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domenica, 11 Maggio, 2025
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Brexit: esiste un piano per evacuare la regina

C’è un piano segreto che prevede l’evacuazione da Londra della regina e altri membri della famiglia reale nell’eventualità di disordini scatenati da una Brexit con il temutissimo “no deal”.

Lo rivela il Sunday Times, secondo cui il programma messo a punto è ispirato ad interventi elaborati durante la Guerra Fredda e rispolverati nelle ultime settimane. Il piano in questione sarebbe stato pensato per entrare in azione nel caso di un attacco nucleare.

Sempre secondo il Sunday Times, l’attacco nucleare potrebbe essere lanciato dall’Unione Sovietica: il piano prevede fra l’altro l’immediato trasferimento della regina e del consorte duca di Edimburgo da Londra ad un luogo segreto.

Cielo di febbraio: arriva la super Luna

Il cielo di febbraio vedrà una super Luna, la più grande del 2019. Il giorno 19, infatti, il nostro satellite raggiungerà il perigeo, ossia il punto della sua orbita più ravvicinato alla Terra, pari a circa 356.761 chilometri e la sua luminosità aumenterà del 30% rispetto a una Luna piena media, così come la differenza del diametro sarà del 7%.

Confidando nella clemenza delle condizioni meteo, il 19 febbraio 2019 sarà dunque possibile osservare la Luna piena più grande dell’anno.

Nei prossimi giorni faranno capolino nel cielo anche alcuni pianeti. Il 18 febbraio, nelle primissime ore del mattino, prima del sorgere del Sole, si potrà osservare la congiunzione tra Venere e Saturno, che si incontreranno nella costellazione del Sagittario. Inoltre, Marte non sarà l’unico corpo celeste osservabile a occhio nudo: dopo il tramonto, infatti, sull’orizzonte occidentale farà la sua apparizione Mercurio, mentre Giove, Venere e Saturno si mostreranno solo prima dell’alba. Infine, il 6 febbraio il lontanissimo Urano terminerà la sua permanenza nella costellazione dei Pesci, cominciata nel 2009, per fare il suo ingresso in quella dell’Ariete.

Bologna: al via la mostra “Thomas Struth: Nature & Politics”

La Fondazione MAST presenta nella mostra “Thomas Struth: Nature & Politics” una selezione di grandi immagini a colori del fotografo tedesco realizzate a partire dal 2007 nei siti industriali e di ricerca scientifica di tutto il mondo che rappresentano l’avanguardia, la sperimentazione e l’innovazione nelle attività umane.

Artista tra i più noti e affermati della scena internazionale, Thomas Struth, nelle 25 fotografie di grande formato esposte nella PhotoGallery del MAST, accompagna il visitatore alla scoperta di luoghi solitamente inaccessibili al pubblico, mostrandoci uno spaccato del mondo sconosciuto che sta dietro all’innovazione tecnologica.
Laboratori di ricerca spaziale, impianti nucleari, sale operatorie, piattaforme di perforazione sono fotografati con minuziosa attenzione, distaccata curiosità e con la capacità di osservare quelle caratteristiche degli ambienti e delle infrastrutture che i ricercatori non vedono più, perché estranee ai loro interessi. Come nell’immagine della cappa chimica dell’Università di Edimburgo che può sembrare, a un primo sguardo, una sala allestita per una festa di bambini tra scritte sul vetro e palloncini colorati. La tecnologia è completamente visibile, ma la funzione effettiva che svolge rimane nascosta.

Come scegliere giochi e storie per i bambini

Il Bambin Gesù spiega che spesso i genitori sono indotti a proporre ai propri figli dei giochi in base al loro sesso. D’altra parte, i cataloghi dei giochi e le pubblicità sono sempre differenziati in base al sesso del bambino a cui il gioco è destinato. In altre parole, attraverso il gioco si tende a trasmettere degli stereotipi legati al sesso del bambino, cioè una definizione rigida di cosa è adatto a un maschio e cosa a una femmina. I giocattoli tradizionalmente considerati maschili sono spesso associati a temi come la lotta e l’aggressione (soldatini, pistole, supereroi, ecc.) mentre i giocattoli considerati femminili sono spesso collegati all’apparenza (accessori, trucco, gioielli, Barbie, ecc.).

Tramite questo tipo di proposte, si suggerisce ai bambini e alle bambine quali parti della loro personalità è bene mostrare e quali invece reprimere, e i bambini imparano a pensare che sia giusto fare o non fare un gioco a seconda del proprio sesso. Tutto questo limita enormemente la possibilità di gioco e di esplorazione. Ma non solo: alcune ricerche mostrano come la trasmissione di questi stereotipi attraverso i giochi possa limitare, per esempio, le scelte di studio e le scelte professionali.

Invece, permettere ai bambini di confrontarsi liberamente con diversi materiali di gioco, indipendentemente dal loro sesso, vuol dire permettere loro di esplorare i propri interessi e di scoprire le proprie passioni. Un bambino che ama giocare con le pentoline potrebbe voler diventare un grande cuoco, una bambina che ama montare e smontare macchinine potrebbe sviluppare degli interessi che la porteranno a studiare per diventare ingegnere meccanico.

Non limitare il campo di esplorazione di un bambino in base a stereotipi di genere vuol dire crescere le donne e gli uomini di domani liberi e rispettosi delle reciproche differenze.

Popolari, ora il “Domani d’Italia” convochi gli Stati generali

Popolari, cattolici popolari, democratici e sociali che invocano e auspicano un rinnovato impegno politico e pubblico dopo la profonda ed irreversibile trasformazione della geografia politica italiana. La presenza di una cultura, di un pensiero e di uno “stile” che non può più essere rinviata se non vogliamo consegnare il paese definitivamente alle forze populiste da un lato o alla vecchia e collaudata sinistra ex comunista dall’altro. È necessario, adesso, rimettere in campo una tradizione politica, culturale e programmatica che viene evocata e addirittura rimpianta dalla grande stampa laica, profondamente anticattolica e visceralmente e storicamente antidemocristiana. Insomma, una sorta di eterogenesi dei fini dove l’esperienza e la storia dei cattolici democratici e popolari viene richiesta dai suoi storici detrattori.

Certo, ci sono gli eterni nodi organizzativi. Ovvero, “chi convoca chi”? O meglio, chi è disposto a farsi convocare da qualcun altro? Ora, tutti ci rendiamo conto che di fronte alla necessità di far rivivere il pensiero cattolico democratico e popolare, di fronte alla necessità di ritornare ad essere protagonisti nella cittadella politica italiana, di fronte al rischio concreto di una deriva autoritaria della politica nostrana, soffermarsi sui problemi organizzativi di come ricomporre quest’area rischia di essere una obiezione irresponsabile nonché ridicola se non grottesca. Il tutto di fronte ad una straordinaria mobilitazione politica, culturale, sociale ed organizzativa di larghi settori dell’area cattolica italiana – di base e non – che adesso ha deciso di “scendere in campo”.

Ecco perché, adesso, serve una iniziativa vera, convinta ed incisiva di ricomposizione politica e culturale. Ed anche organizzativa, come ovvio. Una iniziativa aperta a tutti, senza protagonismi e senza presunzione di esclusività da parte di chicchessia. Sotto questo profilo, credo che il “Domani D’Italia” possa e debba farsi carico di questa convocazione “burocratica e protocollare” e di questo tentativo di ricomposizione politica ed organizzativa. Per l’autorevolezza della testata da un lato e per la sua storica disponibilità al dialogo, all’ascolto, all’approfondimento e al rispetto delle varie posizioni dall’altro. Una iniziativa, ripeto, aperta a tutti ma con l’obiettivo di ridar voce e rappresentanza ad un mondo culturale, ideale e sociale che adesso chiede, rapidamente, anche e soprattutto una prospettiva politica e pubblica. Per lo meno proviamoci.

La metamorfosi pidina

Qualche volta serve anche soffermarsi un po di più sul destino delle forze politiche di casa nostra e cercare di capire quali siano le ragioni che producono effetti positivi o negativi per quest’ultime. Perché non c’è alcun dubbio che il vento in poppa ce l’ha sicuramente la Lega, che un vento più flebile sembra invece accarezzare le vele dei 5 stelle e che sia completamente mancante per l’imbarcazione del Pd e di Fi.

Perché le prime due forze registrano consensi così rilevanti? Perché sono in sintonia con alcuni intendimenti della società civile italiana: la lega parla a chi vuol difendere il “suolo” e i 5 stelle alle parti più in difficoltà e ai protestatari di turno.

Il Pd e Fi invece non hanno più alcun interlocutore. A chi si rivolge oggi il Pd? E chi vede con interesse Fi? Questa ultima domanda è la domanda che ci si deve porre.

Il Pd ha subito una mutazione nel corso di questi ultimi dieci anni, oserei dire, persino spaventosa. Solo comprendendo questo cambio di pelle e questo cambio di sostanza si può dar risposta al quesito precedente. Inizialmente il Pd retto

da Veltroni riusciva ancora a mantenere viva la cultura politica pur con uno stentato incontro fra due flussi politici distinti: la tradizione di sinistra e il popolarismo moderato, per relazionarsi con alcuni segmenti significativi della società italiana, frutto questo, che consentiva al Pd del 2008 di ottenere risultati comunque lusinghieri,

L’involuzione si ebbe qualche anno dopo con una lacerazione tra la classe dirigente del Pd e importanti gangli della realtà italiana. Nel 2015/16 si ha il segnale più intenso quando Renzi strappa la relazione con la CGIL, in questo caso il sintomo del malessere ha toccato le vette più elevate. Il Pd è sembrato il partito che non avesse più alcun interesse a tutelare i diritti dei lavoratori. E non parliamo di cose minori … e di altre ancora tipo lo strappo con il mondo della scuola, insomma via via la metamorfosi del Pd andava compiendosi. Però con la seguente caratteristica che il Pd allora governava. Oggi, dopo la sciagura referendaria del 4 dicembre 2016 la deriva del partito di Renzi è apparsa in tutta ampiezza: la trasformazione era orma compiuta.

Adesso, con una condizione politica opposta, il Pd non è al governo nazionale, è stato disarcionato in Regione Fvg, cancellato nelle diverse città italiane, non serve che io puntualizzi le città del Fvg, venute meno tutte le strade di comunicazione con la realtà viva della nostra società, il Pd sembra essersi rinsecchito. Non a caso i consensi sono drasticamente calati, i suoi esponenti o sono afoni o non si vedono più. Nella mia Regione il fenomeno della sparizione è sotto gli occhi di tutti e, sicuramente, non sarà un congresso interno, seppur con primarie, a farlo resuscitare.

La diagnosi, credetemi, non è impietosa, anzi, solo guardando la sostanza delle cose si può dapprima capire l’andamento della realtà e poi, qualcuno volesse rialzarsi, trovare rimedi concreti per non scivolare in un destino oramai quasi segnato.

Ditemi, ma i rappresentanti del Pd regionale che fino a qualche anno fa sbandieravano se stessi in ogni programma televisivo e coprivano larghi spazi sulle pagine dei quotidiani, dove sono finiti? Quella, dai risultati, era quindi solo apparenza e la vuotezza, oggi, viene stigmatizzata con la giusta e impietosa crudezza dei magri consensi politici nazionali e regionali di quel partito.

“Salvinification”, l’app che cambia divisa a Salvini

“Gira la ruota e scopri quale divisa indosserà oggi il ministro Salvini per salvare il paese”. È “Salvinification” l’ultima mania del web, un sito che gioca con l’abitudine del titolare del Viminale a indossare divise diverse a seconda delle occasioni: da quella della protezione civile durante l’ondata di maltempo che colpì il Paese a inizio novembre a quella della polizia che aveva addosso mentre aspettava a Ciampino l’arrivo dell’ex terrorista Cesare Battisti a Ciampino.

Nel sito, realizzato da Alessandro Palumbo ed Elisa Cinquemani ,si vede a destra della schermata un pulsante rosso con la scritta “spin”, consente di attivare un meccanismo simile a quello delle slot machines.

Il risultato finale è un Salvini sempre diverso che può essere declinato in supereroe: Wolverini, RoboSalvini, SuperSalvini. O in versione da tv dei ragazzi: Salviniteletubbie, Sailor-Ministro, Salvy Potter. Ma anche reincarnarsi in personaggi realmente esistiti o esistenti: Salvini Bonaparte, Salvini Balotelli, Regina Elisalvetta.

La neve, è una manna per i campi secchi dopo un inverno anomalo

Dopo un inizio inverno anomalo segnato da incendi boschivi e campi aridi per la mancanza di precipitazioni nel 2019 al nord, l’arrivo della neve è manna per le campagne in allarme per le riserve idriche sulle montagne, nei fiumi, nei laghi e nel terreno necessarie alle coltivazioni nel momento della ripresa vegetativa. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare positivamente l’arrivo della neve per scongiurare una preoccupante siccità fuori stagione favorita da precipitazioni che a gennaio sono state nettamente inferiori alla media climatica di 47,2 millimetri di pioggia dell’Italia settentrionale.

Le precipitazioni però – sottolinea la Coldiretti – per poter essere assorbite dal terreno devono cadere in modo continuo e non violento, mentre gli acquazzoni aggravano i danni provocati dagli allagamenti con frane e smottamenti. Positiva è invece – precisa la Coldiretti – la presenza della neve per incentivare il recupero delle risorse idriche ed anche favorire la produzione di grano, secondo il vecchio adagio contadino “sotto la neve il pane”.

A preoccupare è invece il gelo che – continua la Coldiretti – mette a rischio i raccolti di verdure e ortaggi dopo le gravi perdite subite dall’inizio dell’anno nel mezzogiorno che hanno ridotto le disponibilità sui mercati con effetti sui prezzi. Nelle campagne – sottolinea la Coldiretti – le temperature sotto lo zero danneggiano le coltivazioni invernali come carciofi, finocchi, sedano, prezzemolo, cavoli, verze, cicorie e broccoli, ma lo sbalzo termico improvviso ha inevitabilmente un impatto anche sull’aumento dei costi di riscaldamento delle produzioni in serra.

Nei campi – continua la Coldiretti – è corsa contro il tempo per raccogliere le produzioni prima dell’arrivo del gelo dopo un 2018 che ha provocato danni all’agricoltura italiana stimati in circa 1,5 miliardi.  Gli eventi atmosferici estremi – conclude la Coldiretti – sono ormai diventati la norma e non solo ha stravolto le tradizionali differenze climatiche tra Nord e Sud ma si manifesta con una più elevata frequenza di sbalzi termici significativi, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo.

Autonomia: accordo Mit-Regioni su tpl, porti, strade e aeroporti

Grandi passi avanti nei negoziati tra il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e le Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna per il riconoscimento di una maggiore autonomia regionale sui temi di competenza del ministero. E’ quanto si legge in una nota del Mit, sottolineando che, dopo un ciclo di incontri con i rappresentanti delle tre Regioni, si è dato un forte impulso ai negoziati.

Nello specifico, si è raggiunto un accordo con le Regioni Veneto e Lombardia per riconoscere ai due enti locali una quota fissa del Fondo nazionale per il Trasporto pubblico locale e una partecipazione più forte nella governance portuale. Enormi passi in avanti nella trattativa con tutte e tre le Regioni al tavolo si sono fatti in merito al governo del territorio: non solo si è chiuso un accordo molto complicato per riconoscere maggiore autonomia regionale in materia di interventi edilizi di rigenerazione urbana e interventi in zone sismiche, ma il Mit ha anche dimostrato apertura sulla possibilità di riconoscere autonomia alle Regioni in tema di infrastrutture idriche ed elettriche.

Il ministero ha inoltre dimostrato apertura sull’ipotesi di concedere più autonomia in materia di infrastrutture stradali che insistono sul territorio delle regioni interessate e sulla possibilità che le Regioni concorrano attivamente alla fase propositiva dei masterplan aeroportuali. Il ministero ha invece ritenuto preminente l’interesse nazionale all’unitarietà della rete infrastrutturale ferroviaria e autostradale.

Nazionale: Lunedì raduno a Coverciano

la Nazionale si ritroverà lunedì 4 e martedì 5 febbraio al Centro Tecnico Federale di Coverciano. Un breve raduno che permetterà al Commissario Tecnico Roberto Mancini di rivedere gli Azzurri e iniziare a preparare i primi due incontri delle ‘European Qualifiers’ con Finlandia e Liechtenstein, in programma rispettivamente sabato 23 marzo (ore 20.45) allo stadio ‘Friuli’ di Udine e martedì 26 marzo (ore 20.45) allo stadio ‘Ennio Tardini’ di Parma.

Il Ct ha convocato 32 calciatori: prima chiamata per il difensore del Parma classe ’99 Alessandro Bastoni, mentre torna a vestire la maglia della Nazionale Fabio Quagliarella, protagonista di una stagione esaltante e attuale capocannoniere della Serie A con 16 reti.

Già convocati da Mancini a inizio stagione, tornano a varcare il cancello di Coverciano anche Nicolò Zaniolo (classe ’99) e i classe 2000 Sandro Tonali e Moise Bioty Kean.

Non prenderanno parte al raduno gli Azzurri che militano nei campionati esteri e i calciatori impegnati nei posticipi della 22ª giornata di Serie A (Frosinone-Lazio e Cagliari-Atalanta): unica eccezione il centrocampista cagliaritano Nicolò Barella, che deve scontare un turno di squalifica in campionato.

In Italia un robot ha impiantato uno stent per la prima volta

Il dottor Ciro Indolfi, ordinario di Cardiologia e direttore del Centro Ricerche Malattie Cardiovascolari dell’Università Magna Graecia di Catanzaro (nonché presidente della Società italiana di Cardiologia), ha portato a termine con successo il primo intervento di angioplastica effettuato tramite un robot in Italia.

Comandando il sistema robotizzato a distanza attraverso una consolle, il chirurgo ha liberato le coronarie di un uomo di 64 anni che aveva avuto un infarto. Il paziente è stato dimesso dall’ospedale solamente due giorni dopo l’operazione.

Il dottor Indolfi spiega che il robot gli ha consentito di svolgere con precisione ogni singolo passaggio della delicata procedura. “In primo luogo è stata eseguita la dilatazione della stenosi con un palloncino entrando dall’arteria del polso e poi è stato impiantato uno stent medicato”. Secondo il chirurgo, il successo dell’intervento segna l’inizio di una nuova era in cui l’utilizzo della robotica in cardiochirurgia sarà sempre più frequente.

Caro Diario (25 anni dopo)

Alcune settimane fa La7 ha trasmesso in prima serata il film Caro Diario, a 25 anni di distanza dalla prima uscita cinematografica. Un appuntamento imperdibile per chi ama il cinema di Nanni Moretti. Ma anche un’occasione per rivedere Roma com’era nei primi anni Novanta. Il primo episodio del film, intitolato “In vespa”, è un pezzo di storia del cinema italiano. Il protagonista Giovanni (Nanni Moretti che interpreta sé stesso) gira in vespa, in pieno agosto, tra Garbatella, Gianicolo, Ponte Flaminio, piazza Mazzini, Porta Ardeatina, diversi tratti del Lungotevere. A un certo punto dice “andiamo a vedere com’è Spinaceto”, allora considerata estrema periferia, oggi tristemente inglobata nel tessuto urbano. Toccante l’omaggio a Pier Paolo Pasolini, con la visita all’Idroscalo di Ostia e al monumento del Poeta (oggi inaccessibile).

Il vespino di Nanni gira da padrone negli stessi luoghi in cui di solito si è schiavi dei deliri collettivi altrui (traffico, shopping, file burocratiche). Nanni ritrova lo splendore di un palazzo, il disegno di un parco, certi suoni inascoltabili nel caos. Uno degli esercizi più noti nel film è l’ascolto dei propri passi durante una passeggiata: normale fino a qualche decennio fa, piacere oggi impedito da un continuo frastuono, dall’alba fino a notte fonda.

Sorge spontanea una domanda: al di là del comprensibile elemento nostalgico (per un’Italia “lenta”, che non esiste più) la notizia è di qualche interesse per i lettori del 2019? Ebbene, rivedere la Roma dei primi anni Novanta, oggi, significa riscoprire una città curata, sostanzialmente pulita, con i cassonetti ben chiusi e non ridotti a discariche, dove le buche non si aprono ogni due metri, in cui le strade appaiono regolarmente asfaltate e i bordi delle stesse non sono ricoperte di immondizia e le alberature non sono affatto disastrate. Anche la zona dell’Idroscalo di Ostia, rispetto a oggi, presenta un aspetto accettabile.

Dunque un under 30 che vedesse oggi Caro Diario scoprirebbe (forse con una certa sorpresa) che in tempi non lontanissimi Roma è stata una città “normale”, vivibile, al netto di tutta la letteratura sulla “Grande Bellezza”. Abbiamo vissuto in una Capitale come ce ne sono tante altre in Europa e ce ne ricordiamo soltanto adesso, rivedendola grazie a un film ormai storico. Il disastro urbano riguarda l’oggi, non è stato una costante perenne della nostra città. E’ la prova che Roma, nonostante tutto, non ha un oscuro destino che la attende. Basterebbe amministrarla bene, con professionalità e capacità. Basterebbe.

Silvio Berlusconi contro Matteo Salvini

Silvio Berlusconi, ai microfoni di ‘Circo massimo’ su Radio capital dice che “Non crede assolutamente che ci siano le condizioni per fare un partito unico del centrodestra. Ci sono molte differenze, tra quello che è Forza Italia e gli altri partiti del centrodestra. Queste fusioni non sono mai state seguite da successi, non credo che la cosa interessi Salvini come non interessa noi”.

“E poi -aggiunge- loro sono sovranisti, noi vogliamo rafforzare l’Europa, cambiandola, sono due strade molto diverse”.

“Quello che” Matteo Salvini “ottiene andando in giro è molto diverso da quello che ottenevo io. Io trovavo e trovo ancora simpatia, spesso entusiasmo, sempre affetto, mai, mai fanatismo. Ma non è certo su questo che mi interessa competere con lui. Piuttosto voglio competere sui programmi, sulla coerenza dei comportamenti”.

 

E’ entrato in vigore il patto di libero scambio tra Unione europea e Giappone

E’ entrato ieri in vigore il patto di libero scambio tra Unione europea e Giappone, che include un terzo dell’economia mondiale e che va in direzione contraria rispetto alle spinte protezionistiche e al clima di conflitto commerciale che caratterizza il rapporto tra gli altri due più grandi protagonisti dell’economia globale: Stati uniti e Cina.

L’Accordo di partnership economica (EPA) tra Ue e Giappone prevede l’eliminazione dei dazi giapponesi per il 94 per cento dei prodotti agricoli e industriali provenienti dall’Unione europea e il 99 per cento dei dazi europei sui prodotti nipponici.L’accordo è stato firmato a luglio ed è stato ratificato dicembre dopo cinque anni almeno di difficili trattative tra le parti.

Secondo quanto racconta oggi l’agenzia di stampa Kyodo, uno dei principali prodotti che vedrà vantaggi immediati dalla caduta dei dazi è il vino, che immediatamente si trova con un taglio delle tariffe del 15 per cento. Francia, Italia e Spagna, i principali esportatori di vino in Giappone, potranno così tornare concorrenziali con paesi come il Cile, che già godeva di agevolazioni tariffarie per entrare nel mercato giapponese.

Anche nel settore dei formaggi sono previsti vantaggi immediati, per l’Italia.

La stima del governo giapponese è che l’impatto economico dell’EPA sarà di qualcosa come 45,7 miliardi di dollari in più in commercio.

Un punto interrogativo rimane, in questa fase, il ruolo della Gran bretagna, che sta lasciando l’Ue. Molte aziende nipponiche hanno la loro base operativa europea proprio nel Regno unito ed è di questi mesi la notizia che diverse di queste compagnie intendono trasferire (o stanno trasferendo) questi uffici nel Continente.

La “Palermo tra emergenza e progetto”: Il nuovo libro di Luciano Abbonato

La speranza e l’impegno per garantire alla città e alla sua gente un futuro migliore, confidando nel superamento definitivo degli anni di declino che hanno provocato la bancarotta del comune: è questo il tema centrale dell’ultimo libro del magistrato siciliano Luciano Abbonato, intitolato “Palermo tra emergenza e progetto”. Testo che per la complessità e la consistenza degli argomenti trattati, vale la pena di sfogliare attentamente.

Già Assessore al Bilancio, ai Tributi, al Patrimonio e alle Partecipate del capoluogo siciliano, Abbonato puntualizza come il rilancio di Palermo debba prescindere dai buoni rapporti centro-periferia su base nazionale, a partire dalla riqualificazione del personale amministrativo e operativo. Quel personale – continua – che per esigenze di risparmio fu ridotto “all’osso” dal commissariamento antecedente alla doppia nuova elezione a sindaco di Leoluca Orlando (2012 e 2017). Riferendosi proprio a Orlando, che ha curato la postfazione del libro, l’autore racconta la sua esperienza amministrativa fondata sull’importanza della figura del primo cittadino come guida non solo politica, ma anche e soprattutto etica e sociale. Non a caso, i riferimenti a personaggi del calibro di Giorgio La Pira e Luigi Sturzo nascono dal presupposto che le giunte comunali debbano avere l’obbligo di mettersi al servizio della comunità in un regime di collaborazione tra istituzioni lasciando alle prime i margini per esercitare la propria autonomia. Molto significativi sono, nella premessa, i riferimenti alla lotta all’illegalità da attuarsi mediante la partecipazione, l’informazione, il senso civico che una buona amministrazione deve saper trasmettere alla sua cittadinanza.

Come accennato, la valorizzazione del territorio mediante il lavoro dell’ente locale necessita della collaborazione dello Stato : per una buona gestione, l’autonomia finanziaria e il riconoscimento delle competenze della giunta come soggetto direttamente a contatto con la sua comunità sono fondamentali. Il funzionamento delle infrastrutture è proporzionale al buon lavoro degli amministratori, specie se scelti bene e messi in condizione di lavorare con strumenti all’altezza. Allo stesso modo, gli investimenti e la cura del benessere sociale debbono per forza di cose essere svincolati da qualsiasi politica neo-centralista che imponga oneri e rigidi controlli (come i troppi tagli dei trasferimenti e la limitazione del potere impositivo).

Il volume è caratterizzato dalla pubblicazione di una serie di tabelle statistiche riferite agli anni che vanno dal 2011 al 2016; queste attestano in modo puntiglioso i trasferimenti del governo centrale al comune di Palermo comprensivi dei bilanci, degli esercizi delle partecipate, delle movimentazioni fiscali legate alla Tares e del comparto tributario legato alle entrate/uscite complessive. Non solo. Sono riportati, nel dettaglio, i numeri dei dipendenti comunali operativi per annualità, compresi i contratti stipulati e i flussi di denaro passivi e attivi che ne sono conseguiti. Per una degna ricostruzione, insomma, rendere fruibili i servizi ai palermitani è fondamentale quanto riprendere le redini della storia della città riappropriandosi dell’autostima che durante gli anni del crack finanziario e delle stragi compiute dalla criminalità organizzata sembrava dissipata. Interessante, da leggere.

Genova: apre “Casa don Bosco”

Casa don Bosco” ha aperto a Genova le porte ai primi otto Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA). Si tratta di una comunità di seconda accoglienza, inserita all’interno dell’Opera Salesiana di Genova Sampierdarena, destinata ai giovani dai 14 ai 17 anni, arrivati in Italia senza la famiglia o figure di riferimento.

Questo progetto è il risultato di una collaborazione tra l’Opera Don Bosco e “Il nodo sulle Ali del Mondo onlus”. Domenica 3 febbraio alle ore 19, in occasione della Festa di don Bosco, ci sarà l’inaugurazione ufficiale con la benedizione dell’arcivescovo di Genova, il card. Angelo Bagnasco e alla presenza del Sindaco Marco Bucci.

Libano: i 30 membri del nuovo governo Hariri

Sono trenta i ministri del terzo governo formato dal premier Saad Hariri dopo ben otto mesi di stallo.

La prima riunione del nuovo gabinetto sarà oggi. Confermati agli Esteri il capo della diplomazia uscente, il cristiano maronita Gebran Bassil, e alla vicepresidenza del Consiglio Ghassan Hasbani, esponente greco-ortodosso delle Forze libanesi. Al ministero dell’Interno andrà Raya Haffar Hassan, ex ministro delle Finanze dal novembre 2009 al giugno 2011 e prima donna ministro del mondo arabo.

Il consigliere presidenziale Elias Bou Saab, ex titolare del dicastero dell’Istruzione dal febbraio 2014 al dicembre 2016, è stato invece nominato come ministro della Difesa. L’esponente del partito Al Mustaqbal (Futuro) Jamal Jarrah è stato scelto per l’incarico di ministro dell’Informazione. Importante il cambio al ministero dell’Energia che sarà guidato da una donna: Nada Boustani, già consulente dello medesimo dicastero, membro del Movimento patriottico libero (partito cristiano fondato dal presidente della Repubblica, Michel Aoun).

L’esponente del Partito socialista progressista, il druso Wael Abou Faour, sarà invece il nuovo ministro dell’Industria; da segnalare che quest’ultimo dicastero era guidato dal partito sciita Hezbollah nell’esecutivo precedente. Il “Partito di Dio” guidato dallo sceicco Hassan Nasrallah è rappresentato nel governo da tre ministri: Mahmoud Qomati, responsabile degli Affari del parlamento; Jamil Jabak, ministro della Sanità; Mohammad Fneich, titolare del dicastero dello Sport

Al via la riforma dello sport

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, ha presentato il nuovo progetto durante la conferenza stampa organizzata insieme al titolare del Miur, Marco Bussetti, al ministro della Salute, Giulia Grillo, e al sottosegretario, Simone Valente.

“E’ una riforma fatta non contro qualcuno, questo deve essere chiaro – ha subito sottolineato Giorgetti – Ci sarà la certezza di risorse per il sistema sportivo che non saranno mai meno di 408 milioni di euro l’anno, soldi che possono solo aumentare se il sistema sportivo si sviluppa. L’autonomia dello sport è garantita al cento per cento. I cinque cerchi sono patrimonio e marchio del Coni. La nuova società potrà lavorare per valorizzare ancora di più il marketing del Coni, che oggi mi sembra sia già molto efficiente. L’amministratore delegato sarà una persona che dovrà conoscere il mondo sportivo e non sarà un antagonista del presidente del Coni. ‘Sport e Salute’ verrà gestita con criteri manageriali in modo trasparente, sarà una società dello Stato e soggetta ai controlli della Corte dei conti”.

La promozione della salute costituisce un presupposto determinante per il benessere della persona, per la qualità della vita ma anche per la sostenibilità del sistema sanitario, tanto che la sfida futura riguarderà la capacità di mettere a sistema diversi elementi in apparenza disomogenei, ma che insieme, nella loro complessità, contribuiscono a qualificare i processi di erogazione dell’assistenza sanitaria. In quest’ottica l’interesse prioritario da tutelare deve essere quello dei cittadini. E la promozione del benessere psicofisico della persona richiede strategie intersettoriali e trasversali a partire dalla pratica sportiva. Lo sport è uno strumento di benessere psicofisico e di prevenzione, un veicolo d’inclusione sociale, partecipazione e aggregazione. In tal senso può svolgere una funzione educativa e formativa per i più giovani favorendo lo sviluppo di capacità e abilità essenziali per una crescita equilibrata.

“Da oggi si volta pagina – ha detto il titolare del Miur Bussetti – Vogliamo consentire come scuola di fare sport continuativo e che gli istituti diventino un riferimento contro l’abbandono dell’attività fisica. Nella scuola primaria, che da più di 60 anni attende un cambiamento del genere, introdurremo insegnanti di educazione motoria, per soddisfare i bisogni dei nostri ragazzi, spesso distratti dai device”. “Ci sarà maggiore attenzione agli impianti sportivi – ha aggiunto -. Abbiamo una missione importante per il bene dei nostri ragazzi, per arrivare a fornire il miglior servizio per lo sport, che è forma educativa per avere uomini migliori in futuro”.

Foro di Cesare: si avvia lo scavo

Con l’allestimento del cantiere si avviano le attività preparatorie alla realizzazione del progetto di scavo del Foro di Cesare. Le indagini preliminari prevedono la pulizia dell’area recintata, delimitata da via dei Fori Imperiali, dall’ex via Bonella, dall’ex via Cremona e dall’attuale belvedere sul Foro di Cesare, con la messa in luce degli strati di interro moderno.

Le attività, finanziate con un milione e 500mila euro, donati dall’Accademia di Danimarca grazie alla Fondazione Carlsberg di Copenhagen, hanno una durata di tre anni, eventualmente rinnovabile.

Grazie al significativo apporto danese, al termine dello scavo sarà possibile apprezzare nella sua interezza il primo dei cinque Fori di età imperiale. Le parti già visibili – i lati occidentale e meridionale, occupati dai portici, e un ampio tratto di quello corto settentrionale, al cui centro rimangono i resti del Tempio di Venere Genitrice con le tre colonne della perìstasi rimontate nel 1933 – saranno integrate dal fianco oggi invisibile del tempio e dall’intero portico orientale della piazza, attualmente sepolto sotto la sede stradale di via dei Fori Imperiali e sotto i marciapiedi e le aiole che la fiancheggiano, nascondendo le connessioni e i passaggi verso gli altri due Fori contigui, quelli di Augusto e di Traiano.

 

Morto a 95 anni il padre dell’ibuprofene

E’ morto a 95 anni Stewart Adams, l’uomo che ha legato il suo nome alla scoperta dell’ibuprofene, che fu chiamato per la prima volta RD 13621 e RB 1472 ossia al principio attivo di uno degli antidolorifici più usati al mondo da decenni.

Adams si è spento nella sua casa di Nottingham, in Inghilterra, come riferito oggi dal figlio Charles ai media britannici. Laureato in farmacia, fece la scoperta destinata a cambiare la sua vita, e a migliorare quella di milioni di altre persone afflitte da dolori reumatici o da altri fastidi, mentre lavorava in un laboratorio a Boots.

Gli occorsero però una decina d’anni per mettere a punto il farmaco e altri sette per ottenere il permesso di prescrizione dalle autorità sanitarie. Nel 2015, Adams raccontò alla Bbc d’aver avuto la prima conferma che l’ibuprofene funzionasse sperimentandolo su se stesso per curare gli effetti di una sbornia e poter poi parlare in condizioni accettabili a un convegno.

Tornati i Ds. Adesso ritorni il centro

Dunque, la sinistra e’ tornata. O meglio, sta ritornando il Pds a guida Zingaretti. Perché, per quanto riguarda l’ex Pd, è arrivato il momento di chiamare le cose con il proprio nome. Archiviata definitivamente la stagione originaria del Partito democratico, cioè di un partito plurale che faceva della sintesi fra le culture del novecento la sua ragion d’essere politica, è subentrata la fase del partito più identitario. Per dirla con i due candidati alla segreteria nazionale di quel partito Zingaretti e Martina, adesso si “deve rifondare, riscoprire e rilanciare il pensiero e la cultura della sinistra italiana”. Appunto, si deve rifare, in forma forse anche un po’ aggiornata, il Pds. Questo, del resto, è quello che si attende la base di quella formazione politica dopo l’ubriacatura renziana e il conseguente, e del tutto scontato, tradimento di tutti coloro che sono stati integerrimi ultras renziani e poi, appena conclusasi la parabola fatta di ripetute e continue sconfitte elettorali, tutti a saltare sul nuovo carretto del vincitore. E con il Pds, sono tornati anche i tic – o i vizi – storici dell’armamentario della sinistra italiana. Dagli appelli dei milionari, alto borghesi, elitari, salottieri ed aristocratici “progressisti” alla centralità dei diritti civili a scalpito dei diritti sociali; dalla difesa del “sistema” e delle sue ragioni alla perdurante indifferenza dei bisogni reali dei ceti popolari e di quelli più disagiati: dalla sicurezza al reddito di cittadinanza, dalle difficoltà delle periferie alle condizioni sempre più critiche degli “ultimi” e dei “poveri” di cui si continua a sventolare, con un pizzico di ipocrisia, la bandiera di riferimento. E, accanto a tutto ciò, la voglia di tornare al governo – avendo perso quasi del tutto la dimestichezza con l’opposizione che non sia quella di sistema e a difesa degli intramontabili “poteri forti” – a qualunque costo. Sotto questo versante, e coerentemente, il corteggiamento al movimento 5 stelle – o a ciò che resterà dopo le elezioni europee di quel movimento – con la benedizione dei “santoni” dell’ex campo del centro sinistra. Sotto questo profilo la “benedizione”, l’ennesima anche se negli ultimi anni non ne ha più azzerata una, di Romano Prodi, e’ più che significativa e riveste una importanza decisiva ai fini dell’operazione della nuova sinistra “catto comunista”.

Ora, tornata la sinistra senza novita’ significative e senza alcuna discontinuità rispetto al passato, il campo che si deve riorganizzare e’ quello del “centro democratico e riformista”. Ovvero, di un centro che sappia recuperare quella cultura di governo, quel senso di moderazione e, soprattutto, quella cultura del buon senso e temperata che si è pericolosamente eclissata nella concreta dialettica politica del nostro paese in questi ultimi anni. Una esperienza politica che non solo è richiesta ma comincia ad essere invocata e fortemente gettonata da settori culturali, politici ed editoriali storicamente estranei ed esterni ad ogni formazione politica, seppur lontanamente, riconducibile al centro. Un ruolo politico dove pesera’ anche e soprattutto la cultura e il pensiero del cattolicesimo democratico e popolare che ormai è’ diventato irrilevante e del tutto marginale nelle altre formazioni politiche. A cominciare dal Pd/Pds dove, accanto al ritorno della sinistra tradizionale, la presenza della cultura cattolico democratica, di fatto, si esaurisce nella riproposizione di una piccola ed insignificante presenza “catto comunista”, funzionale ai sedicenti cattolici alla Del Rio ma del tutto priva di significati politici ed istituzionali. E, accanto al ritorno della tradizione del cattolicesimo politico, una politica e una formazione politica di centro devono sapere ricostruire anche e soprattutto una “cultura della coalizione”. Un cultura che negli anni della gestione renziana, con la complicità di quasi tutto il Partito democratico, è stata sostanzialmente distrutta a vantaggio della vocazione maggioritaria del partito. Un concezione arrogante e solitaria dei rapporti politici pagati a caro prezzo non solo dal Pd ma tutto quello che restava del centro sinistra. E, in ultimo, il ritorno di un partito di centro significa anche il decollo di un “riformismo temperato” che è sempre stato un elemento caratterizzante della politica italiana contro gli “opposti estremismi” di turno e contro la stessa radicalizzazione della scontro politico che in Italia e’ sempre stata all’origine della crisi della stessa democrazia parlamentare e rappresentativa.

Ecco perché dopo la trasformazione politica del Pd e il ritorno della vecchia sinistra, un po’ identitaria e un po’ moralista, adesso quasi si impone la presenza di una cultura e di una politica di centro nel nostro paese. Non per nostalgia o per memoria storica ma per la semplice ragione che senza una presenza del genere sarebbe lo stesso riformismo a pagarne le conseguenze peggiori. Il sistema politico si riarticola, profondamente. Pensare che dopo il voto del 4 marzo scorso tutto e’ rimasto come prima e’ una pia illusione. Come risulta una pia illusione pensare che dopo una eventuale ed ipotetica sfiducia nei confronti del governo giallo/verde tutto ritorna come prima con un Pd al 40%, come pensano alcuni simpaticoni e guasconi di quel mondo. Tutto è cambiato. E quando tutto cambia occorre semplicemente attrezzarsi. Ognuno con la propria cultura e con i propri attrezzi da lavoro.

Istat: l’occupazione a Dicembre risulta in lieve crescita

A dicembre 2018 la stima degli occupati risulta in lieve crescita rispetto a novembre (+0,1%, pari a +23 mila unità); anche il tasso di occupazione sale al 58,8% (+0,1 punti percentuali).

L’andamento degli occupati è sintesi di un aumento dei dipendenti a termine (+47 mila) e degli autonomi (+11 mila), mentre risultano in diminuzione i permanenti (-35 mila). Nel confronto per genere cresce l’occupazione femminile e cala quella maschile.

A dicembre si conferma il calo già registrato a novembre della stima delle persone in cerca di occupazione (-1,6%, pari a -44 mila unità). La diminuzione si concentra prevalentemente tra gli uomini e le persone maggiori di 35 anni. Il tasso di disoccupazione si attesta al 10,3% (-0,2 punti percentuali), quello giovanile sale leggermente al 31,9% (+0,1 punti).

La stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni a dicembre è in lieve calo (-0,1%, pari a -16 mila unità). La diminuzione si concentra tra le donne ed è distribuita tra tutte le classi di età ad esclusione dei 25-34enni che registrano un aumento di 28 mila. Il tasso di inattività resta stabile al 34,3%.

Nel quarto trimestre 2018 l’occupazione registra una lieve crescita rispetto al trimestre precedente (+0,1%, pari a +12 mila unità). L’aumento riguarda gli uomini e le classi d’età estreme. Nel trimestre crescono i dipendenti sia a termine sia permanenti, mentre calano gli indipendenti.

Nel quarto trimestre alla crescita degli occupati si associa quella delle persone in cerca di occupazione (+2,4%, pari a +63 mila) mentre calano gli inattivi (-0,8%, -100 mila).

Su base annua, l’occupazione cresce dello 0,9%, pari a +202 mila unità. L’espansione interessa entrambe le componenti di genere, i lavoratori a termine (+257 mila) e gli indipendenti (+34 mila), mentre continua il calo dei dipendenti permanenti (-88 mila). Nell’arco di un anno aumentano gli occupati tra i 15-24enni (+36 mila) e gli ultracinquantenni (+300 mila), mentre si registra una flessione tra i 25-49enni (-135 mila). Al netto della componente demografica si stima un segno positivo per la variazione occupazionale di tutte le classi di età.

Nei dodici mesi, la crescita degli occupati si accompagna al calo dei disoccupati (-4,8%, pari a -137 mila unità) e degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-1,5%, -197 mila).

Friuli Venezia Giulia: Su, datevi da fare!

È trascorso un tempo adeguato dell’attività del Governo Fedriga per trarne alcune valutazioni politiche. Il lavoro svolto dalla giunta e dal consiglio regionale non sono molto rassicuranti per i provvedimenti legislativi licenziati. Infatti, l’unica legge di riforma sfornata dal consiglio è quella sanitaria che non sembra essere ben accettata. Forse perché alla riforma mancano i provvedimenti di programmazione a essa collegati e per questa ragione non rimane altro che aspettare ancora qualche tempo. Ma quello che più preoccupa e che rende la struttura sanitaria in una situazione di impasse è la evidente carenza di gestione del sistema che la rende preoccupantemente ingessata. A ciò si aggiungano nuove imposizioni di norme nazionali che creano ulteriori difficoltà al comparto. Ma, ciò nonostante, non si notano azioni politiche della Regione verso il governo nazionale, nonostante che la nostra sanità abbia autonomia finanziariamente e organizzativa.

Poi, il Consiglio ha varato la finanziaria per il 2019 che non ha particolari innovazioni se non l’avvio di un piano di investimenti pubblici finanziati con nuovi mutui per trecento milioni di euro nel triennio e una piccola previsione di quattro milioni e mezzo di euro per la riduzione dello Irap alle attività produttive della zona montana. Oltre a questo null’altro di significativo ma solo ordinaria amministrazione. Forse le altre riforme si vedranno nel corso di quest’anno a partire dalle ex Uti che probabilmente saranno sostituite da nuovi organismi più efficienti. Ma, ad ora, non è dato poter valutare se non il dibattito in atto dal quale però emerge conflittualità tra gli amministratori per il modo disordinato con cui è stato impostato dalla Regione.

Comunque questo abbassamento di tono politico può avere più cause. La prima che siamo tutti storditi continuamente da quello che avviene a livello romano, non c’è nessuna quiete, ogni giorno se ne sentono e se ne vedono di nuove. Un secondo motivo è dato da una dimensione politica regionale che pare essere sopita, non c’è allo stato attuale nessuna condizione che faccia ben sperare per l’energia e per la forza che impone allo sguardo di un nostro concittadino regionale; le opposizioni sono sempre in uno stato narcotico, alla ricerca di un equilibrio interno che pare essere completamento smarrito; certo non è entusiasmante il quadro di riferimento governativo regionale, perché se da un lato Fedriga e un paio di assessori cavalcano costantemente le scene politiche e danno indicazioni più o meno precise, il complementare a questi tre è completamente assorto in una attività senza che abbia visibilità, che sia tangibile, confrontabile e concreta.
Quindi che vi sia uno sconforto generale è ben giustificato.

Di fronte a una immeritata vuotezza che stiamo subendo, anche i commentatori si trovano a dover inventare gli argomenti per poter animare il dibattito locale.
Ciò nonostante, accreditiamo a tutti ancora una buona dose di fiducia perché sappiano ridestare lo spirito politico, senza il quale, qualsiasi comunità sarebbe destinata a uno spiacevole naufragio.

Su, datevi da fare!

Stati Uniti: chiesta la libertà vigilata per l’ultima seguace di Charles Manson

Dopo oltre 40 anni di carcere, Leslie Van Houten, la più giovane delle seguaci del guru sanguinario Charles Manson, potrebbe tornare in libertà vigilata.

La richiesta è stata avanzata da una commissione della California, lo Stato in cui la donna oggi sessantanovenne è detenuta. A prendere una decisione finale sarà il nuovo governatore democratico Gavin Newsom, dopo che la libertà condizionale alla Van Houten è già stata negata due volte dal governatore Jerry Brown.

La donna fu tra coloro che parteciparono all’efferato assassinio di Leno LaBianca e di sua moglie Rosemary nel 1969. All’epoca aveva 19 anni. Manson, che pianificò anche l’eccidio di Cielo Drive in cui furono massacrati l’attrice Sharone Tate e alcuni suoi amici, è morto in prigione nel 2017.

Al via la campagna “salva un bambino”

Immagina un mondo in cui tutti i bambini hanno una mamma e un papà che li amano, possono studiare e vivere un’infanzia felice. Insieme possiamo accogliere tanti bambini e ragazzi in difficoltà e dare loro una famiglia che li ama, la possibilità di andare a scuola e costruirsi un futuro.

La Comunità Amore e Libertà dal 1988 accoglie bambini e ragazzi soli, poveri, che hanno subito violenze o abusi cercando di donare loro l’amore e l’affetto di una famiglia. Ogni giorno s’impegna per creare nuove opportunità di formazione e lavoro per restituire dignità e speranza e perché tutti i bambini possano andare a scuola e realizzare i propri sogni.

Si può sostenere la campagna SALVA UN BAMBINO inviando un SMS o chiamando da rete fissa il numero 45589, per garantire a sempre più bambini e ragazzi l’affetto di una famiglia, la possibilità di studiare e la speranza di un futuro migliore.

Il progetto darà sostegno a più di 900 bambini e ragazzi, garantendo loro accoglienza, formazione scolastica e supporto sociale a Kinshasa, nel quartiere poverissimo di Masina III e a Kimpoko, nella Repubblica Democratica del Congo.

In Sicilia e in Sardegna il dissesto idrogeologico riparte dalla prevenzione

Occorre una nuova etica dell’ambiente, una cultura del territorio che si ispiri a un paradigma di prevenzione del rischio idrogeologico da coniugare costantemente alla tutela, al rispetto e alla mitigazione degli impatti già provocati. Parte da qui lo stanziamento delle risorse seguite gli atti integrativi agli accordi di programma siglati con il Ministero dell’Ambiente. “Risorse immediatamente disponibili – ha detto il ministro Sergio Costa – per progetti già cantierabili, a dimostrazione che vogliamo agire non seguendo la logica dell’emergenza, ma attivandoci in maniera seria e concreta sulla prevenzione del rischio”.

Per la regione Sicilia si tratta di venti interventi finanziati per un ammontare complessivo di oltre 44 milioni, a valere sulle risorse del suddetto Piano Operativo FSC 2014/2020. Nel dettaglio, sono 11 gli interventi nella provincia di Messina: 2,41 milioni Montalbano Elicona, per il consolidamento del centro abitato della Frazione Santa Maria; 1,8 milioni a Raccuja per consolidamento abitato Fossochiodo; 2,27 milioni a San Teodoro, per il consolidamento della zona a valle della via degli Angeli; 2 milioni a Castelmola, per il completamento-consolidamento del costone roccioso a valle del centro abitato Cuculunazzo-Sottoporta; 3 milioni a Messina per il progetto di manutenzione della barriere frangiflutti esistenti; 2 milioni a Militello Rosmarinoper il consolidamento all’interno del centro abitato in Contrada Ramisi; 1,5 milioni al comune di Itala, per il consolidamento e regimentazione idraulica dell’area in frana in località Casaleddu; 1,9 milioni a Fiumedinisi, per il consolidamento a Monte del centro abitato contrada Fontana; 2,7 milioni a Frazzanò, per il consolidamento della zona R4 a monte della via Libertà nel centro urbano di Frazzanò II stralcio; 2,32 milioni a Frazzanò per il consolidamento della zona R4 a monte della via Libertà nel centro di Frazzanò I stralcio; 1,17 milioni a Capri Leone, per i lavori di consolidamento del versante occidentale a salvaguardia del centro abitato Torrente Paliace.

Al Comune di Palagonia 2,4 milioni di euro sono destinati per il completamento dell’intervento di consolidamento  e miglioramento sismico della sede dell’U.T.C. Due invece gli interventi nella provincia di Enna: 1,31 milioni ad Agira, per il consolidamento e messa in sicurezza della periferia meridionale del centro abitato e 1 milione, sempre ad Agira, per la messa in sicurezza del quartiere Santa Maria. Due anche gli interventi nel palermitano: 1,49 milioni a Petralia Soprana versante sud-ovest del centro abitato; 398.000 euro a Baucina per il consolidamento del cimitero comunale.  Altrettanti gli interventi in provincia di Agrigento: 8,98 milioni a Raffadali, per l’eliminazione del rischio idrogeologico a difesa del rione Barca; 3,5 milioni a Sant’Angelo Muxaro, per il consolidamento del costone roccioso. Al comune di Marianopoli (Siracusa) andranno 945.000 euro per i lavori di consolidamento nella zona Case Agricole. A  Ferla, nel siracusano, 1,2 milioni per la messa in sicurezza di Contrada Macello. Ammontano infine a 98 milioni di euro le risorse per la regione Sardegna destinate, in particolare, al completamento del quadro degli interventi di mitigazione del rischio nella città di Olbia e alla realizzazione di interventi per la salvaguardia dell’abitato di Cagliari-Pirri da eventi meteorologici eccezionali. In particolare 21 milioni verranno destinati alle opere di mitigazione del rischio idraulico nel territorio comunale di Olbia, Rio San Nicola; 19,5 milioni di euro saranno rivolti ad opere di mitigazione del rischio idraulico nel territorio comunale di Olbia, Rio Gadduresu; 57,5 milioni ad opere di mitigazione del rischio idraulico nel territorio comunale di Olbia, Rio Seligheddu.

Gibuti: tragedia in mare con oltre 50 morti

Sono finora 52 i corpi ritrovati in mare al largo di Gibuti, nel Corno d’Africa, dopo il naufragio di due imbarcazioni di migranti capovolte durante una mareggiata. Si presume che i dispersi siano una sessantina. A bordo c’erano circa 130 persone. Lo ha confermato l’Agenzia dell’Onu per le migrazioni, mentre i cadaveri si allineano via via sulla spiaggia. Sedici sopravvissuti sono stati tratti in salvo.

Il naufragio è avvenuto ieri, ma le operazioni di soccorso proseguono oggi. Testimoni hanno riferito che enormi onde hanno fatto capovolgere le imbarcazioni una mezz’ora dopo la partenza.

Migliaia di migranti dalla regione del Corno d’Africa partono ogni anno da Gibuti per attraversare lo stretto di Bab al-Mandeb e raggiungere la penisola arabica, nella speranza di trovare lavoro nei Paesi del Golfo. In maggioranza si tratta di etiopi. La traversata è pericolosa, con gli scafisti che a volte costringono i migranti a gettarsi in mare prima dell’arrivo a destinazione.

Le Regioni alpine chiedono aiuto per la gestione dei grandi predatori

Le Regioni alpine, riunite a Trento, concordano sulla necessità di disporre di strumenti idonei per la gestione dei grandi predatori, in particolare lupi e orsi, e sono disposte ad assumersi in prima persona le responsabilità delle azioni necessarie.

Nel rispetto delle normativa europea e sull’esempio degli altri Stati dell’Unione che, interessati dalla presenza dei grandi carnivori, dispongono di piani di prelievo mirati, le Regioni alpine chiedono al Governo e, in particolare al ministero all’ambiente, l’approvazione di un piano di gestione adeguato ad una realtà che vede in espansione alcune specie, lupi in particolare.

“Nessuno mette in dubbio – hanno sottolineato nel corso dell’incontro i rappresentanti istituzionali – il valore della biodiversità delle nostre montagne e dei nostri territori alpini, così come non ci permettiamo di contravvenire alle normative europee, che condividiamo. A fronte però di una densità di lupi ed orsi, tale da generare situazioni oggettive che fanno venir meno la sicurezza delle popolazioni e rappresentano una fonte costante di danno per le attività economiche, chiediamo di avere la possibilità di attivare azioni condivise di prevenzione, gestione e prelievo dei grandi carnivori. Va considerato che episodi ripetuti di predazioni, molti dei quali in prossimità di centri abitati ed aree turistiche, stanno minando la sostenibilità di aziende zootecniche che operano in ambiente montano”.

 

la prima macchina che traduce i pensieri in parole

Costruito il primo sistema capace di tradurre i pensieri in parole: ‘leggendo nel pensiero’ di una persona, può ricostruirne le parole con una chiarezza mai avuta prima. E’ un passo verso nuovi sintetizzatori linguistici basati sull’intelligenza artificiale e computer capaci di dialogare direttamente con il cervello umano, aiutando a esprimersi persone che non possono più parlare a causa di malattie. Il risultato, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, si deve alla Columbia University.

Quando una persona parla, o immagina di farlo, appaiono nel cervello le spie di questa attività, segnali riconoscibili presenti anche quando si ascolta parlare qualcuno. Per decodificarli, i ricercatori guidati da Nima Mesgarani hanno sviluppato un vocoder, cioè un algoritmo capace di sintetizzare i discorsi, dopo aver imparato a registrare una persona mentre parla.

Il popolarismo cent’anni dopo l’appello

Il Movimento “Democratici e Popolari per l’Abruzzo”, e l’istituto di cultura politica Spataro, organizzano oggi alle ore 18 presso L’Aurum (pineta di Pescara) , l’incontro “Il popolarismo cent’anni dopo l’appello”.

Questa convention vuole sollecitare l’impegno di donne e uomini di buona volontà per valorizzare energie giovani ed esperienze collaudate. Questo per fornire risposte adeguate al governo delle istituzioni, soprattutto a livello locale.

Il movimento guarda, infatti,  con preoccupazione alla condizione di isolamento dei Municipi, in cui Sindaci ed amministratori sono lasciati alla mercè delle emergenze frutto di errori di programmazione, di sovrapposizioni e di mancanza di risorse. Il territorio necessita di una rilettura delle modalità di governo e il movimento ha posto grande attenzione alle elezioni del 10 febbraio della Regione Abruzzo, aprendo una fase di riflessione progettuale per fornire sollecitazioni, idee ed esperienze e partecipando attivamente alle elezioni stesse con la lista “Centristi x l’Europa– Solidali e Popolari con Legnini”.

Il movimento, inoltre, pone al centro della propria riflessione ideale il documento “Se ne parli”, frutto di un intenso lavoro di confronto sollecitato in quasi due anni dal “Laboratorio Spataro – scuola di formazione per il popolarismo nel Paese e nelle istituzioni” e che fa riferimento ai principi e alle idee di fondo che hanno caratterizzato l’esperienza del cattolicesimo democratico e popolare.

Aumenta il degrado urbano nel Municipio V: i silenzi della Giunta Boccuzzi

Cosa debbono fare i cittadini per vedere risolti alcuni gravi problemi di degrado urbano nel quartiere di Nuova Gordiani/ Prenestino, nel Municipo V? Non ci sono risposte risolutive, perché a distanza di tanti  mesi, dopo diverse segnalazioni, denunce, proteste e articoli di stampa, sono veramente numerosi i marciapiedi dissestati e in stato di abbandono, per mancanza di manutenzione o di possibile rifacimento. Tale situazione crea, in continuazione non pochi e gravi disagi, a persone anziane, handicappati accompagnati in carrozzella e bambini, con cadute, inciampi che spesso richiedono l’assistenza di un medico, per evitare il Pronto Soccorso. Due vie, fra le tante, a rischio: via Fontanarosa e via Frigento, in particolare lato numeri pari. Risposta del Municipio: “non ci sono i fondi stanziati per i lavori di manutenzione stradale”.   

Altra difficile criticità è quella della tanto decantata cura del verde, con le mancate potature degli alberi di strada e delle nuove piantumazioni di alberi, in sostituzione di quelli tagliati nell’ultimo biennio. Anche se molti alberi, ormai considerati storici, come quelli di viale Partenope e di via Genazzano sono stati eliminati creando molti dubbi nei cittadini sullo “stato di salute” delle piante rimosse. Risposta del Municipio: “non c’è stata alcuna gara pubblica utile per garantire la manutenzione del verde” nel territorio.

Quando Il Presidente Boccuzzi e la Giunta del Municipio V, prenderanno coscienza e conoscenza dei ritardi amministrativi, gestionali e politici per combattere e affrontare il crescente degrado urbano? Sembra che si viva alla giornata, con molta approssimazione e improvvisazione, senza un minimo di visione di futuro del territorio. In questa fase di difficoltà finanziarie è giusto richiamare anche la lotta agli sprechi. A che serve tenere accesa la luce stradale tutto il giorno da circa un mese, in tante vie come Fontanarosa, Frigento, Marcianise, Roccaromana, Cairano, largo / viale Irpinia, e viale Partenope ( lato numeri pari)?

Anche questo è degrado urbano!

Dopo un anno dal conseguimento del titolo di scuola superiore risulta occupato il 35,5% dei diplomati

Ad un anno dal conseguimento del titolo di scuola superiore risulta occupato il 35,5% dei diplomati del 2017. Lo rivela il Rapporto 2019 sulla Condizione occupazionale e formativa dei diplomati di scuola secondaria di secondo grado, che sottolinea inoltre come a tre anni dal titolo è occupato invece il 45% dei diplomati: il 24,6% è dedito esclusivamente al lavoro, mentre il 20,4% è impegnato sia nello studio sia nel lavoro.

Tra gli occupati a un anno dal diploma, il 19,8% ha preferito inserirsi direttamente nel mercato del lavoro mentre il 15,7% ha scelto di frequentare l’università lavorando.

Più elevata la percentuale di occupati tra i diplomati professionali (52,0%) e tecnici (43,8%), mentre tocca il minimo tra i liceali (26,8%).

Tra i diplomati del 2015, la quota di occupati risulta più elevata della media per i diplomati professionali (67%) e tecnici (57,4%), mentre tocca il minimo tra i liceali (34,6%). I diplomati che lavorano a tempo pieno (senza essere contemporaneamente impegnati nello studio universitario) guadagnano in media, a un anno dal diploma, 1.114 euro mensili netti. A tre anni dal conseguimento del titolo la retribuzione mensile netta dei diplomati è pari in media a 1.216 euro.

41 milioni di bambini da aiutare

L’UNICEF ha lanciato il suo nuovo Rapporto sull’intervento umanitario(“Humanitarian Action for Children”) che contiene gli impegni volti a fornire nell’arco del 2019 a 41 milioni di bambini in 59 paesi del mondo l’accesso ad acqua, nutrizione, istruzione, salute e protezione.
L’appello rivolto alla comunità internazionale ammonta complessivamente a 3,9 miliardi di dollari.
Sono 34 milioni i bambini che vivono in situazioni di guerra o disastri naturali e che hanno urgente necessità di misure di protezione. Fra loro,  6,6 milioni vivono nello Yemen, 5,5 milioni inSiria e 4 milioni nella Repubblica Democratica del Congo.

I bambini che sono continuamente esposti a violenze o conflitti rischiano di vivere un vero e proprio stato di stress tossico – una condizione che, senza il giusto sostegno, può incidere negativamente e in modo permanente sul loro sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo.

Molti bambini vittime di guerre, sfollamento e altri eventi traumatizzanti (inclusa la violenza sessuale) richiedono assistenza specializzata per essere aiutati ad affrontare e superare questi traumi.

Gli interventi dedicati alla protezione dell’infanzia – tutte le azioni finalizzate a prevenire o a rispondere ad abusi, abbandono, sfruttamento, traumi e altre forme di violenza – ammontano, all’interno dell’appello generale, a 385 milioni di dollari (fra cui 121 milioni riservati ai servizi di tutela per i bambini colpiti dalla crisi siriana.

«Oggi milioni di bambini che vivono in situazioni di conflitto o disastri subiscono terribili livelli di violenza, stress e trauma» commenta Henrietta Fore, Direttore dell’UNICEF. «L’impatto che hanno i nostri servizi di protezione dell’infanzia non sarà mai abbastanza enfatizzato. 

Se i bambini non hanno luoghi sicuri in cui giocare, se non possono essere riuniti alle loro famiglie, se non ricevono supporto psico-sociale, non possono guarire dalle cicatrici invisibili causate dalla guerra.»

Purtroppo, la carenza di finanziamenti da parte della comunità internazionale, il crescente spregio del diritto internazionale umanitario da parte dei protagonisti dei conflitti e il diffuso diniego dell’accesso umanitario limitano gravemente le possibilità di intervenire a protezione dell’infanzia, per l’UNICEF come per le altre organizzazioni umanitarie..

Nella Repubblica Democratica del Congo, ad esempio, l’UNICEF ha ricevuto solo un terzo dei 21 milioni di dollari previsti dall’appello umanitario del 2018, mentre in Siria è mancato circa un quinto dei fondi.

«Fornire a questi bambini il sostegno di cui hanno bisogno è fondamentale, ma senza azioni internazionali coerenti e condivise, molti continueranno a esserne esclusi» ribadisce Manuel Fontaine, Direttore dei programmi di emergenza dell’UNICEF. «La comunità internazionale deve impegnarsi a finanziare la protezione dei bambini nelle emergenze.»

Nel 2018 sei persone al giorno sono morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo

I rifugiati e i migranti che hanno tentato di raggiungere l’Europa attraverso il Mar Mediterraneo nel 2018 hanno perso la vita a un ritmo allarmante, mentre i tagli alle operazioni di ricerca e soccorso hanno consolidato la posizione di questa rotta marittima come la più letale al mondo. Secondo l’ultimo rapporto ‘Viaggi Disperati’, pubblicato  dall’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, in media sei persone hanno perso la vita nel Mediterraneo ogni giorno.

Si stima che 2.275 persone sarebbero morte o disperse durante la traversata del Mediterraneo nel 2018, nonostante un calo considerevole del numero di quanti hanno raggiunto le coste europee. In totale, sono arrivati 139.300 rifugiati e migranti in Europa, il numero più basso degli ultimi cinque anni.

“Salvare vite in mare non costituisce una scelta, né rappresenta una questione politica, ma un imperativo primordiale”, ha dichiarato Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. “Possiamo porre fine a queste tragedie solo trovando il coraggio e la capacità di vedere aldilà della prossima imbarcazione, e adottando un approccio a lungo termine basato sulla cooperazione regionale, che dia priorità alla vita e alla dignità di ogni essere umano”.

Il rapporto descrive come un cambio delle politiche adottate da alcuni Stati europei abbia portato al verificarsi di numerosi incidenti in cui un numero elevato di persone è rimasto in mare alla deriva per giorni, in attesa dell’autorizzazione a sbarcare. La navi delle ONG e i membri degli equipaggi hanno subìto crescenti restrizioni alle possibilità di effettuare operazioni di ricerca e soccorso. Lungo le rotte dalla Libia all’Europa, una persona ogni 14 arrivate in Europa ha perso la vita in mare, un’impennata vertiginosa rispetto ai livelli del 2017. Altre migliaia di persone sono state ricondotte in Libia, dove hanno dovuto affrontare condizioni terribili nei centri di detenzione.

Per molti, approdare in Europa ha rappresentato la fase finale di un viaggio da incubo durante il quale sono stati esposti a torture, stupri e aggressioni sessuali, e alla minaccia di essere rapiti e sequestrati a scopo d’estorsione. Gli Stati devono agire con urgenza per scardinare le reti dei trafficanti di esseri umani e consegnare alla giustizia i responsabili di tali crimini.

Tuttavia, nuovi semi di speranza sono germogliati in alcuni contesti. Nonostante lo stallo politico rispetto all’avanzamento di un approccio regionale ai soccorsi in mare e alle operazioni di sbarco, come auspicato dall’UNHCR e dall’OIM nel giugno scorso, diversi Stati hanno assunto l’impegno di ricollocare le persone soccorse nel Mediterraneo centrale, una potenziale base per una soluzione prevedibile e duratura. Gli Stati hanno, inoltre, promesso migliaia di posti destinati al reinsediamento per permettere l’evacuazione dei rifugiati dalla Libia.

Il rapporto rivela, inoltre, i cambiamenti significativi nelle rotte seguite dai rifugiati e dai migranti. Per la prima volta in anni recenti, la Spagna è divenuta il principale punto d’ingresso in Europa con circa 8.000 persone arrivate via terra (attraverso le enclavi di Ceuta e Melilla) e altre 54.800 arrivate in seguito alla pericolosa traversata del Mediterraneo occidentale. Ne è conseguito che il bilancio delle vittime nel Mediterraneo occidentale è quasi quadruplicato, da 202 decessi nel 2017 a 777 lo scorso anno. Circa 23.400 rifugiati e migranti sono arrivati in Italia nel 2018, un numero cinque volte inferiore rispetto all’anno precedente. La Grecia ha, invece, accolto un numero simile di arrivi via mare, circa 32.500 persone rispetto alle 30.000 del 2017, ma ha registrato un numero quasi tre volte superiore di persone giunte attraverso il confine terrestre con la Turchia.

Altrove in Europa, si sono registrati circa 24.000 rifugiati e migranti arrivati in Bosnia-Erzegovina, in transito attraverso i Balcani occidentali. A Cipro sono arrivate diverse imbarcazioni di siriani salpate dal Libano, mentre un numero limitato di persone ha tentato di raggiungere il Regno Unito via mare dalla Francia verso la fine dell’anno.

Comuni sempre più amici della bicicletta

Il terzo rapporto Focus2R, promosso da Confindustria Ancma e Legambiente in collaborazione con Ambiente Italia, segnala un aumento del 9% delle piste ciclabili dal 2015, una crescita del 6,1% dei Comuni con bike-sharing. Buone notizie, tuttavia, l’80% non ha preso iniziative per garantire la sicurezza di scooter e moto e solo poche città offrono incentivi per l’acquisto di bici tradizionali (9%) o a pedalata assistita (14%).

“Serve un piano d’investimenti straordinari, politici ed economici, per la sicurezza stradale – ha sottolineato Alberto Fiorillo, responsabile aree urbane di Legambiente – Pedoni e utenti delle due ruote sono spesso esposti a rischi elevatissimi che, soprattutto nelle aree urbane, possono essere ridotti al minimo seguendo quanto già stanno facendo altre città europee”. Ai problemi di traffico, difficoltà di parcheggio e inquinamento le due ruote, ha aggiunto Andrea Dell’Orto, presidente di Ancma, “appaiono oggi come una risposta naturale ai nuovi bisogni”.

Sui 104 Comuni ai quali è stato inviato il questionario alla base del rapporto, 83 hanno risposto. Fra gli aspetti positivi si segnala la crescita del bike-sharing. In media sono disponibili 156 bici per Comune, distribuite in 16 stazioni con 2039 abbonati. Fa eccezione Milano dove sono presenti 16.600 biciclette e 257.000 abbonati. Milano, insieme a Roma e Brescia, è l’unica città ad aver attivato anche un servizio di moto o scooter sharing. A livello di mercato, cala leggermente la vendita delle biciclette tradizionali (1.540.000 nel 2017. 16mila meno dell’anno precedente), ma crescono le elettriche 148mila, cioè il 19% in più del 2016. E fra i mezzi a motore (moto, scooter, ciclomotori 50cc) nel 2018 si sono avute 240.388 immatricolazioni (+5,3% rispetto al 2017). Le moto registrano un +12,7%, mentre gli scooter +3,7% e diminuiscono i ciclomotori 50 cc (-12,3%) In particolare, l’anno scorso sono cresciute in modo deciso le vendite di veicoli elettrici, in particolare i ciclomotori che passano da 1.144 a 2.928 (+156% rispetto al 2017), mentre i motocicli venduti salgono da 504 a 648 (+29%).).

Nel 2018 undici nuovi cuccioli di orso nel Parco d’Abruzzo

Il WWF Italia accoglie con soddisfazione e speranza i risultati del monitoraggio delle femmine con cuccioli, che ogni anno il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (Pnalm) svolge sulla popolazione di Orso bruno marsicano.

Come riportato dal Parco “Sono almeno 4 le femmine che si sono riprodotte nel 2018 e 11 i cuccioli contati in totale”. Un dato importantissimo e che fa ben sperare, soprattutto se si considera che nell’anno appena passato è stata registrata la riproduzione di una femmina e la nascita di 3 cuccioli anche al di fuori dell’areale centrale della specie, tra il parco Nazionale della Majella e la Riserva del Monte Genzana.

Queste notizie confermano un buon tasso riproduttivo della popolazione appenninica (per il terzo anno consecutivo sono nati più di 10 cuccioli di orso) e sottolineano ancor più come il reale problema per l’orso non sia la disponibilità di risorse per il suo nutrimento e la produttività, ma l’elevatissima mortalità di origine antropica: tra il 2007 e il 2018 sono morte 15 femmine, di cui 10 in età riproduttiva. Questo pericoloso trend è confermato anche dal drammatico evento del novembre scorso in cui, a Villavallelonga (AQ), una delle femmine e i suoi due cuccioli sono morti affogati in una vasca per la raccolta dell’acqua piovana di alta quota, mai messa in sicurezza nemmeno dopo la morte di altri due orsi nel 2010, sempre nello stesso luogo. Incuria e immobilismo degli enti preposti sono inaccettabili quando è in gioco la sopravvivenza di una popolazione di orso ormai ad un passo dall’estinzione (si stima la presenza di circa 50 orsi nell’areale appenninico).

Per la salvezza della esigua popolazione di orsi sull’Appennino, secondo il WWF è doveroso lavorare sodo per la riduzione delle cause di mortalità quali bracconaggio, investimenti e morti accidentali e per aumentare la connettività tra le aree naturali protette potenzialmente idonee alla presenza di questa specie, in modo da permettere la crescita numerica della popolazione e la sua espansione in altre aree appenniniche.

A tal proposito, sono fondamentali anche azioni come quella svolta dalla Regione Molise e dai Carabinieri forestali di Isernia a dicembre scorso, quando su sollecitazione del WWF è stata messa in sicurezza una vasca antincendio situata nella Foresta Demaniale “Monte Capraro” in agro del Comune di San Pietro Avellana (IS).
La lotta al bracconaggio, la mitigazione dell’impatto delle attività umane e la messa in sicurezza di elementi a rischio per l’incolumità degli orsi sono passi fondamentali per garantire un futuro alla popolazione di orso più rara del pianeta.

Dalle uova nuovi farmaci

Le future fabbriche dei farmaci potrebbero essere le galline. Lo suggerisce uno studio pubblicato da Bmc Biotechnology in cui alcuni esemplari sono stati modificati geneticamente per produrre uova che contenevano proteine umane con potenzialità terapeutiche.

I ricercatori del Roslin Institue di Edimburgo, quello divenuto famoso per la pecora Dolly, hanno modificato geneticamente alcune galline per produrre due proteine, la IFNalpha2a e il macrofago-CSF, del sistema immunitario umano, la prima con attività antivirali e antitumorali e la seconda essenziale per stimolare i tessuti ad autoripararsi.

Con un semplice processo di purificazione sono bastate appena tre uova, scrivono, sono state sufficienti per produrre delle dosi clinicamente rilevanti dei principi attivi. Per il momento le proteine così ottenute sono state usate solo per test di laboratorio. “Ma questo studio – affermano gli autori – mostra che le galline sono una alternativa possibile per produrre proteine utilizzabili come farmaci e per altre applicazioni in biotecnologia”

Essere popolari per cambiare davvero

In questi mesi il dibattito circa l’impegno sociale, culturale e politico dei liberi e forti, di “oggi”, si arricchisce di tantissimi contributi positivi e propositivi. Lasciando da parte, per fortuna, i pochi “titoloni” di alcuni giornali che richiamavano al partito dei vescovi, della cei e dei soli cattolici, ho letto moltissimi spunti interessanti circa la voglia di partecipazione attiva e di un impegno laico di ispirazione cristiana.

Cambiare le sorti del nostro Paese in senso popolare significa non essere populisti, nella fattispecie del nostro tempo significa creare una rete di donne e uomini liberi e forti capaci di dire la verità senza per forza e a tutti i costi dare la “carezza quotidiana” ai cittadini spettatori.

Per noi popolari il popolo non è un’entità avulsa dalle scelte politiche o dall’amministrazione della “cosa pubblica”, per noi la persona-cittadino non è uno spettatore pagante a cui dire solo quello che vuol sentirsi dire altrimenti cambia canale oppure non clicca il like. Rendere la partecipazione attiva più ampia e aperta possibile, è la sfida del nostro tempo, la sfida dei liberi e forti nel tempo del web. Utilizzare il web come mezzo, come strumento di partecipazione attiva e non come il fine per una popolarità da star.

Cambiare davvero significherà avere il coraggio di fare scelte che hanno come fine il bene comune e non l’andamento dei sondaggi o il numero dei like ricevuti.

#ReteBianca #LiberieForti

 

Istat: a dicembre i prezzi della produzione dell’industria ancora in calo

A dicembre 2018 si stima una contenuta flessione congiunturale (-0,5%) dell’indice dei prezzi alla produzione dell’industria cui si associa una sostenuta crescita (+4,1%) su base annua.

Sul mercato interno i prezzi alla produzione dell’industria diminuiscono dello 0,6% su novembre e aumentano del 5,2% su base annua. Al netto del comparto energetico la dinamica congiunturale è stazionaria e si stima un incremento tendenziale più contenuto (+0,9%).

Sul mercato estero la dinamica congiunturale è nulla, sintesi di una variazione positiva (+0,1%) per l’area euro e di una variazione negativa (-0,1%) per quella non euro. Su base annua si registra un aumento dell’1,2% (+1,2% per l’area euro, +1,1% per l’area non euro).

Nel quarto trimestre del 2018 si stima un incremento dei prezzi alla produzione nell’industria dell’1,1% sul trimestre precedente; la dinamica congiunturale dei prezzi cresce sul mercato interno (+1,6%) mentre rimane invariata su quello estero.

Per il mercato interno le variazioni tendenziali positive più significative si rilevano per le industrie tessili (+1,7%), per l’industria del legno (+1,6%) e per il settore dei prodotti chimici (+1,4%); l’unica variazione negativa nella manifattura si registra nel settore della fabbricazione dei computer (-0,7%). Sul mercato estero, per l’area euro, le variazioni positive più ampie si registrano nel settore dei prodotti petroliferi raffinati (+16,9%), per l’industria del legno (+3,2%) e per le altre industrie manifatturiere (+3,1%); mentre le variazioni negative maggiori si rilevano nel settore dei mezzi di trasporto (-0,7%), in quello delle apparecchiature elettriche (-0,6%) e nei prodotti farmaceutici (-0,4%). Per l’area non euro le variazioni positive più significative si registrano nei settori dei prodotti chimici (+4,5%), della metallurgia (+4,0%) e dell’industria del legno (+3,2%); in lieve flessione i settori dei prodotti farmaceutici, delle apparecchiature elettriche e dei mezzi di trasporto (-0,8%).

Si stima che l’indice dei prezzi alla produzione delle costruzioni per gli edifici residenziali a dicembre rimanga invariato su novembre 2018 mentre aumenti del 2,1% su base annua.

Pakistan: confermata l’assoluzione per Asia Bibi

La Corte suprema del Pakistan ha rigettato la richiesta di riapertura del processo di Asia Bibi, scagionata lo scorso ottobre dall’accusa di blasfemia, per cui era stata condannata a morte ed aveva passato 9 anni di carcere. Nessun ostacolo formale ora vieta alla donna di lasciare il Paese. Asia Bibi si trova ora in una località segreta del Pakistan sotto stretta protezione insieme al marito Ashiq Masih, mentre le loro figlie hanno ottenuto l’asilo in Canada. L’avvocato della donna, Saif ul Malook, aveva lasciato il Pakistan per motivi di sicurezza ed era rientrato ad Islamabad proprio per l’udienza di revisione.

Il ricorso era stato presentato dal religioso musulmano Qari Salaam, dopo che l’assoluzione aveva scatenato le proteste dei gruppi islamici radicali. Solo un accordo con il governo sulla possibilità di chiedere la riapertura del processo aveva fatto desistere gli islamisiti dalle manifestazioni di protesta durate tre giorni in tutto il Paese.

Intorno alla Corte Suprema del Pakistan sono state schierate numerose forze di polizia e truppe paramilitari per prevenire eventuali manifestazioni di protesta.

Libri: “Ricostruiamo la politica” di p. Occhetta

Si svolgerà lunedì 4 febbraio, alle 19.30 a Roma, nel Centro culturale San Roberto Bellarmino la presentazione del libro “Ricostruiamo la politica. Orientarsi nel tempo dei populismi” di padre Francesco Occhetta, edizioni San Paolo. All’evento, introdotto da don Nicola Filippi, parroco e docente di Teologia dogmatica, interverranno oltre all’autore l’arcivescovo di Bologna, mons. Matteo Zuppi, e il prefetto Sandra Sarti, presidente della Commissione Diritto d’Asilo.

Un volume che, “per servire da bussola, offre criteri e proposte concrete per comprendere le caratteristiche dei populismi europei e rilanciare il dibattito politico nei luoghi vitali della società e delle istituzioni”, si legge in una nota dell’editore. “Il lettore avrà un confronto sui modelli di integrazione, sulla riforma del servizio pubblico e sulle riforme costituzionali bloccate. Ma anche sulla riforma del lavoro, della giustizia, della pubblica amministrazione e altre ancora”. L’attenzione dell’autore è rivolta anche a “un’esperienza di formazione pre-partitica per preparare e selezionare una nuova classe dirigente e connettere le esperienze virtuose presenti nella società italiana”.

Integrazione scolastica degli studenti provenienti da un contesto migratorio

Un recente studio dell’Ocse basato sui dati del programma per la valutazione internazionale degli studenti ha sottolineato come risultati scolastici positivi e integrazione camminino di pari passo. La scorsa settimana la Commissione europea ha pubblicato una relazione corredata da un’accurata mappatura comparativa delle misure e delle strategie nazionali per valutare il diverso grado di integrazione nelle scuole degli studenti provenienti da diversi contesti migratori. Il documento affronta i temi dell’accesso all’istruzione, al sostegno psicosociale, linguistico e all’apprendimento; il ruolo degli insegnanti e dei dirigenti scolastici; la governance.

La panoramica dei molteplici approcci pedagogici ed educativi vuole fornire informazioni a professionisti dell’istruzione e dell’integrazione, a ricercatori e decisori. Nel 2017 gli studenti di origine migratoria presenti negli istituti scolastici italiani sono stati circa 826.000 con un aumento di oltre 11.000 unità rispetto all’anno precedente (+1,38%). La crescita è di entità leggermente superiore per i maschi (+5.994; +1.41%) rispetto alle femmine (+5.246; 1,34%) che nel complesso hanno rappresentato il 48% degli studenti con cittadinanza non italiana. E’ un dato ormai consolidato che gli studenti di origine migratoria sono parte integrante della popolazione scolastica nazionale, rendendo di fatto la nostra scuola sempre più multietnica e multiculturale.

La presenza di ragazzi con cittadinanza non italiana, riscontrabile in misura contenuta negli anni ’80, ha registrato un consistente incremento nei successivi anni ’90 con l’afflusso di oltre 100.000 studenti. E’ tuttavia nel primo decennio di questo secolo e fino all’anno scolastico 2012/2013 che i numeri sono diventati rilevanti con l’ingresso di quasi 670.000 studenti con cittadinanza non italiana nell’arco temporale che va dal 2000/2001 al 2012/2013. Gli anni più recenti si caratterizzano, tuttavia, per un deciso rallentamento della crescita con un aumento di sole 39.000 unità dal 2013/2014 al 2016/2017. La costante flessione degli studenti con cittadinanza italiana, diminuiti nell’ultimo quinquennio di quasi 241.000, fa sì comunque che continui ad aumentare l’incidenza degli studenti di origine migratoria sul totale, passata da 9,2% a 9,4%.

Più in generale, l’integrazione degli studenti provenienti da contesti migratori riguarda tutta l’Unione e ha come denominatore comune il rendimento scolastico di questi giovani che risulta tendenzialmente peggiore di quello dei loro compagni nati nel Paese di accoglienza. Per aiutare gli Stati membri ad agevolare l’integrazione di ragazzi e ragazze provenienti da un contesto migratorio, l’Unione europea sostiene un’ampia gamma di azioni, tra cui: la cooperazione strategica, la correlazione tra i responsabili politici e le parti interessate affinché possano condividere le esperienze coronate da successo e imparare gli uni dagli altri, anche attraverso la rete programmatica indipendente Sirius sull’istruzione dei migranti. L’Unione offre, infine, opportunità di finanziamento tramite il programma Erasmus+.

Codacons: Ci costituiamo come parte offesa nella multopoli romana

Sull’indagine aperta dalla Procura di Roma sul giro di multe illegittimamente annullate, e che vede coinvolto anche Claudio Lotito, incombe la costituzione di parte offesa del Codacons, che interverrà nell’inchiesta in qualità di parte lesa e chiederà al Presidente della Lazio e agli altri responsabili un maxi-risarcimento danni.

“Ci costituiamo parte offesa nell’inchiesta, primo passo per chiedere il risarcimento nel caso si arrivi a processo – spiega il presidente Carlo Rienzi – E’ evidente infatti che, se confermati gli illeciti contestati, ci troveremmo di fronte ad un enorme danno per la collettività: le casse comunali, attraverso l’annullamento irregolare delle multe, sarebbero state private di ingenti risorse economiche con ripercussioni dirette per gli utenti, che proprio a causa delle scarse risorse del Campidoglio ricevono servizi insufficienti e non soddisfacenti”.

“I normali cittadini, quando ricevono una multa stradale, la pagano, mentre i soliti furbetti con le giuste conoscenze riescono a godere di benefici vergognosi sottraendo soldi alla collettività – prosegue Rienzi – Per tale motivo, se accertati gli illeciti per cui la Procura procede, chiameremo Claudio Lotito e gli altri responsabili a rispondere dei danni economici arrecati ai cittadini romani”

I disturbi più cercati online dagli italiani nel 2018

Secondo l’analisi della piattaforma MioDottore sulle ricerche condotte sul proprio sito, però, il gruppo di patologie che più preoccupa gli italiani è relativa all’area dell’ortopedia, alla quale è relativo il 13% delle ricerche. La scoliosi, infatti, si piazza al terzo posto, seguita dall’alluce valgo e quindi, al sesto posto, dall’osteoporosi e, al settimo, dall’ernia del disco. E infine al 14esimo posto la sindrome del tunnel carpale e al 26esimo il mal di schiena.

Le altre due aree della salute su cui si sono concentrati maggiormente i dubbi degli italiani nel 2018 sono state quasi in egual misura (entrambe all’incirca al 4%) la reumatologia – con fibromialgia (5°) e artrosi (10°) – e la sfera delle malattie chirurgiche, con parole chiave quali ernia inguinale, lipoma e setto nasale deviato.

Patologie più cercate nel 2018
1. Menopausa 16. Disturbi del sonno
2. Endometriosi 17. Obesità
3. Scoliosi 18. Glaucoma
4. Alluce valgo 19. Acne
5. Fibromialgia 20. Disfunzione erettile
6. Osteoporosi 21. Emorroidi
7. Ernia del disco 22. Malattia di alzheimer
8. Ernia inguinale 23. Lipoma
9. Alopecia 24. Depressione
10. Artrosi 25. Disturbo bipolare
11. Verruche 26. Mal di schiena
12. Acufene 27. Ipertensione
13. Sindrome dell’ovaio policistico 28. Dermatite atopica
14. Sindrome del tunnel carpale 29. Setto nasale deviato
15. Cistite 30. Vaginismo

Ciriaco De Mita: L’attualità di Luigi Sturzo

Popolo senza populismo

Articolo già apparso sulle pagine di Succede oggi

In questo periodo mi è capitato di discorrere con vari amici e conoscenti cattolici, oggi orfani di un partito che li rappresenti, a proposito del centenario della nascita del Partito Popolare. E, conseguentemente, della opportunità di ricostituire un partito cattolico nel nostro presente, in un contesto sociale e politico profondamente modificato, con la ulteriore secolarizzazione della cultura quotidiana e con un peso ridimensionato della chiesa cattolica. Nel 1919 don Sturzo volle promuovere, dopo anni di divieto da parte della Santa Sede poi cancellato da Benedetto XV (il famoso “non éxpedit”), la partecipazione dei cattolici alla vita politica. E così creò un partito aconfessionale “di cattolici” e non “dei cattolici”, che alle elezioni ebbe subito un buon piazzamento (e che dopo lo scioglimento durante il fascismo, e nell’immediato secondo dopoguerra, si travasò nella neonata Democrazia Cristiana, a orientamento però più decisamente statalista). Dunque nessun integralismo, nessuna pretesa di monopolio. Ciò che si intende rappresentare è un’area cattolico-liberale, che condivide alcuni valori precisi, che vanno dalla solidarietà sociale all’impresa responsabile, dalla libertà religiosa al decentramento, da una scuola non interamente pubblica alla famiglia. Il Manifesto redatto dalla commissione del Partito Popolare si intitolava Appello ai liberi e forti, ispirato appunto da don Sturzo, e si sforzava di riassorbire elementi liberali e perfino socialisti in una dottrina sociale della chiesa che conteneva elementi coraggiosamente innovativi (sulla donna, sul sindacato, etc. ). Ora, se leggiamo con attenzione l’appello scopriamo che è l’esatto contrario del populismo. Si rivolge infatti non al “popolo” dei sondaggi e dei talk televisivi (volubile, emotivo, gregario), ma al “popolo” consapevole, istruito, responsabile che si esprime nei corpi intermedi, nelle comunità territoriali e in quell’associazionismo che era per Tocqueville l’anima della democrazia. Se vogliamo, il suo è un “popolo” ideale, che probabilmente in Italia non è mai esistito compiutamente, ma che può valere come un mito civile capace di ispirare il nostro agire politico.

Per una lettura corretta di questi eventi, e per ricostruire un importante capitolo della storia delle idee e della politica nel nostro paese, suggerisco la lettura di libro scritto a quattro mani: Elogio dei liberi e forti, di Lucio D’Ubaldo e Giuseppe Fioroni, Giapeto Editore.

Si parte dalla preistoria del Partito Popolare. Nella prima parte Lucio D’Ubaldo si impegna a ricostruire una sorta di genealogia della Democrazia Cristiana, a partire dalla prima cellula ottocentesca, quel Tocqueville – prima citato – che auspica l’incontro tra cristianesimo e democrazia liberale, mentre nello stesso periodo De Maistre rappresentò la versione reazionaria del cristianesimo. Di lì attraverso la Rerum Novarum di Leone XIII, i romanzi di Fogazzaro, il modernismo, l’esperienza politica di Murri (un partito autonomo dei cattolici, l’Opera dei Congressi, più vicina ai socialisti che ai liberali, nata nel 1974 e sciolta dalla chiesa nel 1904 perché avrebbe potuto mettere in discussione le basi dogmatiche della fede), don Sturzo (fonda, come abbiamo visto, nel 1919 il Partito Polare, ma nel 1923 il papa lo obbliga alle dimissioni da segretario), e fino a Moro, si delinea un filone cattolico capace di elaborare un pensiero sociale e di indicare i valori del solidarismo, della collaborazione tra le classi, di un capitalismo corretto dallo stato in quanto di per sé amorale. In particolare, la svolta vera avvenne con Murri che assume il Risorgimento come principio sano, nonostante Porta Pia. Secondo lui, il Risorgimento avrebbe tradito le proprie premesse, e cioè l’ansia religiosa e l’aspirazione etica contenute nella predicazione mazziniana, poiché prevalse l’arido realismo di Cavour. I cattolici dovevano dunque, per parafrasare un celebre ragionamento marxista, raccogliere le bandiere del liberalismo cadute nel fango, e dunque badare alla educazione morale e politica degli italiani.

Poi Murri, secondo D’Ubaldo, fallirà nel suo proposito di creare il partito dei cattolici e di riformare la vita politica degli italiani, perché aveva una mentalità “impolitica”. Il Partito Popolare, nel 1919, intende presentarsi nella politica con «la nostra bandiera morale e sociale, ispirandoci ai saldi principi del Cristianesimo». Sturzo, benché più pragmatico di Murri, insiste sulla concezione “spiritualista” che caratterizza il partito dei cattolici, sullo spirito religioso che torni ad animare le coscienze, soprattutto dopo la catastrofe della Grande Guerra. E alla sua prima elezione il Partito Popolare grazie alla sua coerenza elesse un centinaio di deputati e negli anni fino allo scioglimento da parte di Mussolini (1926) ottenne vari risultati (riforma proporzionale, esame di stato, legislazione sul lavoro, patti agrari), in nome di un “riformismo messianico” che si riverbera nell’Appello del 1919, e insistendo sulla “diversità” dei cattolici in politica (che, almeno sulla carta, dovrebbero avere un di più di integrità e idealità, «di fronte al bizantinismo degli altri partiti», secondo le parole di Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI).

Nella seconda parte del libro Giuseppe Fioroni precisa il senso della moralità cristiana, aperta all’idealità ma impastata di realismo, dunque: capacità di ascolto, ricerca di un consenso vasto, sforzo a comporre equilibri. E soprattutto esorta tutti quanti, non solo i cattolici, a riflettere sul popolarismo sturziano, rilanciando la solidarietà tra le forze politiche responsabili, ricostruendo un sistema di alleanze, non rinunciando al Welfare europeo («orgoglio di questa parte del mondo»). E riprende un discorso di Moro che invita ad andare oltre il dissenso, nel nome di Sturzo e della sua ispirazione riformatrice, sempre rivolta al bene comune e alla equità sociale. Ad una «politica più umana».

A queste importanti riflessioni vorrei solo rivolgere alcuni interrogativi, che spero non siano del tutto oziosi.

1) Murri voleva nientemeno che evangelizzare la democrazia. Introdurre cioè in quella che è una tecnica di governo (tale secondo l’idea procedurale di Norberto Bobbio) un elemento etico, un richiamo alla fraternità (il principio – di origine evangelica – più disatteso della Rivoluzione Francese). La definizione procedurale è insomma una definizione minima, necessaria ma non sufficiente. Quelle regole possono infatti convivere con forti disuguaglianze e con la creazione di poteri invisibili, di tipo oligarchico. Poi, la democrazia dovrà infatti impegnarsi a realizzare una uguaglianza non solo formale ma sostanziale (l’articolo 3 della Costituzione), dato che la sua anima è l’egualitarismo. Ora, una democrazia funziona non solo e non tanto se esistono certe regole, quanto se esiste un tipo umano capace di rispettarle, dunque proprio i “liberi e forti” qui evocati. Il popolo è bue, e omologato, quando partecipa alla “piazza” (fisica o mediatica), non quando è un popolo istruito e riflessivo. Dove e come si forma questo popolo? Probabilmente dentro le esperienze di base, le buone pratiche, i contropoteri, la cooperazione spontanea, le azioni micro sociali. Lo stesso Giuseppe De Rita parlava recentemente di un recupero della tradizione che nascesse dal basso.

2) Si parla appunto di evangelizzare la democrazia, di cristianizzare la società (un “vasto compito” e un’aspirazione che risale a Manzoni). Mi chiedo però: in un mondo sempre più multiculturale, pluralistico, frammentato, in cui ho più amici buddhisti che amici cattolici, in cui i nostri figli possono tifare Barcellona o Chelsea e hanno compagni di banco islamici e cinesi che parlano romanesco, nel quale si moltiplicano innumerevoli forme di spiritualità (ricordo l’acronimo in espansione: SBNR, Spiritual But Not Religious), ha senso questo insistere unilaterale sul Vangelo – che pure è la radice, accanto al mondo classico, dell’Europa – come unica fonte di idealità e ispirazione civilizzatrice?

3) Apparentemente ragionevole l’accento dei popolari sulla “collaborazione” tra le classi, ma di questa collaborazione si sono approfittati troppo spesso quelli che stanno in alto. Da una parte, oggi è ineludibile una opzione netta per la non-violenza, intesa non solo come tecnica di lotta politica ma come forma di esistenza (secondo uno studio recente la non-violenza nel corso del ‘900 ha ottenuto più risultati pratici della violenza). Dall’altra però soltanto se riprendiamo un elemento di conflittualità sociale (caro a Gobetti e alla tradizione liberale, che diffida di ogni visione organicistica), ovviamente entro i rigorosi confini della legalità, possiamo concretamente redistribuire reddito e potere, e così ridurre disparità e disuguaglianze. La libertà politica non garantisce la giustizia sociale ma rende possibile (e necessario) battersi per essa.

4) L’obiezione più forte all’Appello dei Popolari di don Sturzo: sembra proprio che gli esseri umani non abbiano alcuna intenzione di diventare “liberi e forti”. Da Dostoevskij (il Grande Inquisitore) fino al saggio di Carlo Levi Paura della libertà (1939) si ha l’impressione di una umanità perlopiù spaventata dalla libertà, e che preferisce invece sottoporsi ovunque a un potere che, almeno apparentemente, la protegga (e, aggiungo, che sappia intrattenerla). Negli Stati Uniti la cultura di massa ha prevalso sull’associazionismo, Hollywood ha vinto su Jefferson e Franklin. Il consumatore fa aggio sul cittadino. E se la democrazia – proprio come il Discorso della Montagna – richiedesse un tipo umano troppo elevato? D’accordo, si tratta di idea regolativa e mito civile (“performativo”), come all’inizio accennavo, ma bisogna saperlo.

Torno alla prima domanda: vogliamo per caso costringere gli individui a essere “liberi e forti”anche se non lo vogliono? Il progetto di “evangelizzare la società” potrebbe avere una segreta coloritura giacobina, ovvero la intenzione di istruire la massa dall’alto, ad opera di un’avanguardia che si ritenga illuminata (e proprio nel momento storico in cui tutti rifiutano qualsiasi figura di mediatore!). Se i cattolici debbano dar vita a un nuovo partito non è argomento che mi appassioni più di tanto, o sul quale io abbia particolare competenza. Mi limito ad osservare che, indipendentemente dalla risposta, oggi occorre un’azione capillare da parte dei cattolici, e di quanti condividano un orizzonte umanistico di valori, in uno sforzo che è insieme di educazione e autoeducazione, finalizzato – direbbe John Stuart Mill (autentico liberale e amico di Tocqueville) – alla democrazia come capacità di autogoverno con la parola. Il punto è diffondere di nuovo il gusto di essere “liberi e forti” nella vita civile, sapendo altresì che nella nostra esistenza privata siamo invece tutti deboli e con una libertà “condizionata” – fortunatamente – da innumerevoli dipendenze affettive.

Prodi “benedice” l’alleanza con i grillini?

Dunque, la sinistra e’ tornata. O meglio, e’ in corso tra mille difficoltà il tentativo di far ritornare i Ds. Dopo l’ubriacatura renziana e il fisiologico e scontato tradimento degli ultrà, appena la parabola si è esaurita per le ripetute e insistenti sconfitte elettorali – la lista è troppo lunga per cercare di farne un elenco, ricordiamo solo l’ineffabile Fassino per tutti – adesso e’ in pieno svolgimento il “contrordine compagni”. Ovvero, si deve – come ripetono ossessivamente e stancamente sia Zingaretti che Martina – “riscoprire, rifondare e rilanciare il pensiero e la cultura della sinistra italiana”. Tradotto per i non chierici, va ricostruito il Pds. E sin qui non c’è alcuna novità. Anzi, ci permettiamo di dire che il disegno è quantomai atteso ed anche utile. Soprattutto nel momento in cui è stato definitivamente archiviato il progetto politico originario del Pd. Che era quello di essere un partito plurale, di governo, riformista e post ideologico.

E accanto al Pds, che dopo le primarie del 3 marzo diventera’ un fatto quasi scontato, sono tornati anche i riti – o i tic storici – della sinistra italiana. A cominciare dai celebri “appelli” dei milionari dello spettacolo, della cultura, dell’editoria, dell’industria che si spacciano per progressisti e offrono ricette progressiste di fronte ai drammi e alle emergenze della società italiana. Esponenti, di norma, elitari, aristocratici, mondani, salottieri e con grandi disponibilità finanziarie che ogniqualvolta sostengono posizioni progressiste o di sinistra, finiscono per fare puntualmente la fortuna di chi vogliono distruggere e criticare. Tutto, comunque sia, secondo copione.

E accanto agli appelli dei milionari dell’altissima borghesia, progressista e di sinistra, torna la centralità dei diritti civili a scapito dei diritti sociali. E, com’è altrettanto scontato, lo sberleffo verso tutte queste esigenze e richieste che partono dai bisogni reali dei ceti popolari: dalla sicurezza al reddito di cittadinanza, dal “sentiment” delle periferie alla povertà vera dei ceti più disagiati alle condizioni di autentica sofferenza degli ultimi. Ma, come si sa, la sinistra salottiera ed aristocratica, nonché milionaria, preferisce denunciare e battersi contro l’imminente ritorno del fascismo di turno inneggiando alla “resistenza” al posto di elaborare proposte e studiare strategie capaci di aggredire i reali bisogni di chi e’ maggiormente in difficoltà.

In questo quadro, peraltro non nuovo per la sinistra salottiera ed elitaria degli ultimi anni, potevano mancare i cattolici? Come ovvio no. In attesa dei sedicenti cattolici alla Del Rio, abbiamo l’impressione che il nuovo corso del Pd – che culminerà, quasi certamente, con la leadership di Zingaretti – farà di tutto per abbattere il governo giallo verde prima per poi lanciare la grande campagna dell’alleanza con i grillini. Un capovolgimento di prospettiva, l’ennesimo e per giunta trasformistica, ma che si appresta a caratterizzare l’orizzonte politico del futuro Pd/Pds. Ecco perché non stupisce l’ennesimo protagonismo di Romano Prodi – che, occorre pur dirlo, in questi ultimi anni non ne ha più azzeccata alcuna – sul fronte della “benedizione” a Zingaretti prima e della potenziale alleanza con i grillini, o chi resterà dei grillini, poi. E l’incontro con il Presidente della regione Lazio a casa sua a Bologna e la riflessione simpaticamente grillina sul Messaggero di domenica, non sono altro che l’incubazione di un disegno che progressivamente, seppur con prudenza, prende forma.

Insomma, l’ennesima versione della discesa in campo di una sinistra “catto comunista”, nobile nei principi, elitaria nei rapporti e saldamente espressione dei bisogni del “sistema”, rischia di favorire proprio quelli che si vogliono combattere. Dal sovranismo in poi. E noi, molto semplicemente, facciamo una sola e banale domanda: ma abbiamo veramente bisogno di una sinistra così dopo la dura ed implacabile lezione del 4 marzo?

Orrori quotidiani

Dacci oggi il nostro orrore quotidiano. E’ questa frase esteticamente blasfema che riecheggia alle nostre orecchie quando, senza volerlo, veniamo a contatto con notizie che riguardano la quotidianità del nostro mondo. Una quotidianità malsana, orrorifica, ributtante, in cui le madri diventano assassine, i padri dei killer, gli educatori dei molestatori, ed in cui tutti coloro che sono attorno si comportano come assenti: dei veri e propri zombi. Fantasmi, vampiri, orchi e licantropi sono gli archetipi del nostro mondo. Tuttavia, essi non sono soltanto personaggi frutto della mente di qualche scrittore ottocentesco.

Essi sono i simboli della realtà, in un mondo in cui c’è il bene e c’è il male, in cui non possiamo crescere nella convinzione, anzi, nell’illusione, di trovarci in un’isola felice. Il male trova sempre una strada ma, come esso, anche il bene. Siamo ancora immersi nella “Giornata della memoria” in cui ripensiamo all’immane tragedia dell’Olocausto ed a tutte le sofferenze che gli Ebrei e altre minoranze subirono a causa del regime nazista. Spesso e volentieri non permettiamo ai più giovani di entrare a contatto con la letteratura o il cinema horror. Eppure autori di libri quali Bram Stoker e Mary Shelley, o registi come Dario Argento e Ruggero Deodato, hanno riportato all’attenzione delle masse quella che potremmo definire come “estetica d’orrore”, una qualità insita nell’arte, anche del genere horror, ma che, a volte, è più utile di altri generi perché sprona emotivamente all’attenzione. Dunque, permette allo spettatore/lettore di prestare attenzione ai significati, se ve ne sono. Pensiamo a come Pasolini nel suo “Salò o le 120 giornate di Sodoma” del 1975 anticipò, senza volerlo, gli orrori di Guantanamo raccontati dal film “Taxi to the Dark Side” di Alex Gibney nel 2007.

Ecco che il genere artistico dell’horror assume un tratto nobilitante, oseremmo dire di denuncia sociale e politica, oltre lo scopo del mero intrattenimento. In questa narrazione, che assume un fine pedagogico, Bram Stoker nel suo “Dracula” descrisse lo sfruttamento dei contadini sfruttati (vampirizzati) dalla nobiltà rurale, mentre Mary Shelley riportò nella modernità l’antico mito prometeico. Un Prometeo un po’ deludente, considerando che il collage anatomico che visse in Frankenstein era una denuncia contro l’onnipotenza di quella scienza che, senza più una morale, a causa del suo superomismo avrebbe prodotto soltanto dei mostri. Pensiamo a quanto furono anticipatori gli autori ottocenteschi del genere horror che videro, nella tecnologia, nella competitività, nel mito della competenza, della perfezione e del progresso, quel pendio scivoloso che avrebbe portato l’uomo a dimenticare la sua umanità e barattarla con la competitività; tali saranno le giustificazioni del nazismo per imporre l’eutanasia dei più deboli.

Un orrore politico, sociale, medico e reale. Per aiutarci a “non dimenticare” un plauso va fatto a tutti coloro che lavorano in tale senso; un plauso va fatto a “Officina d’Arte OutOut” nella persona di Claudio Miani e dei suoi collaboratori che, in Roma, attraverso il marchio editoriale “Asylum Press Editor” in queste settimane assieme a grandi nomi del settore hanno concluso un grande progetto di divulgazione e critica letteraria che si innesta in questo contesto di estetica e di critica sociale. Insomma, ben venga il cinema, la letteratura, anche d’orrore, quando vengono trattati con competenza, poiché anch’essi ci fanno pensare.

E l’uomo che pensa riflette. Non a caso i grandi mistici e santi del nostro tempo, ci vien alla mente Filippo Neri, non avevano paura di incontrare il diavolo. Essi sapevano che quell’incontro sarebbe stato un passaggio nel loro cammino di santità. Quel buio che, illuminato dalla luce, si assottiglia, facendo intravedere la vera essenza della persona. Le persone, noi, siamo come delle finestre. Delle finestre sul mondo. Come tali, abbiamo un vetro che scintilla dinanzi al sole, ma che quando scende l’oscurità rivela la bellezza soltanto quando c’è una luce dietro.

Regionalismo differenziato: parliamone!

Articolo già apparso sulla rivista il Mulino a firma di Gianfranco Viesti

Le richieste di autonomia differenziata delle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna potrebbero presto approdare in Consiglio dei ministri e, successivamente, in Parlamento.

Si tratta di iniziative di grande importanza: per l’ampiezza e il merito delle materie coinvolte, a cominciare da sanità e istruzione; per i principi e i conseguenti meccanismi di finanziamento che essi potrebbero introdurre; per le caratteristiche del processo decisionale e il ruolo assai marginale del Parlamento. Non si tratta di piccole questioni tecniche, che interessano solo i cittadini e le amministrazioni delle regioni coinvolte: si tratta, piuttosto, di grandi questioni politiche, che toccano da vicino tutti gli italiani. Questioni centrali che influenzano il futuro dei grandi servizi pubblici nazionali e le modalità di governo del nostro Paese (su questi aspetti rinvio a un piccolo recente volume, scaricabile gratuitamente dal sito dell’editore).

Ma all’importanza dei temi – e qui mi preme sottolinearlo con chiarezza – non corrisponde un adeguato confronto di idee e valutazioni. La discussione pubblica rimane assai modesta, svogliata, distratta, sommaria. Il tema è stato a lungo ignorato dai grandi mezzi di comunicazione di massa. Negli ultimi giorni sono apparsi alcuni interventi sulla stampa, ma il cosiddetto “regionalismo differenziato” resta oggi totalmente ignorato dall’informazione televisiva, ancora così importante per la gran parte dei cittadini. Si è registrata qualche presa di posizione un po’ sopra le righe, come quella del presidente della regione Lombardia, che ha definito “cialtroni” gli oppositori alle richieste dell’Amministrazione da lui guidata; così come alcuni interventi molto (troppo) generali sui temi dell’autonomia, della responsabilità, dei divari di sviluppo. È riapparso più volte il famoso “costo della siringa” (per la verità senza riferimenti a dati che lo mostrino), simbolo dell’inettitudine delle regioni del Sud: anche se non c’entra nulla con i temi in discussione ed è comunque del tutto irrilevante per l’allocazione del Fondo sanitario nazionale. Ma discussioni di merito se ne sono viste e lette assai poche.

Ciò accade probabilmente anche perché il tema imbarazza, e molto, tutte le rappresentanze politiche. La stessa Lega, certamente compatta nell’obiettivo da raggiungere (“i soldi del Nord”), si interroga sui possibili effetti controproducenti sul piano elettorale di ogni scelta su questi temi: il rinvio della decisione potrebbe mettere a rischio il sostegno del Nord Est, la sua accelerazione i potenziali voti al Sud. I 5 Stelle sono un’incognita, ma al loro interno appaiono prese di posizione molto diverse, anche per la folta rappresentanza meridionale che appare in subbuglio. Forza Italia e il Partito democratico sono silenti e appaiono paralizzati e imbarazzati, come se non avessero nulla da dire: perché anche al loro interno convivono idee diametralmente opposte. Al silenzio della politica fa quindi riscontro una crescente contrapposizione che tende ad assumere una esclusiva chiave territoriale, fra Nord e Sud.

Non è una situazione che fa bene al Paese. È assolutamente indispensabile una grande, alta e approfondita discussione di merito, che coinvolga esperti, intellettuali, rappresentanti politici, centri e associazioni di elaborazione culturale di tutta Italia, anche e soprattutto delle tre regioni più forti, dove le richieste sono nate. Ripartendo ad esempio sul piano dell’analisi scientifica dalle preoccupate e profonde considerazioni su “risultati incerti e rischi sicuri dell’autonomia regionale” espresse dal presidente dell’Associazione “il Mulino” Marco Cammelli; o, sul piano più politico generale dai forti dubbi sollevati dall’ex presidente della regione Emilia-Romagna Vasco Errani sulle pagine napoletane di “Repubblica” del 21 gennaio.

Non sono anni facili e felici per il nostro Paese. Ma una ripresa complessiva può venire solo da un rafforzamento della discussione pubblica: da un confronto aperto e serio sull’interesse nazionale, i diritti di cittadinanza, l’efficienza e l’efficacia dell’azione pubblica. Le proposte di regionalismo differenziato sono un tema, a riguardo, ineludibile.

Entrare, uscire, salire e scendere: transitivi a furor di popolo?

I nostri lettori ci segnalano l’uso transitivo di un quartetto di verbi di movimento, costituito da due coppie di opposti, uscire/entrare e salire/scendere con il significato di ‘far uscire/entrare, portar fuori o dentro’, ‘far salire/scendere, portar su o giù’. A dire il vero i membri della seconda coppia, nel significato di ‘percorrere in salita’ e ‘percorrere verso il basso’ hanno anche un uso transitivo: si possono salire le scale o il versante di una collina e scendere i gradini un pendio. Anche entrare ha avuto, almeno in passato, specie in poesia, la possibilità di un uso transitivo in cui l’oggetto è il luogo dove si entra: un sentieroper Ariosto nell’Orlando Furiosoun bosco per Carducci nei Levia graviauna casa per Pascoli nei Poemi conviviali.

L’uso transitivo dei verbi in questione è registrato in alcuni dizionari di lingua: il GRADIT lo testimonia, con la glossa di meridionalismo, per tutti e quattro i verbi; per salire e scendere aggiunge anche la notazione “popolare”. Il Sabatini-Coletti 2008 registra l’uso transitivo solo per scendere e salire, con la glossa di regionalismo, senza specificare l’area di riferimento. Nel Devoto-Oli 2014 troviamo una situazione analoga a Sabatini-Coletti: la transitività è registrata solo per scendere e salire, ma con la differenza che scendere per “tirare giù” è annotato come regionale, mentre salire per “portare qualcosa in una posizione più alta, mettere su” come meridionale e popolare. ZINGARELLI 2016 registra come meridionalismi scendere e uscire, ma non entrare e salire, naturalmente nei sensi che qui si trattano. Il Vocabolario Treccani online fa la stessa cosa, ma glossa scendere e uscire genericamente come regionalismi.
La posizione dei lessicografi contemporanei non lascia dubbi: per quanto di impiego tanto rilevante da essere registrato (pur con le differenze segnalate), nessuno di questi usi viene “promosso” al livello della lingua comune.

Abbiamo quindi già la risposta. Ma l’alta frequenza delle domande, l’intensificarsi delle richieste negli ultimi tempi, le argomentazioni e le riflessioni da parte di chi ci scrive (sia quelli che condividono l’uso della modalità, sia quelli che lo stigmatizzano o che comunque lo considerano estraneo) crediamo che meritino qualche approfondimento.
Cerchiamo di trarre qualche indicazione dall’analisi delle domande; in primo luogo la provenienza: oltre il 60% delle domande proviene dal nord della penisola, in maggioranza dalla Lombardia e in particolare da Milano e provincia, poi dal Piemonte e dal Veneto, una soltanto dall’ Emilia Romagna. Quasi il 27% delle domande proviene da sud, soprattutto dalla Sicilia e in maggioranza da Palermo. Il centro ha pochissime richieste: una da Firenze, una da Roma, una dalla provincia di Frosinone e una da quella di Chieti.
L’interesse per questo fenomeno si configura quindi come una contrapposizione tra nord e sud. In alcuni casi, nelle richieste che vengono da nord si fa esplicito riferimento a un uso genericamente meridionale e anche, più raramente, specificamente siciliano; altre volte chi pone la domandasi dichiara di origini meridionali, mentre in molti casi le stesse origini sembrano suggerite dal cognome.
Per misurare visivamente il peso di questa contrapposizione possiamo ricorrere a ALIQUOT – L’Atlante della Lingua Italiana QUOTidiana che ha chiesto agli utenti della rete di rispondere a questa domanda: “Nella tua città o nel tuo paese frasi come scendimi le chiavi o esci il cane [come] sono?

 

La prima immagine riporta la risposta “inaccettabili e non usate”, la seconda la risposta “accettabili e usate”: l’Italia si mostra decisamente divisa in due.

In alcune richieste che ci sono giunte il conflitto si presenta irrimediabile e forse non è casuale che a esprimersi in questi termini sia un “affrancato dal dialetto”:

Da quando sono tornato a vivere a Palermo dopo tanti anni trascorsi per lavoro a Milano, mi dà un enorme fastidio sentire dire da tutti espressioni come “esci la carne dal frigo, esci il cane, scendi la bambina da casa, scendi il cane, sali la frutta, sali il pesce, etc.” Mi hanno detto che queste espressioni sono prese dal dialetto siciliano e tradotte in italiano dove però non esistono!

Sicuramente questa reazione in negativo contro le proprie radici è motivata dalla stigmatizzazione che denunciano altri utenti: ormai scendi esci il cane… è diventato un tormentone di dubbio gusto. È interessante però notare che, nella maggioranza dei casi, – sia un settentrionale o un meridionale a parlare – si chiede all’Accademia conferma della norma italiana, la cui certezza pare messa in discussione. Sembra quasi che la frequenza, ma anche l’uso da parte di persone colte (“per chiedere ad un allievo di prendere il libro dallo zaino, un insegnante di origine meridionale si è espresso con la formula esci il libro“; “Mi sono accorto che tutti, inclusi i laureati, usano espressioni tipo quelle citate”) lascino presagire (o temere) una possibilità di affermazione di questi verbi, o di alcuni di essi, come transitivi.

La forma al centro della questione è uscire: degli esempi forniti dai nostri utenti il 65% è con uscire, il 20% con scendere, circa il 13% con salire e meno del 2% con entrare. Si può scendere qualcosa o qualcuno da casa, dallo scaffale o dal seggiolone, mentre la cosa (quasi sempre un alimento o una bevanda) si escesoprattutto dal frigo(rifero), solo in quattro esempi dal garage (e trattasi dell’auto). La frase che incarna lo stigma (esci il cane) è proposta solo sei volte. Si salgono e si scendono soprattutto cose pesanti (pacchi o valigie), mentre si entrano solo il divano e i cuscini in caso di pioggia. Sembra che la modalità in cui questi usi ricorrono più frequentemente sia l’imposizione (oltre la metà degli esempi sono in forma imperativa) o la richiesta.

Come fanno notare alcuni utenti, l’uso di questi verbi in forma transitiva sarebbe “economicamente vantaggioso”, visto che in italiano comune e colloquiale le frasi equivalenti sono tirare la carne o il burro fuori dal frigo la lingua dalla boccametter fuori la zampa dalla gabbiaportar fuori il cane e dentro i cusciniportare o tirare su il pacco e giù le valigie. Se poi dal registro colloquiale ci spostiamo a quello formale siamo costretti a usare una costruzione con fare o verbi come estrarre e introdurre (tanto alti da risultare spesso inadeguati) e innalzarealzare, issare, sollevare e abbassare o calare sicuramente non adeguati in tutti i contesti.

Inoltre nella prima metà del Novecento, ci sono stati autori, anche non meridionali, che, almeno per uscire e scendere, hanno usato questa costruzione: riguardo a uscire possiamo citare Beppe Fenoglio (Pioggia e la sposa, 1952: “il bambino non deve avercela con me perché l’ho uscito con quest’acqua) e Italo Calvino (Impiccagione di un Giudice, 1949: “un avvocato … aveva uscito di tasca un giornale”); per scendere siamo in grado di aggiungere a Palazzeschi e Arpino, riportati dal Vocabolario Treccani, Lorenzo Viani (Ritorno alla patria, 1929: “I vecchi affissavano pensosi il corteo […]. Scendevano il primo morto giù per i ravaneti silenziosi nella loro bianchezza lunare”) o ancora Fenoglio (Il gorgo, 1954: “A questo punto lui si voltò, si scese il forcone dalla spalla e cominciò a mostrarmelo come si fa con le bestie feroci”). Queste citazioni possono incuriosire per la toscanità di Palazzeschi e Viani, ma soprattutto per il legame comune di Fenoglio, Calvino (gli unici che usano anche uscire) e Arpino con il Piemonte. A questo proposito possiamo ricordare che in francese sortir e nel patois valdostano sortre danno luogo alla stessa possibilità: si può dire sortrele mèinàun maladoun tsin così come sortir les enfants, un malade, un chien(cfr. A. Chenal, R. Vautherin, Nouveau dictionnaire de patois valdôtain, Aosta, Imprimerie Marguerettaz, 1968-1972).

In realtà si tratta di una possibilità che, per altre forme verbali, riguarda un’area ben più estesa del sud della penisola: Vittorio Coletti scrive sul n. 51 della “Crusca per voi” (2015, II) che tornare “nel senso di restituire o ricondurre qualcuno o qualcosa” (tornami la penna) “è attestato anticamente (in Boccaccio, perfino nel Bembo), ma in tempi recenti è proprio quasi solo degli italiani del nord est” (p. 22). E avanzare è transitivo nel senso di ‘lasciare, serbare’ (ho avanzato del prosciutto) almeno in area lombarda; rimanere in analogo senso (ho rimasto del pane) è romagnolo e suscita perplessità in parlanti meridionali (“Vivo in Romagna ma ho origini meridionali. In questa zona dell’Italia si sente dire ho rimasto, ma essendo convinta che l’ausiliare del verbo rimanere sia il verbo essere, chiedo cortesemente a Voi la conferma”) e incertezza nei parlanti romagnoli (“nel gergo romagnolo, si utilizza molto il verbo ho rimasto, anche se grammaticalmente è un errore. Volevo sapere se, siccome questo modo di dire fa parte ormai del nostro lessico quotidiano, si può utilizzare lo stesso oppure no”).

Cosa impedisce al fenomeno di essere accolto nell’italiano comune? Tornando al nostro quartetto di partenza, risulta che è uscire l’oggetto della diffusione virale in rete, probabilmente perché se ne avverte, in questo accomunato al suo opposto, il grado maggiore di contravvenzione alla norma. Abbiamo anche visto che entrare e uscire trovano più resistenza a essere accolti nella lessicografia rispetto a scendere, attestato invece in tutti i dizionari considerati e, con salire, considerato anche popolare, ossia slegato dalla dimensione territoriale. Questi due ultimi verbi ammettono anche in lingua la possibilità di un uso transitivo e quindi, mentre uscire ed entrare prevedono tassativamente l’ausiliare essere, richiedono l’ausiliare averesono salito da te e sono sceso all’alba, ma anche ho salito la gradinata e ho sceso le scaleSalire e scendere in sostanza avrebbero già in lingua pronto il costrutto in cui accogliere l’eventuale passaggio successivo; uscire ed entrare no.

Dobbiamo quindi deludere i sostenitori dell’ammissione di uscire transitivo a livello di lingua; proponiamo però, al solo prezzo dell’uso di una preposizione, di cominciare a uscire con il cane: dopo tutto è un amico.

A cura di Matilde Paoli
Redazione Consulenza linguistica
Accademia della Crusca