. Ne sono usciti vincenti la stessa Cina (e qui è confortante che Sachs lodi gli accordi voluti dall’attuale governo) e, in genere, i Paesi emergenti perché essi hanno potuto sbaragliare la concorrenza dei Paesi di più antica industrializzazione (PAI) pur facendo crescere i loro salari e la domanda interna. Mentre i PAI hanno voluto spingersi nella trappola dei salari che decrescevano e, con essi, domanda interna e, quindi, l’occupazione in una spirale infinita che sta impoverendo le classi medie e favorendo le alternative promesse dei cosiddetti sovranisti e populisti. E, adesso, Cinesi ed emergenti stanno passando al modello win win (vinci tu che vinco anch’io) il quale non può non prevedere la crescita della domanda interna, dell’occupazione e dei salari “first”: anche sostituendo le importazioni e non dando più peso prevalente all’export. Insomma, quello che Trump ha predicato, seppure con maggiore chiarezza durante la campagna elettorale: d’altra parte gli USA esportano servizi ad alto valore aggiunto e, come l’Italia che è forte nelle esportazioni di qualità, non temono le politiche di sostituzione delle importazioni.

Però, il nuovo modello economico, alternativo a quello vigente liberista (mors tua vita mea) non è autarchico populista, ma consentendo a tutti di importare nei limiti delle proprie esportazioni, è sostenibile. Invece, l’attuale modello, ancora fortemente voluto dall’Unione Europea, non è sostenibile perché non tutti – ma solo i più forti – possono incrementare le proprie esportazioni a scapito degli altrui livelli occupazionali.

Pur condividendo valori generali e intenzioni del Festival, sembra sia mancata la chiarezza sui due fenomeni principali del nostro mondo del lavoro. Il primo: nei comparti dell’economia non finanziaria ad alto valore aggiunto, cala la domanda di lavoro. Sempre meno addetti appronteranno tutta l’energia, i beni materiali ed i servizi ad alto valore aggiunto domandati dall’economia. Se la crescita dei profitti (che sono una delle componenti del pil) è, in valore assoluto, minore della decrescita di salari e occupazione, l’effetto sul pil stesso dei nuovi investimenti industriali non porta alla crescita, ma alla diminuzione del pil. L’antidoto sarebbe la riduzione di orario a parità di salario, ma i percettori di profitto non sono d’accordo.

Secondo fenomeno: nei comparti a minor valore aggiunto (servizi di cura delle persone e dell’ambiente dove si potrebbero creare milioni di posizioni occupazionali aggiuntive), il fatturato non è sufficiente a remunerare adeguatamente il costo del lavoro. Qui l’antidoto richiede di abbandonare il paradigma capitalistico e, allora – ci si chiede – la “nuova economia civile” del Festival come recepisce tale circostanza? Ovvero, una profonda riforma del sistema bancario che riporti le banche sul territorio a fare esclusivamente credito per le attività produttive: se ne è parlato nel Festival, ma non fino a copiare le piccole banche tedesche e le sparkasse che sono state esentate dalle mire di accorpamento della BCE e dall’applicazione dei parametri  Basilea. Ovvero la introduzione di una moneta parallela all’euro, solo nazionale, emessa dallo Stato, non convertibile. Il Trattato di Lisbona, infatti, parla di “banconote aventi corso legale in tutta l’Unione” non di statonote o biglietti di Stato aventi corso legale solo sul territorio dove lo Stato stesso esercita la sua sovranità. Tale moneta, a differenza dell’euro, sarebbe non a debito, quindi avrebbe lo stesso segno algebrico delle tasse, si sommerebbe ad esse per raggiungere il pareggio di bilancio una volta che lo Stato decida di spendere per i cittadini di più di quello che toglie loro.

Si dovrà parlare di questi due aspetti – e di tanti altri correlati ad essi come la gestione del debito pubblico e un’agenzia di rating indipendente – anche allargando il ragionamento a forme similari di innovazione tipo i “mini bot” di Claudio Borghi o i “certificati di credito fiscale” di Marco Cattaneo ed altri.

È scomparso Francesco Saverio Festa, studioso di Dorso e della questione meridionale

Francesco Saverio Festa si è spento a casa sua. Aveva 71 anni il professore Festa, mente illuminata da sempre impegnato nei dibattiti e riflessioni sul mezzogiorno dimenticato.

Professore di Filosofia politica all’Università di Salerno. Due furono le direttrici della sua ricerca, cui ha dedicato numerosi saggi, studi e traduzioni: il rapporto tra politica, filosofia e teologia nell’Otto-Novecento, con particolare attenzione alla “teologia politica”, come alla riflessione filosofica della Mitteleuropa e alle tematiche della teologia dialettica; Il pensiero politico di momenti e figure della teoria delle élites dal tempo de “La Voce” sino all’odierna questione dei “diritti di cittadinanza”.

Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Politica e/o teologia (1999), Pensare la politica (2003), Terre di confine. Politica,Filosofia,Teologia (2009).

Lo vogliamo ricordare con questa intervista del 19 gen 2016

 

Bassetti: famiglia al centro della politica. No a piazze contrapposte

Articolo già apparso sulle pagine del giornale Avvenire

Sinodalità è una parola che non vale solo per la Chiesa. Ma anche «una proposta che sentiamo di poter e dover fare anche alla società». Soprattutto per svelenire il dibattito pubblico e la comunicazione. E non dividersi «persino su un tema prioritario come quello della famiglia». Così il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, ha aperto il Consiglio permanente, che fino a mercoledì si occuperà anche del tema della sinodalità. L’accento, nella sua introduzione, è andato comunque anche sui temi dell’attualità sociale e politica. Sinodalità, che è sinonimo di dialogo e di ascolto dell’altro, «anche per una società slabbrata come la nostra nostra», ha rimarcato l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve. «Non è certo sinodale la modalità con cui la comunicazione viene spesso usata per accendere gli animi, screditare e far prevalere le paure, arrivando a identificare nell’altro non un fratello, ma un nemico. Quanta distanza – ha fatto notare Bassetti – dal dialogo che abbiamo visto in atto in questi giorni con la visita del Santo Padre in Marocco…».

Le conseguenze di questa carenza sono sotto gli occhi di tutti, ha proseguito il cardinale. «Purtroppo, quando manca questo sguardo, riusciamo a dividerci su tutto, a contrapporre le piazze, persino su un tema prioritario come quello della famiglia, sul quale paghiamo un ritardo tanto incredibile quanto ingiusto. Ma come si fa a dimenticare che, anche negli anni più pesanti della crisi, proprio la famiglia ha assicurato la tenuta sociale del Paese? E oggi non è forse ancora la famiglia a rappresentare per tutti la principale opportunità di riscatto».

Pur senza fare esplicito riferimento al Congresso di Verona e alle roventi polemiche che ne sono seguite, è evidente che Bassetti non ignora quanto è successo nel fine settimana appena concluso. Di qui il suo richiamo: «Le istituzioni pubbliche non possono fare finta che la famiglia sia solo un fatto privato: ciò che avviene tra i coniugi e con i figli è un fatto sociale; e ogni essere umano che viene ferito negli affetti familiari, in un modo o nell’altro, diventerà un problema per tutti. Non si resti, quindi, sordi alle domande di sostegno in campo educativo, formativo e relazionale, che salgono dalle famiglie. Il cuore di ciascuna di esse è l’amore delle persone che la compongono e che, in virtù di questo amore, stringono alleanza davanti agli uomini e – per noi credenti – nel Signore».

La famiglia, ricorda in pratica il presidente della Cei, non ha bisogno di polemiche e di schieramenti contrapposti, ma soprattutto di provvedimenti concreti di sostegno. Perciò Bassetti ha enumera i temi di questa indispensabile agenda. «Se non vogliamo rassegnarci al declino demografico, ripartiamo da un’attenzione reale alla natalità; prendiamoci cura delle mamme lavoratrici, imparando a riconoscere la loro funzione sociale; confrontiamoci con quanto già esiste negli altri Paesi del Continente per assumere in maniera convinta opportune misure economiche e fiscali per quei coniugi che accolgono la vita. Vanno in questa direzione diverse proposte avanzate anche dal Forum delle Associazioni Familiari».

Infine l’appello del cardinale a collaborare proprio su questi temi. «La famiglia è il termometro più sensibile dei cambiamenti sociali: senza venir meno ai principi – visto che la famiglia non è un menù da cui scegliere ciò che si vuole – aiutiamoci a mettere a punto un pensiero sulla famiglia per questo tempo. Chi fosse sinceramente disponibile a questo passo – che è condizione per una società migliore – ci troverà sempre al suo fianco, forti come siamo di una ricca tradizione di cultura della famiglia.

Nell’introduzione trovano posto anche altri temi: a partire dai giovani, dato che l’apertura del Consiglio permanente giunge alla vigilia della pubblicazione dell’esortazione apostolica postsinodale Christus vivitfirmata a Loreto lo scorso 25 marzo. «La segreteria generale, in particolare attraverso il Servizio nazionale per la pastorale giovanile, è impegnata a rilanciare la riflessione perché il Sinodo recentemente concluso trovi attuazione nelle nostre Chiese». Più in generale, ha aggiunto «la nostra passione educativa ci deve spingere a far crescere in loro il desiderio di intraprendere, di essere generativi, di tessere reti comunitarie e relazionali».

Il cardinale ha anche ricordato che sinodalità significa «far funzionare meglio le Conferenze regionali», anche per come «banco di prova» per arrivare «a scelte precise: una su tutte la riduzione delle diocesi, che più volte ci è stata sollecitata». Il porporato ha messo l’accento anche sul tema della lotta alla pedofilia. «Vi confido che una delle indicazioni più preziose che mi sono portato via dall’incontro dello scorso mese scorso in Vaticano, dedicato alla tutela dei minori nella Chiesa, rimanda proprio alla necessità che temi come questo siano affrontati insieme. Ne parleremo nel corso dei nostri lavori, alla luce anche dei tre documenti appena pubblicati, con cui il Santo Padre rafforza per la Città del Vaticano e la Curia Romana l’assetto normativo, stabilendo misure concrete con cui far sì che la Chiesa sia sempre più casa sicura per i bambini e le persone vulnerabili».

Il presidente della Cei ha toccato anche la questione lavoro il lavoro («per rendere le persone partecipi della cittadinanza, la via principale rimane quella che sa ricercare con coraggio misure capaci di offrire lavoro e di crearlo»), la prossima Settimana sociale (per «dare un nome alle domande reali della gente, alle povertà e alle disuguaglianze, a chiedere politiche adeguate»), il tema centrale della Assemblea generale di maggio, con il suo tema centrale “Modalità e strumenti per una nuova presenza missionaria” e l’incontro di riflessione e spiritualità per la pace nel Mediterraneo che si svolgerà a Bari nel febbraio del prossimo anno. «Un incontro basato sull’ascolto e sul discernimento comunitario – ha concluso il porporato – che valorizzando la sinodalità si prefigge di compiere un passo verso la promozione di una cultura del dialogo e della pace, per un futuro dell’Italia, dell’Europa, dell’intero bacino mediterraneo».

Quindi, tornando sulla questione della sinodalità, che «non è un vestito esteriore» e che «sorge dal basso», Bassetti ha ricordato la «politica dell’incontro», messa in atto nei due anni da presidente della Cei. «Ho accettato inviti in tante diocesi e realtà religiose e associative, animato essenzialmente dal desiderio di favorire un tessuto di scambi tra il centro e le realtà diocesane e regionali. Visite e incontri mi hanno permesso di avere un’ampia serie di contatti personali con molti vescovi e anche con il nostro popolo». “Più volte – ha aggiunto – sono rimasto colpito dalla profonda solitudine che segna la vita di tanti di noi». Dunque «proprio la sinodalità ci deve aiutare a vivere una maggiore fraternità».

Cisl: Nasce Zoom Sicilia un report per analizzare l’economia della regione

In Sicilia la crisi, tra il 2008 e il 2014, ha bruciato 160 mila posti di lavoro. E quest’esercito di espulsi dal mercato, «solo per un quarto» è stato riassorbito nel quadriennio successivo. È un passaggio di Zoom Sicilia, il report Cisl-Diste di analisi congiunturale, approfondimento e outlook, che esamina l’economia siciliana alla luce delle fondamentali variabili macroeconomiche: Pil, occupazione, investimenti, consumi, export. Con riferimento all’andamento provincia per provincia. E anche con riguardo ad aspetti spesso ignorati. Così, è in aumento o in calo in Sicilia la nascita di start up innovative? E le aziende siciliane, in che misura sono in grado di onorare le fatture nei termini di legge?

Domande sulle quali il rapporto semestrale che nasce dalla partnership tra Cisl Sicilia e Diste Consulting, fa luce. Il primo numero, La marcia del gambero, sarà presentato oggi a Palermo dalle 9,30 nell’aula consiliare del Comune, in piazza Pretoria.

All’incontro prenderanno parte: Sebastiano Cappuccio, segretario della Cisl Sicilia; Alessandro La Monica, presidente di Diste Consulting; Pietro Busetta, economista, presidente di Isesst (esperti di studi territoriali) e del comitato scientifico del report. Con loro Roberto Lagalla, assessore regionale dell’Istruzione e formazione; gli economisti Fabio Mazzola e Benedetto Torrisi, prorettore vicario nell’università di Palermo il primo, statistico-economico nell’ateneo catanese l’altro. E Ignazio Ganga per la segreteria confederale nazionale Cisl. A moderare il dibattito il direttore del quotidiano La Sicilia, Antonello Piraneo.

Lavoro: Istat, a febbraio aumenta il tasso di disoccupazione (10,7%)

A febbraio 2019 la stima degli occupati è in lieve calo rispetto a gennaio (-0,1%, pari a -14 mila unità); anche il tasso di occupazione scende di poco al 58,6% (-0,1 punti percentuali).

L’andamento degli occupati è determinato dalla diminuzione dei dipendenti (-44mila), sia permanenti (-33 mila) sia a termine (-11 mila), mentre nell’ultimo mese risultano in aumento gli indipendenti (+30 mila). Il calo dell’occupazione è concentrato nella classe di età centrale dei 35-49enni (-74 mila), mentre si conferma il segno positivo per gli ultracinquantenni (+51 mila).

A febbraio le persone in cerca di occupazione aumentano dell’1,2% (+34 mila). La crescita riguarda entrambi i generi e si concentra tra le persone oltre i 35 anni. Il tasso di disoccupazione passa dal 10,5% al 10,7% con una crescita di 0,1 punti percentuali .

La stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni a febbraio è in calo (-0,1%, pari a -14 mila unità). La diminuzione coinvolge solo le donne (-20 mila) e si concentra tra i 25-34enni (-16 mila) e gli ultracinquantenni (-29 mila). Il tasso di inattività resta stabile al 34,3% per il quarto mese consecutivo.

Nel periodo da dicembre 2018 a febbraio 2019 l’occupazione, sia nel complesso sia per genere, registra una sostanziale stabilità rispetto ai tre mesi precedenti. Nello stesso periodo diminuiscono i dipendenti a termine, mentre si registra un segnale positivo per i dipendenti permanenti.

Nel trimestre alla stabilità degli occupati si associa un calo delle persone in cerca di occupazione (-0,5% pari a -14 mila) e degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-0,2%, -21 mila).

Su base annua l’occupazione cresce dello 0,5%, pari a +113 mila unità. L’espansione interessa entrambe le componenti di genere, interessando i 25-34enni (+21 mila) e soprattutto gli ultracinquantenni (+316 mila). Al netto della componente demografica la variazione è positiva per tutte le classi di età tranne i 35-49enni per i quali è nulla. Crescono soprattutto i dipendenti a termine (+107 mila) e si registrano segnali positivi anche per gli indipendenti (+71 mila) mentre calano i dipendenti permanenti (-65 mila).

Nei dodici mesi, la crescita degli occupati si accompagna al calo dei disoccupati (-1,4%, pari a -39 mila unità) e degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-1,3%, -169 mila).

Denatalità: Uecoop, “nel 2018 storico crollo delle nascite in Italia, 9mila culle vuote”

Storico crollo nascite in Italia nel 2018 che diventa l’anno peggiore di sempre con 9mila neonati in meno rispetto al minimo segnato nel 2017 e un trend negativo che riguarda anche gli stranieri. E’ quanto emerge da un’analisi di Uecoop, l’Unione europea delle cooperative, sugli ultimi dati demografici Istat in relazione all’annuncio del vice premier Di Maio che contro la denatalità nel Def saranno inserite misure di aiuto alle famiglie sul modello francese con 50% sconto sui pannolini, 50% sulle spese per la baby sitter e un coefficiente famigliare che abbatte l’Irpef a seconda del numero dei figli.

Con appena 449mila nuovi nati nel 2018 – sottolinea Uecoop – la situazione demografica italiana è influenzata da cambiamenti sociali, ritmi quotidiani sempre più frenetici, spese crescenti per asili, istruzione e tempo libero, oltre alla tendenza a fare figli dopo i 40 anni accorciando il tempo biologico per la procreazione. E se una volta era il sud a guidare le nascite con le famiglie più numerose – evidenzia Uecoop – adesso la “linea della culla” si è spostata sempre più a nord con il record della provincia di Bolzano che è l’area più prolifica del Paese con 1,76 figli per donna contro 1,32 della media nazionale, seguita dalla provincia di Trento con 1,50, dalla Lombardia con 1,38 e dall’Emilia Romagna con 1,37 figli per donna mentre nelle regioni del Mezzogiorno ci si ferma a 1,29 e precipita a 1,16 in Basilicata, a 1,13 in Molise e a 1,06 in Sardegna. Nelle aree dove il welfare è più sviluppato – sottolinea Uecoop – le famiglie fanno più figli perché sono più sicure rispetto al futuro, sanno di poter contare su servizi pubblici e privati dedicati non solo ai figli ma anche agli anziani considerato l’aumento della speranza di vita che per gli uomini sfiora ormai gli 81 anni (80,8) mentre per le donne supera gli 85 (85,2).

Si tratta di un contesto sociale dove il welfare pubblico e privato deve affrontare una doppia sfida: da una parte asili e scuole per i figli e dall’altra assistenza domiciliare o in residenze specializzate per gli anziani con il mondo cooperativo socio assistenziale che ogni anno segue oltre 7 milioni di famiglie grazie a 355mila addetti sul territorio nazionale. E mentre le spese crescono non è un caso che – rileva Uecoop su dati Eurispes – proprio 7 genitori su 10 si augurino che i figli una volta cresciuti si impegnino subito nel mondo del lavoro con un picco di oltre l’85% in Sicilia e Sardegna mentre nel nord ovest dell’Italia il 72,1% si aspetta che il figlio o la figlia resti in famiglia in attesa di trovare una sistemazione in linea con le proprie aspirazioni. Ma con una disoccupazione giovanile che in Italia raggiunge il 31,9% – conclude Uecoop –  quella di restare a casa senza potersi creare una propria famiglia sembra essere sempre più spesso quasi una scelta obbligata.

Dal 2021 stop alla plastica monouso

Mentre il Parlamento europeo procede verso il divieto alla plastica monouso, con l’iter formale che si concluderà alla fine aprile, fa eco la notizia del capodoglio arenato a Cala Romantica, una piccola insenatura vicino a Porto Cervo, ritrovato alcuni giorni fa con ben ventidue chili di plastica nelle viscere. Dopo la Cina, l’Europa è il secondo produttore di plastica al mondo che riversa in mare ogni anno tra le 150 e le 500.000 tonnellate di macroplastiche e tra le 70 e 130.000 tonnellate di microplastiche.
Alle cinque “isole di plastica” oceaniche (due nel Pacifico, due nell’Atlantico e una nell’Oceano Indiano) in cui si accumula la maggioranza dei rifiuti di plastica, si aggiunge il Mar Mediterraneo, classificato come la sesta grande area di “raccolta” di polimeri sintetici al mondo. In questo mare, che rappresenta solo l’1% delle acque del globo, si concentra il 7% della microplastica mondiale.

Il Parlamento europeo pone così un freno ad un problema sempre più importante mettendo al bando cannucce, posate e stoviglie in plastica, cotton-fioc, bastoncini e contenitori di polistirolo che, a breve, saranno vietati. Ma non è tutto. Anche le bottiglie di plastica, infatti, dovranno essere raccolte in modo differenziato e riciclate al 90% entro 2025. I contenitori per bevande dovranno poi essere prodotti con plastiche recuperate per almeno il 35% del loro peso ed essere completamente riciclabili; tra l’altro, le chiusure dovranno risultare vincolati all’imballo, proprio al fine di ridurne la dispersione.

“Accolgo con estrema soddisfazione l’esito della votazione di Strasburgo. In questo modo anche l’Italia compie un passo in avanti per portare a casa la Salva Mare – ha sottolineato il ministro -. Adesso è nostro compito valutare con attenzione i parametri imposti dalla Direttiva europea e applicarla nel più breve tempo possibile. La plastica monouso è dannosa, va abolita e messa al bando senza esitazione”.

La direttiva votata il 27 marzo dal Parlamento europeo, entrerà in vigore a partire dal 2021. Su questo sfondo, gli Stati membri dovranno sensibilizzare al meglio i consumatori rispetto all’incidenza negativa della dispersione nell’ambiente in riferimento ai diversi prodotti banditi. La direttiva sui prodotti di plastica monouso del Parlamento europeo è un elemento essenziale del piano d’azione della Commissione per l’economia circolare, poichè stimola la produzione e l’uso di alternative sostenibili per evitare l’aumento dei rifiuti marini.

Giappone, Reiwa è il nome della nuova era dell’imperatore Naruhito

‘Reiwa’ è il nuovo nome stabilito dal governo per la nuova era del Giappone, che avrà inizio ufficialmente il primo maggio quando il principe della corona Naruhito ascenderà al trono per succedere al padre, l’attuale imperatore 85enne Akihito.

I due caratteri, o kanji, indicano “la nascita di una civilizzazione in cui regna un’armonia tra gli esseri, una primavera che arriva dopo l’inverno severo e segna l’inizio di un periodo che straborda di speranza”.

La scelta è stata comunicata in diretta televisiva dal capo di gabinetto Yoshihide Suga e sugli schermi dei principali luoghi ricreativi, in un clima di giubilo a lungo anticipato.

Dobbiamo cogliere il monito di Obama per non sbagliare in Italia

Articolo pubblicato in data odierna da https://www.huffingtonpost.it

È passata in sordina nei giorni scorsi la notizia riguardante il monito di Obama al suo partito, sempre più attratto e condizionato dalle opzioni che nascono dal protagonismo di vecchi e nuovi leader della sinistra radical-socialista americana. Nei Democratici incombe la frenetica mobilitazione che Sanders e Ocasio-Cortez – due figure affini eppure diverse per età e stile politico – riescono ad alimentare con le loro battaglie di segno populista.

Obama ha messo in guardia il partito affinché prenda nota del pericolo che ne sovrasta l’azione strategica: Trump non si batte spaventando la classe media con proposte che suonano ostiche alla mentalità dell’America liberale. Non a caso, per tutta risposta e con assoluta tempestività, Trump ha innescato la quarta aggredendo i Democratici sul punto più delicato, ovvero sul loro scivolamento a sinistra, da cui si evince per il Presidente in carica il tentativo di trasformare l’America in un Paese socialista.

È questa la dialettica che si può ripercuotere anche in Italia. Dalle nostre parti, si potrà avvertire il medesimo rischio. Se il Partito Democratico dovesse occhieggiare, esclusivamente, a un rilancio della visione pura e dura del socialismo, nulla potrebbe escludere un riconsolidamento, attorno alla Lega, del cosiddetto mondo moderato. Purtroppo non abbiamo Obama che ce ne rammenti il rischio, dato che molti sono tentati di accarezzare le suggestioni più facili e convenienti.

Un importante recupero alle europee grazie alla sola riconquista di una quota di elettorato più di sinistra, non sarebbe di per sé un risultato molto soddisfacente se comportasse per il Pd il rischio di un incremento del consenso legato a una possibile radicalizzazione a destra del Paese.

Queste riflessioni sicuramente non sono estranee ai pensieri del nostro nuovo segretario Zingaretti. Il cambiamento del simbolo è un atto implicito di questa consapevolezza. Tuttavia, una riflessione va fatta. La giusta inclusione in chiave lib-lab dei sostenitori di Calenda, non ci da la certezza di un significativo passo in avanti oltre il perimetro della inclusione del progressismo liberale, entro i confini della sinistra. Serve uno sforzo comune per realizzare un qualcosa di più ampio e convincente e dobbiamo subito realizzarne insieme le premesse.

I tempi stringono. Il Pd nei fatti deve impegnarsi per aggiornare e rinvigorire la sua piattaforma originale, evitando di dare il profilo di una forza esclusivamente neo social-democratica, che non sarebbe all’altezza delle nostre aspettative e dei risultati che ci aspettiamo. Dobbiamo metterci immediatamente a lavoro per rilanciare un rapporto di stretta cooperazione tra le grandi culture riformatrici del Novecento e l’innovazione costruita in questi anni.

Dobbiamo realizzare un partito aperto che non può rischiare di impoverire la sua immagine non includendo il pensiero politico cattolico-popolare e non costruendo un rapporto fecondo con la complessità del mondo cattolico.

Tutto ciò è l’antidoto per fugare ogni preoccupazione di un partito che gioca in difesa per la propria sopravvivenza e che invece deve guardare al futuro come perno dell’unica alternativa possibile al governo del Paese.

Mai tornare indietro, neanche per prendere la rincorsa

Articolo apparso sull’edizione odierna del Mulino a firma di Francesca Crivellaro

Si è conclusa ieri a Verona la tre giorni del controverso World Congress of Families (Wcf), organizzato dall’International Organization for the Family in collaborazione col Comune di Verona, la National Organization for Marriage e buona parte delle associazioni che dal 2013 compongono quella che Sara Garbagnoli e Massimo Prearo hanno definito nel loro omonimo libro la “crociata antigender” (Kaplan, 2018). Come nei Family Days, la cosiddetta “famiglia naturale” è stata la protagonista del convegno scaligero che ha visto convergere rappresentanti di organizzazioni pro-life, docenti, medici, giornalisti, politici e religiosi (per lo più cristiani) provenienti da tutto il mondo, con l’obiettivo di “affermare, celebrare e difendere la famiglia naturale come sola unità stabile e fondamentale della società”.

Già in questa definizione, tratta dal sito ufficiale del Congresso, si ravvisa una strategia discorsiva abilmente utilizzata. “Ogni volta che viene usata l’espressione ‘famiglia naturale’, un antropologo muore fra atroci sofferenze”, diceva nel 2016 Vevuska Alovna in un post su Facebook divenuto in breve tempo virale, sintetizzando così l’insensatezza di tale espressione per chi studia i legami di parentela e della famiglia da una prospettiva antropologica e storica. Parlare di “famiglia naturale” (spesso “in difesa della” o “contro gli attacchi alla”) ha avuto un discreto successo, e non solo in Italia, nel mobilitare le persone contro il riconoscimento dei diritti delle persone Lgbtiq e contro le iniziative di educazione al genere condotte nelle scuole.

Se da un punto di vista scientifico la famiglia naturale non esiste, i promotori del Congresso ne hanno dato una definizione molto precisa: la famiglia – quella vera, quella “bella”, citando il vescovo di Verona – è composta da una mamma, un papà, dei figli. E nonostante il plurale contenuto nel nome stesso del Congresso, l’unica famiglia degna di questo nome è solo quella “naturale”. Tutte le altre sono una minaccia e rappresentano ciò da cui la famiglia “vera” deve difendersi.

In effetti, parte integrante della strategia discorsiva non è soltanto l’uso del sintagma “famiglia naturale”, ma un ammodernamento delle espressioni che pare coprire il conservatorismo delle posizioni. In perfetta linea, se vogliamo, con gli slogan di alcune associazioni antiabortiste che hanno recentemente fatto propri vocaboli e temi con una origine assai lontana (si pensi alla campagna “L’aborto è la prima causa di femminicidio del mondo” di CitizenGo dell’anno scorso).

Qui è possibile leggere l’articolo completo

Firenze: un’economia che usa il cervello ma non lascia a casa il cuore

Che cosa è l’economia civile? La definizione viene sintetizzata in poche righe dal prof Leonardo Becchetti: “è un’economia che usa il cervello ma non lascia a casa il cuore, è un modo diverso di vedere le persone, le imprese e il valore e la politica economica. Nell’economia civile le persone sono quelle che sanno fare 1+1=3; sono le persone che sanno cooperare, sanno avere fiducia, e producono più valore di quello che si potrebbe fare isolatamente, non sono le persone del conflitto ma della cooperazione. Le imprese sono delle imprese più ambiziose di quelle del passato, che non guardano solo al profitto, ma anche all’impatto sociale delle loro scelte; il valore è il valore della felicità e della generativita’ che va oltre il PIL.”

C’è una frase di Antonio Genovesi che dice “le persone fanno il loro interesse, ma per fare questo interesse, se non sei pazzo, devi essere virtuoso, perché il tuo interesse passa attraverso la felicità degli altri”. La componente principale è la generatività dell’uomo come cercatore di senso e le persone sono felici se sono generative, se la loro vita è in funzione dell’altro, sia nell’ambiente familiare che sociale. Noi diciamo che il nostro orizzonte è una società dove tutti siano generativi; rendere generativi gli scartati, gli anziani, che forse è il più grande business odierno, a cavaliere con la cura delle relazioni, con la sanità.

Una generatività che comprenda diritti e doveri, perché Lo Stato impieghi i soldi per premiare lo sforzo di generatività delle persone, nel lavoro, nella cura delle relazioni, nel sostegno alla famiglia, non sulla passività (a chi non paga le tasse col condono, o a chi ha redditi senza lavoro). Ci sono una serie di associazioni di volontariato e del III settore (corpi intermedi), centinaia di associazioni in Italia, che coniugano l’economia civile, la generatività, e associazioni cattoliche che sono impegnate in studi di attività politica.
I nostri punti di forza sono “la visione” di poter mettere in campo proposte concrete, derivate dalle nostre radici, un’attualizzazione della Dottrina Sociale della Chiesa con idee e proposizioni di valore e, soprattutto, di servizio. Siamo invece deboli nella capacità di dire alla società che noi ci siamo e che le nostre proposte sono possibili e rendono ragione del bene comune. Se noi ci mettiamo dal lato della domanda, non dell’offerta e cominciamo ad aggregare e solidificare le istanze sociali, possiamo renderci visibili. Cosi facendo saremo nelle condizioni di iniziare a sfidare la politica, essendo già presenti in una buona percentuale del paese e chiedendo che le nostre proposte siano ascoltate e rese fattibili.

Il passo che siamo chiamati a fare oggi è quello di fare squadra sulla comunicazione, perché il consenso, l’informazione transitano sui social. Il primo passo da compiere oggi è questo e dobbiamo anche mantenere questo spirito di collaborazione in relazione a tutto quello che oggi si sta muovendo intorno, per compiere la missione di legare tutte queste nostre impressioni e proposizioni e di portarle su questa nostra visione della generatività, dell’impresa responsabile, del benessere che guarda a molte dimensioni e, in particolare, di sviluppare il tema della politica a quattro mani, come il tema della sussidiarietà. Quando c’è un problema, esso non può essere risolto solo dal mercato e/o dallo Stato; se non c’è una società civile forte, una cittadinanza attiva, se non ci sono imprese responsabili, diventa difficile ottenere risultati.

L’idea di un sistema che abbia a suo fondamento l’idea del leader è destinata a fallire, perché i leader durano un anno, due anni, poi vengono travolti, perché nessuna persona da sola è in grado di gestire la complessità delle problematiche odierne. Occorre avere a disposizione una forza comune, una squadra. Papa Francesco quando afferma che il tempo è superiore allo spazio esalta questa generatività in politica. Vale a dire noi dobbiamo avere l’idea di questo percorso, del cammino nella storia, per cui non è tanto importante occupare uno spazio, ma è importante riuscire a mettere in moto dei percorsi che cambiano le cose nel tempo e questa generatività si riassume in questi quattro bellissimi verbi: desiderare, far nascere, accompagnare, lasciare andare.

Dobbiamo essere generativi, guardiamo a questo percorso, avendo come obbiettivo di costruire nel presente le premesse di ciò che potrebbe avvenire dopo, senza pretendere di essere protagonisti noi stessi, ma accogliendo anche altre proposte e idee, che corrispondano a comuni valori. Scrive Leonardo Becchetti in Taccuino di economia civile:

“Uno dei migliori riferimenti a ciò che può essere sostanza in politica, è un passo tra i più belli dell’esortazione di Papa Francesco, Evangelii Gaudium, dove si afferma che <Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività sociale e politica consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi. Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione. Significa cristallizzare i processi e pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. (…). Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con serie convinzioni>.

Se ci confrontiamo con l’uomo di un secolo fa, alla vigilia della prima guerra mondiale, ci rendiamo conto del progresso spettacolare scientifico, economico e sanitario dell’ultimo secolo. Allo stesso tempo come in ogni epoca, siamo chiamati a lottare per abbattere i nuovi muri di Berlino che si frappongono sul cammino verso il bene comune.
I nomi delle start up civili che si sono presentate a Firenze sono i più vari: fairbnb, che è una piattaforma per viaggiatori, host e comunità per creare lavoro sul territorio e promuovere i fair host, cioè i padroni di casa che hanno un solo appartamento da affittare; we_hop che tratta i rifiuti organici delle birrerie artigianali da cui trae fertilizzanti biologici, bioplastiche; oppure iniziative che partendo dal recupero di prodotti di abbigliamento, ricondotti alle originarie condizioni ( i filati), sviluppano tecnologie di formazione di nuove confezioni che hanno sostenibilità ambientale, in quanto privati di coloranti non biologici o sostanze tossiche precedentemente usate. L’elenco potrebbe continuare e coinvolge quella economia circolare che partendo da prodotti presenti sul mercato, non li destina al macero( ciò comporta sempre spreco energetico e inquinamento ambientale), ma li riconverte e li riconsegna al mercato nella loro sostenibilità e utilizzo ottimali.

La sintesi di questo incontro fiorentino a Palazzo Vecchio, sede storica delle autonomie comunali medioevali e rinascimentali è in sostanza questa.
Ma, riallacciandosi alla attuale fase storica, nella nostra società italiana sono presenti le seguenti negatività:

-l’impossibilità di disporre di risorse economiche per i beni comuni, le imprese, le famiglie, il lavoro, a vantaggio delle borse e dei titoli tossici delle banche,
-la rinuncia alla cultura, alle funzioni proprie delle università, con una progressiva diminuzione del numero dei laureati e l’impoverimento dei giovani in cerca di lavoro, costretti a emigrare all’estero (i ricercatori laureati che producono invenzioni, non possono trasformarle in innovazioni in Italia e perciò emigrano all’estero, ma costano ogni anno oltre sette miliardi per portarli alla laurea), -la mancanza di sussidiarietà circolare, come suggerito da Stefano Zamagni, con l’azione combinata delle “tre gambe della società civile”, cioè gli imprenditori, i corpi intermedi delle varie associazioni di volontariato e i rappresentanti dello Stato.

Quest’ultimi, i rappresentanti dello Stato, si ritengono “padroni” di una direzione nel campo economico, quando dovrebbero essere dei semplici interlocutori al pari degli altri due e se mai affidarsi alla maggior esperienza di altri esperti operatori.

Tale sussidiarietà circolare garantirebbe una azione incisiva sulla manutenzione e sulla cura del patrimonio ambientale naturale (dei boschi, delle campagne e degli argini di fiumi e torrenti), sul restauro e la cura del patrimonio monumentale e storico dei tanti territori comunali italiani, sul campo del sociale e delle relazioni fra le tante persone disabili e famiglie in serie ristrettezze, e influirebbe positivamente nella creazione di posti di lavoro, trasferendo direttamente ai portatori di bisogno, cioè i cittadini e i presidi amministrativi e sanitari locali, quelle risorse che invece ora parcheggiano in mano agli agenti di distribuzione (come le regioni), col risultato opposto di aumentare i costi al momento della redistribuzione e di snaturare la responsabilità diretta ( mancanza e/o eliminazione del rischio) da parte dei corpi intermedi e dei soggetti o portatori dei bisogni.

La contraddizione più grande nella storia umana è nella presenza, ieri come oggi, di una comunità civile da una parte e di una oligarchia dall’altra, la quale ha sempre cercato di appropriarsi e dell’ambiente, per sottometterlo alle sue esigenze, e degli abitanti e usufruttuari naturali.

Come amava dire Giorgio La Pira, le comunità dei cittadini (i popoli), non sono termini aulici o che si adattano a un’interpretazione parziale e violenta, quale fu realizzata nelle dittature comunista e nazionalsocialista del secolo scorso. Le comunità dei cittadini (i popoli) vogliono significare comunioni solidali di persone, di cose e di ambiente, riconoscimenti fraterni delle qualità e talenti di ciascuno, in funzione dei beni comuni. Il dominio oligarchico che nella storia in vario modo, sotto molte forme e in ogni epoca, ha cercato di soffocare le libertà e le capacità delle persone per sottometterle e poi renderle schiave e sfruttarle fino a farle morire in guerre e in conflitti, trova oggi la piena espressione nelle diseguaglianze e nelle manovre finanziarie ed economiche più articolate e complesse.

Compito della politica in Italia è ripartire da questa consapevolezza per rimodellare le aspirazioni di giustizia e di pace che sono scritte nello spirito dell’uomo, fin dalle sue origini e, per noi cristiani, realizzare quel popolo di Dio, presente nelle nostre anime fino dalla Creazione.

 

Note bibliografiche:
-Evangelii Gaudium, 2013 Papa Francesco
-Taccuino di economia civile di Leonardo Becchetti, Ecra 2016
-Economia ed etica, Stefano Zamagni, Ed La Scuola, 2009
-La libertà interiore nella politica attiva, di R. Paolucci, in corso di pubblicazione 2019

A Firenze è andato in scena un Paese generativo e capace di futuro

Articolo già apparso sulle pagine del sito internet http://www.vita.it/

Tre giorni di dibattiti, 80 relatori, 18 panel, decine di giovani protagonisti con le loro imprese innovative, sostenibili e inclusive e più di 1.500 partecipanti: un contributo importante per il dibattito pubblico e per la valorizzazione di buone pratiche di imprese e finanza civile in un Paese alla ricerca di crescita, innovazione e nuovi modelli economici e sociali. Dal palco del Festival a Palazzo Vecchio, dove viene annunciata anche la seconda edizione di questa importante iniziativa, arrivano al Governo italiano precise proposte sui temi dibattuti nella tre giorni fiorentina.

Il Festival Nazionale dell’Economia Civile, nello spirito dei partecipanti, dei giovani innovatori, delle scuole chiede al Parlamento e al Governo italiano di mettere al centro della loro azione l’unica direzione di sviluppo possibile e sostenibile, quella che coniuga valore economico, dignità del lavoro e tutela dell’ambiente. E di lanciare una nuova visione per il Paese che sostituisca conflitto, rabbia e paura con felicità e “ricchezza di senso” della vita.

È possibile costruire società 100 per cento generative, dove tutti – anche le categorie più deboli – siano messe in condizione di essere felici perché capaci di contribuire al benessere degli altri. Di seguito i primi passi concreti individuati e a portata di mano per muovere su questo sentiero.

MACROECONOMIA, OCCUPAZIONE E CRESCITA

I promotori del primo Festival Nazionale dell’Economia Civile chiedono di sbloccare al più presto i cantieri e di creare un rapporto armonioso tra mondi dell’economia, amministrazione e della giustizia civile. In Italia sono disponibili circa 100 miliardi di euro di investimenti stanziati e da impiegare.

Le risorse ci sono l’Unione Europea le ha messe a disposizione, dobbiamo saperle spendere.

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Leonardo Becchetti

Uno sviluppo sostenibile passa anche per una più incisiva politica rivolta alle aree interne in corso di spopolamento, per ridare speranza a giovani e meno giovani che vi

abitano (con il sostegno alle imprese sociali ed a cooperative di comunità).

Sul fronte delle regole bancarie, l’occasione fornita dal recepimento in Europa della normativa Basilea 4 dovrà essere l’occasione per modificare l’approccio dell’Unione Bancaria favorendo realmente la bio-diversità bancaria e incentivando lo sviluppo della finanza civile, ovvero quella mutualistica ed etica in particolare. Le nuove regole dovranno ampliare e non limitare la possibilità di finanziare l’economia reale, le imprese e le famiglie, soprattutto quelle che fanno scelte oggettive di inclusione sociale e sostenibilità ambientale, riducendo l’assorbimento patrimoniale di quei crediti e rendendo strutturalmente proporzionate e adeguate i requisiti delle banche e dei gruppi bancari obbligati per norma a perseguire finalità mutualistiche ed etiche.

POLITICHE PER INCENTIVARE L’ECONOMIA SOSTENIBILE

Un sistema di ecotasse a prova di delocalizzazione che rispetti la progressività fiscale è essenziale per dare al sistema economico il segnale in direzione della sostenibilità., rivolto anche all’inclusione e sostenibilità sociale e non solo ambientale ed economica. I premi nelle remunerazioni dei manager, come in parte già sta accadendo in alcune società più lungimiranti, vanno anch’essi legati al triplice obiettivo (creazione di valore economico, sostenibilità ambientale e dignità del lavoro). È, dunque, necessario aggiungere indicatori di performance di sostenibilità (incidenti sul lavoro, impronta di carbonio) a cui subordinare premi e incentivi anche promuovendo il ripensamento della struttura dei contratti nazionali di lavoro.

STILI DI VITA

Un’economia sostenibile non può prescindere da nuovi modelli organizzativi del lavoro. Due giorni di smart work è la parola d’ordine: una proposta win-win che aumenta la produttività, è a favore della famiglia e funziona da effetto regolatore per una città a misura di sostenibilità, a partire dall’effetto benefico sul problema del traffico nei centri urbani: uscire tutti insieme in macchina e finire nell’ingorgo del traffico deve diventare una stramberia del passato. Una più forte attenzione alla promozione del lavoro femminile e a politiche di conciliazione.

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AMBIENTE: PER UN NUOVO AMBIENTALISMO GENERATIVO

Sul fronte della lotta al cambiamento climatico, gli organizzatori appoggiano la tesi del “Basta con la plastica” dei giovani di FridaysForFuture e con la direttiva dell’Unione Europea che mette fuori legge la plastica monouso dal 2021. Non bisogna poi dimenticare che l’alternativa pulita ed ecosostenibile alla plastica – vale a dire il mater-bi assieme ad altri materiali – è un’eccellenza italiana ormai nota in tutto il mondo.

Al Festival Nazionale dell’Economia Civile, il direttore Leonardo Becchetti ha ricordato la nascita della rete fra 8 Festival (Festival Nazionale dell’Economia Civile, Festival dello Sviluppo Sostenibile, Festival della Generatività, Festival della Partecipazione, ADAPT – International Conference, Festival della Soft Economy, Mappa Celeste. Forum per il Futuro del Paese, Le Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile) che hanno condiviso 12 “parole-chiave” per il futuro: competenza; democrazia; economia civile; fiducia; generatività; green economy; inclusione; partecipazione; soddisfazione di vita; sostenibilità; sussidiarietà; uguaglianza/pari opportunità.

«Uno più uno non dà due, ma tre: questa è la chiave della generatività sociale» hanno spiegato gli organizzatori. Il Paese riparte da qui.

Giovanni Tria: “siamo di fronte a un rallentamento della crescita europea”

Al Festival dell’economia civile in corso a Firenze, il ministro dell’Economia, Giovanni Tria ha dichiarato che: “Siamo di fronte – ha detto il titolare del Mef – a un rallentamento della crescita in tutta Europa. Si è fermata la Germania e di conseguenza si è fermata la parte più produttiva dell’Italia, quella del manifatturiero che esporta. Ora siccome l’Italia da anni cresce un punto in meno degli altri paesi europei noi ci avviamo verso lo zero mentre la Germania riesce a rimanere allo 0,7-0,8 per cento“.

La fase della globalizzazione che stiamo vivendo è “caratterizzata dalla iperconnettività, che ha portato alla polarizzazione della crescita e all’aumento delle disuguaglianze economiche. L’impatto di una crescita così squilibrata si ha nei Paesi, non c’è stabilità finanziaria senza stabilità sociale”.

Il ministro è intervenuto anche sul dibattito relativo a quali debbano essere i limiti e le funzioni della nuova commissione d’inchiesta sulle banche fortemente voluta dai Cinquestelle che ora premono per Gianluigi Paragone presidente. Secondo Tria: “attaccare il sistema del credito italiano, mettere in dubbio la sua solidità ma anche la sua resilienza e porre un sospetto su questo, significa avallare una delle campagne europee che ci stanno attaccando e mettendo in difficoltà”. Una condotta che contribuisce a “minare l’interesse nazionale, nel momento in cui stiamo negoziando come arrivare all’unione bancaria”.

 

Tonino Nieddu: Autore a tutto tondo, nella vita come sugli schermi

Tonino se ne è andato in punta di piedi, come ha sempre vissuto. Dolce e caparbio. Convinto assertore del cristianesimo allegro e produttivo, lievito tra gli uomini  e le donne su questa terra, impegnato come cattolico democratico senza mai una parola di troppo, una cattiveria, una spigolatura azzardata.

Non era un “tiepido”. Proprio no.

Aveva le sue idee e non le ha mai nascoste. Con fierezza e con quella caparbietà dolce tipica dei sardi ha passato anni ed anni a ideare, spiegare, convincere e realizzare sogni  di libertà che prendevano la strada della creatività al cinema, in televisione e nella politica.

La notte prima delle sue esequie ho cercato di ricordare quando ci eravamo conosciuti ( perché io lo ricordo sempre con me in ogni stagione della vita), e non ci sono riuscito che al mattino, rivedendo alcuni vecchi amici….era stato al Cineclub. Il Labirinto dove io 18enne, ero una simpatica mascotte di una compagnia di giro che ,nata dai cineforum Acli aveva innalzato la bandiera del cinema d’ autore ( poi verrà il circuito cinema con Giorgio Valente e Fabio Fefè) ma combatteva anche sul fronte della realtà con una piccola pubblicazione, Dossier delle Autonomie, che io impaginavo a mano con forbici e colla e conteneva scritti non usuali di alcuni che sarebbero diventati famosi per il loro impegno, come Luigi di Liegro, non ancora inventore della Caritas o Roberto Ruffilli e altri amici come Roberto Pertile o il prof Scoppola allora già ben conosciuto; insomma il giro della Lega Democratica.

Tonino ha sempre mantenuto questi due impegni, culturale e politico. Il primo  con l’Anac, l’associazione degli autori cinematografici e televisivi in cui noi  cattolici democratici eravamo davvero “mosche bianche”;lì con la sua bonomìa mi fece incontrare Citto Maselli, un uomo di sinistra solaree non ideologico, spiritoso e gioviale e, soprattutto, curioso. Con la sua complicità e con la “regia” di Tonino ci inventammo -mentre ero responsabile della cultura nel PPI – un convegno sul cinema che fece salire a Piazza del Gesù, forse per la prima volta, personaggi come Ettore Scola, Gillo Pontecorvo, Lizzani e tutto il “gotha” della cultura di sinistra “classica”.

Fu un momento memorabile, forse più umanamente che politicamente, ma vedere questi “mostri sacri” del cinema nella sala della Direzione della Democrazia Cristiana a palazzo Cenci Bolognetti,  davanti ad un Franco Marini un po’ imbarazzato a parlare di cose che non rientrano certamente tra i suoi argomenti “di battaglia” fu argomento  di nostre riflessioni “leggere” per anni.

E’ grazie a Tonino Nieddu poi che facemmo l’unica “nomina” di rilievo della nostra attività politica : l’indicazione di Liliana Cavani per il Cda Rai.

Non fu certo una “nomina di sottogoverno” : grazie a Liliana e con la caparbietà quotidiana di Tonino, la Rai tornò a mordere il terreno della produzione di fiction e cinematografica; Rai Fiction , Rai cinema, la distribuzione Rai, gli debbono molto e molto più Tonino aveva progettato  per unire la Rai come agenzia di senso della società italiana, alla ripresa anche fisica dei cinema che chiudevano rovinosamente città per città, quartiere per quartiere, di fronte alla crescita delle multisale e alla sfida delle produzioni internazionali o delle nuove piattaforme. Quel progetto delle sale cinema con la Rai ed il Luce, come molti altri che Tonino ha sempre fatto, dal film su John Fante (ho letto a Natale il bellissimo soggetto ), alla Casa della produzione e del cinema nella sua Sardegna, avrebbe avuto bisogno di politici consapevoli e di dirigenti indipendenti ma spesso, come in questi casi citati, non ce ne erano ( o si erano fatti promuovere, anche al posto suo) ed i progetti sono rimasti  al palo. Orgogliosamente al palo. Perché Tonino non andava ai convegni politici o culturali per farsi vedere e per fare carriera ma per continuare a proporre progetti, suggerire letture, indicare sogni da realizzare.

Ha avuto interlocutori intellettuali, potenti, di gran nome. Lui non si impressionava: tra una sigaretta e l’altra, con gli occhi che gli brillavano, distribuiva idee a piene mani, con generosità, sapendo che un semplice seme genera frutto, magari fuori dal terreno prescelto.

Usciva, dava idee, e rientrava. Come un frate. Magari francescano, seguace di quel Francesco che era la sua linea ufficiale di Fede : frequentare tutti, anche i potenti, senza essere corrotto dalla potenza. Usare anzi la forza per realizzare le idee, e per deboli o fragili che siano, meglio ancora se elevate al rango di “idee guida”.

Quando non era ascoltato per le sue idee e non riusciva a far “vedere” la realizzabilità dei sogni allora si  concentrava sul lavoro : La Meglio Gioventù, De Gasperi, Francesco, Basaglia, sono solo alcune delle fiction che hanno visto la luce sotto la sua “produzione”, che come molti sanno significa difendere e diffondere il soggetto, trovare i soldi, difenderli, raccontare e far raccontare nel modo giusto, stimolare registi, attori, maestranze….insomma un lavoro improbo, artigianale e quotidiano  che non tutti sanno fare e che alcuni ritengono sia solo presenziare e apporre la firma nei ‘Credits’ finali.

Lui era proprio il contrario. Sempre Talent scout, sempre produttore. Pure di fronte ai “mostri sacri”. All’inizio delle attività del Centenario della Prima Guerra Mondiale fu lui a mettermi in contatto con Olmi e sua figlia Betta per costruire le condizioni per realizzare quello che è stato l’ultimo film di un “Maestro” e non solo del cinema. Ermanno Olmi è stato un cattolico inquieto, un cristiano in cammino e un sincero democratico. Impegnato per la pace da sempre e che alla fine del suo percorso umano voleva assolutamente raccontare la follia della guerra. Quel film “Ritorneranno i prati” deve a Tonino e alla sua indicazione il fatto di essere nato e realizzato così in fretta, in tempo per il Maestro Olmi, l’amico Olmi, il cristiano Olmi.

Il fatto che da poco Tonino Nieddu fosse in pensione non credo sia un particolare di cui qualcuno si è accorto, perché Tonino chiamava, proponeva, scriveva, consigliava, commentava articoli e riflessioni, stimolava a farne. Sempre. E sempre con dolcezza, senza invadenza, ma implacabilmente.

Sarà difficile farne a meno.

Per fortuna ci sono tanti progetti in corso e da realizzare, e tante idee, e tanti testi…..che sembrerà davvero di averlo qui, con noi , sempre, come Paolo Giuntella, come Cesare Martino, come Ermanno Olmi.

Una comunità di viventi; solo in forme diverse, che noi oggi non riusciamo a comprendere.

Siccità: L’Italia è a secco

L’ Italia è a secco dopo che il trimestre invernale 2019 ha fatto registrare un deficit pluviometrico nazionale pari a -30%, che equivale a circa 15 miliardi di metri cubi in meno di acqua rispetto alla media stagionale, ma la situazione peggiore è al Nord dove le precipitazioni sono praticamente dimezzate. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base dei dati Meteoexpert dalla quale si evidenzia che lungo la Penisola, l’area maggiormente penalizzata dalla mancanza di acqua è il Nord-Ovest dove più evidente è stata anche l’anomalia termica stagionale con temperature superiori di 1,2 gradi la media.

Il bilancio alla fine del primo trimestre dell’anno – sottolinea la Coldiretti –  è grave come quella del 2017, uno degli anni peggiori del secolo, che ha creato difficoltà anche per gli usi civili nei centri urbani ed è costata 2 miliardi di euro in danni all’agricoltura a causa della siccità che ha tagliato i raccolti delle principali produzioni, dagli ortaggi alla frutta fino al mais, ma anche ai vigneti e al fieno per l’alimentazione del bestiame per la produzione di latte.

L’anomalia climatica di quest’anno – continua la Coldiretti – ha compromesso le riserve nel terreno, lasciato senza neve le montagne ed a secco invasi, fiumi e laghi. Il Po – evidenzia la Coldiretti – è già 3,12 metri sotto lo zero idrometrico al Ponte della Becca a Pavia, il lago di Como ha un riempimento di appena il 7,6% con un livello di -27,7 centimetri vicino al record negativo storico registrato nel 1958, mentre il Maggiore è riempito solo per meno di un terzo (29,5%) del suo potenziale con un livello di appena 8,7 centimetri.

Una situazione che ha fatto scattare l’allarme per le semine primaverili di granoturco, soia, girasole, barbabietole, riso e pomodoro nei terreni aridi per la mancanza dell’acqua necessaria alle coltivazioni per crescere ma a preoccupare sono anche gli ortaggi e le piante da frutto fiorite in anticipo per le alte temperature. Se da un lato infatti il “bel tempo” ha permesso agli agricoltori di fare le lavorazioni per preparare il terreno alla semina in modo ottimale, non si può dire la stessa cosa per la germinazione dei semi, che – spiega la Coldiretti – può avvenire solo se in presenza di buona umidità del terreno.

Dove si è appena seminato in molti casi – precisa la Coldiretti – è stato necessario intervenire in grande anticipo con le irrigazioni di soccorso ma in difficoltà sono anche le colture autunnali come il frumento, l’orzo, l’erba medica e le altre foraggere che soffrono la prolungata siccità. Un situazione che favorisce anche gli incendi come dimostra l’analisi di Coldiretti su dati Effis dalla quale si evidenzia che in Italia è divampato più di un incendio al giorno con ben 97 incendi dall’inizio dell’anno con 2576 ettari bruciati contro gli appena 4 roghi dello stesso periodo del 2018 e 26 ettari devastati.

In queste condizioni – continua la Coldiretti – il maltempo è atteso come manna dagli agricoltori ma per essere di sollievo la pioggia deve durare a lungo, cadere in maniera costante e non troppo intensa, mentre i forti temporali, soprattutto con precipitazioni violente provocano danni.

Di fronte ai cambiamenti climatici è necessario passare dalla gestione dell’emergenza con enorme spreco di risorse, per abbracciare una nuova cultura delle prevenzione in un Paese come l’Italia che – rileva la Coldiretti – resta comunque piovoso ma per le carenze infrastrutturali se ne trattiene solo l’11%. Occorre organizzarsi per raccogliere l’acqua nei periodi più piovosi per renderla disponibile nei momenti di difficoltà. E per questo servono – continua Coldiretti – interventi di manutenzione, risparmio, recupero e riciclaggio delle acque con le opere infrastrutturali, potenziando la rete di invasi sui territori, creando bacini e utilizzando anche le ex cave per raccogliere l’acqua piovana. Gli agricoltori – conclude la Coldiretti – sono già impegnati a fare la propria parte per promuovere l’uso razionale dell’acqua, lo sviluppo di sistemi di irrigazione a basso impatto e l’innovazione con colture meno idro-esigenti, ma non deve essere dimenticato che l’acqua è essenziale per mantenere in vita sistemi agricoli senza i quali è a rischio la sopravvivenza del territorio e la competitività dell’intero settore alimentare.

Piranesi visionario tra cielo e terra

Articolo già apparso sulle pagine di http://www.succedeoggi.it a firma di Lidia Lombardi

Non fate più la fila, nell’ultimo slargo dell’Aventino – la piazza dei Cavalieri di Malta – per sbirciare dal buco della serratura di un severo portone la Cupola di San Pietro, teofania che incanta i turisti 365 giorni l’anno, 24 ore su 24. Entrate invece in quello spicchio di bellezza, la sede extraterritoriale del Sovrano Ordine di Malta che include la Villa, il giardino all’italiana con la vista sul Tevere e sul Cupolone e quell’unicum appena restaurato che è la Chiesa di Santa Maria del Priorato. Potete farlo il venerdì mattina, prenotando una visita (soltanto guidata e solo per gruppi) sul sito visitorscentre@orderofmalta.int.Un mondo a parte, impreziosito dal candido tempio intitolato alla Vergine, l’unica opera architettonica di Giovanni Battista Piranesi, il veneziano fantasioso e razionale che tante vedute di Roma fissò nelle sue incisioni durante il secolo dei Lumi. La piccola chiesa – una sorta di sacello che ospita le tombe dei Gran Priori e dei Gran Maestri dell’Ordine insieme con l’urna contenente le ceneri appunto del Piranesi, divenuto membro del glorioso “club” benefico con il titolo di Cavaliere dello Speron d’oro, lo stesso ottenuto da Mozart e che gli fruttò l’appellativo di Mozart delle Rovine – è uscita come appena terminata nel 1766 dal cantiere di restauro finanziato dall’Ordine, oltre che dalla Fondazione Roma del mecenate Emmanuele Emanuele. Si legge così perfettamente la profusione di decori e simboli che Piranesi modellò nello stucco. E si recupera l’intellettuale contrasto tra il bianco che trionfa ovunque e l’ocra che incornicia nicchie e angoli. Insieme a un terzo “colore”, l’ombra, che l’architetto fece derivare – sorta di invito alla meditazione – dai rilievi in stucco disseminati come trina. Sicché tutta la costruzione è una sorta di esperimento: conferire tridimensionalità alla sua arte di incisore.

In un miscuglio di sacro e profano, di cristianesimo e paganesimo, di ordine ed eccentricità, di simmetria e varietà. Ecco allora nel rarefatto interno i dodici medaglioni con la raffigurazione degli apostoli, ecco il bassorilievo con la Vergine (Sancta Maria de Aventinae fu eretta nel 936 dal monaco benedettino Oddone di Cluny nel luogo dove venne rinvenuta un’icona della Madonna); ecco in sequenza al centro del soffitto il “bricolage” tipicamente piranesiano che affianca San Giovanni Battista recante l’Agnus Dei, una croce greca sorretta da putti entro una cornice triangolare simbolo della Trinità ma anche segno massonico, la tunica indossata dai Cavalieri di Malta, la tiara papale e le chiavi incrociate. Ma ecco anche rimandi al mondo etrusco e all’Egitto, con le piccole sfingi che affiancano torri al culmine delle quattro lesene della facciata esterna; ecco i serpenti (il colle Aventino era chiamato Mons Serpentarius), e le palme e gli allori e i trofei romani e le aquile bicipiti, gli scudi, la nave a vela, i labari: accenni alla antica Roma e insieme alle vittorie per mare dei Cavalieri di Malta sui musulmani. Così riaffiora tutta la storia di questo luogo e del tempio, uno dei più ammirati della cristianità. Alberico II nel X secolo donò il terreno dove sorgono Villa e Chiesa a Odone di Cluny, che fondò qui un monastero fortificato (resistono i merli della muratura perimetrale, presidio che osserva dall’alto il biondo fiume). Il complesso passò poi all’Ordine dei Templari, i monaci combattenti a difesa di Gerusalemme e dei pellegrini là diretti. Ma, al loro scioglimento nel 1312, subentrò l’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme detti Ospedalieri – l’attuale Ordine di Malta – che nel 1566 stabilì il Priorato a Roma: e se nel giardino una scritta rammenta i Templari, nella Villa il Gran Maestro riceve capi di Stato, di Governo, Ambasciatori accreditati presso il Sovrano Ordine, mentre la chiesa resta luogo di culto ed è illuminata fastosamente nella notte del 24 giugno, il giorno dedicato al patrono San Giovanni Battista.

Fu un altro Giovanni Battista, il veneziano cardinal Rezzonico, Gran Priore dell’Ordine e nipote di papa Clemente XIII, a commissionare al Piranesi il rinnovamento della chiesa, della villa magistrale, dei giardini e della piazza antistante, enigmatica e affascinante nei piccoli obelischi. L’artista – «dal 1740 vive a Roma, ha formazione di vedutista canalettiano ma preferisce l’incisione alla pittura, è architetto ma costruisce una sola chiesa piccola e stupenda» scrisse Giulio Carlo Argan – concentra appunto in Santa Maria del Priorato l’estro visionario usando il linguaggio del barocco e del neoclassico («come il Palladio per le sue ville, poste tra acqua e cielo, egli pose la chiesa tra terra e cielo, sganciata dunque dalla Storia, in una atemporalità che è per questo quintessenza della modernità» ha osservato alla presentazione del restauro Francesco Moschini, architetto ai vertici dell’Accademia di San Luca). La contaminazione ideologica e di stili non piacque a molti dei contemporanei del Piranesi: un’opera prodotta dalla «testa di un matto, che non à nessun fondamento», si disse criticando le immagini ricorrenti all’interno e sulla facciata, i serpenti, i crani (simbolo di vanità, morte, vanagloria), le torce a testa in giù (anch’esse segno di morte nella cultura antica, così come per gli adepti del culto di Mitra). A tutto ciò pare pensare il Piranesi raffigurato in statua da Giuseppe Angelini sulla propria urna funeraria: ha la toga di antico romano, poggia il mento su una mano, reca sotto il braccio un cartiglio con la pianta del tempio di Poseidon a Paestum: perché fu durante il viaggio di ritorno dal mitico luogo che egli morì dopo aver contratto la malaria.

Nell’altare esplode invece il mistico trionfo di San Basilio, vescovo greco, innalzato in cielo da Serafini e Cherubini. Un’apoteosi del bianco sullo sfondo del piccolo abside contornato da pigne e fiori. Con l’unica nota di colore delle bandiere che assemblano le otto lingue dei Cavalieri quattrocenteschi: Provenza, Alvernia, Francia, Italia, Aragona, Inghilterra, Alemagna, Castiglia e Leon. Il “sogno” architettonico di Piranesi impegnò per due anni le maestranze venete. «Il restauro, consistito in pulitura con tamponi d’acqua distillata e gomma pane e in rinforzi con consolidanti iniettati da microbisturi, ha evidenziato la cura maniacale degli ornamenti, anche quelli non in vista come ghiande grandi in centimetro», riferisce Giorgio Ferreri, direttore progettuale dei lavori, durati dal 2017 a poche settimane fa. E, in una costruzione sostanzialmente mai restaurata, ha dato l’emozione di ritrovare le pennellate del Piranesi, quell’ocra romano scelto per il connubio con un metafisico bianco.

Slovacchia: Zuzana Caputova è la prima presidente donna

Zuzana Caputova è la prima presidente donna della Slovacchia: nel ballottaggio la 45enne europeista e liberal ha ottenuto il 58,4% dei voti contro il 41,59% del commissario europeo all’Energia Maros Sefcovic.

La Caputova, è soprannominata la Erin Brockovich slovacca per il suo impegno per la gente comune, è una madre divorziata con due figlie impegnata per l’ambiente (per 14 anni si è battuta contro una discarica illegale a Pezinok, fino alla sua chiusura) e con il nuovo compagno che è un coraggioso fotoreporter.

Ex vicepresidente del piccolo partito non governativo Slovacchia progressista, è entrata in politica nel 2017, dopo l’assassinio del giornalista investigativo Jan Kuciak e della sua compagna, per il quale un oligarca è stato arrestato come mandante pochi giorni fa.

Il successo della Caputova è ancor più significativo perché rompe il fronte sovranista, populista ed euroscettico nel Gruppo di Visegrad.

 

Canada: sulla scena del crimine si presenta Batman

Si fa chiamare Okanagan Batman ed è famoso per il costume del personaggio che indossa che è solito usare per feste ed eventi a tema; gira anche con la ‘Batmobile’, che non è altro che un pick-up su cui ha posto il logo dell’uomo pipistrello.

Si tratta di un cittadino di Kelowna, Canada, che stavolta ha provato a fare per davvero il mestiere di Batman, presentandosi sulla scena di un crimine. L’uomo però è stato allontanato dalla polizia alla quale aveva offerto il suo aiuto per il caso

Treviso: Premiato il Centro per la  sclerosi multipla dell’Ospedale Ca’ Foncello

Premiato con la “Cicogna per la sclerosi multipla” il Centro per la  sclerosi multipla dell’Ospedale Ca’ Foncello di Treviso. Il premio è stato consegnato ieri a Milano al Servizio diretto dalla dr.ssa Marika Vianello per il percorso multidisciplinare attivato per seguire le donne in gravidanza.
Complessivamente i Centri premiati sono stati 77 a livello nazionale, nell’ambito del progetto promosso da Onda, con il patrocinio di AISM, Associazione Italiana Sclerosi Multipla e SIN, Società Italiana di Neurologia, e con il contributo incondizionato di Teva, volto a migliorare l’accessibilità ai servizi erogati dai centri clinici sclerosi multipla e sostenere le donne colpite dalla malattia alla ricerca di una gravidanza.

Tra i pazienti che afferiscono al nostro Centro, operativo da oltre 15 anni  nell’ambito dell’Unità Operativa di Neurologia diretta dal dr. Domenico Marco Bonifati,  ci sono,  annualmente, circa 400 donne in età fertile – spiega la dr.ssa Vianello -.La loro prima domanda, al momento della diagnosi è  “Potrò diventare mamma?” Noi diamo loro supporto sia nella pianificazione del concepimento che con un’attività di counseling, dalla gravidanza al parto, realizzata in collaborazione con l’Unità Operativa di Ginecologia”.

“Il riconoscimento concessoci da Onda è per noi motivo di soddisfazione – sottolinea Francesco Benazzi, direttore generale dell’Ulss 2 -. Da tempo abbiamo avviato percorsi dedicati rivolti alle donne. In questo contesto rientra il percorso virtuoso di collaborazione, nell’ambito del Centro per la sclerosi multipla, dei neurologi con ginecologi, anestesisti, neonatologi e psicologi con l’obiettivo di accompagnare la donna con desiderio di maternità in tutte le fasi, dal pre-concepimento al parto.  Se una donna desidera diventare madre, è giusto che sappia che ciò è possibile, nonostante la malattia. Questa malattia colpisce le donne due volte più degli uomini e arriva quando si è giovani. E’  naturale che molte donne si interroghino sulla scelta di avere figli, nutrano timori sulla capacità di gestire la gravidanza e la crescita dei loro bambini. Di qui l’importanza di trovare sostegno e supporto da parte degli specialisti, nell’ambito di una presa in carico a 360°”.

Sono oltre 79.000 le donne italiane che soffrono di sclerosi multipla, una malattia cronica e progressiva che, essendo diagnosticata nella maggior parte dei casi tra i 20 e i 40 anni, si manifesta nel periodo più florido e produttivo della vita della donna, influenzando inevitabilmente la pianificazione familiare.

Se un tempo a queste donne era fortemente sconsigliato avere figli, oggi le evidenze scientifiche dimostrano che è possibile realizzare questo progetto di vita senza modificare a lungo termine l’andamento della malattia e senza causare danni al nascituro. Ciò nonostante persistono ancora errate convinzioni che minano il desiderio di maternità in molte donne con sclerosi multipla, come dimostra un’indagine europea realizzata nel 2017 in cinque paesi, tra cui l’Italia, condotta su 1000 pazienti tra i 25 e i 35 anni: l’85% delle italiane con sclerosi multipla teme di non poter avere figli e il 49% dichiara di avere paura di trasmettere la malattia al proprio bambino.

“Con il progetto ‘Una cicogna per la sclerosi multipla’, Onda mette in campo una serie di strumenti per supportare le donne con sclerosi multipla nel realizzare il loro desiderio di maternità”, afferma Francesca Merzagora, Presidente Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere. “Grazie ad un lavoro di mappatura sul territorio nazionale, che ha coinvolto gli ospedali con i Bollini rosa e non solo e a cui hanno partecipato 89 centri clinici, abbiamo assegnato la “Cicogna” a 77 strutture dove le donne possono trovare il supporto di un team multidisciplinare che valorizza la sinergia tra i vari specialisti coinvolti nella gestione della gravidanza, in particolare neurologo e ginecologo. In questi centri sarà distribuita anche una pubblicazione che vuole aiutare le donne con sclerosi multipla ad affrontare con maggior consapevolezza e serenità il desiderio di maternità, la gravidanza e la genitorialità, offrendo alcuni spunti per facilitare il dialogo con il proprio specialista di fiducia su questi delicati aspetti.

Il progetto ‘Una cicogna per la sclerosi multipla’ vuole lanciare alcuni importanti messaggi: si può diventare mamme con la sclerosi multipla; la sclerosi multipla non è trasmissibile ai propri figli; le terapie modificanti il decorso della malattia non rappresentano un ostacolo assoluto al progetto di gravidanza; si può allattare dopo il parto e non vi sono aumentati rischi di anomalie congenite nei bimbi.

Verona, gli opposti estremismi e la Dc

Sin da ragazzo, dai corsi di formazione alla politica guidati dai “maestri” della sinistra Dc e da autentici cattolici democratici e popolari – nel mio caso da Carlo Donat-Cattin a Sandro Fontana, da Guido Bodrato a Luigi Granelli – ho imparato sostanzialmente 2 cose, tra le molte che si potrebbero citare quando si parlava di fede e politica e del rapporto tra i cattolici e la politica. Innanzitutto la fede, quando diventa un fatto pubblico, non può mai trasformarsi in un randello da scagliare contro l’avversario. Perché altrimenti si corre il rischio, peraltro concreto, che proprio la fede diventa intolleranza, fondamentalismo e integralismo. In secondo luogo la fede di una persona o di un gruppo di persone che si riconoscono in un movimento politico o partitico, non può mai essere strumentalizzata e piegata per un fine di mero consenso elettorale. Se in un passato lontano, o meno lontano, è stata utilizzata per questo fine non è una buona ragione per consolidare quella deriva e quella degenerazione.

Ora, per fermarsi al convegno di Verona sulla famiglia al centro di violente e sgangherate polemiche, noi abbiamo assistito non solo a quei due rischi che denunciavo all’inizio ma anche alla riproposizione, attorno ad un tema etico, religioso, culturale e politico così delicato e così complesso, del ritorno degli “opposti estremismi”. Opposti estremismi che è stato talmente semplice verificare e toccare con mano al punto che erano anni, se non decenni, che non assistevamo più a queste contrapposizioni frontali e persin violente, appunto. Un cliché che, purtroppo, ha accompagnato lo sviluppo e la crescita della stessa democrazia nel nostro paese dove una destra clericale e integralista si contrapponeva spesso ad una sinistra laicista, libertaria con profonde venature anticattoliche e senza esclusione di colpi. Una delegittimazione reciproca dove il tutto veniva sacrificato sull’altare di una incomunicabilità preconcetta e pregiudiziale.

Però, e qui c’è la profonda differenza tra ieri e oggi, si registra purtroppo l’assenza – e lo dico senza alcuna tentazione nostalgica – di un movimento/partito capace di declinare sino in fondo la laicità dell’azione politica, di manifestare pubblicamente la propria ispirazione cristiana senza derive clericali o confessionali, e Infine di saper dispiegare un progetto politico senza alcuna ipoteca integralistica. Insomma, manca un partito come la Democrazia Cristiana, o il più striminzito Partito Popolare di Martinazzoli capaci di battere gli “opposti estremismi” attraverso la politica, la laicità dell’azione politica, la cultura della mediazione, il riconoscimento del pluralismo e la predisposizione a comprendere le ragioni dell’avversario senza puntare al solo annientamento del “nemico”.

La scomparsa di questi elementi discriminanti per una vera cultura democratica segnano anche il ritorno della destra contrapposta alla sinistra, degli integralisti contrapposti ai laicisti e della fretta a demolire e a distruggere gli avversari piuttosto che privilegiare il confronto e il dialogo.

Ora, è inutile rimpiangere un passato che non ritorna più. Semmai, e al contrario, la responsabilità di questa regressione democratica e di questa caduta della qualità della democrazia italiana, è solo ed esclusivamente di quei cattolici democratici popolari – cioè di chi è stato educato con quella cultura e con quello stile – che hanno sistematicamente abdicato alla propria “mission” e anche al proprio dovere di democratici e di cristiani.

Anche dal convegno di Verona e dalle roventi polemiche che l’hanno accompagnato, dunque, arriva un messaggio preciso e quasi perentorio. Forse è giunto il momento di ripartire davvero. A livello politico con la riscoperta e la riproposizione di una “politica di centro” e di una “cultura di centro”; a livello culturale con la riattualizzazione del pensiero cattolico democratico e popolare e a livello personale con il recupero di uno “stile” che ha caratterizzato il comportamento e il modo d’essere dei grandi statisti e leader democristiani quando si affrontavano temi delicati e difficili come quelli che in questi giorni sono stati al centro di mille polemiche e di radicali contrapposizioni.

Giorgio Radicati: Repubblica di Macedonia del Nord, Grecia, Nato ed Unione Europea

In questi giorni, l’attenzione degli osservatori di politica internazionale è rivolta verso un piccolo Stato balcanico (con capitale Skopje) denominato soltanto da poche settimane “Repubblica di Macedonia del Nord” a seguito di un accordo raggiunto con la Grecia lo scorso giugno, dopo una annosa disputa protrattasi per circa trenta anni.

Il motivo di questo rinnovato interesse sta principalmente nel fatto che la NATO ha invitato quel Paese a diventare il trentesimo membro dell’Alleanza, dopo una attesa durata oltre tredici anni.

I due eventi sono strettamente legati l’uno all’altro, poiché la Grecia, proprio a causa delle divergenze sul nome, aveva sempre esercitato il diritto di veto per bloccare la richiesta macedone di integrazione euro-atlantica nei ranghi della NATO e, in prospettiva, in quelli dell’Unione Europea.

Ma perché la Grecia si è così a lungo ostinata a rifiutare il nome “Repubblica di Macedonia”, che il minuscolo stato confinante si era dato con referendum popolare nel 1992 (al momento della proclamazione di indipendenza), trasformato un anno dopo “pro bono pacis” (in versione onusiana) in “Former Jugoslavian Republic of Macedonia” (FYROM), riconosciuto dalla stragrande maggioranza della Comunità Internazionale?

È presto detto. Atene sosteneva che la denominazione “Macedonia” rappresenta l’usurpazione di un nome che appartiene esclusivamente alla omonima regione settentrionale del proprio territorio e che da tale usurpazione avrebbe potuto derivare il rischio di future rivendicazioni di Skopje su quella stessa regione.

La Macedonia – precisava, spesso e volentieri, il portavoce – è stata greca per almeno tremila anni ed i suoi abitanti sono i soli ad avere sempre parlato la lingua greca e ad avere dato vita alla grande arte e cultura classica. Nel 1944, Tito aveva voluto scrivere una nuova storia del territorio macedone sia per equilibri di politica interna sia per preparare il terreno a future rivendicazioni territoriali nei confronti della Grecia. A tal fine, egli arrivò ad affermare che l’antica Macedonia era slava e che il suo popolo discendeva da Alessandro il Grande. Trattasi – veniva sottolineato con enfasi – di un clamoroso falso storico, poiché gli Slavi sono arrivati in quella regione soltanto mille anni dopo gli insediamenti greci ed il nome “Macedonia” è stato utilizzato da almeno 1500 anni, come stanno a provare i nomi delle città, dei fiumi e dei personaggi della storia vissuti in quell’area, tutti rigorosamente greci. Anche all’epoca della dominazione romana e poi bizantina – si argomentava – il territorio macedone era abitato da indistinte popolazioni bulgare (a nord) ed elleniche (a sud), con la presenza di lingue e culture diverse e, del resto, non esiste alcuna fonte ufficiale che menzioni una qualsivoglia etnia macedone prima dell’arrivo del comunismo. Insomma, per i greci la parola “Macedonia” era stata sempre e soltanto una espressione geografica, che Tito aveva  trasformato in entità nazionale per motivi strettamente politici.

Ovviamente le autorità macedoni rigettavano tale versione, menzionando l’esistenza di popolazioni illiriche e frigie sul territorio macedone fin da 1000-1500 anni prima di Cristo. Per loro era stata una tribù macedone, di lingua e cultura slava, (apparsa intorno al VII-VIII Sec. a. C.) che, sotto la guida di Filippo II e di suo figlio Alessandro il Grande, aveva assoggettato le città-stato greche, dando poi vita ad un enorme impero.  Del resto – veniva fatto osservare – macedoni e greci si erano sempre considerati popoli del tutto diversi al punto che questi ultimi, nei testi dell’epoca, definivano i primi “barbari”. Inoltre, era storicamente provata l’esistenza nel Medio Evo di un impero slavo con alla testa Samuil, uno slavo macedone residente ad Ohrid. Quando l’imperatore bizantino Basilio II lo conquistò dovette ufficialmente riconoscere le peculiari caratteristiche etniche, linguistiche e culturali della popolazione soggiogata. Infine, con un salto di alcuni secoli, dopo la sconfitta greca ad opera degli Ottomani (1897), era sorto in quella regione un movimento indipendentista, l’IMRO (Organizzazione Macedone Interna Rivoluzionaria) che, nel 1903, si rese protagonista di una clamorosa azione militare contro una guarnigione turca di stanza ad Ilinden, che portò alla istituzione di un governo rivoluzionario. Esso è considerato ancora oggi dai Macedoni come il primo governo macedone della storia anche se fu di breve durata, poiché brutalmente abbattuto dai Turchi.

Ricordo che, verso la fine del 2007, grazie al diretto coinvolgimento americano, il negoziato ebbe una forte accelerazione, almeno sul piano della moltiplicazione degli incontri fra i negoziatori delle due parti, ma i risultati furono molto scarsi poiché la distanza fra le due posizioni restava notevole. Sembrava mancare l’atmosfera giusta per una intesa, anche perché le due capitali cominciarono a trovare in questo “impasse” personali motivi di interesse. Infatti, i greci si erano resi conto che il diritto di veto nelle loro mani poteva trasformarsi in arma letale contro le aspirazioni europeiste di Skopje, mentre il Governo macedone, avendo questa disputa risvegliato il sentimento nazionalista della popolazione, decideva di cavalcarlo anche per garantire la propria sopravvivenza, messa a rischio dalle perduranti incertezze economiche e dalle ancora vaghe prospettive di una sollecita integrazione europea.

All’epoca, in quanto Capo della Missione OSCE a Skopje, trovavo la disputa anacronistica, in un momento in cui il processo di allargamento dell’Europa stava (almeno tendenzialmente) sottovalutando simboli nazionali ed identità. Insomma, questo confronto su interessi culturali, simbolici ed identitari mi sembrava riportare indietro le lancette dell’orologio della Storia di quasi un secolo!

Come noto, negli anni seguenti, una terribile crisi economica costrinse la Grecia a ridimensionare il proprio ruolo nei Balcani e nell’area mediterranea nonché a rivedere il quadro delle proprie priorità politiche ed economiche. In questo nuovo scenario la disputa con Skopje è andata gradatamente ridimensionandosi, portando i governanti ad adottare al tavolo negoziale lungimiranza politica e sano pragmatismo responsabile, che hanno consentito loro, sfidando gran parte della rispettiva opinione pubblica interna, di raggiungere un accordo.

Trovo estremamente positivo ed incoraggiante che dalle rive del lago di Prespa – dove è stato firmato lo storico documento -Tsipras e Zoran Zaev, i leader dei due Paesi, abbiano in fondo lanciato all’Europa, con la loro saggia intesa, un messaggio di pace e cooperazione contro il rigurgito nazionalista e sovranista, che sembra avvelenare il clima politico di questa travagliata antivigilia elettorale per il rinnovo del Parlamento a Strasburgo.

Il loro mi sembra un esempio da seguire, sul quale i governanti europei (ma anche tutti i politici e gli elettori) dovrebbero riflettere a fondo.

*Giorgio Radicati, ambasciatore, ultimo incarico ricoperto a Skopje in rappresentanza dell’Osce, ha pubblicato “Macedonia e dintorni” (2009).

Famiglia: Furlan, no a divisioni ideologiche e politiche: serve il dialogo

La famiglia è il pilastro della nostra comunità e della coesione sociale. Per questo occorre ragionare in termini di ‘per’ e non ‘contro’. Il tema di una maggiore tutela della famiglia e del sostegno alla maternità dovrebbe vederci tutti uniti, senza contrapposizioni ideologiche, posizioni radicali o strumentalizzazioni politiche.

È giusto rilanciare la centralità della famiglia nella società attuale, ma tutto questo non si fa ponendo nuovi steccati in una logica di contrarietà. La famiglia non è mai in antitesi a qualcuno. Occorre invece far prevalere le ragioni del dialogo più volte richiamato da Papa Francesco, in una alleanza tra le istituzioni, la politica, le espressioni della società civile, per rimettere al centro il rispetto delle persone e di una istituzione come la famiglia, il cui ruolo, tutelato dalla Costituzione, è più che mai indispensabile per la crescita ed il futuro delle nuove generazioni, per una maggiore coesione sociale ed economica del paese, senza mettere in discussione conquiste e diritti consolidati.

Ecco perché bisognerebbe unire le forze per un vera politica strategica in favore della famiglia, a partire dalla leva fiscale, dal rilancio dell’occupazione femminile, dagli incentivi alla conciliazione vita/lavoro, dalla contrattazione di genere su cui come sindacato ci stiamo spendendo molto e dalla riorganizzazione di servizi di welfare concreti ed adeguati alle esigenze familiari.

La Cisl si è sempre battuta e si batterà ancora per creare quell”humus’ in grado di promuovere pari opportunità e parità di genere in tutti i contesti della nostra vita sociale, politica ed economica. Solo così saremo in grado di sostenere realmente quella forza inesauribile rappresentata dalla famiglia, che ha saputo attutire in questi lunghi anni i colpi di una crisi economica dura e senza precedenti.

La Commissione regionale pugliese di Pastorale sociale: “Ripartire dalla solidarietà antidoto ai populismi”

La Commissione regionale pugliese di Pastorale sociale, del lavoro, giustizia, pace e custodia del creato per le prossime elezioni europee lancia un messaggio a tutti i cittadini del vecchio continente.

“Un Europa solidale che possa mettere al centro dei propri programmi la persona umana”.

La “perdurante crisi migratoria con il rifiuto nell’assunzione di responsabilità da parte di molti Stati dell’Unione e la difficoltà da parte delle Istituzioni europee nel proporre soluzioni condivise e condivisibili”, è “un grave sintomo di  chiusura che può decretare la fine di un sodalizio che è nato facendo tesoro delle diversità che si incontrano”. La gestione di un fenomeno di così ampie proporzioni “non può essere demandata ai soli Stati che si affacciano sul Mediterraneo”.

“Solo rimettendo al centro l’uomo con la sua dignità si potrà ridimensionare il pericolo di vedere messo in discussione un sogno che, seppur realizzato solo in parte, ha saputo offrire in questi decenni, importanti progressi a milioni di persone”. “Ci pare fondamentale ripartire dalla solidarietà che, come dice Papa Francesco, ‘è anche il più efficace antidoto ai moderni populismi’”.

Infine, la posizione netta della Commissione: “Per noi l’Europa può continuare a essere un presidio essenziale di pace e progresso e per questo il nostro auspicio è quello di vedere tanti cittadini pronti ad esprimere le loro preferenze verso coloro i quali si impegneranno a far crescere il nostro caro ‘vecchio continente’ tenendo conto di queste priorità”.

 

Cresce il commercio di armi piccole e leggere: maggiori esportatori Usa, Italia e Brasile

Articolo già pubblicato sul sito Vatican News a firma di Roberta Gisotti

Lo studio dell’Iriad, il Centro ricerche dell’Archivio disarmo, parte da un dato che deve preoccupare l’intera comunità internazionale: il 90 per cento dei morti nei conflitti, seguenti alla seconda guerra mondiale, si deve al fuoco di armi piccole e leggere, denominate con la sigla inglese Salw. Tra queste vittime il 70/80 per cento sono civili. Il commercio internazionale di queste armi è infatti in continua crescita e tra il 1996 e i 2016, in un arco di vent’anni, il giro d’affari di Salw è lievitato, coinvolgendo nella compravendita sempre più Paesi.

Cosa s’intende per armi piccole e leggere?

Le armi piccole sono quelle destinate all’uso individuale: pistole semi-automatiche, revolver, fucili, carabine, fucili d’assalto e mitragliatori piccoli e medi; mentre le armi leggere sono quelle utilizzate da due o più persone insieme: mitragliatori grandi, lanciagranate manuali e montabili, cannoni anti-aereo, cannoni anti-carro, fucili senza rinculo, lanciatori portatili di razzi e missili anti-carro e di missili anti-aereo e mortai dal calibro inferiore a 100 millimetri.

L’enorme giro d’affari intorno ad un miliardo di Salw

Nel mondo oggi sono in circolazione oltre un miliardo di armi Salw, di cui ben due terzi sul totale in possesso di soggetti non statali e civili. La maggior parte sono vendute regolarmente sul mercato internazionale e poi convogliate in canali di traffico illegale. Principali esportatori sono Stati Uniti, Italia e Brasile, con entroiti di oltre 500 milioni di dollari annui; a seguire sono Germania, Corea del Sud, Austria, Federazione Russa, Repubblica Ceca, Turchia, Belgio, Svizzera, Francia, Croazia, Israele, con entroiti da 100 a 499 dollari annui.

Le tre rotte di traffico illegale nel Mediterraneo allargato

Il rapporto dell’Iriad traccia le principali vie di commercio illegale delle armi Salw nel Mediterraneo allargato, comprensivo oltre che degli Stati rivieraschi, anche dei Paesi balcanici, del Magherb e del Corno d’Africa. Vi sono tre rotte principali, quella balcanica che raggiunge – attraverso l’Italia, la Croazia e la Slovenia – l’Europa occidentale; quella orientale, che parte dai Paesi dell’ex Urss e da altri Stati dell’Europa dell’Est, diretta verso l’Africa e l’Europa occidentale; e quella  regionale del Medio oriente e Nord Africa, che in gran parte dalla Libia distribuisce le armi nei Paesi confinanti e mediorientali e in piccola parte in Europa. In particolare l’Iriad sottolinea l’alto rischio di fornire armi piccole e leggere a soggetti non statali, specie a gruppi armati presenti in aree di conflitto come l’Ucraina, la Libia o la Siria, permettendo che si costituiscano arsenali, senza alcun controllo e certezza della destinazione finale.

Il mercato on line del tutto incontrollabile nel dark web

Grande preoccupazione, denuncia ancora l’Iriad, per il crescente commercio illecito su Internet, dove l’offerta di armi piccole e leggere, sia nuove che usate, prolifera nel cosidetto dark web, protetto dalla navigazione anonima che impedisce alle di tracciare venditori ed acquirenti: in questo spazio digitale oscuro vengono vendute soprattutto pistole, che rappresentano oltre l’80 per cento degli acquisti on line, destinate in massima parte alla delinquenza locale. Altre Salw comprate con un click in rete sono revolver, mitra, fucili ma anche armi militari come granate e fucili d’assalto. I venditori di armi nel dark web sono concentrati, soprattutto negli Stati Uniti, quasi 60 per cento sul totale mentre in Europa raggiungono il 25 per cento, con in testa Danimarca e Germania. Canale privilegiato per le offerte sono i social network, i pagamenti sono effettuati tramite le criptovalute e le consegne avvengono via posta.

La minaccia delle copie in 3D solo per ora inoffensive

Un’altra minaccia che incombe, documentata dal rapporto dell’Iriad, arriva dallo sviluppo delle stampanti 3D, in grado per ora di realizzare solo armi in materiale sintetico, non idoneo a sostenere l’esplosione di proiettili, quindi copie di armi vere inoffensive. Per valutare la gravità della situazione, l’Iriad  riporta l’offerta del sito statunitense, Defcad.com della Defense Distributed, che consente di scaricare i file per la stampa 3D di diverse armi, della pistola Liberator monocolpo in grado di sparare un proiettile da 9 mm, ma anche del fucile semiautomatico AR-15, del fucile d’assalto VZ 58 e della pistola Beretta 9 mm. Messo online nel 2013, il file per la stampa della Liberator venne scaricato 100 mila volte in due giorni, prima che il Dipartimento di Stato statunitense non chiedesse la rimozione dei file in quanto contrari all’Arms Export Control Act del 1976. Ad oggi occorre registrarsi nel sito per poter scaricare tali file. Se lo sviluppo tecnologico permetterà di realizzare stampe con materiali più resistenti – avverte l’Iriad – tali armi potranno divenire offensive. Per di più, non avendo un numero di matricola non sarà possibile tracciarle e non avendo elementi metallici non saranno rilevabili attraverso metal detector. Ciò potrebbe portare – ammonisce l’Iriad – ad una proliferazione incontrollabile di armi piccole e leggere.

Le leggi e i trattati internazionali segnano il passo

Lo studio riporta le iniziative internazionali di contrasto al commercio illegale di Salw, che non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati, dal Protocollo contro la fabbricazione e il traffico illecito di armi da fuoco, loro parti e componenti del 2001, al Programma Onu d’azione per prevenire, combattere e sradicare il commercio illecito di armi leggere e di piccolo calibro dello stesso anno, all’International tracing instrument del 2005 fino al Trattato sul commercio di Armi (Att) del 2014 e alla roadmap tracciata del Consiglio europeo nel 2018 a sostegno dei piani regionali di lotta all’uso e al traffico illeciti di Salw e relative munizioni nei Balcani occidentali entro il 2024.

La negligenza degli Stati nell’attuare gli accordi presi

Dal rapporto emergono infatti le difficoltà di molti Paesi nell’attuare a livello operativo quanto concordato, specie per la distruzione del surplus, per le operazioni di confisca o per il tracciamento di armi. Da qui il richiamo dell’Iriad a sostenere ogni iniziativa di cooperazione internazionale, tesa a raccogliere dati, a tracciare le armi, a monitorare ogni transazione, ma anche a rafforzare l’assistenza a Paesi terzi. In questo ambito viene ribadita l’importanza di una stretta collaborazione tra Stati Uniti ed Europa. Si raccomanda infine di potenziare l’Att sia per coinvolgere importanti Stati non firmatari sia per stringere le larghe maglie di questo trattato.

 

Italiani secondi nella Ue per il possesso di animali domestici

Italiani secondi in Europa per animali domestici. Sono presenti nel 52% delle nostre case. Soprattutto in quelle dei separati e divorziati (68%) e dei single (54%). Il dato emerge dall’indagine del Censis ‘Il valore sociale dei medici veterinari’.

Con 53,1 animali da compagnia ogni 100 abitanti, l’Italia si colloca al secondo posto in Europa. Meno dell’Ungheria (54,2 ogni 100 persone), ma più di Francia (49,1), Germania (45,4), Spagna (37,7) e Regno Unito (34,6). In Italia gli animali domestici sono in tutto 32 milioni: 12,9 milioni di uccelli, 7,5 milioni di gatti, 7 milioni di cani, 1,8 milioni di piccoli mammiferi (criceti e conigli), 1,6 milioni di pesci, 1,3 milioni di rettili.

Nel 2017 le famiglie italiane hanno speso 5 miliardi di euro per la cura e il benessere dei loro animali domestici (+12,9% negli ultimi tre anni): in media 371,4 euro all’anno per ogni famiglia con animali destinati a cibo, collari, guinzagli, gabbie, lettiere, toletta, cure veterinarie.

Al centro, per battere la politica di sola andata

Mentre il governo perde smalto e soprattutto consenso, il panorama politico sembra inchiodato alle poche certezze della radicalizzazione dell’ultimo biennio. Prima e dopo il 4 marzo, passando per la novità sancita dalle urne, l’Italia ha imboccato la strada che porta a una “politica di sola andata”. Non ci si preoccupa delle conseguenze, quel che conta è l’imperio della scelta: più è netta e risoluta, lontana dal passato, più appaga il desiderio di smobilitazione del principio di realismo.

Ciò non toglie che la forza del reale torni a incidere sulla vita collettiva, a dispetto delle illusioni o dell’invaghimento anche sfacciato, contro le pericolose facilonerie dei vincitori (gialloverdi). L’isolazionismo anti-europeista si trasforma in disinvolta apertura filo-cinese; la pregiudiziale populista, esorbitante ogni limite nell’uso del potere, alimenta la colonna di fuoco dello statalismo più ingenuo ed incongruo, corroborato dalla voglia di piegare la “cattiva finanza” (fino a immaginare, però, la fine della distinzione di politica ed economia); l’arrembaggio neo-ideologico ai temi più sensibili, come quello della famiglia ridotta a contratto e convenienza, autorizza la via di fuga dell’insulto a tutto campo, fuori da uno schema di ragionevolezza e tolleranza; l’autonomia rafforzata delle regioni – quelle più ricche – si trasfigura nell’ipotesi di un sovranismo a scala ridotta, in barba all’idea di solidarietà e coesione nazionale.

Sì dice che il futuro è in mezzo a noi. Dobbiamo, in sostanza, abituarci ai suoi ritmi e più ancora alle sue imposizioni. Tutto è già scritto. La politica di sola andata rappresenta l’impulso vitale dell’Italia in prolungata apnea, disperatamente avvinghiata agli idola fori della semplificazione e della trasparenza, sicura di poter risorgere anima e corpo con un semplice tratto di penna sulla corruzione (degli altri). In mezzo, dove attende la mozione d’ordine della responsabilità, la nebbia confonde le coscienze. Per questo il centro – abituiamoci a pensarlo davvero come metaluogo della lotta per il bene autentico della società – subisce la censura del tempo e del costume.

Da qui bisogna partire per la riconquista di una solida speranza politica. Non può durare, in effetti, l’assuefazione al vigente dominio del vuoto, anzitutto al vuoto di pensiero. Solo questa necessaria reinvenzione del centro può generare le “idee ricostruttive” che la democrazia nel suo complesso esige, non esimendo i cristiani da un obbligo di attiva e consapevole presenza. Le forme si vedranno.

Certo, di fronte alla fatica dell’impresa, l’ultimo regalo alla politica di sola andata consisterebbe nell’alzabandiera di un manipolo di irriducibili. Dunque è necessario unire, non dividere; unire al centro, con una piattaforma aperta, in chiave liberal-popolare; unire nel virtuoso amalgama di neo-umanesimo e modernizzazione. Ecco, ogni giorno che passa si fa più urgente questo appello, imposto dai fatti, al serrare le fila in vista di una nuova battaglia democratica. Le europee sono alle porte.

Paolucci: I cattolici agiscano per la ricomposizione civile del popolo

Qualcuno può anche sottilizzare affermando di “essere non al centro ma di centro” e per giustificare la sua affermazione fa riferimento alla DC. Parlare ancora di DC o di PCI ha un valore storico, perché la società è completamente diversa da quella di trenta quaranta anni fa.

Questa evoluzione sociale è stata molto rapida dall’inizio del millennio anche perché siamo entrati dal 2001 nella IV rivoluzione e la globalizzazione ha ormai segnato tutte le strutture sociali. Pretendere che noi cattolici possiamo ricominciare da un passato ormai trascorso, non ha nessuna ragione di esistere.

Per questo penso che i tentativi dei partitini ex dc siano destinati a sbattere contro le realtà oggettive odierne. Ma ciò che emerge dal marasma e dalla confusione presenti sono sia l’esigenza di una risposta coerente di noi cattolici, sia il legame che ci unisce al magistero della Chiesa e che si deve concretizzare in azioni di politica che si ispirino al valore della vita, del lavoro, della “famiglia culla della vita, “costruendo una economia a misura e al servizio della persona”(Leonardo Becchetti).

Nello stesso tempo condivido la posizione del magistrato e prof Carlo Casini di Firenze che, fin dalle sue prime pubblicazioni, aveva individuato nella ricomposizione civile di un popolo il primo impegno di una società civile che è la difesa della vita. Senza però propendere, a mio avviso, per un referendum contro la legge 194, del tutto anacronistico e che provocherebbe ulteriori divisioni, ma insistendo sull’applicazione della legge con iniziative dedicate:

– affidamento del bambino che dovrà nascere a una famiglia;
-sostegno economico alla donna che tiene il bambino e lo porta alla nascita;
-posto di lavoro per chi non ce l’ha o per il compagno della donna se è disoccupato. La difesa della vita, del lavoro e il sostegno alla famiglia costituzionale sono i capisaldi della ricomposizione civile di un popolo. Purtroppo ci sono ancora gruppi che non sono in grado di capire che il mistero della vita si accompagna al rispetto della vita nascente; ma se questo rispetto non riceve ancora accoglienza nelle coscienze esso si trasforma spesso in paura e disperazione. Per questo motivo non si deve colpevolizzare la donna che cede alla sua fragilità, ma sorreggerla nel momento in cui svilupperà quei sensi di colpa che sono purtroppo la conseguenza di non avere avuto il coraggio di accettare la nuova vita.

È una battaglia che ci deve vere impegnati, con coerenza.

Commissione banche. Mattarella scrive ai Presidenti di Senato e Camera

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha inviato ai Presidenti del Senato della Repubblica, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e della Camera dei Deputati, Roberto Fico, la seguente lettera:

«Onorevole Presidente,

ho promulgato la legge “Istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario” approvata dal Senato della Repubblica il 7 novembre 2018 e dalla Camera dei deputati il 26 febbraio 2019, che mi è stata trasmessa dal Governo il 1° marzo successivo.

L’ambito dei compiti attribuiti alla Commissione – a differenza di quella istituita nella precedente Legislatura – non riguarda l’accertamento di vicende e comportamenti che hanno provocato crisi di istituti bancari o la verifica delle iniziative assunte per farvi fronte, ma concerne – insieme al sistema bancario e finanziario nella sua interezza – tutte le banche, anche quelle non coinvolte nella crisi e che svolgono con regolarità la propria attività.

Non è in alcun modo in discussione, ovviamente, il potere del Parlamento di istituire commissioni di inchiesta in settori della vita istituzionale, economica o sociale, tenendo conto, peraltro, dei limiti all’attività delle commissioni derivanti dalla Costituzione e puntualmente indicati dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale.

Non può, tuttavia, passare inosservato che, rispetto a tutte le banche, e anche agli operatori finanziari, questa volta viene, tra l’altro, previsto che la Commissione possa “analizzare la gestione degli enti creditizi e delle imprese di investimento”. Queste indicazioni, così ampie e generali, non devono poter sfociare in un controllo dell’attività creditizia, sino a coinvolgere le stesse operazioni bancarie, ovvero dell’attività di investimento nelle sue varie forme.

Occorre considerare la natura privata degli enti interessati la cui attività costituisce esercizio della libertà di iniziativa economica riconosciuta e garantita dall’articolo 41 della Costituzione.

L’eventualità che soggetti, partecipi dell’alta funzione parlamentare ma pur sempre portatori di interessi politici, possano, anche involontariamente, condizionare, direttamente o indirettamente, le banche nell’esercizio del credito, nell’erogazione di finanziamenti o di mutui e le società per quanto riguarda le scelte di investimento si colloca decisamente al di fuori dei criteri che ispirano le norme della Costituzione.

Le previsioni della legge in questione pongono anche il tema di possibili interferenze delle attività della Commissione in ambiti di competenza di varie autorità di vigilanza.

E’ possibile, naturalmente, che l’operato di queste sia oggetto di inchiesta parlamentare – laddove così il Parlamento dovesse deliberare – ma occorre evitare il rischio che il ruolo della Commissione finisca con il sovrapporsi – quasi che si trattasse di un organismo ad esse sopra ordinato – all’esercizio dei compiti propri di Banca d’Italia, Consob, IVASS, COVIP, Banca Centrale Europea. Ciò urterebbe con il loro carattere di Autorità indipendenti, sancito, da norme dell’ordinamento italiano e da disposizioni dell’Unione Europea, vincolanti sulla base dei relativi trattati. Provocherebbe, inoltre, grande incertezza tra gli operatori sottoposti a vigilanza su quale sia l’organismo cui fare riferimento e quali le indicazioni da osservare, anche considerando che l’attività della Commissione è prevista per l’intera durata della Legislatura. Ricordo, tra l’altro, che né le banche centrali né, tantomeno, la Banca centrale europea possono sollecitare o accettare istruzioni dai governi o da qualsiasi altro organismo degli Stati membri.

Va, in particolare, escluso che la Commissione, come potrebbe far temere un’erronea interpretazione dell’art.3 della legge, possa svolgere attività che rientrino nella competenza di organismi dell’Unione Europea – come la Banca Centrale Europea e l’ESMA – in base a norme non derogabili dal diritto interno.

L’obiettivo della tutela del risparmio, a difesa dei cittadini, sancito dall’articolo 47 della Costituzione e che deve ritenersi ineludibile riguardo all’attività della Commissione d’inchiesta, richiede, infine, di prestare attenzione al delicato profilo delle informazioni detenute dalle autorità di vigilanza.

L’ordinamento dell’Unione europea, nel promuovere gli obblighi di collaborazione e gli scambi di informazioni per l’assolvimento delle rispettive funzioni tra autorità europee e nazionali, prevede che si osservino determinate cautele nella gestione delle informazioni sugli enti e gli istituti di credito in possesso delle autorità di vigilanza. Come espressamente definito dall’ordinamento dell’UE, anche in riferimento a informazioni trasmesse a commissioni di inchiesta parlamentari, è necessario, che “le persone che hanno accesso alle informazioni siano soggette ad obblighi di segreto professionale”.

E’ evidente come tale obbligo – richiamato dall’art. 6 della legge – sia volto a scongiurare l’allarme che la diffusione indebita di informazioni relative alla gestione degli enti creditizi e delle società finanziarie può suscitare tra i risparmiatori e sui mercati.

II principio di non interferenza e quello di leale collaborazione vanno affermati anche nei rapporti tra inchiesta parlamentare e inchiesta giudiziaria. Come ha più volte chiarito la Corte Costituzionale, l’inchiesta parlamentare non è preclusa su fatti oggetto di indagine giudiziaria, ferma restando la diversità degli scopi perseguiti da ciascuna istituzione espressa con la formula del “parallelismo a fini diversi”. L’Inchiesta non deve tuttavia influire sul normale corso della giustizia ed è precluso all’organo parlamentare l’accertamento delle modalità di esercizio della funzione giurisdizionale e le relative responsabilità.

Sono certo che Ella, nell’esercizio delle Sue prerogative, unitamente al Presidente del Senato della Repubblica (*) , seguirà con attenzione lo svolgimento dei lavori della Commissione affinché sia assicurato il rispetto dei limiti derivanti dalla Costituzione e dall’ordinamento della Unione Europea nonché il rispetto dei diversi ruoli e responsabilità».

 

Da lunedì partirà il Consiglio Episcopale Permanente della CEI

Il cardinale Gualtiero Bassetti

Si svolgerà a Roma dal 1 al 3 aprile la sessione primaverile del Consiglio Episcopale Permanente della CEI. Dopo l’Introduzione del Presidente, il  card. Gualtiero Bassetti i lavori prevedono una riflessione in vista dell’Assemblea Generale ordinaria (Roma, 20-23 maggio), che sarà dedicata a Modalità e strumenti per una nuova presenza missionaria e quindi un confronto sugli Orientamenti pastorali della Chiesa in Italia.

All’ordine del giorno del Consiglio anche il tema della gestione delle risorse finanziarie secondo i criteri etici di responsabilità sociale, ambientale e di governance; la proposta di costituzione di un Servizio Nazionale per la pastorale delle persone con disabilità; un aggiornamento circa le Linee guida per la tutela dei minori nella Chiesa.

Bankitalia chiude il 2018 con un utile di 6,24 miliardi

Banca d’Italia chiude il 2018 con un utile netto in forte crescita a 6,24 miliardi di euro contro i 3,9 del 2017. L’utile lordo, spiega, Ignazio Visco, è cresciuto a 8,9 miliardi “per il miglioramento del margine di interesse 30sui titoli di Stato acquistati per finalità di politica monetaria e del calo degli interessi negativi sul rifinanziamento”.

Di questi 6,24 miliardi allo Stato sono assegnati 5,71 miliardi di euro, in aumento di 2,344 miliardi rispetto al 2017.

I partecipanti al capitale (banche, casse previdenza e assicurazioni) riceveranno invece dividendi per 227 milioni di euro.

Dal bilancio di via Nazione emerge infine che a fine 2018 Bankitalia deteneva titoli di Stato per 320 miliardi.

La commissione Vigilanza USA chiede i documenti finanziari di Trump del 2009

I democratici della commissione Vigilanza e riforme della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti hanno richiesto a una società che si occupa di fisco e contabilità i documenti finanziari del presidente Trump risalenti a 10 anni prima che lanciasse la sua candidatura alla Casa Bianca.

Il presidente della Commissione, il democratico Elijah Cummings, ha chiarito che la sua richiesta è stata spronata dalla testimonianza di Michael Cohen, l’ex avvocato personale di Trump, che ha fatto capire ai legislatori come il tycoon abbia “gonfiato” o “sgonfiato” il suo patrimonio netto per “scopi potenzialmente impropri”.

I repubblicani Jim Jordan e Mark Meadows, membri della Commissione, hanno affermato che richiedere informazioni di questo tipo su Trump serve “solo a mettere in imbarazzo il presidente Trump e far proseguire gli attacchi democratici contro l’amministrazione Trump”.

In Italia domanda e offerta di lavoro si parlano poco

E’ stato presentato a Roma il Rapporto Excelsior 2018 di Unioncamere – Anpal, che mette l’accento sulla discrepanza tra la domanda di lavoro espressa dalle imprese e l’offerta presente sul mercato. Uno squilibrio che lo scorso anno ha riguardato il 26% degli oltre 4,5 milioni di contratti di lavoro che il sistema produttivo aveva intenzione di stipulare, 5 punti percentuali in più del 2017. Questo in particolare al Nord, dove il mercato del lavoro è più competitivo e dove risulta difficile trovare specialisti di saldatura elettrica, agenti assicurativi, elettrotecnici, ma anche insegnanti di lingue, analisti e progettisti di software. Al Sud non va certo meglio, visto che le difficoltà di reperimento riguardano circa un lavoratore su cinque. Del milione e 267mila contratti per i quali le imprese si sono dette orientate preferibilmente verso gli under 30, il 28% è ritenuto non facile da trovare, con punte del 62% per gli specialisti in scienze informatiche, fisiche e chimiche, del 45% per i tecnici in campo informatico, ingegneristico e della produzione e del 43% per gli operai nelle attività metalmeccaniche ed elettromeccaniche.

Il gap riguarda quasi il 40% dei 265mila profili di dirigenti, professioni intellettuali, scientifiche e a elevata specializzazione ricercate lo scorso anno dalle imprese. Quasi la stessa difficoltà di reperimento interessa anche le 603mila entrate di profili tecnici e le 697mila di operai specializzati. Il disequilibrio domanda offerta di lavoro interessa poi il 26,5% dei 649mila conduttori di impianti, il 22,1% del milione e 238mila profili qualificati nelle attività commerciali e nei servizi, il 19,5% dei 400mila impiegati. Solo il 12,1% delle 701mila professioni non qualificate risulta invece difficile da reperire.

Tra i primi 30 profili desueti, 19 riguardano professioni tecniche nell’ambito industriale (elettrotecnici, tecnici elettronici, tecnici meccanici) e nell’ambito dei servizi (agenti assicurativi, tecnici programmatori, agenti immobiliari). Nella filiera dell’elettronica e informatica si concentra poi una significativa richiesta di figure non facilmente reperibili sul mercato a diversi livelli di specializzazione (ingegneri elettrotecnici, analisti e progettisti di software, elettrotecnici, tecnici elettronici, installatori, manutentori e riparatori di apparecchiature informatiche, specialisti di saldatura elettrica).

“Anche quest’anno, Il Rapporto Excelsior mostra che in Italia c’è un forte disallineamento tra domanda e offerta di lavoro – ha detto il presidente di Unioncamere, Carlo Sangalli – Lo sviluppo tecnologico sta incidendo anche sulle competenze richieste ai lavoratori: in futuro ad oltre 9 profili su 10 sarà associata la richiesta di competenze digitali. A questo si aggiunge la crescente ricerca di profili qualificati. Occorre far collaborare tutti i soggetti coinvolti per migliorare la qualità dei servizi di istruzione, formazione e lavoro. Le Camere di commercio possono garantire, attraverso il Sistema informativo Excelsior e il Registro delle imprese, un’informazione corretta, aggiornata, puntuale e tempestiva sia sul mercato del lavoro sia sul tessuto produttivo”.

Per il 2018, le imprese dell’industria e dei servizi hanno programmato circa 4.554.000 entrate, in aumento dell’11% rispetto al 2017. Maggiore anche la richiesta di un’esperienza lavorativa pregressa, che lo scorso anno si è attestata al 67,2%, in aumento di tre punti percentuali rispetto al 2017. Unioncamere fa presente che le crescenti difficoltà di reperimento emerse nel 2018 si legano anche ad alcuni cambiamenti nella struttura dei fabbisogni occupazionali delle imprese, come la tendenza all’incremento della richiesta di profili professionali altamente qualificati. Il Rapporto evidenzia infatti un aumento del fabbisogno di dirigenti, specialisti e tecnici, che raggiunge il 19% del totale delle entrate programmate (era il 17,5% nel 2017), con una diminuzione di 3 punti percentuali della quota di ingressi destinati alle occupazioni non qualificate, che si attesta al 15%. Sempre più importante è inoltre il possesso di competenze legate al mondo del digitale e in materia di ecosostenibilità.

Utilizzo del digitale, di linguaggi, metodi matematici e informatici sono fattori essenziali per più di una assunzione su due. In particolare, il possesso di competenze digitali viene richiesto a quasi il 60% delle figure professionali, ma la competenza è richiesta con grado elevato al 62,5% delle professioni specialistiche, al 58% dei dirigenti, al 53,9% delle professioni tecniche e al 49% degli impiegati. La capacità di utilizzare linguaggi e metodi matematici e informatici viene ritenuta necessaria invece per il 51% delle entrate programmate. Le quote più rilevanti in termini di richiesta di grado elevato si riscontrano per i 51,3% delle entrate dei dirigenti e per il 50,3% di quelle di professioni specializzate. A seguire le professioni tecniche (37,5%) e gli impiegati (29,1%). Minore incidenza (36,3%) ha invece la ricerca di profili professionali capaci di applicare tecnologie “4.0”. Questa competenza viene richiesta – con grado elevato – al 31,8% delle assunzioni di professioni specialistiche, al 31,4% di dirigenti e al 24,2% delle professioni tecniche. Particolarmente alta è poi la quota di figure per cui è stata indicata come necessaria l’attitudine al risparmio energetico e alla sostenibilità ambientale. Questa indicazione si riferisce a quasi l‘80% delle entrate programmate, con una scarsa variabilità tra i grandi gruppi professionali (con un massimo del 90% per i dirigenti e con un minimo del 73% per le professioni non qualificate).

Napoli: Vinilici. Perché il vinile ama la musica

A due anni dalla partenza del crowdfunding che ne ha permesso la realizzazione ed in attesa del Record Store Day, Oggi alle ore 17 al PAN Palazzo delle Arti di Napoli si terrà una Proiezione speciale e gratuita del docufilm di “Vinilici. Perché il vinile ama la musica” in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura ed al Turismo del Comune di Napoli e promosso dal MEI – Meeting Degli Indipendenti

Vinilici. Perché il vinile ama la musica è il primo film completamente italiano dedicato a questo meraviglioso supporto, attraverso le testimonianze di musicisti, collezionisti, audiofili, venditori, sociologi, appassionati, Vinilici è la storia di un’icona, il disco: dalla registrazione alla stampa, dalla distribuzione all’acquisto, dall’ascolto alla sua conservazione.

Il docufilm vuole indagare il ritrovato interesse per la musica su vinile in Italia. I dischi in vinile, infatti, non sono più acquistati solo dai collezionisti ma anche da una nuova e più ampia schiera di appassionati di diverse età. Si tratta di un nostalgico ritorno al passato o di un’opportunità per il futuro?

Molte sono le testimonianze presenti nel film: Carlo Verdone, Renzo Arbore, Claudio Coccoluto, Elio e le Storie Tese, Renato Marengo, Mogol, Giulio Cesare Ricci, Red Ronnie, Lino Vairetti, Bruno Venturini ed altri ancora che, attraverso le loro esperienze di appassionati, ci guideranno in una storia più grande e senza tempo, quella dell’amore per la musica.

All’incontro, che si terrà nella sala Pan, interverranno:
Simona Frasca (critico musicale), Alberto Castellano (critico cinematografico), Lino Vairetti (Osanna), Bruno Venturini (Ambasciatore della canzone Napoletana nel mondo).

L’intelligenza artificiale ha imparato a prevedere le morti premature dovute alle malattie croniche

Il primo sistema del genere, descritto sulla rivista Plos One, è stato messo testato dall’università di Notthigham, dopo essere stato ‘addestrato’ con i dati di mezzo milione di persone di età compresa fra 40 e 69 anni​, raccolti nell’ambito della banca di dati biologici, Uk Biobank, tra il 2006 e 2010.

Il sistema si è mostrato molto accurato nelle sue previsioni, addirittura migliori di quelle fatte dagli esperti umani, in particolare nel prevedere le malattie cardiovascolari.

Secondo i ricercatori l’intelligenza artificiale in futuro sarà fondamentale per lo sviluppo della medicina personalizzata, ma serviranno ulteriori studi per verificare e validare questi algoritmi anche su altri gruppi di popolazione, prima di usarli nella routine medica.

Le sfide della realtà. Oggi Famiglia: intervento di Giuseppe Fioroni

La Camera dei Comuni boccia l’accordo di recesso con Bruxelles

La Camera dei Comuni ha bocciato con 344 voti contrari e 286 voti a favore l’emendamento presentato dal primo ministro Theresa May che chiedeva al Parlamento britannico di ratificare l’accordo di recesso da lei negoziato con Bruxelles senza la dichiarazione politica sui futuri rapporti fra le due aree.

May era arrivata ad offrire anche le sue dimissioni in cambio di un’approvazione del suo patto. Ora, a quanto ha precisato il caponegoziatore europeo Michel Barnier, Londra dovrà comunicare entro il 12 aprile come intende procedere.

Da Bruxelles in una nota la Commissione europea fa sapere che a questo punto uno scenario No deal a partire dalla mezzanotte del 12 aprile “è quello più probabile”.

 

Il valore della famiglia. antidoto alla società liquida

Pubblichiamo il documento finale del convegno, Oggi famiglia, promosso da “I Liberi e Forti”, che ieri si è svolto ieri a Roma presso il piccolo auditorium Aldo Moro

Dialogo autentico e sereno – quello proposto da “I Liberi e Forti” – su un tema come la famiglia che suscita immediati contrasti. Oggi le sfide del tempo e della società ne sfigurano la consistenza morale e istituzionale, dato che il costume prevalente assume la logica del contratto a parametro di tutto, anche della famiglia. Sì tratta invece di ridare vigore a una riflessione politica sul giusto equilibrio tra posizioni estreme, tenendo presente anzitutto l’impalcatura ideale della norma costituzionale.

No al fondamentalismo, no al radicalismo etico: l’istanza corretta mira a restituire alla famiglia la sua funzione di “società naturale”, antecedente allo Stato, non manipolabile da vecchie e nuove ideologie “anti-umanistiche”.

Non ci può illudere che una famiglia infragilita e trascurata, senza adeguati sostegni pubblici, sia ininfluente rispetto al declino del Paese. In effetti vi contribuisce in maniera decisiva. Basti pensare ai problemi che scaturiscono dal cosiddetto “inverno demografico”.

Crediamo per questo che accanto alle diverse forme di convivenza, oggi riconosciute dalla legge, debba recuperare centralità il discorso sulla “famiglia generativa”, luogo di educazione, vita affettiva, solidarietà e responsabilità. Il riconoscimento di unioni diverse non può significare cancellazione o fraintendimento del significato e del valore della famiglia incardinata sul matrimonio tra un uomo e una donna, dunque per sua natura aperta alla vita.

Un’antropologia che supera la distinzione di genere, supponendo che il genere appartenga al confronto dell’individuo attorno alla propria identità, trasforma l’uomo in solo “spirito e volontà”, a prescindere dalla sua sessualità (tendenzialmente contesa). Chiaramente la famiglia diventa, così, una formazione astratta, sottomessa all’imprevedibilità delle circostanze, del gusto e persino degli interessi, quindi calco o premessa della ”società liquida”.

Una politica solidarista, volta a congiungere libertà e giustizia, mentre rifiuta il liberismo economico non può non rifiutare, in pari tempo, il liberismo etico. Ecco l’esigenza di un dialogo più esigente tra posizioni che muovono da comuni aspettative solidariste, perché la dimensione etica impone la ricerca e la conquista del “filo rosso” di un nuovo umanesimo sociale. Se cade questa preoccupazione, bisognosa di umiltà e rispetto reciproco, lo spirito di convergenza delle culture politiche popolari si consuma rapidamente nella combinazione di approcci episodici, senza respiro strategico.

Siamo indisponibili, perché ne ravvisiamo l’errore, a consegnare i valori della famiglia alla logica degli opposti fondamentalismi. Rifiutiamo le strumentalizzazioni della destra, ma non ci rassegniamo nemmeno alla curva della banalizzazione etica di una certa sinistra post-ideologica (fino ad essere post-morale). Vogliamo farci guidare, in realtà, da un sano principio che Aldo Moro traduceva nella cultura e nella politica del confronto. Ripartiamo da qui, con scrupolo e pazienza, fiduciosi nell’opera di rinnovamento della nostra struttura di convivenza umana e civile.