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sabato, 12 Luglio, 2025
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Miur e Arma dei Carabinieri nelle scuole per promuovere la cultura della legalità

E’ stato sottoscritto un protocollo d’intesa tra il Miur e l’Arma dei Carabinieri per sensibilizzare gli studenti all’esercizio della democrazia, nei limiti e nel rispetto dei diritti inviolabili, dei doveri e delle regole condivise, promuovendo al tempo stesso la consapevolezza dei valori fondanti della Costituzione italiana per l’esercizio di una cittadinanza attiva a tutti i livelli del sistema sociale.

Con questo obiettivo il Miur e l’Arma dei Carabinieri avvieranno un progetto congiunto per ampliare e approfondire l’offerta formativa delle scuole di ogni ordine e grado, attraverso specifici interventi. Saranno toccati, in particolare, i temi dell’educazione alla legalità ambientale, del bullismo e cyberbullismo,  della sicurezza stradale, delle sostanze stupefacenti, della violenza di genere, dei diritti umani e delle funzioni di polizia, della cooperazione internazionale, della tutela del patrimonio culturale, oltre ad altri argomenti attinenti alla legalità concordati a livello periferico tra i dirigenti scolastici e i comandanti dell’Arma.

Per sovrintendere alle diverse attività sarà costituito un Comitato Tecnico-Scientifico paritetico, coordinato dal direttore generale per lo studente, l’integrazione e la partecipazione del Miur, che ne approverà il piano annuale. L’Arma dei Carabinieri, attraverso le sue articolazioni territoriali, attuerà conferenze sulla legalità, concorsi letterari e artistici, produzione di cortometraggi sui temi della legalità, oltre alle visite ai Comandi territoriali o ai reparti specializzati dell’Arma, nonchè giornate didattico-culturali presso le riserve naturali del comparto forestale.

Van Gogh Alive – The Experience

Fino al 14 Aprile a Bari ci sarà la grande mostra internazionale multimediale Van Gogh Alive – The Experience che celebra il grande pittore, ritenuto a giusto titolo padre fondatore dell’arte moderna.

Il percorso espositivo, segue quello creativo del pittore e particolarmente tra il 1880 e il 1890, decennio durante il quale Van Gogh viaggia da Parigi a Saint-Rémy fino ad Auvers-sur-Oise luoghi diventati fonti di ispirazione per le sue opere più celebri. La visita della mostra consente di immergersi in un ambiente illuminato esclusivamente dalle immagini delle opere del grande maestro, così nitide e reali da coinvolgere emotivamente il visitatore e farlo sentire totalmente inserito nel contesto delle opere (effetto immersivo).

Oltre 3.000 immagini raffiguranti i quadri di Van Gogh vengono proiettate a pieno schermo grazie alla tecnologia SENSORY4™, 50 proiettori ad alta definizione, una grafica multi canale e un suono surround contribuiscono a creare uno dei più coinvolgenti ambienti multi-screen al mondo.

A rendere ancor più suggestiva l’atmosfera generale è la vibrante colonna sonora, con le musiche di Vivaldi, Ledbury, Tobin, Lalo, Barber, Schubert, Satie, Godard, Bach, Chabrier, Satie, Saint-Saëns, Godard, Handel per un connubio giudicato dal pubblico come perfettamente riuscito.

Che cos’è la Pemfigo

Il pemfigo (dal greco πέμϕιξ, «pustola») è una patologia bollosa autoimmune della cute e delle mucose, con alterazione dei meccanismi di adesione cellulare dell’epidermide (in particolare dei desmosomi), ad andamento cronico e prognosi potenzialmente fatale. Alla base della sua comparsa c’è una reazione autoimmune che coinvolge principalmente le IgG4, e in alcune forme più rare, le IgA.

Queste reagiscono con glicoproteine presenti sui desmosomi dei cheratinociti, le desmogleine. Viene indotto in seguito il rilascio di plasminogeno, con conseguente lisi delle cellule dello strato malpighiano, le cellule acantotiche. In seguito all’acantolisi viene richiamato liquido trasudatizio per diffusione osmotica. Nelle forme pemfigoidi il liquido ha invece carattere essudativo.

Esistono due forme classiche di pemfigo:

pemfigo volgare, e sua variante vegetante;
pemfigo foliaceo, e sua variante localizzata chiamata pemfigo eritematoso.
Tra le forme di recente inquadramento si annoverano il pemfigo associato a neoplasia – o paraneoplastico, il pemfigo a IgA, il pemfigo erpetiforme, e pemfigo superficiale.

L’incidenza del pemfigo volgare è equidistribuita tra sessi ed età, benché la patologia colpisca prevalentemente pazienti di gruppo etnico mediterraneo.

La presentazione tipica esordisce con la comparsa di bolle flaccide, che si rompono facilmente e danno origine a tipiche erosioni. In più della metà dei casi, tali bolle compaiono inizialmente nelle mucose, ma in alternativa, le lesioni possono interessare lo scalpo, la faccia, il torace, i cavi ascellari o la regione inguinale.

Il trattamento classico è basato principalmente sulla somministrazione di steroidi per via sistemica, ma alternativamente può includere azatioprina e ciclofosfamide. Nei casi refrattari è possibile utilizzare IVIg o anticorpi anti-CD20 (rituximab), sebbene tali terapie siano ancora estremamente costose.

Roma: Assessore allo Sport indagato per corruzione

Daniele Frongia, assessore allo Sport del Comune di Roma e fedelissimo della sindaca Virginia Raggi, è indagato per corruzione nell’ambito dell’inchiesta sul giro di tangenti e favori all’imprenditore Luca Parnasi per la realizzazione dello stadio della Roma a Tor Di Valle. Si tratta dello stesso procedimento da cui è scaturito il filone di indagine che ieri ha portato all’arresto di Marcello De Vito, presidente dell’assemblea capitolina in quota M5S.

La vicenda risale al 2017 quando Frongia cercò di far assumere a Parnasi una sua collaboratrice. Il costruttore chiese all’assessore se avesse qualcuno da presentargli per farlo lavorare in una delle sue società e Frongia gli propose questa dipendente del Comune.

L’assessore ha sempre detto di “non aver chiesto alcun favore ma di essersi limitato a presentare quella persona perché mi era stato chiesto”. Dopo una serie di accertamenti la Procura di Roma ha però deciso di iscriverlo nel registro degli indagati per corruzione. Una mossa che certamente mette in difficoltà la Giunta capitolina .

Moderati? Anche no

“La moderazione fa parte dello stile di governo, non segna la figura del cattolicesimo democratico”. Questa lapidaria sentenza di Guido Bodrato nella sua ultima intervista, ci permette di avviare un chiarimento su un termine – “moderato” – che nel nostro dibattito è diventato ambiguo. L’ambiguità nasce dalla diversa accezione che si può dare al termine, non sempre corrispondente tra chi lo scrive e chi lo legge.

Ritengo che la moderazione sia una disposizione dell’animo, non una categoria politica. Moderazione è sobrietà ed equilibrio nei comportamenti, nelle parole, nei giudizi. Possiamo persino considerarla affine alla “mitezza” evangelica, virtù destinata a grandi ricompense – “Beati i miti perché erediteranno la terra” (Mt 5,5) –. E allora evviva la moderazione, modello da perseguire anche nella città dell’uomo dopo decenni di politica muscolare e urlata, che ha zittito il dialogo costruttivo e dato spazio ai cinici, ai prepotenti, agli imbonitori.

Quando però la moderazione si storicizza, viene cioè sradicata dal vissuto personale per essere usata come categoria politica, si trasforma in moderatismo, che è solo la maschera conciliante del più concreto conservatorismo. Alcuni studiosi del movimento cattolico hanno diviso il Partito popolare di Sturzo tra “cattolici democratici” e “clerico-moderati”, faticando però a spiegare la trasformazione di questi ultimi in “clerico-fascisti”. Il fascismo evidentemente non c’entra con la moderazione. Usando invece la più corretta definizione di “clerico-conservatori”, si capisce meglio la successiva adesione al fascismo, giustificata dalla logica del “blocco d’ordine” in difesa degli interessi costituiti.

In tempi recenti, del termine “moderati” si era appropriato Berlusconi, per creare un vantaggioso bipolarismo mediatico in opposizione ai “comunisti”. Ovviamente, posti di fronte a questa scelta, gli italiani in gran maggioranza sono orientati alla moderazione più che al comunismo… Il Cavaliere però si è lasciato sfilare il marchio dall’abile pubblicitario e politico Mimmo Portas che ha registrato il simbolo “Moderati” e utilizzato il suo partito in ambito piemontese come mezzo di recupero per politici in crisi, di varia provenienza e in cerca di identità, da utilizzare come alleato (ben ricompensato) del PD. Quando però il brand “Moderati” si è cimentato in elezioni politiche nazionali, le percentuali ottenute sono state da prefisso telefonico.

Quindi, malgrado l’uso frequente ed evocativo del termine (ultimo della serie persino Romano Prodi), il “moderato” in politica non è indice automatico di consenso.

La nostra diffidenza sul termine non è però dovuta al timore di una modesta performance elettorale. Nasce soprattutto dalla convinzione che le parole sono vuote, e quindi insufficienti, se non vengono riempite di contenuto. Essere al centro, ad esempio, non dice nulla, se non indicare una collocazione intermedia tra due lati, che possono essere la destra e la sinistra. Anche queste due storiche categorie della politica, come etichetta, hanno mutato negli anni il loro significato. E tutti noi conosciamo bene la difficoltà nello spiegare cosa caratterizza il nostro glorioso nome di Popolari, sulla scia di Sturzo nella tradizione del cattolicesimo democratico e sociale, rispetto alle derive conservatrici del PPE.

Non dico che i nomi abbiano quasi nessuna rilevanza, ma ritengo – in ottima compagnia con Bodrato – che una forza politica si debba caratterizzare per il suo programma. Oltre ai valori enunciati, sono gli obiettivi, le proposte concrete per affrontare i problemi sociali ed economici che illustrano un partito.

Se i “liberi e forti” vogliono di nuovo dar vita a una formazione politica devono parlare attraverso “un Programma che porti a superare l’attuale cultura individualistica, che ridia sostegno alla maternità e alla natalità, che ripensi il lavoro in termini nuovi e con nuove tutele, che ridisegni il welfare, che ci risintonizzi con il sogno di un’Europa federale e dei popoli, che pensi ad un fisco amico delle famiglie e delle aziende che danno occupazione, produttività, che sono rispettose dell’ambiente, che sappia disegnare un sistema formativo flessibile e il sapere faccia crescere in umanità e fraternità, e così via”. (Grazie a Carlo Baviera per queste parole che ho preso a prestito dal suo ultimo articolo).

Ma per attuare i nostri punti forti, dobbiamo talvolta abbandonare la moderazione.

Il bravo medico ricorre in certi casi al pannicello caldo o alla caramella a effetto placebo, prescrive il farmaco e l’antibiotico quando occorrono, usa il bisturi per estirpare il male quando non c’è altro rimedio. Il bravo politico non può sempre essere “moderato” nell’affrontare i problemi del proprio tempo.

In Europa bisogna battere i pugni per uscire dall’austerità finanziaria che sta strangolando i ceti medi e popolari, e sonori ceffoni devono essere dati per svegliare le coscienze sull’emergenza ambientale che ci aspetta, e che né i moniti di papa Francesco né gli scioperi di Greta e dei suoi giovani seguaci sono ancora riusciti a mettere al centro dell’agenda politica (se non mondiale, almeno della UE).

In Italia, anche per rilanciare la produttività, occorre una politica aggressiva (questo aggettivo è molto poco “moderato”, ma ne userò altri ancora di egual tenore) contro i mali atavici della nostra società. Lotta spietata alla criminalità organizzata che opprime gli onesti e crea un vero “antistato” che espande sempre più i suoi tentacoli. Intransigenza verso i corrotti nella pubblica amministrazione, che danneggiamo la credibilità della politica e delle istituzioni. Contrasto inesorabile a evasione ed elusione fiscali: non potremo mai avere una politica dei redditi degna di questo nome se al gettito fiscale annuo di poco superiore ai 500 miliardi continueranno a mancare i soliti 120/130 miliardi, una marea di tasse evase che, una volta recuperate, avrebbero il duplice beneficio di alleggerire il carico fiscale di chi paga (“pagare tutti per pagare meno”, ricordate?) e ridurre gradatamente l’abnorme debito pubblico.

Riteniamo che le diseguaglianze siano diventate inaccettabili? Se rispondiamo di sì, e non solo per tranquillizzarci la coscienza, dobbiamo proporre correttivi che tolgano a chi ha troppo per dare a chi ha troppo poco. Sapendo che chi si vedrà tolto qualcosa non sarà contento (“È più facile dal no arrivare al sì che dal sì retrocedere al no”, ammoniva Sturzo).

Riteniamo che solo un grande investimento nella formazione e nel sapere ci possa mantenere in una condizione di benessere e crescita? Allora dobbiamo dirci che la scuola italiana ha bisogno di recuperare la sua funzione di ascensore sociale valorizzando a tutti i livelli il merito, che premierà alcuni e penalizzerà altri. Anche qui creando degli scontenti.

Riteniamo che la burocrazia sia troppo invadente, che leggi e adempimenti siano troppi, e invochiamo una semplificazione delle norme e una giustizia più snella e rapida? Allora dobbiamo essere consapevoli che la gran parte dei 312.663 avvocati italiani (fonte www.digilex.it) non vedrà di buon occhio un siffatto obiettivo. Ma mi fermo con gli esempi di questioni che non possono venire affrontate senza creare resistenze e malumori, quelli che il “moderato” tipo tende ad evitare.

Siamo abituati da troppi anni a una politica becera che insegue il facile consenso, che parla alla pancia della gente, che ne amplifica gli umori negativi. Dato che le pance sono spesso in contrasto tra loro (tassisti e NCC, ad esempio) e che gli umori cambiano, vediamo anche cambiare in un battito d’ali le posizioni politiche. Con la coerenza diventata un reperto archeologico da sbeffeggiare.

Per svoltare verso una politica nuova, più che affidarsi a parole effimere (“moderati”, “centro”) dal contenuto perlomeno soggettivo, sull’esempio di cento anni fa occorre costruire un programma chiaro e su quello cercare consensi e convergenze.

E se iniziassimo a scriverlo?

La Francia vede in rialzo le previsioni di crescita

L’Istituto nazionale delle statistiche francese (Insee) ha corretto in lieve rialzo le sue previsioni per la crescita della Francia nel primo semestre dell’anno, portandole all’1,1% dall’1% stimato a dicembre dello scorso anno.

A tela riguardo, Julien Pouget, capo di dipartimento per la Congiuntura all’Insee, ha affermato che il governo francese potrebbe aumentare la crescita grazie “a una politica di bilancio più espansiva”.

In merito all’occupazione, l’Insee punta a un aumento moderato “simile a quella dello scorso anno, con stime che prevedono 85 mila nuovi posti di lavoro nel primo semestre” del 2019.

I consumi dovrebbero riprendersi dopo la stagnazione dell’ultimo trimestre del 2018, arrivando a +0,5 per cento nei primi tre mesi del 2019 e a + 0,4 per cento nel secondo trimestre.

Una crescita dovuta anche alla ripresa di alcuni settori come quello automobilistico e quello energetico.

Una nuova casa politica solida e accogliente

Si arricchisce sempre più il dibattito circa l’esigenza e la volontà di dar vita ad un nuovo progetto culturale e politico di “centro”. Chi non si riconosce nella maggioranza giallo-verde, chi crede che PD e FI non possano rappresentare l’alternativa, ha il diritto/dovere di trovare nuove forme di aggregazione e di discussione. Prima di entrare nel merito delle tante proposte fatte, è doveroso ringraziare “Il domani d’Italia” per aver ospitato i vari interventi e per aver avviato la discussione con coraggio e determinazione.

Superata la fase della costatazione dell’esigenza e della “volontà” dovremmo passare a quella dell’aggregazione. Il web e nello specifico i social ci permettono l’incontro tra persone che avvertono l’urgenza di fare rete. I social, infatti, non vanno usati solo per comunicare quanto deciso da organi precostituiti, ma vanno usati quotidianamente per fare rete e mettere insieme idee, valori e competenze. I partecipanti devono sentirsi parte integrante del nuovo progetto e non semplici elettori passivi. Solo partecipando tutti attivamente possiamo realizzare la rete dal basso.

Se aspettiamo “il leader-capo” stiamo perdendo tempo e soprattutto non abbiamo compreso la vera causa del populismo. Il secondo aspetto che vorrei evidenziare è la presenza nei comuni italiani di tantissime liste, movimenti e associazioni “civiche” che restano escluse dalle competizioni elettorali nazionali. Moltissimi amici propongono di dar vita ad una federazione, che sia in grado di mettere insieme le tante esperienze locali, pur mantenendo la propria autonomia organizzativa. Se immaginiamo tutto questo non possiamo che dar vita ad un forum (online) che permetta a tutti di partecipare alla piattaforma programmatica del nuovo progetto. E’ vero che “uniti si vince” ma uniti su cosa? Basta il richiamo all’opposizione giallo-verde? Baste dire che PD e FI non rappresentano le nostre idee? Non penso sia sufficiente.

Per creare una casa politica solida e accogliente dobbiamo elaborare un nuovo pensiero ed un nuovo programma per l’Italia.

Grazie ancora per l’ospitalità che “il domani” offre a tutti noi.

 

Da Bruxelles l’impegno per Internet veloce

La Commissione europea ha pubblicato un nuovo studio sull’accesso alle tecnologie digitali e il loro uso nelle scuole. Dall’indagine emerge che nei Paesi dell’Unione, meno di uno studente su cinque frequenta una scuola con accesso a Internet ad alta velocità superiore a 100 Mb/s. Nei diversi istituti, inoltre, il 79% dei ragazzi della secondaria non partecipano mai o quasi mai ad attività di codifica o di programmazione.

“L’integrazione della tecnologia nell’insegnamento e nell’apprendimento – ha detto il commissario per l’Istruzione, la cultura, i giovani e lo sport, Tibor Navracsics – richiede azioni su diversi fronti, dalle infrastrutture alla formazione degli insegnanti e dei dirigenti. Il programma Erasmus+ è di supporto alle scuole dei 28, ad adattarsi alla rivoluzione digitale aiutando i giovani a comprendere e utilizzare la tecnologia in modo critico e creativo. Il fatto che il 79% degli alunni delle scuole medie e il 76% degli alunni delle superiori prenda parte con estrema discontinuità ad attività di codifica o di programmazione mette in evidenza il gap esistente in termini di competenze e connettività digitali: due sfide al centro della strategia per il mercato unico digitale, fondamentali per apportare vantaggi concreti ai cittadini e alle imprese”.

L’indagine sulle Tic nell’istruzione è la seconda a concentrarsi sulle scuole e ha coinvolto 85.000 dirigenti scolastici, insegnanti, studenti e genitori, tra novembre 2017 e maggio 2018, nei 28 Stati membri, oltre a Norvegia, Islanda e Turchia, nell’ambito del piano d’azione della Commissione per l’istruzione digitale. Nelle nuove indicazioni dell’Unione europea il digitale diviene a tutti gli effetti “competenza di base”, accanto al leggere e allo scrivere. E’ quindi necessario innalzare il livello di padronanza delle competenze di base (alfabetiche, matematiche e digitali) sostenendo lo sviluppo della capacità dell’apprendimento quale presupposto da migliorare costantemente.

Ed anche nella competenza alfabetica funzionale torna il digitale quando viene descritta la capacità relativa come quella che consente di individuare, comprendere, esprimere, creare e interpretare concetti, sentimenti, fatti e opinioni, in forma sia orale sia scritta, utilizzando materiali visivi, sonori e digitali. Un elemento fondamentale dell’istruzione digitale è garantire l’equità e la qualità dell’accesso e delle infrastrutture. Il divario digitale presenta molte dimensioni, ma il miglioramento dell’accesso alla tecnologia e alla connettività per tutti gli studenti deve costituire un punto di partenza per ridurre disparità ed esclusione.

Clima: +3 gradi in un marzo pazzo e l’Italia fiorisce

Mai cosi pazzo il mese di marzo con temperature minime e massime superiori di tre gradi rispetto alla media che hanno fatto esplodere una del tutto insolita contemporanea fioritura delle diverse specie di piante, mentre nei prati sono arrivate in forte anticipo primule viole e margherite. E’ quanto emerge dal monitoraggio della Coldiretti sulla base dei dati Ucea relativi alla prima decade con l’innalzamento della colonnina di mercurio che ha fatto sbocciare i fiori in anticipo rispetto all’arrivo della primavera astronomica.

Le anomalie hanno riguardato tutte le regioni della Penisola con temperature massime superiori alla media addirittura di 5,1 gradi in Emilia, di 3,8 gradi in Trentino, di 3,7 gradi in Veneto, di 3,6 gradi in Friuli come in Toscana, di 3,4 gradi in Sardegna, di 3,3 gradi nelle Marche d 3 gradi in Sicilia, secondo l’analisi Coldiretti su dati Ucea.

Il risultato e che se in Sicilia i mandorli sono sbocciati una settimana prima in Romagna per gli albicocchi – sottolinea la Coldiretti – si registra una accelerazione di ben quindici giorni. Una spettacolo che rende pero’ ora le piante particolarmente vulnerabili ad un eventuale ritorno del maltempo che potrebbe colpire con temporali violenti e grandinate che pregiudicano i raccolti.

A preoccupare soprattutto al nord è anche una storica siccità un inverno asciutto segnato da precipitazioni dimezzate (-50% al nord rispetto alla media), che hanno lasciato a secco fiumi, laghi, invasi, terreni e senza neve le montagne, nel momento in cui l’acqua è essenziale per l’irrigazione delle coltivazioni, secondo una analisi della Coldiretti sulla base degli ultimi dati Isac/Cnr.

Non sono previste peraltro precipitazioni significative nel mese di marzo che possano cambiare la situazione che allo stato attuale al nord – rileva la Coldiretti – è peggiore di quella del 2017 che ha creato difficoltà anche per gli usi civili nei centri urbani ed è costata 2 miliardi di euro in danni all’agricoltura a causa della siccità che ha tagliato i raccolti delle principali produzioni, dagli ortaggi alla frutta fino ai cereali, ma anche i vigneti ed il fieno per l’alimentazione degli animali per la produzione di latte.

Sul Po in magra sembra piena estate con il livello idrometrico al Ponte della Becca è di -2,83 metri, come nell’ agosto scorso, ma anomalie si vedono anche nei grandi laghi che hanno percentuali di riempimento che vanno dall’8% del lago di Como al 16% dell’Iseo fino al 29% del Maggiore secondo l’ultimo monitoraggio della Coldiretti. Il maltempo è atteso come manna dagli agricoltori soprattutto al nord dove in molte zone non piove da mesi ma per essere di sollievo la pioggia deve durare a lungo, cadere in maniera costante e non troppo intensa, mentre i forti temporali, soprattutto con precipitazioni violente provocano danni poiché – spiega la Coldiretti – i terreni non riescono ad assorbire l’acqua che cade violentemente e tende ad allontanarsi per scorrimento con gravi rischi per l’erosione del suolo.

Napoli: Bruno Munari. I colori della luce

Lunedì 25 marzo, alle ore 18.00 presso la Biblioteca (primo piano) del museo Madre, sarà presentato il volume Bruno Munari. I colori della luce (Gangemi Editore, 2019), catalogo dell’omonima mostra inaugurata presso il Museo Plart il 29 novembre 2018 e prodotta dalla Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, in collaborazione con la Fondazione Plart, nell’ambito dell’edizione 2018 di Progetto XXI.

Interverranno, con la Presidente della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee Laura Valente, il Direttore del museo Madre Andrea Viliani e la Presidente della Fondazione Plart Maria Pia Incutti, i curatori della mostra e del volume, Miroslava Hajek e Marcello Francolini.

Progetto XXI è la piattaforma della Fondazione Donnaregina che, dal 2012, si propone di esplorare la produzione artistica emergente e di analizzare l’eredità delle ricerche degli ultimi decenni, contribuendo alla produzione e alla diffusione di narrazioni e storiografie alternative del contemporaneo e alla definizione di un sistema regionale delle arti contemporanee basato sulla collaborazione e l’interscambio fra istituzioni pubbliche e private operanti in regione Campania.

Il volume ripercorre, in tre sessioni fra loro connesse, la mostra presentata al Plart, che ha analizzato uno specifico corpo di lavori di Munari, le Proiezioni a luce fissa e le Proiezioni a luce polarizzata, realizzate negli anni Cinquanta del secolo scorso, con cui l’artista porta a compimento la sua ricerca volta a conquistare una nuova spazialità oltre la realtà bidimensionale dell’opera.

Dopo le introduzioni di Maria Pia Incutti, Laura Valente e Andrea Viliani, segue un testo della curatrice scientifica del Plart, Cecilia Cecchini, che contestualizza la mostra nell’ambito delle attività di ricerca ed espositive della Fondazione Plart.

La prima sessione del catalogo, intitolata Da un passato futurista a un futuro programmato, contiene gli interventi critici dei due curatori, che inquadrano l’origine del pensiero munariano, tra avanguardia futurista (dal polimaterismo al tattilismo) e arte programmata, al cui statuto l’artista giunge proprio attraverso le proiezioni di luce che rappresentano il punto più alto della sua sperimentazione, ponendosi come ponte tra la meccanica e l’elettronica. Le fotografie realizzate da Luciano Romano documentano le opere esposte e l’allestimento progettato da Mario Coppola.

Segue una seconda sessione curata dal Laboratorio di ricerca e conservazione del Plart e corredata da un articolato apparato iconografico e documentativo, dedicata alla Digitalizzazione delle Proiezioni a luce polarizzata. Sono presentati i risultati del puntuale lavoro di transfer mediale effettuato, che ha risposto sia ad esigenze espositive sia ad esigenze conservative. Se la mostra ha, infatti, consentito al pubblico di conoscere e approfondire le Proiezioni, l’intervento di duplicazione dei vetrini ha costituito una tecnica non invasiva di conservazione, contribuendo a preservare le opere e l’informazione estetica in esse veicolata.

Conclude il catalogo la terza sessione, Testimonianze, che include testi di Giuseppe Morra, Direttore del Museo Hermann Nitsch, e di Giuseppe Furlanis, Direttore dell’ISIA (Istituto Superiore per le Industrie Artistiche) di Firenze. Al primo è affidato il racconto dell’esperienza della mostra Sculture nella città (1990), durante la quale una selezione di opere in metallo di grandi dimensioni realizzate da Munari è stata esposta sul lungomare e in altri luoghi di Napoli. Nella sua testimonianza Furlanis qualifica Munari come “poeta della semplicità”, rivolgendo particolare attenzione al suo metodo di ricerca e all’aspetto pedagogico della sua pratica artistica.

Un progetto editoriale che, come la mostra da cui origina, offre una rilettura poliedrica dell’opera di Munari, focalizzandosi su opere che hanno sfidato la storia e la critica d’arte, rimanendone ai margini in attesa di una loro ponderata rivalutazione.

Antibiotici: Calano i consumi

Assorted pills

L’antibiotico-resistenza rappresenta un problema di salute pubblica molto rilevante a
livello globale per via dell’elevato impatto epidemiologico sulla popolazione (incremento
della morbosità e della mortalità) e dei pesanti oneri sociali ed economici correlati (perdite
di vita e di giornate lavorative, prolungamento delle degenze e maggior utilizzo di
procedure diagnostiche). Secondo una recente analisi dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS) in molte parti del mondo (Europa, Americhe, Africa, Mediterraneo Orientale,
Pacifico Occidentale e Sud-Est Asiatico) sono state registrate prevalenze elevate di
resistenza nei batteri che causano infezioni anche comuni, quali la polmonite e le infezioni
delle vie urinarie.

Uno studio recente dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) riporta
che nel 2015, nei Paesi dell’Unione europea e dello Spazio economico europeo, si sono
verificati 671.689 casi di infezioni antibiotico-resistenti, a cui sono attribuibili 33.110
decessi, un terzo dei quali si è verificato in Italia, evidenziando la gravità del problema nel
nostro Paese.

Dall’indagine risulta inoltre che le infezioni resistenti agli antibiotici sono diffuse in tutte le
fasce di popolazione, ma colpiscono in particolare le fasce estreme di età. Il 75% dei casi è
dovuto a infezioni correlate all’assistenza sanitaria, e ciò a sostegno della necessità di
intervenire con azioni di contrasto soprattutto negli ambienti di cura.

Anche i dati elaborati dai network dell’ECDC, l’European Antimicrobial Resistance
Surveillance (EARS-Net) e l’European Surveillance of Antimicrobial Consumption (ESACNet), che fanno il punto rispettivamente sulle resistenze e sul consumo degli antimicrobici nell’Unione europea, confermano nell’anno 2017 la gravità della minaccia dell’antibioticoresistenza per l’Europa, evidenziando la priorità e l’urgenza di misure efficaci e armonizzate.

L’aumento delle resistenze, favorito dal consumo inappropriato e dall’abuso degli
antibiotici, può essere contrastato efficacemente solo attraverso un approccio globale –
one health – che promuova interventi per l’uso responsabile di questi farmaci in tutti gli
ambiti.

Le strategie per prevenire e controllare le resistenze agli antibiotici richiedono un
coordinamento a livello europeo e mondiale, ma anche piani nazionali in grado di
fronteggiare le specifiche situazioni locali. Per tale ragione, l’Italia si è dotata del primo
Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico-Resistenza (PNCAR) 2017-2020 che, in
coerenza con le indicazioni dell’OMS, prevede tra gli ambiti di intervento la sorveglianza
dei consumi degli antibiotici sia nel settore umano che veterinario.

Nel 2017 il consumo globale di antibiotici in Italia, comprensivo degli acquisti privati, è
risultato pari a 25,5 DDD/1000 abitanti die.
Oltre l’85% delle dosi, pari a 21,8 DDD/1000 abitanti die, sono state erogate a carico del
Servizio Sanitario Nazionale (SSN), con una riduzione dell’1,6% rispetto al 2016. Questo
dato comprende sia gli antibiotici erogati in regime di assistenza convenzionata (dalle
farmacie pubbliche e private) sia quelli acquistati dalle strutture sanitarie pubbliche.

Anche la spesa pro capite nazionale (14,33 euro) si è ridotta rispetto all’anno precedente
dell’1,7%.
Il 90% del consumo di antibiotici a carico del SSN (19,7 DDD/1000 ab die) è in regime di
assistenza convenzionata, confermando che gran parte dell’utilizzo degli antibiotici
avviene a seguito della prescrizione del Medico di Medicina Generale o del Pediatra di
Libera Scelta.

Si osserva un andamento stagionale molto marcato dei consumi tra i mesi invernali e
quelli estivi, che passano da un minimo di 13,2 DDD/1000 ab die nel mese di agosto a un
massimo di 27,29 DDD/1000 ab die nel mese di gennaio. L’utilizzo più frequente di
antibiotici nei mesi invernali è correlato con i picchi di sindromi influenzali osservati nei
diversi anni.

L’analisi per area geografica conferma un maggior consumo al Sud e nelle Isole (24,9
DDD/1000 ab die) e al Centro (20,7 DDD/1000 ab die), rispetto al Nord (15,6 DDD/1000 ab die). Si evidenzia, comunque, una progressiva tendenza a un uso più attento di tali
medicinali con particolari riduzioni dei consumi proprio nelle aree di maggior utilizzo. Le
Regioni Campania e Puglia mostrano le contrazioni più importanti dei consumi
(rispettivamente -5,5% e -6,8%) e un consistente calo della spesa (rispettivamente -5,1% e -8,5%).

Milano: Terrore sullo scuolabus

Ousseynou Sy, 47enne senegalese di origine ma italiano dal 2004, ha sequestrato un autobus di cui era alla guida a San Donato Milanese, dirigendosi verso l’aeroporto di Linate.

Appena i militari hanno bloccato il mezzo, l’uomo è sceso dal pullman con in mano un accendino e ha dato fuoco al mezzo, mentre i carabinieri salvavano dalla parte posteriore i ragazzi, che hanno raccontato di essere stati ammanettati e minacciati, dopo aver rotto i finestrini.

A dare l’allarme e a far scattare l’intervento dei carabinieri è stato uno dei ragazzini a bordo. Secondo quanto è stato finora ricostruito, il 47enne era alla guida del bus che doveva riportare i ragazzini a scuola, dopo un’attività sportiva all’aperto. Ad un certo punto l’uomo avrebbe cambiato percorso e, rivolgendosi agli studenti con in mano un coltello, avrebbe detto: “Andiamo a Linate, qui non scende più nessuno”. Uno degli studenti a bordo ha però chiamato con il cellulare i genitori che, a loro volta, hanno avvisato i carabinieri.

A bordo dell’autobus c’erano 51 ragazzini della scuola media Vailati di Crema (nel Cremonese) con le loro insegnanti. Ventidue bambini e un adulto sono stati trasferiti negli ospedali della zona. Un ragazzino e un adulto sono in codice giallo, gli altri in codice verde. L’autore del gesto è invece stato trasportato con i carabinieri a San Donato.

De Vito agli arresti, Roma stremata: Possiamo uscire dal buio?

Adesso, arrestato il grillino De Vito, scorrerà latte e miele nella valle oscura della rivalsa, con ghigni appena nascosti,  perché l’Italia vive da un quarto di secolo nel pianeta del rancore e dell’odio, inseguendo un paradiso costellato di buone intenzioni. Come può un Paese illudersi di crescere e migliorare se anno dopo anno, in una sequela infinita di inchieste e provvedimenti giudiziari, poi svaporati nell’atmosfera d’innumerevoli sentenze di assoluzione, domina la velleitaria strategia della purificazione, con la chimera di un progresso automatico, fecondo ed equilibrato, ottenuto per via della semplice lotta alla corruzione?

A Roma lo stadio riporta alla luce l’assenza, ormai prolungata, di programmazione urbana e dunque la superficialità di approccio al tema dello sviluppo urbanistico. Il dibattito politico – non il surrogato delle interdizioni di magistrati solerti – dovrebbe ruotare attorno al dilemma di una mega-operazione immobiliare, inclusiva del nuovo impianto sportivo dell’imprenditore italo-americano Pallotta, che in verità appare del tutto slegata da un disegno razionale di ammodernamento della città. Manca una degna visione di un degno Piano regolatore.

Sfugge infatti alla pubblica riflessione che due progetti di nuova direzionalità insistono sullo stesso quadrante della città metropolitana: quello, appunto, di Parnasi-Pallotta a Tor di Valle e quello degli Aeroporti di Roma a Fiumicino. A riguardo sarebbe opportuno ricordare che la migliore cultura urbanistica, italiana ed europea, aveva incentrato il Piano regolatore del 1962-65 sulla realizzazione del cosiddetto Sistema Direzionale Orientale (SDO), svilito nel tempo e poi accartocciato, alla buona, in misure di modesto rappezzo. Ora, questo rovesciamento di prospettive, con la previsione di due concomitanti e perciò concorrenti Business Center nell’area orientale, può essere riguardato sotto l’unico profilo degli immediati interessi degli operatori? Stesso discorso dovrebbe valere per la programmazione sportiva, visto che lo Stadio di Parnasi-Pallotta, ove realmente necessario, implicherebbe in via preventiva un riesame dei destini dell’Olimpico (e per qualche verso del Flaminio). E poi dovrebbe implicare altresì una valutazione meno episodica e frammentata in ordine alla geografia dei grandi impianti sportivi.

Ma tutto questo, pur essendo in teoria  il nutrimento di una pubblica discussione che voglia misurarsi dignitosamente con la storia e l’attualità di Roma Capitale, s’inabissa nelle acque torbide della contropolitica. Al silenzio sulle questioni afferenti allo sviluppo ordinato della città fa da contrappeso il clamore – a dire il vero stremato per eccesso di acredine e disillusione – sulle vere o presunte impudicizie di un ceto politico senza vitalità e autonomia. La debolezza della società civile, quel generone romano che pure dovrebbe conservare un retaggio di vecchio amor proprio, si produce come anestetico di una cittadinanza sostanzialmente inattiva. Servirebbe un soprassalto minimo di decoro, per riattivare il circuito di selezione e promozione di una classe dirigente all’altezza delle responsabilità del momento.

Ora, anche se fosse stata evitata la misura preventiva di carcerazione, perché prima o poi dovremo riabituarci alla normalità di procedure inquirenti al riparo dei colpi di scena, la campanella di fine corsa per l’amministrazione Raggi stava già suonando da mesi. Oggi quel suono si è fatto più acuto, anzi più stridulo, e chiama a raccolta di converso gli uomini e le donne di “buona  volontà” che hanno a cuore il riscatto dal plebeismo ornato d’incompetenza, presunzione e mala condotta.

A Roma come in Italia.

Il Congresso delle famiglie che sta scaldando gli animi (non solo a Verona)

Articolo pubblicato dall’Agenzia AGI

Verona si prepara ad ospitare, dal 29 al 31 marzo, il World Congress of Families, un congresso sulla famiglia che rischia di trasformare Verona per qualche giorno in un teatro di guerra ideologica.

La manifestazione ha avuto il benestare del Ministro della Famiglia, il leghista Lorenzo Fontana, le cui idee su temi come diritti degli omosessuali e aborto sono note, e conterà tra i partecipanti anche il Ministro degli Interni Matteo Salvini, che salotto di Barbara D’Urso ha promesso che combatterà “contro l’utero in affitto e i bambini in vendita” e osservato che se “ognuno nella sua vita privata fa ciò che vuole”, “per quello che mi riguarda un bambino ha diritto ad avere una mamma e un papà e ad essere adottato da una mamma e un papà”.

Sarà la Lega, con l’appoggio di diverse associazioni pro life e anti-Lgbt,, per esempio Generazione Famiglia, Comitato Difendiamo i Nostri Figli, ProVita Onlus e CitizenGo, come scrive il Corriere della Sera a dare il la ad una due giorni che è già diventata un caso politico. Innescato anche da Palazzo Chigi che in un primo momento aveva dato il proprio patrocinio, salvo poi revicarlo per bocca del premier Conte, una volta venuti a galla i temi del Congresso e le conseguenziali polemiche. E ce ne sono state moltissime di polemiche, come scrive Repubblica, specialmente dal fronte dei Cinque Stelle, che della Lega è pur sempre alleato di governo.

Da un lato si pensava a coinvolgere il più possibile, come scrive il Corriere, “associazioni cattoliche integraliste, ortodosse ed evangeliche, unite dalla promozione dei valori cristiani, la contrarietà all’aborto, la condanna dell’omosessualità, la battaglia contro la pornografia”. Dal’altra il ministro della Giustizia Bonafede, pentastellato, che condanna un evento che, dice, porterebbe “le lancette dell’orologio sulla concezione della donna indietro di qualche secolo”.

E si unisce al coro anche il vicepremier Luigi Di Maio: “Ognuno va agli eventi che vuole, ma io a quegli eventi non ci vado. A Verona è una destra degli sfigati. Quella visione della donna sostanzialmente mero ‘angelo del focolare’ non rappresenta niente della cultura del M5s. Chi vuole tornare indietro ne risponderà alla storia, neanche agli elettori”.

Il PD da parte sua si prepara a una contromanifestazione e le istituzioni cittadine si schierano. L’Università di Verona non solo ha rifiutato di ospitare l’evento nei propri locali, come chiesto dall’organizzazione, ma si è anche esposta con una nota ufficiale a firma del rettore Nicola Sartor: “L’Università è un luogo di studio aperto al confronto scientifico fondato sulla libertà della ricerca e dell’insegnamento”, in più da sabato nel chiostro dell’ateneo campeggia enorme uno striscione dai colori arcobaleno: “L’Università promuove il pluralismo delle idee e respinge violenza, discriminazione e intolleranza”.

A livello politico locale il capogruppo in consiglio comunale del Carroccio, Mauro Bonato, ha detto di essere  “contrario al fatto che il Comune sia co-organizzatore di un evento con relatori che hanno posizioni agghiaccianti”.

Ma chi sono i relatori chiamati ad intervenire? Sempre il Corriere ne offre una carrellata, partendo da Dmitri Smirnov, arciprete della Chiesa ortodossa russa che ha definito “assassine e cannibali” le donne che decidono di abortire; poi ancora il Presidente della Moldavia Igor Dodon, famoso per aver dichiarato subito dopo la vittoria delle elezioni di “non essere il presidente dei gay, perché loro dovrebbero eleggere un loro presidente”. La parola passerà poi ad Alexey Komov, ambasciatore russo del World family congress presso l’Onu, che circa il crescente numero di casi di omofobia in Russia ha dichiarato: “Trovo ridicolo parlare di omofobia, nel caso vi sarebbe semplice avversione verso certi stili di vita, tipici dei gay”. Poi  si potrà ascoltare Brian Brown, presidente dell’International organization for the family, da sempre in ferma opposizione contro i matrimoni gay e l’ingresso dei transessuali nell’esercito (sua la frase “l’esercito è per la guerra, non per le erezioni”); e per finire Katalin Novak, ministra della Famiglia del governo ungherese di Viktor Orban che ha recentemente dichiarato “Non vogliamo più migranti, ma più bambini ungheresi e in generale più bambini europei cristiani”.

Tutte posizioni abbastanza forti che innescano inevitabilmente reazioni altrettanto forti, come quella del gruppo Facebook “Veronesi aperti al mondo”, che ha pubblicato un elenco delle sette strutture alberghiere convenzionate con il congresso e l’invito a boicottarle.

 

Mattarella e Parolin all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù per i 150 anni della fondazione

Alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, e delle autorità locali, si sono aperte le celebrazioni del 150° anniversario di fondazione dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.

Il Capo dello Stato, nel corso della visita ai Laboratori dell’Ospedale, ha incontrato alcuni bambini, i volontari della “clownterapia” e una rappresentanza di ricercatori impegnati nell’attività dell’Istituto.

Ha quindi preso parte alla cerimonia celebrativa del 150° anniversario della fondazione dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, aperto ufficialmente il 19 marzo 1869, nel corso della quale, dopo i saluti di Virginia Raggi, Sindaco di Roma e di Nicola Zingaretti, Presidente della Regione Lazio, sono intervenuti Mariella Enoc, Presidente dell’Ospedale, Mariella Salviati, Giulia Grillo, Ministro della Salute.

La cerimonia si è conclusa con gli interventi del Cardinale Parolin e del Presidente Mattarella.

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

La Dottrina Sociale venerdì a Torino

Venerdì 22 marzo al Polo del ’900 verrà presentato il volume di Daniele Ciravegna dal titolo “Un modello alternativo di economia e società”.

Si tratta dell’ampio lavoro (edito da Studium) che l’economista torinese ha dedicato alla Dottrina Sociale della Chiesa, che verrà presentato da Gianfranco Morgando per la Fondazione “Carlo Donat-Cattin”, da Claudio Bermond per la Fondazione “Michele Pellegrino”, da Michele Rosboch per il Centro Culturale “Piergiorgio Frassati”, prima delle relazioni di Anna Maria Poggi, docente all’Università di Torino, e Giovanni Quaglia, presidente della Fondazione CRT.

Farà gli onori di casa Sergio Soave, presidente del Polo del ’900; moderatore sarà il giornalista Luca Rolandi.

Appuntamento alle 17.30 nella Sala Conferenze di Palazzo San Celso, co rso Valdocco 4 a Torino.

Bonus Verde: che cos’è e come puoi detrarre le spese sostenute dalla dichiarazione dei redditi

Istituito con la Legge di Bilancio 2018, il bonus verde è stato prorogato con la Legge di Bilancio 2019 fino al 31 dicembre 2019.

 

Che cos’è

Si tratta di una detrazione rivolta a chi sostiene spese per la sistemazione del verde di aree scoperte di pertinenza delle unità immobiliari private:

  • Terrazzi
  • Giardini
  • Balconi.

 

Gli Interventi previsti

  • Sistemazione a verde (semina e/o piantumazione alberi e/o arbusti) di aree scoperte di edifici privati esistenti, unità immobiliari e pertinenze, compresi i terrazzi;
  • realizzazione di coperture a verde attraverso la realizzazione di tetti verdi e di giardini pensili;
  • recinzioni, impianti di irrigazione e realizzazione di pozzi;
  • manutenzione straordinaria volta a riqualificare aree verdi esistenti e terrazzi.

 

Chi può accedere al bonus verde

Tutti i contribuenti assoggettati all’IRPEF che possiedono o detengono l’immobile:

  • Proprietari
  • Nudi proprietari
  • Titolari di diritto reale di godimento sull’immobile oggetto d’intervento (usufrutto, uso, abitazione o superficie)
  • Locatari o comodatari.

 

La detrazione

Detrazione IRPEF del 36% sulle spese sostenute nel 2019 per questi interventi:

  • sistemazione a verde di aree scoperte private di edifici esistenti, unità immobiliari, pertinenze o recinzioni, impianti di irrigazione e realizzazione pozzi
  • realizzazione di coperture a verde e di giardini pensili.

La detrazione del 36% viene calcolata su un tetto di spesa pari a 5.000 euro per ogni unità immobiliare a uso abitativo (sono comprese le spese di progettazione e manutenzione connesse agli interventi).

La detrazione è spalmata in 10 quote annuali di pari importo.

In pratica, spendendo 5.000 euro (ovvero l’importo massimo previsto) si ottiene una detrazione totale pari a 1.800 euro (180 euro/anno per 10 anni).

Attenzione: La detrazione è prevista anche per gli interventi sulle aree comuni dei condomini, sempre con il limite di 5.000 euro di spesa per ogni unità abitativa.

 

Pagamenti

Per usufruire del bonus, è necessario che i pagamenti siano tracciabili, ovvero effettuati tramite:

  • Bonifico parlante
  • Assegno
  • Bancomat
  • Carte di credito
  • Bonifici ordinari.

Chiarimenti

  • Per accedere al bonus, gli interventi svolti devono essere di natura straordinaria (opere che riguardano l’intero giardino o l’area interessata: sistemazione ex novo o rinnovamento radicale).
  • È agevolabile anche la collocazione di piante e vegetali in vasi, a patto che questo rientri in un intervento più ampio
  • Il bonus è cumulabile su più immobili
  • Possono rientrare nell’agevolazione gli interventi mirati al buono stato vegetativo e alla difesa fitosanitaria di alberi secolari o di esemplari arborei di notevole pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale, la cui tutela è strettamente collegata alla tutela del territorio e dell’ecosistema.

UNICEF Generation: tre giorni a Roma per celebrare i diritti dell’infanzia

Il 2019 segna il trentennale della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 20 novembre 1989 e divenuta rapidamente il trattato sui diritti umani più ratificato della storia.
 
Per accendere i riflettori sui diritti e sul futuro dei bambini l’UNICEF Italia organizza nel cuore di Roma un evento che dal pomeriggio di venerdì 29 marzo alle 13 di domenica 31 vedrà alternarsi rappresentanti delle istituzioni, opinion leader e giornalisti, personalità del mondo della cultura, della politica, dello spettacolo e dello sport.
 
Un’occasione per affrontare le tematiche del nostro tempo con uno sguardo rivolto ai protagonisti del nostro futuro – i bambini, gli adolescenti e i giovani – andando oltre i luoghi comuni e gli stereotipi.
Nella struttura allestita in Piazza del Popolo, capace di quasi 200 posti, saranno aperti al pubblicodibattiti e tavole rotonde, presentazioni di libri e proiezioni di film, ma anche laboratori creativi e spazi di gioco riservati ai più piccoli (e non solo!).
 
Pannelli interattivi e una serie di materiali usati nei progetti e nelle emergenze umanitarie aiuteranno a far conoscere più da vicino il lavoro che l’UNICEF conduce quotidianamente in 150 Paesi in via di sviluppo nel mondo.

Giappone: si dimette il presidente del Comitato olimpico Takeda

Il presidente del Comitato olimpico del Giappone (Joc), Tsunekazu Takeda, indagato per corruzione dalla magistratura francese, ha rassegnato le dimissioni.

Takeda era tornato a dirsi innocente il mese scorso, di fronte al consiglio esecutivo del Joc. Il funzionario si era scusato per aver causato discredito all’Organizzazione: “Mi impegno solennemente a lavorare da questo momento in poi per fugare qualunque sospetto”, aveva detto il funzionario, riferendosi alle presunte tangenti pagate per garantire la selezione della candidatura di Tokyo ad ospitare le Olimpiadi estive del 2020. L’ormai ex presidente del Joc aveva confermato di essere già stato interrogato dalle autorità francesi a Parigi, lo scorso dicembre.

Stando alle prime indiscrezioni di stampa, il ruolo di Takeda potrebbe essere assunto dall’ex medaglia d’oro del judo Yasuhiro Yamashita, o da Kozo Tashima, entrambi dirigenti del Joc.

Green Jobs – Matera 2019

Si terrà oggi nella Città dei Sassi, una conferenza stampa durante la quale verrà sottoscritto l’Accordo Green Jobs – Matera 2019, tra la Fondazione Matera-Basilicata, il Comune di Matera, la Camera di Commercio della Basilicata, l’Università degli Studi della Basilicata ed il Consorzio nazionale imballaggi. Un impegno rivolto alla diffusione dei principi della sostenibilità attraverso momenti di sensibilizzazione e informazione sul territorio. Un appuntamento importante per mettere l’accento sul leitmotiv dell’economia circolare che si basa su un cambio di paradigma dove sistema economico e sistema ecologico non si trovano su uno stesso piano, scambiandosi risorse naturali, fattori di produzione, beni e servizi economici, scarti e rifiuti.  Lo sguardo cambia per instaurare una relazione circolare dove il sistema economico si trova all’interno di un più ampio sistema ecologico e, pur usufruendo delle sue risorse naturali come dei suoi servizi ecosistemici, deve rispettarne regole di funzionamento, limiti fisici, biologici e climatici. Una transizione che richiede un cambiamento strutturale, un ripensamento delle strategie e dei modelli di mercato per salvaguardare la competitività dei settori industriali e il patrimonio di risorse naturali.

A differenza del sistema definito lineare (che parte dalla materia e arriva al rifiuto) l’economia circolare è un’economia in cui i prodotti di oggi sono le risorse di domani, in cui il valore dei materiali viene il più possibile mantenuto o recuperato, in cui c’è una minimizzazione degli scarti e degli impatti sull’ambiente. La transizione verso un’economia circolare richiede quindi un cambiamento culturale e strutturale. Una profonda revisione e innovazione dei modelli di produzione, distribuzione, consumo che rappresentano i cardini di questo cambiamento, con l’abbandono dell’economia lineare, il superamento dell’economia del riciclo e l’approdo all’economia circolare, passando per nuovi modelli di business e trasformazione dei rifiuti in risorse ad alto valore aggiunto.

In questa direzione guardano i cosiddetti green jobs (lavori verdi) che hanno l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale delle imprese portandolo ad un livello sostenibile, trovando strategie produttive di beni e servizi che riescano a limitare il consumo delle materie prime correlandovi benefici ecologici. Su questo sfondo è perciò rilevante la nascita di nuove figure professionali, alle quali sono richieste competenze specifiche nell’ambito dello sviluppo sostenibile, della tutela ambientale e del risparmio energetico. La green economy rappresenta infatti una valida strada per rilanciare l’economia del nostro Paese investendo in una maggiore attenzione alle risorse del territorio. Domani a Matera nel corso dell’evento, che si terrà presso il Comune della città, verrà presentato il ciclo di formazione  promosso dal Conai in collaborazione con l’Università, rivolto ai giovani laureati, per lo sviluppo di competenze e opportunità professionali nei settori dell’economia circolare. L’Accordo s’inserisce nel più ampio ambito del Protocollo d’intesa siglato tra le città di Matera e Cortina, per collaborare alla sostenibilità di grandi eventi come Matera Capitale europea della Cultura 2019 e i successivi Mondiali di Sci Alpino di Cortina 2021.

Cnr: super-sensore per la diagnosi precoce del morbo di Alzheimer

La Commissione europea ha nominato l’Istituto di scienze applicate e sistemi intelligenti (Isasi) del Cnr coordinatore di un consorzio europeo per lo sviluppo di un super-sensore per la diagnosi precoce del morbo di Alzheimer, tramite un esame del sangue. Il nuovo dispositivo consentirà una diagnosi rapida e non invasiva e un intervento terapeutico tempestivo e mirato. Il progetto ha ricevuto un finanziamento di più di 3 milioni di euro

SensApp (Super-sensitive detection of Alzheimer’s disease biomarkers in plasma by an innovative droplet split-and-stack approach), ha l’obiettivo di sviluppare un super-sensore per la diagnosi precoce del morbo di Alzheimer, tramite un semplice esame del sangue. Il progetto coordinato dall’Istituto di scienze applicate e sistemi intelligenti del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isasi) è stato selezionato tra 375 proposte e finanziato dalla Commissione Europea con più di 3 milioni di euro nell’ambito del pilastro di eccellenza FET Open del programma Horizon 2020.

“Il progetto mira a sviluppare un super-sensore completamente nuovo in grado di rilevare i marker specifici del morbo di Alzheimer (beta-amiloide, tau, tau fosforilata) in una semplice goccia di sangue prelevata dal paziente”, afferma Simonetta Grilli, ricercatrice Cnr-Isasi e coordinatrice del consorzio. “A oggi una diagnosi certa del morbo di Alzheimer è pressoché impossibile. I marker suddetti vanno ricercati nel liquido spinale del paziente che viene prelevato tramite puntura lombare, un intervento molto rischioso, poco praticabile e che richiede l’ospedalizzazione del paziente. Tenendo conto la grande diffusione della malattia e la crescente aspettativa di vita, il super-sensore sviluppato dal progetto SensApp rivoluzionerà l’approccio clinico al morbo di Alzheimer con un enorme impatto sulla società. La tecnologia abilitante è nuova e l’abbiamo nominata ‘droplet-split-and-stack’. Si basa sull’effetto piroelettrico e ci consente di superare i limiti di diffusione riscontrati nei test immunologici tradizionali.”

Aldo Moro e la democrazia difficile – Video integrale

Grati a Zingaretti

Diciamocelo con franchezza e con onestà. Dobbiamo essere sinceramente grati a Nicola Zingaretti. Lo devono essere la sinistra, il centro sinistra, i democratici sinceri e forse l’intera politica italiana. Zingaretti è riuscito, in poco tempo e con la sua leadership, dimessa ma chiara, di centrare un obiettivo: e cioè, aver fatto ridiscendere in campo la sinistra. E quindi, di conseguenza, ridare vita ad un partito di sinistra. È tornata, in sintesi, la gloriosa esperienza e tradizione della sinistra italiana. È tornato, cioè, il Pds travestito da Pd. Questo è il grande cambiamento giustamente richiamato dal neo segretario nazionale del Pd Zingaretti. Del resto, solo un esponente, peraltro autorevole e prestigioso, della lunga e travagliata filiera del Pci/Pds/Ds poteva guidare questa nuova fase politica.

È persin scontato che tutto ciò coincida con il radicale superamento di quello che ha caratterizzato la fase politica precedente del Partito democratico. E quindi l’archiviazione definitiva del renzismo, del partito a vocazione maggioritario, del partito plurale – la pluralità vera, però, non quella finta della propaganda – della identificazione del partito con il suo capo, della liquidazione delle alleanze e via discorrendo. È un altro partito, un altro progetto politico, un altro approccio e, soprattutto, un’altra modalità concreta di far politica.

Appunto, e’ un altro partito con un’altra ragione sociale. È tornata, lo ripeto, la tradizione, l’esperienza, la cultura e la prassi della sinistra post comunista. Certo, e’ curioso che questo cambiamento totale e radicale sia co-gestito da molti di coloro che sino a qualche mese fa erano turbo renziani e feroci ed esaltati tifosi di Renzi e del renzismo. Faceva un certo effetto, al riguardo, assistere al ripetuto applauso ad ogni passaggio dell’intervento di Zingaretti di fronte ai delegati dell’Assemblea nazionale di personaggi come Piero Fassino – un nome per tutti – quando il neo segretario invocava una radicale discontinuità con il passato. Quel passato che vedeva moltissimi esponenti seduti in prima fila all’hotel Ergife spellarsi le mani quando Renzi invocava “radicale discontinuità” rispetto alla gestione bersanaiana ed avallare, di conseguenza, tutte le scelte politiche strategiche di Renzi. Ma questo e’ un dettaglio, fa parte del cronico malcostume della politica italiana. Come quello di far credere che nel nuovo corso del Pd/Pds siano scomparse le correnti e i molteplici e profondamente radicati gruppi di potere che caratterizzano la storia e l’esperienza di questo partito. Una balla che, comprensibilmente, va raccontata ai gonzi ogniqualvolta si inaugura un cosiddetto “nuovo corso”.

Ma, al di là di questi aspetti folcloristici, quello che conta adesso sotto il profilo politico e strategico, e’ la chiarezza che Zingaretti ha impresso al nuovo corso del Pd/Pds. Finalmente, era ora, e’ ritornata la sinistra con tutti i suoi riti, la sua simbologia, la sua storia, la sua esperienza e le sue modalità concrete di rapportarsi con la società italiana in questa particolare fase storica. Ne avevamo bisogno. E Zingaretti, proprio per non smentire questa “rivoluzione”, l’ha subito fatto capire. Al di là, e com’è ovvio e comprensibile, degli slogan e della propaganda che recita il contrario.

Ora va costruita la coalizione e l’alleanza. La sinistra, la filiera di Zingaretti del Pci/Pds/Ds farà sicuramente la sua parte. E la farà al meglio, ne sono profondamente convinto. Salvo sorprese. Tocca a chi non proviene da quella nobile e gloriosa tradizione ricostruire un altro campo. Quello del cosiddetto “centro”, liberal democratico e cattolico popolare, riformista e moderato, di governo e plurale. Pensare che il nuovo Pd/Pds assolva a quella funzione, oltrechè ingeneroso, sarebbe anche scorretto e profondamente nocivo.

Per il momento, però, dobbiamo essere francamente grati a Zingaretti. Finalmente ha fatto chiarezza nella politica italiana. Almeno nel campo della sinistra e del centro sinistra.

Elezioni europee: il Manifesto dell’Unione dei federalisti, “Io scelgo l’Europa”

Un Manifesto per le elezioni europee (“Per un’Europa federale: sovrana, democratica, sociale”), un impegno per i candidati al Parlamento europeo e un impegno per i cittadini a esprimere il loro sostegno alle proposte federaliste compongono la campagna dell’Unione dei federalisti europei verso le elezioni del maggio prossimo.

“Io scelgo l’Europa”, il titolo, propone sei piste concrete per “rifondare l’Europa”: dal rafforzamento dell’eurozona e il completamento dell’unione bancaria a una politica europea coerente in materia di immigrazione e asilo; una politica estera e di sicurezza “forte” e “resiliente”; un bilancio europeo indipendente; lotta per il clima con la creazione di una Banca europea per il clima; il passaggio a un’Europa federale.

“Vogliamo che i cittadini affermino con forza ‘scelgo l’Europa’ e vadano a votare alle elezioni europee, contro il progetto di nazionalisti e populisti di smantellare la nostra Europa, ma anche contro uno status quo europeo che non è più sostenibile”, ha dichiarato Sandro Gozi, presidente dell’Unione.

L’Unione dei federalisti europei (UEF) è un’organizzazione politica non governativa paneuropea dedicata alla promozione dell’unità politica europea.

Fu fondato poco dopo la seconda guerra mondiale, nella convinzione che solo unendosi in una Federazione europea gli Stati europei potessero superare le divisioni del passato e assicurare un futuro di pace e prosperità economica.

Per questo “Invitiamo i cittadini a votare per i candidati che chiaramente esprimono il loro sostegno per un audace rilancio europeo e per le riforme verso un’Europa federale”. Il materiale della campagna è disponibile in diverse lingue su https://www.federalists.eu/

La grande forza dell’economia di comunione, ossia dell’economia civile

Articolo già apparso sulle pagine di Servire l’Italia

Dal 29 al 31 marzo si svolgerà a Firenze il Festival dell’Economia Civile (vedi l’interessante programma su www.festivalnazionaleeconomiacivile.it/economia-civile/).

Gli organizzatori, guidati dagli economisti Leonardo Becchetti, Luigino Bruni e Stefano Zamagni, sottolineano:
“L’economia civile è un’invenzione italiana; un modo diverso di guardare alla realtà economica e un insieme di prassi imprenditoriali, che affondano le radici nella cultura economica e nella storia imprenditoriale dei nostri comuni. La scienza economica, alle sue origini, aveva però come obiettivo la fede pubblica, ovvero la felicità delle nazioni, ma con l’avvento della prima rivoluzione industriale la ricerca della pubblica felicità è stata sostituita dalla ricchezza delle nazioni.

Il modello economico dominante con i suoi limiti ci ha poi portato al paradosso di una ricerca della ricchezza economica che produce oggi una ricchezza senza nazioni e nazioni senza ricchezza e senza qualità del lavoro.
L’Economia Civile vuole ritornare a quella ‘fede pubblica’, promuovendo una nuova generazione d’imprenditori ‘più ambiziosi’ e generativi che guardano non solo al profitto, ma anche all’impatto sociale delle loro azioni e che incarnano le loro azioni nelle tante nuove forme emergenti d’impresa, come le imprese cooperative, le imprese etiche e socialmente responsabili. Noi vogliamo partire da qui, da questo Festival, per una affascinante missione di cambiamento del Paese, nel quale si può realizzare anche la ricchezza di soddisfazione e di senso della nostra vita.

L’Economia Civile ha questa ambizione, quella di porre i semi per il cambiamento del mondo”.
Sabato scorso il Papa ha parlato a 7.000 membri della Confcooperative, il mondo della cooperazione “bianca” che compie 100 anni (3,2 milioni di associati a 19.000 cooperative con 66 miliardi di fatturato annuo). Le loro “radici” risalgono agli anni ’80 del 1800, quando nel Veneto “esplode” il fenomeno del lavoro cooperativo ed è notato e studiato da Giuseppe Toniolo. Questi lo “trasmette” con entusiasmo a Leone XIII ed è così che nasce la “Rerum novarum”. Nel 1896 il giovane sacerdote Luigi Sturzo partecipa presso l’Università Gregoriana alle lezioni di economia sociale del Toniolo.

Ritorna a Caltagirone e inizia a “fare scuola” nell’economia della sua città, dimostrando quanto sia valida la rivoluzione pacifica del Cristianesimo. Nel secondo dopoguerra, Igino Giordani – uno dei collaboratori più stretti di Sturzo nel Partito Popolare Italiano – fonda con Chiara Lubich il Movimento dei Focolarini e dalla comunità di Loppiano parte l’idea dell’Economia di Comunione, gemella dell’Economia Civile, di cui si parlerà a fondo nel Festival di fine mese a Firenze.

Cambiare il mondo sarà difficile entro questo secolo, ma intanto iniziamo dall’Italia, culla della “vera economia equa e solidale”, che si dovrà realizzare con i valori morali e liberali (non liberisti) testimoniati da “giganti” del pensiero cristiano come Toniolo e Sturzo.

Swg: il Partito democratico aggancia i Cinquestelle

L’ultima rilevazione eseguita da Swg su un campione di 1.500 maggiorenni italiani, i cui esiti sono pubblicati nello speciale “Gli italiani e l’ambiente” di “PoliticApp” diffuso oggi fa emergere un quadro diverso delle intenzioni di voto.

Nella rilevazione eseguita tra il 4 e il 18 marzo, se si dovesse votare oggi il 33,9% sceglierebbe la Lega (+0,2% rispetto ad una settimana fa) mentre il 21% il Movimento 5 Stelle (-0,8%). Aumento di consensi per Partito democratico (21,1%, +0,8%), Fratelli d’Italia (4,4%, +0,3%), +Europa (3%, +0,2%) e Potere al popolo (2%, +0,1%).

In calo Forza Italia (8,6%, -0,3%), raggruppamento Mdp-Si-altri sinistra (2,4%, -0,2%) e Verdi – Italia in Comune (1,1%, -0,1%). Continuano a diminuire anche i consensi a favore di altri partiti (2,5%, -0,2%). Nuovo significativo calo per la percentuale di quelli che non si esprimono, passati in una settimana dal 29,1% al 27,4%; erano il 30,8% quindici giorni fa.

Elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali

Per “prodotto agroalimentare tradizionale” s’intende quello destinato all’alimentazione, le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura sono eseguite in maniera omogenea e secondo regole tramandate, consolidate e protratte nel tempo (periodo non inferiore a 25 anni). Sono esclusi i prodotti agroalimentari registrati come Dop e Igp. In riferimento a ciò è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 12 marzo 2019, n. 60 la diciannovesima revisione dell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali delle regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano. L’elenco quest’anno si è arricchito di 99 nuovi prodotti tradizionali, per un totale di 5.155.

La regione che ha presentato l’elenco più numeroso è la Campania, con 531 Pat, seguita dalla Toscana e dal Lazio rispettivamente con 461 e 428 prodotti agroalimentari tradizionali. Gran parte dei Pat rientra nelle categorie “Paste fresche e prodotti della panetteria, della biscotteria, della pasticceria e della confetteria” (1.561 prodotti complessivi), “Produzioni vegetali allo stato naturale o trasformate” (1.457), nonchè “Carni e frattaglie – fresche e loro preparazione” (799 prodotti). L’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali è stato pubblicato per la prima volta nel 2000, con il decreto ministeriale del 18 luglio 2000. Successivamente, con decreto interministeriale 9 aprile 2008, i prodotti agroalimentari italiani tradizionali sono stati considerati espressione del patrimonio culturale italiano.

La Bicocca lancia la prima edizione della Martini Lecture

Venerdì 22 marzo 2019, alle ore 11 nell’Auditorium “G. Martinotti” dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca (via Vizzola 5, Milano), si terrà la prima edizione della Martini Lecture Bicocca, una lettura attualizzata del magistero del Cardinale Carlo Maria Martini, Arcivescovo di Milano dal 1980 al 2002.

Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) terrà una conferenza dal titolo: “Esodi forzati oggi: una questione di umanità”. Eletto dall’Assemblea generale dell’ONU il 1° gennaio 2016 e primo italiano a ricoprire questo ruolo, Filippo Grandi è l’undicesimo Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. E’ a capo della principale agenzia umanitaria delle Nazioni Unite, che fornisce protezione e assistenza a 68,5 milioni di rifugiati, sfollati interni e apolidi e che per due volte ha vinto il Premio Nobel per la Pace.

L’intervento di Grandi sarà introdotto dal Professor Paolo Bonetti con un discorso dal titolo: “Martini di fronte all’immigrazione e agli stranieri: prospettive per le istituzioni e la convivenza di tutti”. Bonetti è Professore Associato di Diritto Costituzionale in Bicocca e Direttore del master “Diritto degli stranieri e politiche migratorie”.

Coordinerà Valentina Furlanetto, giornalista di Radio 24 Il Sole 24 Ore, mentre porgerà il benvenuto dell’Ateneo il Rettore, Cristina Messa.

La Martini Lecture Bicocca è proposta dal Centro pastorale “C. M. Martini” in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e la Fondazione Carlo Maria Martini. È patrocinata dalla Diocesi di Milano.

Il comitato scientifico che ne coordina le attività è composto da Loredana Garlati (Pro-Rettore per l’Orientamento e le attività del Job Placement nell’Università Bicocca), Salvatore Carrubba, (Direttore della Scuola di Comunicazione della IULM), Monsignor Luca Bressan (Vicario episcopale per la Cultura, la Carità, la Missione e l’Azione Sociale della diocesi di Milano), Padre Carlo Casalone SJ (Presidente della Fondazione Carlo Maria Martini) e don Marco Cianci (Responsabile della Pastorale universitaria della diocesi di Milano).

L’edizione 2019 della Martini Lecture Bicocca prende avvio dal pensiero e dagli interventi del Cardinale raccolti nel volume dell’Opera Omnia Giustizia, etica e politica nella città (Bompiani, 2017) e in particolare dal discorso di S. Ambrogio del 1989 dal titolo: “Per una città e un’Europa accoglienti” (pagg. 872-877), dalla riflessione sui diversi modelli di famiglia che si incontrano nelle differenti culture (pagg. 1791-1794) e dalla presentazione dello straniero nella Bibbia (pagg. 1807-1811).

A partire da queste pagine Filippo Grandi commenta: «La pratica di garantire protezione alle persone costrette a fuggire per cercare rifugio è un imperativo umanitario di lunga data che trova espressione in tutte le maggiori tradizioni religiose. È una pratica profondamente radicata nella storia dell’umanità, ed è ora parte del diritto internazionale. Oggi, con più di 68,5 milioni di persone costrette a fuggire a causa di conflitti e violenza, le questioni relative ai rifugiati e alle migrazioni sono diventate un elemento cruciale delle agende politiche, spesso con conseguenze negative. Eppure, allo stesso tempo, c’è stata una forte crescita di solidarietà e una riaffermazione dei valori e degli standard fondamentali per fornire protezione e rifugio a coloro che fuggono dalla guerra e dalle persecuzioni, dal livello locale a quello globale».

La Lecture esaminerà lo stato della risposta mondiale agli esodi forzati oggi e i motivi per cui affrontare e risolvere la difficile situazione di chi è costretto a fuggire è fondamentale per tracciare un percorso verso pace e stabilità nel mondo travagliato di oggi.

Internet ha ucciso il rock

É stato presentato al CREO  di Taranto, il libro di Giancarlo Caracciolo, intervistato da Leonardo Piccione. Il titolo del libro è “Internet ha ucciso il Rock” edito da Les Flaneurs Edizioni.

“In effetti come dice Kirk Hammet il chitarrista dei Metallica, riportato nel libro, la pirateria e in generale Internet hanno distrutto l’industria musicale, e hanno cambiato talmente tanto la musica fino ad influenzare i modi in cui la stessa suona adesso. Non c’è più interesse ora a diventare il miglior musicista possibile o la migliore band al mondo, puoi registrare qualsiasi cosa e pubblicarla, la gente dirà che è una figata o che fa schifo e si andrà avanti. Una volta si doveva lavorare durissimo per guadagnarsi rispetto, pubblicare grandi dischi e confrontarsi con gruppi eccezionali ora tutto questo non c’è più, si pubblica qualcosa e si lascia che vada da una parte all’altra del mondo virtuale. Chi parla è Giancarlo Caracciolo, e risponde alla domanda di Leonardo Piccione: il rock ha una possibilità di resurrezione ?

Ciò che manca è il fatto che non esiste più una comunità, come per esempio quella presente alla presentazione del libro, che si incontra e parla, ora invece in generale ognuno pensa per sé. Una volta l’uscita di un nuovo disco di una band era un evento per molte persone, che si trovavano al negozio per comperare l’album e ci si parlava.
“Quindi la risposta è: o ci allontaniamo da internet e ne facciamo un utilizzo consapevole tornando a comunicare tra di noi creando un movimento sociale artistico oppure è un genere sul quale io ci metto una croce sopra e quindi andremo avanti di commerciale di pop, di latino, balleremo tantissimo ma penseremo un po’ meno” è sempre l’autore che parla.

E Leonardo Piccione ha espresso la sua esperienza confortante:“Io posso dire che la resurrezione del Rock può esserci, ne ho una testimonianza, negli ultimi quattro anni, insieme ad altre persone tra cui anche mio fratello qui presente, Giuseppe Piccione, che è un rappresentante amministrativo del “Whisky a go go” di viale dei Micenei sulla Litoranea Salentina, nel quale i ragazzi hanno voluto lanciare una sfida a se stessi e quindi promuovere l’ascolto di questa musica e posso dire che siamo arrivati a far ballare la gente, anche quei ragazzi che poi in auto ascoltano altra musica, quindi secondo me possiamo perseguire questo obiettivo”.

Secondo l’intervistatore nel presentare questo libro, si è voluto creare un connubio tra la musica e la cultura, tra la musica del vecchio rock degli anni ‘70, ‘80, per dare un’impronta diversa che va lontano dalla solita concezione della musica tramite internet.
L’opera nasce da un ragionamento personale dell’autore, che è un appassionato di musica tendenzialmente rock e non solo. Nel tempo si è reso conto che negli ultimi anni veniva a mancare qualcosa. L’idea del rock inteso non solo come stile musicale ma come idea filosofica stava venendo a scemare negli ultimi anni. L’ultima grande band degna di essere ricordata nel tempo, secondo l’autore, è quella dei Muse. Non è mai successo che il rock vivesse un momento così lungo di mancanza di espressione d’identità e quindi da qui è partita la sua analisi che ha partorito il testo.

Il libro narra la storia di undici persone, tra cui vi sono degli adolescenti ed ha una cronologia che va da Elvis ai Muse. “Non si tratta di un testo saggistico, né narrativo, né giornalistico ma sostanzialmente è tutte e tre le cose messe insieme – dice l’autore – ho voluto fare una cosa diversa, anziché il solito librone da filosofo, ho pensato bene di narrare undici storie di undici persone vissute in momenti e posti differenti per identificare quei momenti chiave in cui il rock è stato in grado di segnare delle generazioni”. La prima storia è ambientata fine anni quaranta inizio anni cinquanta, gli anni del blues mentre la società cercava un cambiamento dopo le guerre, per terminare nel 2006 con il rock alternativo dei Muse. I personaggi vivono in tempi e luoghi diversi, ognuno con le proprie battaglie da combattere e i propri sogni da rincorrere ma tutti con la stessa passione: la musica. Alternando momenti narrativi ad altri di carattere divulgativo, undici fotografie di altrettante epoche storiche raccontano come i progressi tecnologici influenzino la musica e come questa a sua volta influenzi la società. Ultimamente questo tema sta uscendo in maniera imponente: vi è una serie di interviste uscite fuori negli ultimi mesi, di grandi rocker che hanno confermato che il settore è in difficoltà anche per via di una distorsione del mercato per via del web.

E in un’ ultima riflessione l’autore ci dice che la musica house, pop, per quanto possano piacere o no, sono dei generi che anche grazie alla rete riescono a diffondersi in modo imponente. Il problema è per quelle band che non vogliono vendere la loro immagine, ma sopratutto comunicare una idea. Oggi Internet è diventato il nostro modo per divorare le cose anziché gustarcele ed una idea deve essere assaporata non divorata in cinque secondi come se fosse la pubblicità di qualcosa, ecco perché alcuni generi sopravvivono altri meno. La musica rap continua a sopravvivere, nelle strade dei ghetti si continua a cantare e i risultati sono che il rapper Kendrick Lamar ha vinto il Premio Pulitzer per i testi di un album. Quindi vuol dire che sopratutto negli Stati Uniti il rap continua ad essere un modo di comunicare, un’idea da condividere “face to face” e non solo con il “mi piace”.

La Nuova Zelanda cambierà la legge sulle armi

Il primo ministro della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern, ha annunciato che entro dieci giorni sarà annunciata una riforma della legge sulla vendita delle armi.

“Abbiamo preso una decisione come governo, siamo uniti”, ha dichiarato la prima ministra laburista, che aveva accanto a sé Winston Peters, suo vicepremier e partner nella coalizione di governo. Il partito di Peters, New Zealand First, che si era opposto finora alla stretta sulle armi, ha dato sostegno totale alle riforme. “La realtà è che dopo le 13 di venerdì il nostro mondo è cambiato per sempre e le nostre leggi faranno lo stesso”, ha dichiarato il vicepremier Peters.

Attualmente si può possedere un’arma già a 16 anni, dai 18 armi automatiche. La licenza viene concessa dopo controlli medici e sulla fedina penale, ma non ci sono limiti al numero di armi che si possono possedere.

Solo le armi automatiche devono essere registrate, ma c’è chi evade quest’obbligo modificando le armi con l’aggiunta di caricatori.

Che cos’è l’ipertensione?

L’ipertensione o ipertensione arteriosa è una condizione clinica in cui la pressione del sangue nelle arterie della circolazione sistemica risulta elevata. Ciò comporta un aumento di lavoro per il cuore. La pressione arteriosa è riassunta da due misure, sistolica e diastolica, che dipendono dal fatto che il muscolo cardiaco si contrae (sistole) e si rilassa (diastole) tra un battito e l’altro. La pressione sanguigna normale a riposo è compresa tra i 110 e i 140 mmHg di sistolica e tra i 60 e i 90 mmHg di diastolica. Viene considerata un’ipertensione se vi è una pressione frequentemente pari o superiore ai 140/90 mmHg.

L’ipertensione viene classificata come primaria (essenziale) o come secondaria. Circa il 90-95% dei casi sono classificati come “ipertensione primaria”, il che significa che vi è pressione alta senza evidenti cause mediche di base. Il restante 5-10% dei casi, classificati come “ipertensione secondaria” sono causati da altre malattie che colpiscono i reni, le arterie, il cuore o il sistema endocrino.

L’ipertensione è un fattore di rischio per l’ictus, per l’infarto del miocardio, per l’insufficienza cardiaca, per gli aneurismi delle arterie (es. aneurisma aortico), per la malattia arteriosa periferica ed è una causa della malattia renale cronica. Anche moderate elevazioni della pressione sanguigna arteriosa vengono associate a una riduzione dell’aspettativa di vita.

Cambiamenti nella dieta e nello stile di vita sono in grado di migliorare sensibilmente il controllo della pressione sanguigna e di ridurre il rischio di complicazioni per la salute. Tuttavia il trattamento farmacologico è spesso necessario in persone per le quali i cambiamenti dello stile di vita risultino inefficaci o insufficienti.

Il tempo non è galantuomo con Zingaretti

Guardare dentro il Pd significa scrutare i segni di ricostruzione di una politica alternativa al governo giallo-verde. Il neo-Segretario, ieri formalmente insediato davanti all’Assemblea nazionale, ha voluto lanciare un messaggio di rottura verso la gestione degli ultimi anni. “Serve un nuovo partito – ha detto -, il nuovo Pd. Forse dovrà cambiare tutto”. Con questo impegno inizia una fase nuova, ma tuttora imprecisata.

Dove voglia andare Zingaretti, non è affatto chiaro. Da un lato, chiuso il capitolo del renzismo, enuncia la preferenza per un governo collegiale del partito; dall’altro, forte di una investitura garantita massicciamente dal voto nelle primarie, non può sottrarsi all’esercizio di una leadership non esente da “decisionismo leaderistico”. L’entusiasmo  registrato in sala, con il migliaio e passa di neo-eletti al parlamentino dem, manifesta il valore di un chiaro affidamento. Zingaretti, in un certo senso, ha carta bianca.

Sì, ma per fare cosa? A parte l’enfasi sul partito aperto e la condanna dell’operato di governo, le linee di programma di una nuova opposizione restano ancora imprecisate. Si possono cogliere solo alcuni scampoli del percorso immaginato dal neo-Segretario. Certamente, una volta dichiarata l’indisponibilità a promuovere alle Camere un possibile ribaltone, agognando semmai la strada del ricorso anticipato alle urne, l’immagine del Pd è destinata fatalmente a colorarsi di annunci funzionali allo scontro elettorale. Non a caso, la relazione di ieri ha sorvolato sulla strategia da adottare in merito al risanamento delle finanza pubblica – anzi ha proposto di spendere 10 miliardi per scuola e sanità senza individuare coperture adeguate – e al rilancio produttivo del Paese. Per adesso le parole d’ordine suonano tranquillizzanti, come se l’Italia potesse uscire dalla crisi con la somministrazione di farmaci anti-stress e con l’agitazione di temi funzionali alla raccolta del consenso elettorale.

Quel che emerge, in ogni caso, è il diverso approccio in materia di alleanze. La stagione del partito a vocazione maggioritaria è archiviata senza rimpianto. Zingaretti intende rivolgersi al civismo, alle componenti liberali, anche alle forze conservatrici, purché sane; intende cioè forgiare nel dialogo allargato una coalizione capace di tornare a competere, e possibilmente a vincere. Non si esce, tuttavia, dal labirinto degli auspici e delle buone speranze. Manca, in altri termini, un’analisi vera della rottura intervenuta il 4 marzo dello scorso anno. Sembra che la stella polare sia la ricostruzione della sinistra, con qualche orpello ai lati, giusto per  aggraziare l’arredo socialdemocratico offerto dal Pd.

Sì può desumere che la realtà s’incarichi, più in fretta di quanto sia oggi prevedibile, di mettere alla stanga il gruppo dirigente raccolto attorno a Zingaretti, obbligandolo a definire una proposta più concreta e incisiva. L’imminenza delle elezioni europee, in concomitanza con quelle amministrative, rende più stringente questa  facile predizione. Illudersi che la luna di miele duri a lungo potrebbe costare molto caro al segretario appena eletto. Il tempo, con lui, non è galantuomo.

Come interpretare la politica di Donat Catin

Non ho partecipato alla commemorazione organizzata giovedì scorso, nella Sala Koch del Senato, per i cento anni dalla nascita di Carlo Donat Cattin. Ero al dibattito su “Aldo Moro e la democrazia difficile. Ora come allora?” organizzato dal Circolo “I Liberi e forti” di Roma. Colgo quindi l’occasione per esprimere un pensiero absque exacta cura, un po’ alla buona, ma con autentica partecipazione.

Donat Cattin è stato un vero leader, con il senso spiccato dell’appartenenza popolare. Nel 1976 costrinse la Direzione nazionale Dc a spostare Umberto Agnelli da un collegio senatoriale piemontese a uno della Capitale: l’avversione alla Fiat degli Agnelli fu una costante della sua vita. Cuccia e Donat Cattin nutrivano, a riguardo, la medesima forma di idiosincrasia (in particolare per il secondogenito di Casa Agnelli).

Che dire? L’uomo di governo ha scritto pagine mirabili. Ovunque abbia messo piede, con la sua determinazione è riuscito a dare un senso alla funzione ministeriale. Ebbe il coraggio di nominare direttori generali dei giovani poco più che trentenni. Costruiva, non si limitava alla denuncia: a lui non si confaceva il mantra della rottamazione.

Dopo il Referendum sul divorzio prese le distanze dalla sua creatura – il settimanale “Sette Giorni” diretto da Pratesi ed Orfei – e incominciò ad alzare il muro verso l’incontro (di potere) tra Dc e Pci. Nondimeno, per la fiducia che riponeva in Moro, ebbe a sostenere lealmente la Segreteria di Benigno Zaccagnini. Dopo la drammatica vicenda del sequestro e della uccisione dello statista pugliese, in lui prevalse il timore che il connubio con i comunisti snaturasse la funzione popolare della Dc, spingendola a subire l’egemonia del PCI.

Il congresso del 1980 pose fine alla politica del confronto e gettò le basi del pentapartito. Sbagliò l’Area Zac a premere l’acceleratore, immaginando dopo la morte di Moro che l’unica via di uscita, ai fini della prosecuzione della linea politica morotea, fosse la conquista del 51% del partito. Il contraccolpo fu duro, Area Zac e Andreottiani ottennero solo il 40% dei voti congressuali e furono costretti all’opposizione.

Il vero artefice di questo révirement fu, come è noto, Carlo Donat Cattin. Il “suo” Preambolo, con il quale si apriva il documento finale della nuova maggioranza (Dorotei, Fanfaniani, sinistra di Forze Nuove), sbarrava la porta alla possibilità di recuperare il filo della collaborazione con il PCI e rilanciava l’intesa con i socialisti. Donat Cattin sottovalutò, a mio giudizio, la capacità di manovra di Bettino Craxi, nonché l’insidia di un progetto che formalmente rispondeva alla prospettiva di ripresa del centro-sinistra, ma congelava l’azione propulsiva dello Scudo Criciato. Gli americani e la Cdu di Helmut Khol assecondarono ampiamente la svolta, di cui Fanfani presumeva essere la fonte di legittimazione.

Il Preambolo e il Pentapartito definirono il perimetro del nuovo protagonismo socialista e, dentro quello stesso perimetro, il veleno di una sorta di accomodante e rinunciatario neo-doroteimo democristiano (contrastato negli anni della segreteria De Mita, ma non al punto di impedirne nel 1989 la baldanzosa ed effimera riconquista del partito). Quella rottura del 1980, tutta interna alla sinistra democristiana, con Donat Cattin deciso a far valere il motivo della sua battaglia nel segno dell’anticomunismo democratico di ispirazione cristiana, fu origine e causa di una irrimediabile lacerazione all’interno dell’intera compagine democristiana. Per questo ritengo che il Preambolo costituisca il punto di arrivo e di caduta, al tempo stesso, della posizione espressa e rappresentata da quella che nella Dc si soleva definire la “sinistra sociale” (Forze Nuove).

Qui sta, insomma, la grandezza e il limite della figura  di Donat Cattin, tanto nel suo indiscusso coraggio di visione politica quanto nella sua feroce asperità di carattere, forgiata evidentemente al fuoco di una presunzione di autosufficienza della “maggioranza democratica” in un contesto ancora dominato in Italia dal “fattore k” (l’anomalia del più grande partito comunista dell’Occidente). Una rilettura serena e rigorosa della storia vissuta e interpretata da Donat Cattin aiuterebbe a capire il viluppo dei problemi che infine soffocò l’esperienza, unica e irripetibile, della Dc. È un lavoro ancora da cominciare.

Il “ Prembolo” di Donat-Catin e l’abbandono della linea e del metodo di Aldo Moro

La lettura di quanto ha scritto l’amico Giorgio Merlo sul “ Preambolo” del 1980, soprattutto il modo con cui egli ne ha scritto, mi ha immediatamente portato alla mente la celebre frase “ Amicus Plato sed magis amica veritas”.

Subito dopo, mi ha costretto ad una riflessione più ragionata su quanto sia necessario avere il coraggio e le capacità di approfondire la Storia che ci riguarda, oltre che la cronaca.
Questo, proprio nel momento in cui si intende operare per ridare attualità e sostanza alla ispirazione popolare e cristiano democratica dedicandosi alla cosa pubblica.
Il tutto, ovviamente, non per rimestare antiche polemiche, riaprire ferite, indebolire relazioni ricucite; non per dare sfogo a rivendicazioni o a rivincite, o per quanto comunque edificante, ad una limitata ed episodica rilettura di fatti e cose di un’epoca che ha segnato molto di noi e tanto influito sul Paese.

In primo luogo, questo approfondimento storico culturale dovrebbe aiutare ad uscire dall’agiografia, così come dalla furia della critica per partito preso. Cose che pure spesso vediamo emergere nella realtà del nostro popolo, troppe volte all’oscuro di quanto non sia accaduto il giorno immediatamente precedente. Per non parlare poi delle ricostruzioni storiche sulla Dc d’impronta faziosamente laicista.
Si dovrebbe puntare alla completezza. Perché è questo che delinea meglio i fatti e consolida un percorso di riscoperta e di analisi intenzionate a definire ciò che ha contribuito a collocarci nella nostra attuale dimensione.

La questione del “ Preambolo”, la sua portata, le sue conseguenze possono costituire un ottimo inizio in questa direzione e, senza spirito di polemica o di critica al caro amico Giorgio, mi permetto di ricordare che quella presa di posizione significò una grave interruzione, se non addirittura la fine della politica e del metodo indicati da Aldo Moro.
Quella operazione significò l’estromissione dalla guida della Dc di quanti, nonostante ritardi e contraddizioni, provavano a riferirsi ancora all’animo e alla sensibilità “ morotea” della lettura delle cose del mondo e nell’individuare un percorso realistico e sostenibile.
Concorsero degli errori tattici compiuti dallo stesso Zaccagnini, il quale si presentò di fatto dimissionario, senza aver voluto risolvere la questione della sua successione, concretizzabile, in quel momento, o con Giovanni Galloni, o con Guido Bodrato o con Ciriaco De Mita.

Se i protagonisti sopravvissuti a quella vicenda vorranno un giorno disvelare ricordi e carte potremo meglio capire quanto ciò fu possibile a causa di una errata valutazione della situazione da parte dei componenti della cosiddetta “ banda di Shanghai”, alla guida di Piazza del Gesù attorno a Zaccagnini; quanto fu dovuto ai forti interessi anche occulti, dopo poco sarebbe scoppiato il bubbone P2; quanto, invece, il frutto di un’analisi politica, freddamente cinica e disincantata, su di una realtà difficile, resa ancora più difficile dal martirio di Aldo Moro e basata sul convincimento che fosse necessario mutare una rotta individuata e guidata con mano ferma da un “ nocchiero” ucciso nel frattempo, però, da un fuoco nemico e ostile proprio al percorso impostato lungo quella rotta.
Le testimonianze e le carte parleranno. Oggi, però, siamo già in grado di dire, come in molti già dicemmo allora, che il “ Preambolo” esprimeva la volontà della parte più chiusa della Dc di mettere la pietra tombale sul progetto moroteo al cui centro, con grande realismo e spirito costruttivo, brillava l’abnegazione profusa verso la costruzione di una democrazia compiuta.

Il “ Preambolo” significò puntare non su di una scelta di “ Confronto e rinnovamento”, bensì sulla mera gestione dell’esistente e del potere.
“ Confronto e rinnovamento” due facce della stessa medaglia di una politica che finiva inevitabilmente per contrastare e far esplodere le contraddizioni del Partito comunista nella maniera più intelligente e, intanto, richiamava energie nuove, si rivolgeva ai giovani, alle categorie economiche e sociali, al mondo della cultura con disponibilità rinnovata.
Per noi quella prospettiva, che comunque ne riceveva un fortissimo contraccolpo, non era finita il 16 marzo 1978 in Via Fani. Qui la sostanziale differenza con Carlo Donat Cattin.
Non a caso, “Confronto e rinnovamento” divenne il titolo del foglio che fondai su incarico di Galloni e di Bodrato, la cui redazione fu ricavata all’ultimo piano di Via della Vite 7, dove finimmo per acconciarci dopo lo “ sfratto” da Piazza del Gesù.

Una visione del tutto opposta a quella ruotante attorno all’idea di puntare su di una politica giocata esclusivamente sulla mera occupazione del gangli del potere dello Stato, dei vertici delle industrie di Stato, sull’insieme della cosa pubblica la quale, dopo la vittoria del “ Preambolo”, raggiunse invece il punto più alto e cominciò a lastricare la strada diretta verso la fine.

Inevitabilmente, vennero creati i presupposti perché si avviassero le prime grandi inchieste giudiziarie, rivelatrici di furiose lotte tra correnti, tra partiti, tra gruppi d’interesse; perché Berlinguer risolvesse le contraddizioni interne al Pci abbandonandosi al solo agitare della “ questione morale”, la quale ebbe il grande demerito di riguardare solo gli altri e non, come avrebbe poi dimostrato pure “ Mani pulite”, anche il suo stesso partito ed il suo ramificato sistema di potere; perché Bettino Craxi potesse scegliere decisamente un atteggiamento che puntava ad ottenere il consenso sulla sola base della muscolatura, enormemente più sviluppata della necessaria coerenza tra fini annunciati di riformismo del sistema politico istituzionale e gli strumenti a tal fine utilizzati.
E’ chiaro che in questa sede non posso che limitarmi ad una precisazione sommaria. Ho scritto anche troppo a lungo senza fare il mestiere del ricercatore, portando cioè più dettagliati dati di fatto, date, nomi, cifre, e purtroppo, lo dico con amarezza, altro…. Rimando quindi a quegli approfondimenti che, spero vivamente, degli storici volenterosi vorranno produrci.

E’ d’obbligo, però, concludere ricordando, proprio perché è necessario provare sempre ad essere equilibrati nel giudizio, che Carlo Donat Cattin è stato uno dei più significativi uomini politici italiani. Probabilmente, se fosse stato allora ancora in vita, e con lui Giovanni Marcora, non avremmo visto scomparire così ignominiosamente, così come è accaduto, la Democrazia cristiana.

E’ stato l’uomo che in tempi moderni ha meglio rappresentato la cosiddetta “ sinistra sociale” del mondo cattolico democratico. Egli seppe con il socialista Brodolini dare al “ rivoluzionario” Statuto dei lavoratori valida sostanza ed efficace concretezza.
Ha dimostrato grande capacità di azione politica nel raccordo con il sindacato cristiano. Al momento opportuno ha sostenuto l’azione di Aldo Moro condividendone lo spirito di rinnovamento. Ha, infine, vissuto con grande dignità dei momenti difficili nella vita privata.
Peccato che il suo nome, e la sua calligrafia, siano oggi pure legati ad un passaggio sbagliato, traumatico per il partito. Un passaggio pesante, ma effimero.
Non è un caso che solo poco tempo dopo la Dc dovette fare dietro front e mettere la parola fine ad una maggioranza che guardava soprattutto all’indietro.

Il Papa all’Angelus chiede di pregare per fermare l’odio che dilaga

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In questa seconda domenica di Quaresima, la liturgia ci fa contemplare l’evento della Trasfigurazione, nel quale Gesù concede ai discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni di pregustare la gloria della Risurrezione: uno squarcio di cielo sulla terra. L’evangelista Luca (cfr 9,28-36) ci mostra Gesù trasfigurato sul monte, che è il luogo della luce, simbolo affascinante della singolare esperienza riservata ai tre discepoli. Essi salgono col Maestro sulla montagna, lo vedono immergersi in preghiera, e a un certo punto «il suo volto cambiò d’aspetto» (v. 29). Abituati a vederlo quotidianamente nella semplice sembianza della sua umanità, di fronte a quel nuovo splendore, che avvolge anche tutta la sua persona, rimangono stupiti. E accanto a Gesù appaiono Mosè ed Elia, che parlano con Lui del suo prossimo “esodo”, cioè della sua Pasqua di morte e risurrezione. È un anticipo della Pasqua. Allora Pietro esclama: «Maestro, è bello per noi essere qui» (v. 33). Vorrebbe che quel momento di grazia non finisse più!

La Trasfigurazione si compie in un momento ben preciso della missione di Cristo, cioè dopo che Lui ha confidato ai discepoli di dover «soffrire molto, […] venire ucciso e risuscitare il terzo giorno» (v. 21). Gesù sa che loro non accettano questa realtà – la realtà della croce, la realtà della morte di Gesù –, e allora vuole prepararli a sopportare lo scandalo della passione e della morte di croce, perché sappiano che questa è la via attraverso la quale il Padre celeste farà giungere alla gloria il suo Figlio, risuscitandolo dai morti. E questa sarà anche la via dei discepoli: nessuno arriva alla vita eterna se non seguendo Gesù, portando la propria croce nella vita terrena. Ognuno di noi, ha la propria croce. Il Signore ci fa vedere la fine di questo percorso che è la Risurrezione, la bellezza, portando la propria croce.

Dunque, la Trasfigurazione di Cristo ci mostra la prospettiva cristiana della sofferenza. Non è un sadomasochismo la sofferenza: essa è un passaggio necessario ma transitorio. Il punto di arrivo a cui siamo chiamati è luminoso come il volto di Cristo trasfigurato: in Lui è la salvezza, la beatitudine, la luce, l’amore di Dio senza limiti. Mostrando così la sua gloria, Gesù ci assicura che la croce, le prove, le difficoltà nelle quali ci dibattiamo hanno la loro soluzione e il loro superamento nella Pasqua. Perciò, in questa Quaresima, saliamo anche noi sul monte con Gesù! Ma in che modo? Con la preghiera. Saliamo al monte con la preghiera: la preghiera silenziosa, la preghiera del cuore, la preghiera sempre cercando il Signore. Rimaniamo qualche momento in raccoglimento, ogni giorno un pochettino, fissiamo lo sguardo interiore sul suo volto e lasciamo che la sua luce ci pervada e si irradi nella nostra vita.

Infatti l’Evangelista Luca insiste sul fatto che Gesù si trasfigurò «mentre pregava» (v. 29). Si era immerso in un colloquio intimo con il Padre, in cui risuonavano anche la Legge e i Profeti – Mosè ed Elia – e mentre aderiva con tutto Sé stesso alla volontà di salvezza del Padre, compresa la croce, la gloria di Dio lo invase trasparendo anche all’esterno. È così, fratelli e sorelle: la preghiera in Cristo e nello Spirito Santo trasforma la persona dall’interno e può illuminare gli altri e il mondo circostante. Quante volte abbiamo trovato persone che illuminano, che emanano luce dagli occhi, che hanno quello sguardo luminoso! Pregano, e la preghiera fa questo: ci fa luminosi con la luce dello Spirito Santo.

Proseguiamo con gioia il nostro itinerario quaresimale. Diamo spazio alla preghiera e alla Parola di Dio, che abbondantemente la liturgia ci propone in questi giorni. La Vergine Maria ci insegni a rimanere con Gesù anche quando non lo capiamo e non lo comprendiamo. Perché solo rimanendo con Lui vedremo la sua gloria.

 


Dopo l’Angelus

Cari fratelli e sorelle,

in questi giorni, al dolore per le guerre e i conflitti che non cessano di affliggere tutta l’umanità, si è aggiunto quello per le vittime dell’orribile attentato contro due moschee a Christchurch, in Nuova Zelanda. Prego per i morti e i feriti e i loro familiari. Sono vicino ai nostri fratelli musulmani e a tutta quella comunità. Rinnovo l’invito ad unirsi con la preghiera e i gesti di pace per contrastare l’odio e la violenza. Preghiamo insieme, in silenzio, per i nostri fratelli musulmani che sono stati uccisi.

Rivolgo un cordiale saluto a tutti voi, qui presenti: fedeli di Roma e di tante parti del mondo. Saluto i pellegrini della Polonia, quelli di Valencia in Spagna, e quelli di Cajazeiras in Brasile e Benguela in Angola. Quanti angolani!

Saluto i gruppi parrocchiali provenienti da Verona, Quarto di Napoli e Castel del Piano di Perugia; gli alunni di Corleone, i chierichetti di Brembo in Dalmine e l’associazione “Uno a Cento” di Padova.

A tutti auguro una buona domenica. Per favore non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

Solo un disoccupato su 5 nei centri di impiego

I disoccupati italiani che nel quarto trimestre del 2018 si sono rivolti a un centro pubblico nella speranza di trovare impiego sono stati appena il 20,8% del totale (585.000 persone) con un calo di 4,5 punti rispetto allo stesso periodo del 2017. E’ il dato più basso dall’inizio delle nuove serie storiche (2004) dell’Istat sul tema. E’ cresciuta ancora invece la percentuale di coloro che si rivolgono per cercare lavoro a parenti e amici (85%).

Quindi guardando alla totalità dei canali per la ricerca di lavoro quasi tutti spargono la voce tra i propri conoscenti mentre solo uno su cinque spera nell’aiuto pubblico. E’ crollata la percentuale di coloro che guardano le offerte di lavoro sui giornali (dal 31,5% del quarto trimestre del 2017 al 26,1% del quarto trimestre del 2018 ma era il 56% nel 2004) mentre sale al 59% quella di coloro che cercano lavoro anche attraverso gli annunci su internet (era al 56,9% nel quarto trimestre 2017 ma appena il 20,4% nel quarto trimestre 2004). Circa due su tre disoccupati inviano curriculum (il 66,7%, era il 49,1% nel 2004). Le agenzie private per il lavoro perdono smalto (solo l’11,2% vi si è rivolto nell’ultimo trimestre del 2018 rispetto al 14,8% di un anno prima) mentre solo il 2,3% ha affrontato prove per un concorso (era il 2,4% l’anno prima).

Valle d’Aosta: A Gressoney prima scuola biofilica

Grazie all’impegno di un gruppo di ricercatori dell’Università della Valle d’Aosta che fanno capo al Professor Giuseppe Barbiero, è stato realizzato nella scuola primaria di Gressoney-La-Trinité un prototipo di aula scolastica – chiamata Restorative Schoolroom – dotata di interfacce artificiali visibili/invisibili che stimolano nel bambino la percezione dell’ambiente scolastico come luogo che suscita emozioni e pensieri piacevoli. Un ambiente scolastico con caratteristiche rigenerative tipiche di un ambiente naturale, capace di sostenere i processi di apprendimento.

Il progetto Nuova Architettura Sensibile Alpina (NASA), cofinanziato dal Fondo Europeo per lo sviluppo regionale (FESR) e dal Fondo Sociale Europeo (FSE), ha preso avvio con una fase di studio durata tutto l’anno scolastico 2016-17. Durante l’estate 2017, a scuola chiusa, si è proceduto a interventi di riqualificazione energetica e biofilica integrati i cui effetti sono stati studiati nei due successivi anni scolastici 2017-18 e 2018-19.

Questa sperimentazione rappresenta il naturale sviluppo degli studi sulla biofilia che da dodici anni stiamo conducendo nel nostro Laboratorio di Ecologia Affettiva (LEAF) all’Università della Valle d’Aosta – spiega il Professor Giuseppe Barbiero. Le nostre ricerche hanno dimostrato che il contatto con la Natura ha un potere rigenerativo della capacità di attenzione diretta e sostenuta del bambino e migliora le sue qualità empatiche. Nel 2015-16, in collaborazione con il Politecnico di Torino e l’impresa italo-svizzera AktivHaus, abbiamo messo in pratica i nostri studi realizzando “Biosphera 2.0”, il primo modulo di casa passiva che ha adottato una progettazione biofilica scientifica. Contemporaneamente, con la collega Rita Berto, abbiamo sviluppato uno strumento di misurazione – il Biophilic Quality Indexes (BQI) – che consente di valutare quanto è biofilico, e perciò rigenerativo, un ambiente. Tutte queste esperienze sono confluite nella riprogettazione della scuola primaria di Gressoney-La-Trinité: uno spazio di apprendimento sperimentale, rigenerativo (per questo si chiama Restorative Schoolroom), rispettoso della Natura fuori di noi e della Natura dentro di noi.

Nuove cure per il tumore alla prostata

Sono in arrivo nuove cure su misura e chemio-free che promettono oltre quattro anni di vita in più rispetto alle attuali terapie standard, anche nei casi più difficili. Le buone notizie arrivano da nuovi studi presentati al congresso Europeo di Urologia (EAU) in corso a Barcellona.

In pochissimo tempo, attraverso le innovative terapie ormonali ‘chemio-free’, affermano gli urologi, le prospettive dei pazienti con tumore alla prostata metastatico o ad alto rischio di metastasi sono infatti radicalmente cambiate.

Oggi questi pazienti, anche i più complessi con diagnosi contemporanea di tumore alla prostata e metastasi, non solo hanno un’alternativa terapeutica alla chemioterapia, con tutti gli effetti collaterali che questa comporta, ma in base ai dati emersi hanno guadagnato anni di vita di qualità: da 36 mesi di sopravvivenza, con la tradizionale terapia ormonale, a una speranza di vita di poco meno di 5 anni.

Grazie ad esempio alla nuova terapia ormonale con abiraterone, i pazienti metastatici già alla diagnosi guadagnano circa due anni di vita in più.

I Gilet Gialli virano al bruno

Un fenomeno inizia magari con delle rivendicazione sociali chiare e distinte e magari anche giustificate ma, poi, come si è visto ieri ma anche da qualche mese a questa parte, perde la sua matrice e guadagna una serie di aspetti del tutto inusitati che fanno dimenticare l’origine e aprono invece varchi particolarmente negativi per non dire delittuosi.

In questo odierno clima culturale, mancando assi portanti della organizzazione e del pensiero politico, è facile incontrare modalità di fiammante protesta con ripercussioni infernali: Parigi ieri sembrava essere un terreno devastato.

La stranezza è che Emmanuel Macron si era presentato qualche anno fa all’elettorato francese parlando di rivoluzione. Fino a quando si scrivono queste cose magari non mostrano la loro crudezza e il loro sapore acre ma, adesso, il presidente Francese, sotto i suoi occhi, vede attuarsi quello che qualche anno fa lui andava semplicemente illustrando verbalmente.

Non c’è alcun dubbio che questa è una mostruosità con mille teste, perché al suo interno si possono trovare diverse motivazioni, finalità tra loro le più distanti: dai facinorosi, ai delinquenti in piena regola, agli estremisti di destra e magari anche a persone che, violentate da una crisi inaspettata, cercherebbero attraverso la protesta, d’individuare una via di fuga.

La cosa più sconvolgente è che il nostro vice primo MinistroLuigi Di Maio affiancato da Alessandro Di Battista, non hanno incontrato ad ottobre, in quel caso sarebbe stato comprensibile, i responsabili di quelle manifestazioni, ma il sodalizio si è consumato in una ritualità parigina, un mese fa, quando tutto il mondo aveva capito quanto fossero pericolosi questi strateghi gialli del terrore del sabato in Francia.

Fortuna vuole i 5Stelle hanno poi raffreddato questo canale preferenziale anche in virtù del fatto che il Governo francese aveva richiamato l’Ambasciatore italiano.

È probabile che la cosa non si quieti nelle prossime settimane, tutto fa pensare che vi possa essere un crescendo fino alle elezioni europee. Non a caso, da quanto sappiamo, una fazione dei gilet gialli si sta organizzando per presentarsi al confronto elettorale di primavera.

La fortuna vuole che queste vicende siano, per ora, confinate in un sol Paese; infatti, non ci sono espressioni di tal genere in altri angoli di Europa. Eppure la Francia, nel panorama complessivo, non è tra le nazioni europee quella che se la passa peggio degli altri, anzi, a vedere i suoi fondamentali, si resta persino stupiti che là accadano questi disordini. Cosa mai potrebbe succedere invece nei Paesi a maggior rischio di povertà economica?

A ricordare, la causa era tutta riconducibile a un aumento delle tasse sui carburanti, poi è ciecamente serpeggiata, vinta da altre finalità. Ma da noi che il costo dei carburanti è ancor elevato o in Grecia dove le difficoltà sono marcatissime, senza citare i casi del Portogallo o dei Paesi dell’est, che pur crescendo, hanno un tenore di vita largamente più basso rispetto a quello francese se in costoro dovesse accendersi la miccia, magari condita con una idea anti europeistica, possiamo immaginarci che effetto devastante potrebbe avere per la tenuta sociale, politica ed economica nel nostro continente.

C’è quindi da augurarsi:

  1. che la Francia resti un esempio isolato;
  2. che dopo il 26 maggio prevalgano le forze politiche europeiste in grado di dare sicurezza a questo vecchio continente per accelerare processi di crescita e di unitarietà;
  3. che il nuovo Consiglio d’Europa e il nuovo Governo europeo sappiano fronteggiare al meglio il loro ruolo in uno scacchiere mondiale sempre più teso e complicato.

Solo a fronte di una modifica dello spirito complessivo che anima questo nostro vecchio continente, sarà possibile tacitare, concretamente, il fenomeno che ha dato avvio a questa mia breve riflessione.

Da soli di fronte alle sfide globali? No, abbiamo bisogno di un’Europa più forte e solidale

Più le spinte nazionaliste e sovraniste indeboliscono l’idea europeista, più la realtà si incarica di dimostrare l’assoluta necessità di una Europa unita e forte.
Questa realtà dovrebbe indicarci la strada maestra: solo attraverso l’Europa potremo cercare di garantire quella domanda di sicurezza (politica, sociale ed economica) che sembra dare origine e forza ad una parte rilevante dello stesso vento politico del momento.
Ideali e interessi concreti si mescolano oggi, in direzione dell’Europa, così come si sono mescolati nel dopoguerra nella visione dei Padri Fondatori.
Il problema è che oggi non ne abbiamo adeguata consapevolezza. E – diversamente da allora – non disponiamo di leader lungimiranti e coraggiosi.
Pensiamo un attimo alle sfide che ci preoccupano.
Già in tema di gestione dei flussi migratori abbiamo visto – al di là delle polemiche domestiche – che cosa significa il “deficit” di Europa.
Ma oggi emergono con maggiore evidenza altri scenari che, senza Europa, potrebbero compromettere il nostro futuro.
Si discute di “via della seta”. Ma come possiamo immaginare che un Paese europeo da solo possa reggere un rapporto di cooperazione con la Cina, con la sua colossale economia, le sue strategie globali di conquista dei mercati, la sua forza “geo-politica”?
Come si può pensare che un Paese da solo possa negoziare una comune strategia con la Cina nel campo delle grandi infrastrutture di trasporto e di interscambio commerciale, che per loro natura hanno carattere globale?
Ci si interroga giustamente sui pericoli di una “colonizzazione tecnologica” cinese.
Ma i cinesi corrono, in questo come in altri campi; e non si fermeranno. Come non si fermeranno gli altri vecchi e nuovi protagonisti della rivoluzione scientifica e tecnologica.
L’Europa può pensare di “fermare il mondo” perché è in ritardo? Non credo.
E se gli investimenti (necessari e urgenti) in conoscenza e in tecnologia non li fa l’Europa nella sua globalità, quanti singoli Paesi Europei possono pensare di farli da soli? Con quali risorse? Con quale capacità di attrazione di cervelli e di capitali? Sulla base di quali piattaforme?
Possiamo pensare, ad esempio, che la grande partita dell’Intelligenza Artificiale possa essere affrontata con autorevolezza da un singolo Paese, invece che dall’Europa unità?
Occorre puntare alla crescita, si dice. Certo. Ma come si può ritenere che un singolo Paese – poniamo il nostro – possa trovare risorse pubbliche adeguate per finanziare investimenti strategici e di sistema, senza i quali la crescita non avviene, considerate le condizioni della propria finanza e visto il cumulo del proprio debito pubblico?
Solo un piano strategico sostenuto da tutta la Zona Euro e finanziato con Bond emessi con garanzia della BCE, sotto la regia di una comune Autorità Politico-Finanziaria, può puntare a questo obiettivo. Ma come potrà accadere questo, senza una coesione politico-istituzionale forte e con i crescenti rigurgiti nazionalisti ?
Siamo preoccupati per il disordine politico e militare in Medio Oriente e nella sponda Sud del Mediterraneo, nonché dei possibili effetti della bomba sociale e demografica africana.
Ma sappiamo bene che, agendo da soli, i singoli Paesi Europei non potranno che continuare a combinare guai (per rincorrere interessi di bottega, come ha fatto sopratutto la Francia) e in ogni caso le loro iniziative appariranno sempre più patetiche a fronte della dimensione dei fenomeni e delle forze globali in campo su questi scenari.
Volgiamo parlare dei rischi derivanti da cambiamento climatico? C’è forse una qualche misura di reazione al rischio ambientale che non preveda – come soglia minima – comportamenti e politiche comuni almeno a livello europeo?
Purtroppo, a pochi mesi dal rinnovo del Parlamento Europeo, sembra che tutto ciò non esista e che si stia viaggiando al buio, verso l’ignoto.
Anzi, sembra che l’Europa sia diventata terreno di spartizione di nuove influenze, con l’ausilio dei soliti “utili idioti”. La Cina negozia separatamente; la Russia costruisce proprie aree di alleanza anche politica; Tramp offre al Regno Unito, in preda alla follia fuori controllo della Brexit, un accordo politico-economico bilaterale.
Questi grandi competitori globali hanno ormai scommesso sulla dissoluzione dell’idea europea. E, se vincono questa scommessa, nessuna Nazione Europea avrà un futuro, se non quello del vassallo di turno.
Ha ragione Mario Draghi, quando afferma che nessun Paese europeo potrà mantenere la sua sovranità se non la condividerà con coraggio a livello comunitario.
È questa la vera partita in corso. Ma molti non lo hanno capito. O, se lo hanno capito, giocano in realtà con un’altra squadra. Lo capiscono forse di più le nuove generazioni europee; lo capivano giovani come Antonio Megalizzi. Speriamo che si facciano sentire con forza e determinazione.

Forse – è presto per dirlo – l’enorme partecipazione dei giovani italiani ed europei alle manifestazioni per il cambiamento climatico di venerdì è un segnale incoraggiante.

Furla (CISL): Carlo Donat-Cattin uomo di Governo e Leader DC

È per me e per la CISL tutta, un grande onore partecipare al ricordo di Carlo Donat-Cattin nell’ambito di questa iniziativa. Ricordando Lui, le ragioni e il profilo del suo impegno, ricordiamo la centralità del lavoro e della persona, quindi dell’agire sindacale nell’esperienza originale della CISL, della quale Carlo Donat-Cattin è stato un illuminato testimone.
Dico questo perché dal mio punto di vista, la persona di Carlo Donat-Cattin ha rappresentato durante la sua intera vita e militanza, prima sindacale e poi politica e di Governo, una figura di riferimento per il mondo del lavoro, con una straordinaria e non usuale continuità di pensiero e di azione, quindi di coerenza, che non ha mai cambiato.
Mi sento di affermare che la sua impronta, il suo modo d’intendere il rapporto con il mondo erano e sono sempre rimasti quelli di un sindacalista nel senso più profondo e nobile del termine; almeno secondo la visione della CISL.
Si possono ancora oggi valorizzare aspetti straordinariamente moderni del suo contributo e un’ulteriore interpretazione del rapporto con Giulio Pastore – di cui celebriamo quest’anno il cinquantesimo della morte – certamente dialettico in molte fasi, ma caratterizzato da obiettivi di fondo autenticamente condivisi.
Pur nella complessità di quegli anni, ritrovo in lui e nel suo agire gli straordinari valori che ancora oggi distinguono l’esperienza cislina e sono questi gli aspetti che vorrei evidenziare nel tempo a mia disposizione.
Parto proprio dal rapporto tra i due leader, perché attraverso di esso possiamo tratteggiare in modo efficace le caratteristiche del tempo e l’essenza della loro ispirazione.

Le questioni dell’autonomia e della concretezza nel pensiero di Carlo Donat–Cattin e il rapporto con Giulio Pastore
Per entrambi possono sicuramente valere le parole di Sergio Mattarella, scritte in un ricordo di Donat-Cattin poco dopo la sua scomparsa, che faccio mie: “la convinta pratica della dignità della politica, richiede di non sottovalutare nessun problema, di accostarsi a ogni decisione mettendo sul tavolo ogni argomento e ogni considerazione utile per le scelte da fare; ritiene che il primo nemico sia la cristallizzazione e l’immobilità; che la formazione dei quadri sia un passaggio decisivo per ogni organizzazione orientata al futuro; che la prima dote del leader sia l’attitudine a cogliere il significato essenziale delle questioni e dei momenti che si vivono”.
Compiti, questi, ai quali Pastore e Donat Cattin – pur così diversi per carattere e per formazione culturale di base, ma così legati nella fratellanza dei valori di verità, di giustizia, di libertà e di democrazia – si accostarono nella consapevolezza dei propri limiti personali. Il che li portò a circondarsi e a dialogare con uomini di cultura e di alta preparazione professionale per capire ciò che di meglio si può fare al mondo. Anche quel senso del limite era il frutto prezioso, e non casuale, di una fede mai ostentata, profonda, serena, sincera.
In quell’approccio era ben riconoscibile il loro comune intendere le esigenze concrete del popolo dei lavoratori e l’interesse ai bisogni reali di quel popolo, materiali e immateriali, al progresso nelle condizioni di lavoro e di vita, alla crescita culturale e umana e perciò all’indispensabile lavorio quotidiano e costante del sindacato e della politica.
Quell’orizzonte di senso condiviso si fondava sulla capacità dell’intermediazione di corrispondere alle intenzioni del bene comune più di quanto possa accadere quando il dialogo tra il popolo, le rappresentanze sociali e le rappresentanze politiche entrano in sofferenza, perché in quel caso ne risente non solo la rispettiva autonomia, ma soprattutto la possibilità di riconoscersi in un progetto di cambiamento e di solidarietà realisticamente raggiungibile.
Ecco allora che, in termini sindacali, le divergenze tra Donat-Cattin e Pastore sono state l’interpretazione nobile della rappresentanza sociale in rapporto con la rappresentanza politica, così come vuole la democrazia pluralista, tenuto conto delle declinazioni non sempre facili e lineari dell’autonomia, soprattutto in quel tempo.
Posso quindi affermare, a dimostrazione della comunanza di valori ispiratori dei due leader, in un certo senso mutuati dalla cristiana sensibilità verso i bisogni e le aspettative di giustizia della gente comune, che in entrambi era ben presente la necessità di garantire l’autonomia del Sindacato, che tuttavia ipotizzavano di assicurare in forme e modi sostanzialmente differenti.

Il valore della democrazia, della persona e del lavoro
La rigorosa difesa della democrazia, senza compromessi e senza mezze misure, era per Carlo Donat-Cattin la premessa per un lavoro a tutto campo, a tutti i livelli.
Fu sicuramente esemplare il suo impegno, a inizio anni Cinquanta, per affermare il ruolo dei lavoratori nella dinamica aziendale. Perché anche nelle fabbriche – scriveva Donat-Cattin – “è certo che la democrazia non può essere, nel concreto, una parola con la quale gli uomini si prendono in giro gli uni con gli altri”. Senza infingimenti, dunque.
Si tenga presente che quelli furono gli anni dei grandi ideali, che plasmarono poi il nostro modello sociale, politico, istituzionale e di rappresentanza.
Erano gli anni, per l’appunto, nei quali la Cisl portò l’azione sindacale su terre nuove e sconosciute, quelle dello sviluppo e dell’emancipazione materiale, culturale, politica e civile dei lavoratori. Intuizioni e anticipazioni alle quali ne seguirono molte altre e che connotarono una stagione riformista promuovibile solo da un soggetto libero, autonomo e pragmaticamente orientato alla persona e al bene comune. Quella dimensione che tuttora perseguiamo e che oggi definiremmo “per” e non “contro” qualcosa.
La visione della persona e dei valori umani da affermare nella storia è riconoscibile in tanti altri passaggi della biografia pubblica di Carlo Donat-Cattin. Basti ricordare la sua sintonia con i problemi del Mezzogiorno, per i quali si è battuto più di tanti altri cercando sempre l’anima popolare anche dentro il suo partito.
Comune alla Cisl era la visione etico-pedagogica necessaria per agire concretamente nel sociale, puntando sulle persone che danno volto ai rispettivi ceti, sulle risorse del solidarismo e dell’umanità necessarie per raccogliere la domanda sociale di tutte le espressioni vive della società. Quindi dalla persona alla società e non viceversa.

Il valore del pragmatismo fondato sull’approfondimento come presupposto, sul dialogo come metodo e sull’elaborazione come approccio all’azione
Secondo alcuni la personalità estremamente complessa di Carlo Donat-Cattin è descrivibile solo attingendo a una vasta gamma di peculiarità soggettive.
Certamente è stato un uomo dotato di forte curiosità intellettuale e di alto senso del dovere.
Non a caso Donat-Cattin era uno di quei dirigenti che non si limitava a qualche scambio di battute e di idee, ma aveva bisogno di approfondimento, di dialogo, di elaborazione. In questo senso è stato un interprete indubbiamente esemplare della nobiltà del ruolo di una classe dirigente politica e sindacale che non si distaccava mai dagli avvenimenti e che viveva in prima linea le proprie battaglie con grande passione.
L’altra sua spiccata peculiarità era lo sforzo costante di comprendere i problemi del mondo del lavoro e degli imprenditori, di indagare le ragioni del benessere e le cause della sofferenza delle persone, secondo quell’orientamento al bene comune che caratterizza da sempre la CISL.
Entrambe queste peculiarità ancora oggi contraddistinguono il modello di rappresentanza della CISL, fondato sull’azione consapevole e responsabile, sull’orientamento strategico e sulla visione d’insieme.
In una omelia Mons. Achille Silvestrini ha scritto che quel bisogno di capire il significato profondo delle cose, una vera e propria “lezione evangelica”, Donat-Cattin l’aveva appresa dalla gente comune. Per lui l’identità cristiana non si limitava a ispirare le speranze; era piuttosto la fonte di azioni concrete non per ideologia e neanche per presunzione, ma per il senso proprio del popolo, della gente che va verso qualcosa cui aspira.
È la lezione difficile che viene dalla sofferenza e che ha consentito a Carlo Donat-Cattin di vivere esperienze che l’hanno portato sulle frontiere più aspre dell’azione sindacale, così come è accaduto a tanti della sua generazione di sindacalisti cislini, che da quelle radici hanno tratto linfa e segno del proprio impegno per il sindacato libero e autonomo.
Coerentemente Carlo Donat-Cattin si presentò puntuale all’incontro con la storia nella sua veste di ministro del Lavoro, assumendo la proposta di legge sullo Statuto dei lavoratori, legge poi riscritta in base a nuove mediazioni politiche, ma che vide Donat-Cattin protagonista assoluto in quella che possiamo definire una pietra miliare del sistema delle regole e delle tutele per il mondo del lavoro.
Fra i molti eventi legati al suo nome nelle due stagioni che lo videro al Ministero di Via Flavia voglio ricordare, tra gli altri, i due lodi entrati a pieno titolo negli annali della storia sindacale e politica nazionale e che ben ne connotano la vocazione pragmatica.
Il primo relativo al rinnovo del CCNL dei metalmeccanici del 1969, simbolo dell’“autunno caldo” per la vastità e l’intensità del conflitto sociale che si aprì nel Paese in un contesto politico lacerato dalla strage terroristica di Piazza Fontana a Milano, premonizione degli “anni di piombo”.
L’accordo fu raggiunto, grazie alla mediazione decisiva di Donat-Cattin Ministro del lavoro, che gettò le basi per un concreto avanzamento dei diritti collettivi e individuali, contribuendo a mantenere il conflitto sociale nell’alveo sicuro della legalità e della dialettica sindacale.
Il secondo evento fu il rinnovo del CCNL dei bancari dell’aprile del 1990 e il lodo ministeriale grazie al quale fu rinnovato.
Quasi che il destino volesse offrirgli, per l’ultima volta, la sua dimensione elettiva, quella dei conflitti sociali apparentemente inconciliabili, nei quali Donat-Cattin sapeva esprimere mediazioni raffinate, perfezionate in una vita che ben conosceva, per esperienza diretta, i problemi dei lavoratori e le sofferenze sociali degli esclusi.
Alla vigilia dei processi di liberalizzazione, di privatizzazione, di concentrazione che avrebbero investito il sistema bancario negli anni Novanta del Novecento, l’Associazione Bancaria intendeva rompere l’unità contrattuale della categoria.
Il Ministro scrisse di suo pugno, in diretta e alla presenza delle Parti Sociali, sia la formulazione dell’area contrattuale che rese tale contratto unico nel suo genere, sia la formula per misurare gli incrementi di produttività quale precondizione per negoziare un’equa ripartizione dei guadagni di produttività fra salari e risultato di gestione.
Ecco perché, Donat-Cattin è stato parte della storia della Cisl ben più di quel che si potrebbe dedurre da una sua sempre più marcata militanza politica sin da metà degli anni Cinquanta.

Conclusioni
Pur operando in un’epoca profondamente differente da quella odierna, la modernità del pensiero di Carlo Donat-Cattin consente di cogliere, anche oggi, l’evidente filo rosso che lega le due stagioni.

Sono i valori fondativi e immodificati della CISL, la cui traduzione nell’oggi non ne ha ridimensionato l’originaria portata anticipatrice, che ha saputo attraversare gli immensi cambiamenti avvenuti nelle scansioni storiche che si sono succedute.

Una concezione della rappresentanza sociale e di quella politica coraggiosa e rigorosa, fondata sulla competenza, il principio dell’analisi dalla quale discendono linee d’azione mai improvvisate, ma esito di elaborazioni profonde e collettive, di ascolto, confronto e condivisione.

Un’idea delle priorità a partire dalla persona e dal lavoro, una visione della società solidaristica e dell’azione programmatica. La ricerca costante della condivisione fondata sul confronto e sulla prassi negoziale.

Nel modo di agire di Carlo Donat-Cattin si ritrova l’orientamento partecipativo che ispira da sempre la CISL, ben riscontrabile nei lodi ministeriali che ho richiamato in precedenza.

La ricerca della coesione e della giustizia rappresenterà una costante durante tutto il suo itinerario, prima di sindacalista poi di uomo della politica e delle istituzioni, come avvenne anche nella sua esperienza amministrativa, a Torino, caratterizzata dall’impegno sui temi dell’occupazione.

Ecco perché, certa di non mancare di rispetto all’uomo politico, mi sento di affermare che Carlo non ha mai smesso di essere un sindacalista, nel senso non formale del termine, perché l’essere sindacalista prima ancora che un modo di fare è un modo di essere che lo ha sempre accompagnato.

E d’altra parte non si può smettere di essere ciò che si è, ma si può solo cambiare ciò che si fa.

Registrazione audio della manifestazione “Carlo Donat-Cattin. Uomo di Governo e leader DC (1919-2019)”, registrato a Roma giovedì 14 marzo 2019 alle 16:30.

Enrico Letta: “l’Italia rischia di diventare debolissima”

Durante la presentazione del suo libro ‘Ho imparato’ nella sede della Caritas di Roma Enrico Letta fa l’analisi sull’appuntamento alle urne per i cittadini europei.

“I partiti al governo porteranno dei rappresentanti nella minoranza del Parlamento europeo. L’Italia rischia di essere debolissima in tutti i partiti della maggioranza mentre finora siamo stati fortissimi. L’Italia viene da un tempo felice. Non c’è mai stato infatti un momento come quello attuale, in cui abbiamo tre personaggi italiani nei posti chiave: Federica Mogherini, Mario Draghi e Antonio Tajani. Di colpo perderemo tutte queste figure”.

E poi “se si rompe con la Francia si deve dire qual è l’alternativa. Ad ottobre si deciderà il successore di Draghi, la scelta sarà fra il governatore della banca francese e quello tedesco. Una Europa senza Italia è un’altra cosa. Per me è una battaglia culturale dura”.

Infatti “La vera chiave del futuro sarà quella di capire che fra gli italiani e gli svedesi, fra i francesi e gli spagnoli non c’è alcuna differenza sostanziale. Abbiamo bisogno di essere uniti perché siamo portatori di valori universali. Non condividiamo tutto quello che fa l’Europa ma se siamo all’interno dobbiamo ringraziare De Gasperi. Il futuro può essere positivo se ne siamo consapevoli”.

I consumatori preferiscono i centri commerciali e per i piccoli negozi è crisi

L’Ufficio studi della Cgia di Mestre segnala come rispetto all’anno che ha preceduto la contrazione economico finanziaria, le famiglie italiane spendano oggi indubbiamente meno. Se nel 2007, infatti, le uscite mensili medie erano pari a 2.649 euro, due lustri dopo, benchè dal 2013 sia in corso una lenta ripresa, la soglia si è attestata a 2.564 euro (-3 per cento, pari in valore assoluto a -85 euro). E se al Nord (- 47 euro) e al Centro (-75 euro) le contrazioni registrate sono al di sotto della media nazionale, desta invece preoccupazione, la situazione del Mezzogiorno. Negli ultimi dieci anni, infatti, al Sud la spesa delle famiglie è crollata di 170 euro (-7,7 per cento): era pari a 2.212 euro nel 2007 ed è scesa a 2.042 euro un decennio successivo. Il calo dei consumi ha interessato negativamente anche sui fatturati delle piccole attività commerciali e artigianali. In questi ultimi anni, lo stock complessivo delle imprese attive nell’artigianato è costantemente sceso da 1.463.318 a 1.322.640, le attività del commercio al dettaglio, invece, sono diminuite in misura più contenuta, ma occorre recuperare la svalutazione culturale che hanno subito in questi ultimi anni le botteghe di prossimità  e il lavoro artigiano.

“I piccoli negozi – ha sottolineato il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo – vivono quasi esclusivamente dei consumi delle famiglie e sebbene negli ultimi anni i consumi siano tornati lentamente a salire, i benefici di questa ripresa hanno interessato quasi esclusivamente la grande distribuzione organizzata. Dal 2007 al 2018, ad esempio, il valore delle vendite al dettaglio nell’artigianato e i nei piccoli negozi di vicinato è crollato del 14,5 per cento; nella grande distribuzione, invece, è aumentato del 6,5 per cento. Nonostante la diffusione sempre più massiccia dell’ e-commerce, questo trend è proseguito anche nel 2018: mentre nei supermercati, nei discount e nei grandi magazzini le vendite sono aumentate dello 0,9 per cento, nei piccoli negozi la diminuzione è stata dell’ 1,3 per cento”.

Se nell’ultimo decennio (2007-2018) i consumi delle famiglie per funzione principale hanno visto i beni crollare del 10,4 per cento, le spese per i servizi, invece, sono aumentate del 6,9 per cento. Tra i beni, quelli più penalizzati dalle scelte d’acquisto sono stati i non durevoli che sono scesi del 12,8 per cento. I beni durevoli hanno registrato una diminuzione del 5,5 per cento, mentre i beni semidurevoli sono scesi del 5,1 per cento. Analizzando le singole voci, le più penalizzate sono state i trasporti (- 15 per cento), le bevande alcoliche (-13,4 per cento) e l’arredamento (-10,5 per cento). Segno positivo, in particolare, per alberghi/ristoranti (+8,2 per cento) e le comunicazioni (+17,9 per cento). Lo scorso anno invece, sia la vendita di beni sia quella di servizi è aumentata, rispetto al 2017, dello 0,7 per cento. Le uniche voci precedute da segno negativo sono state gli alimentari (-0,1 per cento), la sanità (-0,6 per cento) e le bevande alcoliche (-1,4 per cento).

“Con le tasse in aumento e con una platea di servizi erogati dal pubblico che negli ultimi anni è diminuita sia in qualità sia in quantità – ha detto il segretario della Cgia Renato Mason – si sono sacrificati i consumi e gli investimenti. Inoltre, è diventato sempre più difficile fare impresa e redistribuire la ricchezza. Alle piccole e piccolissime imprese, in particolar modo, il calo dei consumi delle famiglie ha creato non pochi problemi finanziari, costringendo molte partite Iva a chiudere i battenti”.

Brexit: l’Unione europea chiede chiarezza

L’estensione della permanenza della Gran Bretagna nell’Ue può essere concessa più di una volta. L’articolo 50 dei Trattati non prevedere limiti di tempo per la proroga e non specifica se possa essere chiesta una sola volta: è stabilita solo l’unanimità dei 27 per la concessione dell’estensione.

Però per concedere la proroga nel vertice del 21 e 22 marzo l’Ue pretende in effetti chiarezza da Londra, nella consapevolezza che il groviglio sia tutto interno alla politica del Regno. E la scommessa della premier britannica per riuscire a garantirla si gioca per ora quasi interamente sul pressing in atto sui falchi Tory brexiteer più oltranzisti (quelli dello European Research Group di Jacob Rees-Mogg) e soprattutto sui vitali alleati della destra unionista nordirlandesi del Dup. L’obiettivo è quello di ottenerne il riallineamento in vista del terzo tentativo di ratifica destinato ad affrontare l’aula martedì o mercoledì secondo le intenzioni dell’esecutivo.

Intanto dall’Unione Europea fanno sapere che “la partecipazione della Gran Bretagna all’Unione terminerà il primo luglio se il Paese non organizzerà le elezioni europee”.

 

Trump contro la risoluzione del Congresso

Il presidente statunitense Donald Trump ha usato per la prima volta il suo potere di veto per bloccare una risoluzione approvata da entrambe le Camere del Congresso.

La risoluzione, passata giovedì al Senato con 12 voti Repubblicani, ha l’obiettivo di bloccare lo stato di emergenza nazionale dichiarato un mese da Trump per ottenere i fondi necessari per costruire il muro al confine tra Stati Uniti e Messico.

Ora il testo dovrà tornare al Congresso, che potrà superare il veto di Trump con una maggioranza dei due terzi in entrambe le Camera, scenario che difficilmente si realizzerà.

298 giorni a Losanna 2020, svelati i pittogrammi realizzati dagli studenti

A 298 giorni dalla cerimonia di apertura che inaugurerà I Giochi Olimpici Giovanili Invernali di Losanna 2020, il Comitato Organizzatore ha svelato i pittogrammi e le grafiche delle discipline in programma nella rassegna che prenderà il via il 9 gennaio.

In linea con l’orientamento degli Youth Olympic Games volto a garantire che i giochi siano “di e per i giovani”, il team di Losanna 2020 ha affidato la progettazione e lo sviluppo dei pittogrammi ad ERACOM, la scuola di arte e comunicazione situata nella città svizzera che ospiterà la manifestazione che ha già creato la mascotte, Yodli, presentata al pubblico lo scorso gennaio.

Al lavoro 36 studenti che hanno partecipato alla realizzazione dei 16 pittogrammi degli otto sport che saranno presenti a Losanna 2020, ideando anche le versioni animate presentate oggi.

“Il successo di Losanna 2020 sarà misurato anche dall’impatto che l’evento lascerà nelle scuole – spiega il CEO del Comitato Organizzatore, Ian Logan -: centinaia di giovani sono stati coinvolti nel processo creativo dei Giochi e gli studenti hanno aiutato e modellato Losanna 2020 in un evento di cui vogliono far parte. Questo impegno dei giovani è parte del DNA del nostro progetto e vorrei ringraziare ERACOM per il lavoro di alta qualità svolto dai suoi studenti. Siamo orgogliosi del loro coinvolgimento nella realizzazione degli YOG e stiamo lavorando ad altre nuove collaborazioni”.

Tumori: identificata una proteina in grado di risanare le cellule malate

Gli autori dello studio, pubblicato su Nucleic Acids Research, “hanno scoperto – spiega Giordano – che silenziare l’espressione di HNRNPD influisce negativamente sulla risposta globale al danno del DNA. Ma hanno anche dimostrato che l’eliminazione totale di HNRNPD compromette la risposta cellulare al danno al DNA indotto dal farmaco chemioterapico camptotecina e rende le cellule tumorali più sensibili a questo farmaco e anche all’olaparib, un farmaco che mira specificamente al processo di riparazione del DNA usato contro alcuni tipi di cancro al seno e delle ovaie“.

I ricercatori hanno identificato HNRNPD utilizzando una struttura sintetica di DNA utilizzata come “esca” per catturare le proteine nucleari. La struttura sintetica è stata progettata da Luigi Alfano, autore principale dello studio, ricercatore dell’Istituto Tumori “Fondazione Pascale”, mentre le proteine isolate sono state identificate mediante spettrometria di massa da Luca Bini e Claudia Landi dell’Università di Siena. Tra queste, Alfano e colleghi si sono concentrati sulla proteina HNRNPD, la cui perdita induce senescenza cellulare e l’invecchiamento prematuro nei topi, due caratteristiche associate a una risposta difettosa al danno del DNA.

Dopo il danno al DNA, le cellule attivano un processo di riparazione, che viene compromesso – secondo gli autori dello studio – dal silenziamento dell’espressione della proteina HNRNPD. Inoltre, l’eliminazione totale di HNRNPD ha compromesso la risposta cellulare al danno al DNA indotto dal farmaco chemioterapico camptotecina, rendendo le cellule tumorali più sensibili a questo farmaco e anche all’olaparib, un farmaco che mira specificamente al processo di riparazione del DNA usato contro alcuni tipi di cancro al seno e delle ovaie.

Preambolo, una scelta decisiva

DONAT CATTIN E IL “PREAMBOLO”

Questo articolo mette a fuoco la scelta compiuta da Carlo Donat Cattin – ricorre quest’anno il centenario della nascita – di presentare in un momento centrale del congresso Dc del 1980 quello che passò alla storia come il “Preambolo”, attorno a cui si coagulò una nuova maggioranza di partito (Dorotei, Fanfaniani, Amici di Forze Nuove) determinata a porre termine alla stagione della solidarietà nazionale. A tale radicale inversione di rotta si opposero Giulio Andreotti e le varie componenti della sinistra Dc, riunite sotto la sigla di “Area Zac” (Zac come Zaccagnini). In Consiglio nazionale, dopo poco, Flaminio Piccoli fu eletto segretario e Donat Cattin vice (ndr).

PREAMBOLO, UNA SCELTA DECISIVA

di Giorgio Merlo

Il ricordo del centenario della nascita di Carlo Donat-Cattin che si è svolto giovedì pomeriggio al Senato alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, non può essere circoscritto ad un fatto rituale e protocollare. La stessa Fondazione Donat-Cattin organizzerà quest’anno molte iniziative, disseminate in tutta Italia, per ricordare il magistero politico, sociale, sociale ed istituzionale di uno statista che, con la sua concreta azione, ha contribuito a segnare in profondità l’evoluzione e il cambiamento della politica italiana. Sono molteplici, com’è ovvio, i momenti salienti e decisivi che hanno caratterizzato il suo magistero.

Oggi ricordiamo un passaggio decisivo per la politica italiana degli anni ’80. Ovvero il congresso della Democrazia Cristiana del febbraio del 1980 e la stesura dell’ormai famoso e celebre “preambolo” che sbarrò la strada al governo con il Pci avviando, di conseguenza, la lunga fase dell’alleanza tra la Dc e i partiti di democrazia laica e socialista. Come li definiva proprio Donat-Cattin. Cioè, un vero centro sinistra. Non una scelta ideologica o pregiudiziale ma squisitamente politico. Non a caso, Donat-Cattin scrive “allo stato dei fatti”.

Un atto politico, quello del “preambolo”, che qui riproduciamo integralmente e scritto di pugno proprio dal suo autore, Donat-Cattin appunto. Una scelta politica che spacco’ la Democrazia Cristiana, archiviando la stagione dei governi di solidarietà nazionale ma che contribuì, con molti anni di anticipo, a far emergere anche le contraddizioni e le ambiguità che continuavano a caratterizzare la politica e le scelte strategiche dei comunisti italiani. Comunque sia, un documento politico che continua a far riflettere e discutere. E che rientra, a pieno titolo, nella cultura e nella politica che hanno ispirato per molti decenni le scelte concrete della Democrazia Cristiana.

 

L’idea di partito e l’idea di Europa in una rilettura di Luigi Sturzo

Sturzo / note di Giuseppe Sangiorgi per gli “incontri della stazione” di sabato 2 marzo 2019 sul tema: “Essere liberi e forti oggi. Quale politica a cento anni dall’Appello di Luigi Sturzo?”, promosso dalla Conferenza episcopale del Lazio nella sala riunioni attigua alla Cappella della stazione Termini a Roma. Relatori padre Francesco Occhetta e Giuseppe Sangiorgi, introduzione del vescovo di Velletri monsignor Gaetano Apicella, conclusioni del Cardinale vicario di Roma e presidente della Conferenza episcopale del Lazio monsignor Angelo De Donatis. Coordinamento di Claudio Gessi, presidente della Commissione regionale del Lazio per la pastorale sociale.

– L’avventura dei “liberi e forti” di Luigi Sturzo conserva a cento anni di distanza il suo fascino e il suo valore che si proiettano fino a noi attraverso la dottrina del popolarismo, mantenendo vivo l’interrogativo sulla elaborazione di una politica di ispirazione cristiana. Della grande lezione sturziana vorrei fare, in questo nuovo “incontro della stazione”, due sottolineature specifiche: la prima riguarda l’idea di partito per un certo risveglio, anche impaziente, che si manifesta oggi in una parte del mondo cattolico a riproporre questo tema nella nuova realtà politica del Paese; la seconda sottolineatura è la concezione dell’unità europea di Sturzo,trovandoci alla vigilia di un rinnovo del Parlamento di Strasburgo il prossimo 26 maggio, particolarmente al centro di polemiche da parte dei nuovi “sovranisti” contrari alla prospettiva unitaria.  

– Ai suoi tempi Sturzo ebbe un coraggio straordinario a fare il partito del quale quest’anno celebriamo il centenario. Lui stesso parla in proposito di “audacia”. Il suo primo manifesto politico peraltro non è quello dei “liberi e forti”, ma il discorso tenuto a Caltagirone, la sua città natale, il 29 dicembre 1905 nel quale auspicava la nascita di un partito nazionale non dei cattolici ma di cattolici, laico, aconfessionale e svincolato dall’autorità ecclesiastica. Sturzo si muoveva in un contesto nel quale, ancora pochi anni prima, la Conferenza episcopale siciliana aveva rivendicato la “totale e assoluta dipendenza dai rispettivi vescovi” delle associazioni cattoliche. Lui si tenne lontano dall’idea che il Partito popolare fosse una articolazione dell’Azione cattolica e delle autorità ecclesiastiche. Il discorso di Caltagirone non ottenne l’imprimatur ecclesiastico: la Santa Sede non intendeva dare in nessun modo l’impressione, allora, di avallare l’dea di un partito. L’anno precedente, il 1904, con un improvviso atto d’imperio, Pio X aveva chiuso l’Opera dei Congressi, nel timore che essa venisse “inquinata” dalla prima Democrazia cristiana fondata da Romolo Murri, sacerdote che per la sua passione politica in anticipo sui tempi venne sospeso a divinis nel 1907 e scomunicato nel 1909.

– Luigi Sturzo seppe invece aspettare, ed è il clima nuovo del dopoguerra a permettergli di realizzare il suo disegno nel gennaio del 1919, in un Paese che vede il progressivo affacciarsi dei nuovi soggetti sociali sulla scena pubblica. Se in Europa i partiti sono figli della rivoluzione francese, in Italia compaiono con la Camera Subalpina del 1848, destinata a essere in nuce il futuro Parlamento nazionale, e si strutturano in formazioni permanenti tra fine Ottocento e inizio Novecento, sulla falsariga del modello organizzativo inaugurato in Europa dai partiti socialisti. In questo nuovo contesto egli definisce quello popolare come “un partito a forte contenuto democratico e che si ispira alle idealità cristiane, ma che non prende la religione come elemento di differenziazione politica”.

– Si compie così il lungo percorso del cattolicesimo politico italiano, il cui albero genealogico inizia a fine Settecento con le “amicizie cristiane” in Piemonte, prosegue con il “neo guelfismo” risorgimentale, gli “uomini del ‘79” intorno al conte Campello a Roma, le grandi figure di Antonio Rosmini, Giuseppe Toniolo, il “programma di Torino” del 1901, la figura di Murri: alcuni nomi e circostanze soltanto di un pantheon storico e culturale cattolico straordinariamente vasto e significativo. L’Appello ai Liberi e Forti è del gennaio 1919, la fine del non expedit seguito alla presa di Roma è del novembre 1919: una data che “deve segnarsi – afferma Sturzo – come uno dei passi più decisivi verso la conciliazione fra chiesa e stato in Italia” (Il Partito popolare italiano, volume primo 1919 – 1922, Luigi Sturzo, Nicola Zanichelli editore, Bologna 1956).

– Fin dall’inizio il sistema di partiti è bersaglio, non solo in Italia, di riserve che ne pongono in discussione ruolo e identità. Uno studioso russo, Moisei Ostrogorski, in un saggio del 1903, Democrazia e partiti politici (Rusconi, Milano 1991), dava all’epoca questo giudizio impietoso: “[…] con il sistema attuale dei partiti permanenti, incaricati di programmi omnibus, un candidato o un deputato è nella stragrande maggioranza dei casi un ciarlatano. Per conquistare al partito quanti più elettori possibile deve fare promesse a destra e a manca, e poiché gli è impossibile mantenerle, diventa un bugiardo di professione, quantunque nel fondo non sia più disonesto degli altri uomini. […] confusa con il partito l’organizzazione permanente diventa un fine, al quale finisce di subordinare tutto […] quanto più l’organizzazione è perfetta, tanto più corrompe il partito e deprime la vita pubblica”.

– Sembra un commento alla situazione italiana dei nostri anni. Ostrogorski, per arrestare una tale deriva teorizzava formazioni di carattere temporaneo con programmi limitati e precisi, e dunque verificabili da parte dei cittadini elettori. Non hanno maggiore fortuna, partiti e uomini politici, nelle Considerazioni di un impolitico di Thomas Mann (biblioteca Adelphi, a cura di Marianello Marianelli e Marlis Ingenmey, Milano 1997), il saggio del grande letterato tedesco che dà voce alle diffuse critiche di inizio Novecento sul rapporto fra democrazia e partiti non solo nella Germania dei suoi tempi. Nell’immediato primo dopoguerra ci sono in Germania le riflessioni del sociologo Max Weber (La politica come professione, introduzione di Luciano Cavalli, Armando editore, Roma 2010), che Sturzo conosce anche se non apprezza particolarmente. Weber propone l’“etica della responsabilità” contro la visione di uno Stato concepito come “una associazione per il dominio che, nell’ambito di un territorio, ha cercato con successo di monopolizzare l’uso legittimo della violenza come mezzo di dominio”.

– Weber distingue tra il vivere per la politica e il vivere di politica. Teorizza la figura carismatica della leadership, con le ideali motivazioni che devono sorreggerla, salvo la tragica deformazione di una tale visione che verrà con le dittature europee. Negli stessi anni in cui Sturzo è a Londra, Simon Weil, durante il suo analogo esilio inglese che si conclude con la prematura morte nel 1943, scrive il Manifesto contro i partiti politici (Una Costituente per l’Europa. Scritti londinesi, a cura di Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito, Castelvecchi, Roma 2013), teorizzando nel solco di Jean Jacques Rousseau il sistematico ricorso all’istituto referendario per un costante controllo diretto della politica da parte dei cittadini. Ancora in Inghilterra arrivano qualche anno dopo le denunce politiche di George Orwell, alias Eric Blair, scrittore e intellettuale di sinistra, severa coscienza critica del movimento socialista al quale appartiene (Orwell o l’orrore della politica, Simon Leys, Irradiazioni, Roma 2007).

– La rassegna delle posizioni critiche continua fino a chi, come Jurgen Habermas, filosofo, per ovviare alle degenerazioni del sistema politico e dei partiti concepisce un modello di democrazia definito di “politica deliberativa”, basato “sulle condizioni comunicative entro cui il processo politico può presumere – compiendosi in tutto il suo arco secondo modalità consultive e dibattimentali – di produrre risultati razionali” (L’inclusione dell’altro Studi di teoria politica, Jurgen Habermas, a cura di Leonardo Ceppa, Feltrinelli, Milano 2008). Per Habermas il cittadino, quanto più è coinvolto nel processo della decisione politica, tanto meno è costretto a comportarsi, in sostanza, secondo quella teoria della “razionalità limitata” enunciata da Herbert Simon, economista, premio Nobel nel 1978. Osservatore del gioco degli scacchi, Simon spiega che il cittadino, quando non sa valutare le conseguenze delle alternative che gli si pongono, reputa incomplete le informazioni che gli si danno e ritiene i problemi che è chiamato a risolvere troppo complessi per lui, non punta alla scelta ottimale ma si rifugia in quella “sufficiente”, spesso conservativa della situazione che si vorrebbe cambiare (emblematiche al riguardo sono le due bocciature popolari del 2006 e del 2016 della riforma della Costituzione, quando si è chiesto agli italiani se confermavano di modificare d’un colpo prima 52 e poi 47 articoli della Carta).        

– Sturzo è dentro un tale contesto critico, conosce le insidie che il dare vita a un partito genera. Per questo delinea in modo concreto il programma del Partito popolare nei dodici punti allegati all’Appello ai Liberi e Forti. Il Partito popolare nasce per realizzare quegli obiettivi, all’interno di una dottrina politica, il popolarismo, che concepisce le istituzioni in un rapporto “di servizio” alla persona umana forte dei suoi propri diritti di cittadinanza, anteriori allo Stato dirà Giuseppe Dossetti alla Costituente, che lo Stato deve riconoscere, non concedere. Sturzo definisce i punti specifici che danno il carattere proprio al Partito popolare: “la rivendicazione delle libertà (religiosa, scolastica, economica, amministrativa); la difesa morale e sociale delle classi operaie; il decentramento statale e il self – government locale, anche nelle regioni” (Scritti storico politici 1926 -1949, Luigi Sturzo, Edizioni Cinque Lune, Roma 1984).

– Sono i cardini del popolarismo, dai quali ancora oggi ripartire per dare concretezza a una linea politica di “centro” che non si può continuare soltanto a enunciare ma che va sviluppata ed elaborata nel concreto perché una cultura di governo si trasformi in una proposta di governo, che implichi a sua volta una organizzazione che la sostenga. Per questo chi scrive ha immaginato le “schede della democrazia” per dare ordine, continuità e omogeneità a questo percorso insieme di elaborazione e di coinvolgimento dei tanti che nel Paese si sentono oggi senza rappresentanza politica: e sono la metà dell’elettorato italiano, come ci indicano le percentuali di votanti di tutte le ultime tornate elettorali. Ma questo può avvenire solo su basi organizzative del tutto nuove rispetto ai partiti di massa del passato. Va ricordato un altro elemento centrale del pensiero di Sturzo, anch’esso di attualità: la sua decisa contrarietà ai nazionalismi, inconciliabili con il suo concetto democratico dello Stato basato sul decentramento delle funzioni e delle attività.

 – Questa contrarietà si salda all’europeismo, che Sturzo elabora sulla esperienza della Grande Guerra causata dal prevalere dei nazionalismi. Anche qui il passato si collega all’oggi. Nel primo Novecento c’è tutta una corrente nella Chiesa, che vede come protagonista Benedetto XV e si sviluppa lungo la linea di un “internazionalismo cattolico”, che fa da sfondo alle posizioni politiche di Sturzo. Questa corrente si collega, al di là dell’Atlantico, ai “14 punti” di Thomas Wilson, il manifesto del 18 gennaio 1918 del presidente degli Stati Uniti d’America, dal quale a sua volta muove la sfortunata avventura della Società delle Nazioni, organismo che rappresenta la prima concretizzazione di un nuovo “principio societario” alla base di una solidarietà fra gli Stati che avrebbe dovuto sostituirsi all’uso prevalente della forza come strumento regolatore dei rapporti fra gli Stati. (Santa Sede e Società delle Nazioni, Benedetto XV, Pio XI e il nuovo internazionalismo cattolico, Americo Miranda, con prefazione di Alberto Melloni, edizioni Studium, Roma 2013, e Il nuovo papato, sviluppi dell’universalismo della Santa Sede dal 1870 a oggi, Annibale Zambarbieri, Edizioni San Paolo, Torino 2001).

– Sturzo elabora la sua visione europea in un saggio scritto a Londra fra il 1926 e il 1928, La Comunità internazionale e il diritto di guerra, e in una serie di articoli comparsi in quegli anni in Francia e in Inghilterra. È uno dei pionieri europei  ad avere la chiara prospettiva politica sui modi con i quali battere i nazionalismi e assicurare i diritti delle minoranze in Europa, e con esse i diritti degli Stati più piccoli rispetto ai più grandi e potenti. Scrive nel 1929: “[…] simile politica non può che essere una premessa verso un più concreto e alto ideale, quello degli Stati Uniti d’Europa. Nel quadro di una larga federazione, potranno esistere ed avere vitalità propria non solo i grandi Stati unitari come la Francia e l’Italia, e le piccole unità statali come il Belgio e la Svizzera, ma anche le minoranze autonome, sia pur unite ai rispettivi Stati come potrebbero essere l’Alsazia, il Sud Tirolo e la Croazia. Gli Stati Uniti d’Europa non sono un’utopia, ma soltanto un’ideale a lunga scadenza, con varie tappe e con molte difficoltà. […] il nucleo centrale del problema risiede nei due Stati antagonisti Francia e Germania: un’intesa fra i due con l’assenso della Gran Bretagna è la condizione sine qua non della soluzione del problema europeo”. Sturzo ha molto chiara la distinzione fra esigenze nazionali e spirito nazionalista. (Il problema delle minoranze in Europa, in Scritti Storico politici 1926 – 1949, già citato).   

– Altre menti europee illuminate hanno in quegli anni la stessa visione. Tra queste vi è il socialista francese Aristide Briand, premio Nobel per la pace nel 1926, più volte presidente del consiglio, anche lui sostenitore del progetto di una unione federale europea. Nella logica di dare vita a unioni continentali omogenee c’è l’idea di costituire un gruppo paneuropeo che si affianchi a un gruppo panamericano, al Commonwealth britannico, a una federazione russa e all’Oriente asiatico. C’è nel 1928 il “patto Kellogg”, firmato dal segretario agli esteri americano Frank Kellogg e Aristide Briand, teso anch’esso a creare solidarietà sovranazionali fra gli Stati e scongiurare il pericolo di guerre. Sturzo a sua volta a partire dal 1920 è protagonista di intese con gli altri partiti cattolici europei, fino alla creazione di una Internazionale democratico cristiana che durerà fino al 1932, portata avanti negli anni da un’altra luminosa figura del pantheon cattolico, Francesco L. Ferrari.

– Alla vigilia delle prossime elezioni europee, i cattolici italiani sono i testimoni di questa straordinaria ricchezza di vicende storiche, mosse dalla passione civile e dalla idealità di generazioni di intellettuali e di esponenti politici che si sono susseguite nell’arco di oltre un secolo. Di tutto ciò non c’è traccia nel dibattito elettorale in corso e nei programmi con i quali i partiti si presentano a chiedere il voto dei cittadini. Immemori della lezione che viene da questa lunga storia – in virtù della quale l’Europa è oggi la maggiore area stabilizzata di pace del mondo – gli esponenti politici più gettonati dai mezzi di comunicazione ostentano anzi insofferenza e avversione verso l’ideale europeo, confondendo le critiche da fare a organismi e assetti comunitari sempre migliorabili, con l’altezza degli obiettivi politici da raggiungere.

– Il problema non è il rimpianto di quanto i cattolici hanno fatto ieri, è la responsabilità oggi di non essere capaci di dare nuovo senso alla storia democratica del Paese.

In attesa di Sentenza

Mai prima d’ora si era visto un governo così conflittuale come l’attuale, che litiga su tutto: grandi opere infrastrutturali, via della seta, codice degli appalti, codice dei contratti, semplificazione, autonomia differenziata e così via dicendo.
Si potrebbe pensare che anche nel passato ci siano stati esempi come l’attuale governo giallo-verde e subito la memoria corre ai governi del penta partito della prima Repubblica quando c’erano rapporti concorrenziali in particolare tra la Dc e il Psi. Ma, quelle situazioni che pur esistevano, non erano così frequenti come le attuali in quanto si manifestavano solo periodicamente e solo su questioni rilevantissime.

Oggi, invece, il conflitto è perenne, non passa giornata che i litigi non si manifestino prevalendo su ogni altra questione. E, intanto, l’economia ne soffre, subendo le conseguenze negative che conosciamo.Ma, come tutti i fenomeni attuali, il litigio fra i contendenti governativi, ha una durata breve per subito sopirsi e, poi, manifestarsi in un altro angolo. Questo andirivieni da costume esasperato non solo da ai nervi a chi lo deve alimentare ma, sopratutto, a chi lo deve subire. Non c’è momento della giornata che non faccia irruzione il dissidio nella coscienza di ciascun spettatore, ignaro, quest’ultimo, di quale strana sorpresa lo stia attendendo.

È vero che tutto questo è infiammato dall’imminente scontro elettorale ma da qui al 26 maggio il tempo è piuttosto lungo e non farà sicuramente fatica l’economia, già così gracile, a piegarsi ulteriormente al volere di questi saltimbanchi. C’è solo da augurarsi che quella data si affretti a venire perché, per un verso o per l’altro, quella decreterà comunque una soluzione:se prevarrà largamente Salvini su Di Maio lo squilibrio dovrà porre fine a questo teatrino; se invece i due dovessero equivalersi, scenderà una santa quiete permettendoci così, di attraversare la stagione estiva senza queste seccature dello spirito.

A questo punto non ci resta che attendere il responso delle elezioni europee per risolvere la questione.