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Istituto internazionale Maritain: “Il futuro delle città”, con riflessioni alla luce del pensiero di Jacques Maritain, Giorgio La Pira, Adriano Olivetti

Il filosofo francese Jacques Maritain, l’imprenditore Adriano Olivetti e il politico Giorgio La Pira hanno scritto pagine importanti sul tema del futuro delle città. Ed è proprio dal loro pensiero che prenderà il via il convegno “Il futuro delle città”, organizzato dall’Istituto internazionale Maritain, dall’Università della Basilicata e dalla Regione Basilicata a Matera, il 6 e il 7 aprile.

“Se Jacques Maritain è il teorico della città umana, Giorgio La Pira e Adriano Olivetti, nel loro legame profondo con il filosofo francese, sono stati i testimoni di come l’attenzione alla persona si traduca in città comunitarie e non isolazioniste – si legge in una nota -. Il futuro delle città, dunque, non può prescindere da una maggiore attenzione alla persona. Giorgio La Pira ha fatto proprio il pensiero del filosofo francese concretizzando nel suo servizio politico la centralità della persona nell’attenzione verso gli ultimi e i più bisognosi.

Adriano Olivetti ha contribuito a trasformare Ivrea e Matera in città patrimonio dell’Unesco, importanti per la loro urbanistica, ma soprattutto per la risposta, in termini architettonici, ai bisogni della comunità umana che le vive”. Il convegno si articolerà in quattro sessioni principali di lavoro: la prima dedicata al tema “Persona, impresa e comunità nel mondo globale”, la seconda al tema “Bellezza e urbanistica nella città del futuro”, la terza al tema “Cultura della pace e futuro delle città” e l’ultima al tema “Aspetti geopolitici ed etici al tempo delle migrazioni”.

La scelta di Matera come sede del convegno è tutt’altro che casuale. Matera, come capitale europea della cultura 2019 rappresenta oggi un esempio, nel segno della cultura urbanistica europea, per quanto riguarda la riqualificazione, il recupero sostenibile, della riconquista dell’identità perduta.

Pa: meno dipendenti pubblici, trend in calo a 3,2 milioni

Trend discendente per il personale della Pubblica amministrazione. Nel 2017 i dipendenti erano 3,24 milioni, in lievissimo calo rispetto all’anno precedente (-5.000 unità), ma in più consistente contrazione rispetto al 2008 (-7,5% pari a 257.661 unità). Lo rileva la Ragioneria generale dello Stato nel Conto annuale, spiegando che il dato risente del blocco del turn over a causa della stretta sull’accesso alla pensione. Altro dato significativo in evidenza, la diminuzione dei lavoratori con un contratto stabile. Tra il 2008 e il 2017 il personale con contratto a tempo indeterminato si è ridotto del 4,4% sfiorando i tre milioni. Se poi si considera il personale al netto degli enti acquisiti nel periodo, il personale stabile scende sotto i tre milioni a 2.947.000 unità (circa 18.000 lavoratori in meno rispetto all’anno prima), con un calo di 198.535 occupati (-6,3%) rispetto al 2016.

La Ragioneria generale dello Stato sottolinea anche che il costo del personale della Pa nel 2017 è stato pari a 160 miliardi di euro, con un aumento dello 0,2% sull’anno precedente e un calo del 4,6% sul 2008. Inoltre, a parità di enti, rispetto al 2008 si è registrato un calo della spesa del 7% arrivando a 156,1 miliardi. Rispetto all’anno scorso l’aumento della spesa più consistente insieme alla Presidenza del Consiglio (+5,7%) e agli enti di Ricerca (+2,5%) è stato per la scuola (+1,7%), che registra però un calo del 9% sul 2008. Per presidenza del Consiglio e Enti di ricerca si è registrato un aumento anche rispetto al 2008. Da notare che la spesa del personale si è ridotta soprattutto per le Regioni e le autonomie locali (-3,2% sul 2016, – 21,6% rispetto al 2008) e per il Servizio sanitario nazionale (-0,1% sull’anno scorso, -4,1% sul 2008). In particolare, la spesa per il personale delle autonomie locali si è ridotta tra il 2008 e il 2017 del 20% e rispetto all’anno precedente il calo è stato del 3,2%. Il dato non considera le Regioni a Statuto speciale per le quali la spesa è aumentata del 26,4% rispetto al 2008. La spesa per le regioni a statuto ordinario è passata da 23,485 miliardi del 2008 a 18.403 nel 2017. La contrazione è stata continua nel decennio.

Il Comune di Castellania cambia nome e diventa Castellania Coppi

Il Consiglio regionale del Piemonte, nella seduta di lunedì 25 marzo, ha approvato la Proposta di deliberazione della Giunta regionale per il centesimo anniversario della nascita dell’Airone, con la quale il Comune di Castellania cambia nome e diventa Castellania Coppi, in onore del campionissimo Fausto Coppi.

Il paese è meta di una sorta di pellegrinaggio laico di sportivi e appassionati, ai quali è stato dedicato interamente: oltre al mausoleo dei fratelli Fausto e Serse Coppi, la via principale è stata intitolata a Fausto; la casa natale, che vi si affaccia, è stata trasformata in museo; la casa dei nonni è divenuta ristorante per accogliere i visitatori; un’altra vecchia casa degli avi di Coppi ospita un centro di documentazione sul ciclismo e persino la sede della scuola elementare è una sala multimediale, parte integrante di un percorso museale che continua per tutte le vie del borgo, con gigantografie di Coppi e dei momenti topici della sua mitica avventura sportiva.

Per gli appassionati di ciclismo, oltre a Castellania, a 10 km vale una visita Cassano Spinola dove è vissuto a lungo un altro grande campione delle due ruote, Costante Girardengo le cui spoglie si trovano nel cimitero comunale.  Sempre a circa 10Km, a Novi Ligure, vi è il museo dei Campionissimi, che, oltre a celebrare la storia e le gesta dei due sportivi, è anche un museo sulla storia della bicicletta e dei suoi eroi.

Alzheimer: il cervello produce neuroni fino ai 90 anni

Il cervello umano è come un sempreverde: continua a rinnovarsi nonostante il passare delle stagioni, producendo nuovi neuroni addirittura fino ai 90 anni. Le analisi condotte sui campioni prelevati da 58 persone hanno infatti dimostrato la presenza di migliaia di nuove cellule nervose in via di maturazione nella ‘centralina’ della memoria, l’ippocampo.

Questa capacità rigenerativa si mantiene fino a tarda età nelle persone sane, mentre appare ridotta nei malati di Alzheimer: il suo blocco sarebbe alla base della perdita di memoria, ma nuove terapie potrebbero essere in grado di rimuoverlo almeno in parte.

A indicare questa svolta è lo studio pubblicato sulla rivista Nature Medicine dai ricercatori del Centro di biologia molecolare ‘Severo Ochoa’ di Madrid.

Il Centro: “che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”

Il Centro, direbbe il Metastasio, è come l’Araba Fenice: che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”.

Un tema cruciale soprattutto per quei cattolici interessati ad un impegno nella cosa pubblica che non può assolutamente eludere il coinvolgimento nella politica e nelle istituzioni.

Anche Cristian Coriolano è appena intervenuto su Il Domani d’Italia  arricchendo la discussione con un’ottima diagnosi sulla mancanza del  Centro.

C’è da chiedersi, però, se il rischio non sia quello di sbagliare il successivo protocollo terapeutico indugiando attorno …  all’arto sbagliato: il Pd.

Questo Pd di Nicola Zingaretti, ma anche le sue versioni precedenti lo hanno abbondantemente dimostrato,  appare in larga parte inadeguato su questo versante. Non sembra fisiologicamente in grado di concepire, elaborare, maturare il concetto di Centro.

Su quali basi, dunque, è possibile accarezzare l’idea di un processo di ristrutturazione dell’attuale sinistra in cui si possa inserire una “ porzione” di Centro?

Intanto, dobbiamo costatare  di quanto sia mutato il quadro complessivo rispetto alla Prima ed alla Seconda Repubblica. Quando ancora la politica poteva essere affrontata sulla base di concetti collegati ad una logica di mera collocazione negli schieramenti. Questioni ideologiche, meta politiche, allora, potevano giustificare le scelte di campo e le tendenze elettorali.

Dal bipolarismo più o meno perfetto degli ultimi 25 anni, si è passati ad una realtà penta polare asimmetrica la cui componente più cospicua è quella rappresentata dal primo partito d’Italia: gli astenuti.

Chissà che gran parte di un potenziale Centro non si trovi in larga parte proprio là,  ed è là raccolto per motivi psicologici, culturali e, persino, di stile ed abitudine nel rapportarsi con il mondo della nostra politica attuale.

La Lega e Fratelli d’Italia coprono lo schieramento di estrema destra.  Forza Italia quella di un centro destra rispetto a loro diverso. I Cinque Stelle si sono incamminati lungo una traiettoria abbastanza difficile da decifrare. Infine, il Pd che, sotto la guida di Nicola Zingaretti, potrebbe ulteriormente  accentuare la propensione a completare il processo di trasformazione in un partito radicale di massa.

Non darei troppo peso ai recenti risultati elettorali. Nel senso che in pochi giorni Nicola Zingaretti non può certo raddrizzare una situazione in cui il Pd è finito schiacciato a seguito di una sua lunga stagione di distacco dalle attese popolari, di una continua estraniazione dai ceti produttivi e dal mondo del lavoro, di un prolungato, assoluto disinteresse nei confronti dei gruppi intermedi e delle categorie economiche e sociali. Quell’insieme  di entità concrete e razionali, ma anche “ prepolitiche”, funzionali nel periodo dell’alternanza con il “ berlusconismo” alla costituzione di un blocco elettorale, peraltro favorito da un sistema improntato ad un bipolarismo quasi perfetto.

Troppa acqua, però, è passata sotto i ponti. Il quadro politico si è scomposto al punto di fornirci un governo che, prima del 4 marzo dell’anno scorso, sarebbe apparso del tutto improponibile ed inatteso.

La situazione è tale che, al momento, non è possibile prevedere una ricomposizione d’impronta morotea, cioè in grado di assicurare la ripartenza ad un livello superiore di un nuovo e diverso processo più organico e più coerente.

E’ chiaro che gli ultimi 25 anni sono stati segnati da una mancanza del cosiddetto Centro, cioè di un insieme di convergenze e di prospettive attorno cui gli interessi vitali del Paese potessero far valere in maniera stabile e duratura il loro peso e la loro determinazione costruttiva.

Basta, allora, proporsi astrattamente come Centro? Sulla base di che cosa? O si rischia solo di ritornare alla politica intesa come mera alchimia rarefatta e del tutto avulsa dalle dinamiche concrete della società, dell’economia, della realtà civile e culturale di una popolazione?

Le condizioni di Forza Italia, sulla destra, confermano la portata di questi quesiti. Evidentemente, non basta proporre un centrodestra diverso, oppure un centrosinistra diverso,  se manca qualunque progetto organico, capace di prospettare una ricomposizione sociale, ridare fiato e sostanza ai ceti produttivi, elaborare un percorso lungo il quale si riesca a ristrutturare il Paese sempre più carente con le sue Istituzioni, la sua Giustizia, oltre che deficitario nel comprendere la  portata dell’innovazione e della definizione dei nuovi equilibri in atto nel mondo.

Il Centro non si ricrea restando nella sola dimensione dei giochi della politica. Bensì,  individuando le risposte concrete e possibili da dare all’incombenza della turbo finanza, alla mancata definizione del ruolo sociale del sistema bancario,  di quello dell’impresa e delle sue interne dinamiche e dialettiche con il lavoro. Il Centro lo si forma attorno alla possibilità effettiva di restituire all’economia reale forza e sostanza, rigenerando le relazioni pubbliche a tutti i livelli, restituendo al cittadino, anche nella sua essenza di soggetto fiscale e consumatore,  un ruolo nuovo, affrontando decisamente il problema storico delle disparità sociali e geografiche.

Proprio il contrario di quanto è stato fatto negli anni passati dai governi a guida Pd. Così come da quelli del centrodestra, in cui sono stati molto spesso coinvolti la Lega e gli esponenti di Fratelli d’Italia.

E’ chiaro che l’ispirazione cristiana, e questi sono temi del tutto avulsi dalla riflessione in corso nel Pd, compreso tra quelle sue residuali componenti di ispirazione cristiana, non può far diventare secondaria le questioni della Persona, della Famiglia, dei temi eticamente sensibili attorno cui non va solo l’attenzione di chi è ispirato cristianamente.

I cattolici interessati alla politica, così, non possono che pensare ad un Centro del tutto diverso recuperando  e sposando senza indugi e tentennamenti l’autonomia. Una prospettiva ed una scelta politica che non significa chiusura agli altri, ma il rifiuto di una scelta di campo pregiudiziale. E’ bene che ce lo diciamo con chiarezza: non c’è alcuna forza politica o movimento che ci rappresenti.

Nessuno di esse, infatti, ha mostrato o mostra,  nel concreto, attenzione a quell’insieme di questioni che noi vediamo con molta chiarezza definite nel collegamento della Costituzione democratica con il Pensiero sociale della Chiesa.

Resta il problema di come costruire, allora, un Centro fatto di programmi e di proposte. In questo avendo chiaro il riferimento al metodo di pensiero e di azione politica indicato da don Luigi Sturzo.

Il Pd segua il proprio percorso. Tutti siamo consapevoli che ogni voce costituisca una ricchezza complessiva e, pertanto, nessuno auspica la scomparsa dell’altrui presenza. Ma questo non può voler dire rinunciare alla propria se tante ragioni cospirano perché ciascuno ritorni in campo con le proprie specificità e caratteristiche.

La scelta dell’autonomia dei popolari sturziani fu un grande atto di lealtà verso il resto degli italiani e un Centro rinnovato, costruttivo e propositivo non può prescindere dal dovere della chiarezza nei confronti di tutti gli altri soggetti che concorrono alla dialettica e al “ gioco” della politica.

Papa in Campidoglio: Roma “città dei ponti, mai dei muri”, “perché tanto splendore non si degradi”

Articolo già pubblicato sulle pagine di Agensir a firma di Michela Nicolais

“Accogliere e integrare”, per essere “faro di civiltà e maestra di accoglienza”, all’altezza dei suoi compiti e della sua storia. “Perché tanto splendore non si degradi”, per favorire una “rinascita morale e spirituale”. Sono gli imperativi del discorso del Papa in Campidoglio. Quarto Papa a salire, per la prima volta, al Colle dove tutto è nato, Francesco ha tracciato un ritratto a 360 gradi dei 2.800 anni della storia di Roma, all’insegna del continuo rimando tra il glorioso passato e le difficoltà del presente di una città che ha definito “polo d’attrazione e cerniera, scrigno, organismo delicato” a vocazione universale. Quarantacinque anni dopo, Bergoglio ha citato il convegno sui “mali di Roma” per chiedere non solo all’amministrazione e alle istituzioni, ma ad ogni abitante, di adoperarsi perché la Capitale rimanga fedele alla sua vocazione di “città ospitale”. Solo così si può affrontare la “sfida epocale” delle migrazioni, superando le paure e generando “una società pacifica”: “Roma città dei ponti, mai dei muri!”, l’esclamazione a braccio.

(Foto Vatican Media/SIR)

“Cerniera tra il nord continentale e il mondo mediterraneo, tra la civiltà latina e quella germanica, tra le prerogative e le potestà riservate ai poteri civili e quelle proprie del potere spirituale”. È la prima definizione di Roma, nelle parole di Papa Francesco. “Grazie alla forza delle parole evangeliche, si è qui inaugurata quella provvida distinzione, nel rispetto reciproco e collaborativo per il bene di tutti, tra l’autorità civile e quella religiosa”, dice il Papa tornando su un tema caro anche ai suoi predecessori. Roma, secondo Francesco, “obbliga il potere temporale e quello spirituale a dialogare costantemente, a collaborare stabilmente nel reciproco rispetto; e richiede anche di essere creativi, tanto nella tessitura quotidiana di buone relazioni, come nell’affrontare i numerosi problemi, che la gestione di un’eredità così immensa porta necessariamente con sé”.

“Roma, lungo i suoi quasi 2.800 anni di storia, ha saputo accogliere e integrare diverse popolazioni e persone provenienti da ogni parte del mondo, appartenenti alle più varie categorie sociali ed economiche, senza annullarne le legittime differenze, senza umiliare o schiacciare le rispettive peculiari caratteristiche e identità”,

il riferimento alla plurimillenaria storia capitolina, inteso come monito anche per l’oggi.
Roma, nell’excursus del Papa, “è un organismo delicato, che necessita di cura umile e assidua e di coraggio creativo per mantenersi ordinato e vivibile, perché tanto splendore non si degradi, ma al cumulo delle glorie passate si possa aggiungere il contributo delle nuove generazioni, il loro specifico genio, le loro iniziative, i loro buoni progetti”.

(Foto Vatican Media/SIR)

La Città eterna, la metafora scelta da Francesco, “è come un enorme scrigno di tesori spirituali, storico-artistici e istituzionali”. Il Campidoglio, insieme alla Cupola michelangiolesca e al Colosseo, sono “gli emblemi e la sintesi” della sua vocazione universale, “portatrice di una missione e di un ideale adatto a valicare i monti e i mari e ad essere narrato a tutti, vicini e lontani, a qualsiasi popolo appartengano, qualsiasi lingua parlino e qualunque sia il colore della loro pelle. Quale Sede del Successore di San Pietro, è punto di riferimento spirituale per l’intero mondo cattolico”.

È “decisivo” che Roma si mantenga all’altezza dei suoi compiti e della sua storia – l’appello del Papa – che sappia anche nelle mutate circostanze odierne essere faro di civiltà e maestra di accoglienza, che non perda la saggezza che si manifesta nella capacità di integrare e far sentire ciascuno partecipe a pieno titolo di un destino comune”.

“La Chiesa che è a Roma vuole aiutare i romani a ritrovare il senso dell’appartenenza a una comunità tanto peculiare”, assicura il vescovo di Roma, che rivolge un appello a ciascuno dei suoi abitanti: “Tanto i privati cittadini come le forze sociali e le pubbliche istituzioni, la Chiesa cattolica e le altre comunità religiose, tutti si pongano al servizio del bene della città e delle persone che la abitano, specialmente di quelle che per qualsiasi ragione si trovano ai margini, quasi scartate e dimenticate o che sperimentano la sofferenza della malattia, dell’abbandono o della solitudine”. Poi la menzione del Convegno “sui mali di Roma”, che “si impegnò a tradurre in pratica le indicazioni del Concilio Vaticano II e consentì di affrontare con maggiore consapevolezza le reali condizioni delle periferie urbane, dove erano giunte masse di immigrati provenienti da altre parti d’Italia”. “Oggi quelle e altre periferie hanno visto l’arrivo, da tanti Paesi, di numerosi migranti fuggiti dalle guerre e dalla miseria, i quali cercano di ricostruire la loro esistenza in condizioni di sicurezza e di vita dignitosa”, il rimando all’attualità, dal quale nasce un preciso impegno:

“Roma, città ospitale, è chiamata ad affrontare questa sfida epocale nel solco della sua nobile storia; ad adoperare le sue energie per accogliere e integrare, per trasformare tensioni e problemi in opportunità di incontro e di crescita”.

“Roma, fecondata dal sangue dei martiri, sappia trarre dalla sua cultura, plasmata dalla fede in Cristo, le risorse di creatività e di carità necessarie per superare le paure che rischiano di bloccare le iniziative e i percorsi possibili”, l’appello del Papa:

“Roma città dei ponti, mai dei muri!”.

“Non si temano la bontà e la carità!”, l’esortazione finale: “Esse sono creative e generano una società pacifica, capace di moltiplicare le forze, di affrontare i problemi con serietà e con meno ansia, con maggiore dignità e rispetto per ciascuno e di aprirsi a nuove occasioni di sviluppo”: al servizio di tutti, specialmente dei più poveri e svantaggiati, per la cultura dell’incontro e per un’ecologia integrale.

Copyright: Il Parlamento europeo approva la direttiva sul diritto d’autore

Il Parlamento europeo ha approvato le nuove regole sul diritto d’autore. Il via libera dall’aula di Strasburgo è passato con 348 sì, 274 no e 36 astenuti.

Si conclude così il processo legislativo, iniziato nel 2016, per il Parlamento europeo. Spetterà ora agli Stati membri, nelle prossime settimane, dare l’ultimo ok formale. “È un momento cruciale per la cultura europea, per l’economia digitale, per la difesa dei nostri valori Ue”, ha detto la commissaria Ue al digitale Mariya Gabriel, intervenendo in aula a Strasburgo prima del voto.

Le nuove norme Ue sul copyright provano da un lato ad introdurre meccanismi che obblighino i giganti del web come Google, Facebook e YouTube a riconoscere e pagare il lavoro di artisti, giornalisti e creatori di contenuti che vengono pubblicati su internet. Al contempo c’è da tenere conto del diritto degli utenti a caricare liberamente materiale. Tutto ciò cercando di proteggere anche le start-up che cercano di entrare nel grande mercato dei contenuti online.

Inoltre non sarà più possibile inserire interi articoli di stampa, ma frammenti di articoli e di notizie potranno continuare a essere condivisi liberamente, per evitare che gli aggregatori di notizie abusino di questa possibilità.

Germania Cdu e Csu presenteranno un programma elettorale unitario

Alle elezioni europee di maggio, l’Unione cristiano-democratica (Cdu) e l’Unione cristiano-sociale (Csu) si presenteranno per la prima volta con un programma elettorale unitario e un unico capolista: Manfred Weber, esponente della Csu e capogruppo del Partito popolare europeo (Ppe), da cui è candidato alla presidenza della prossima Commissione euroepa.

È quanto si legge sui principali quotidiani tedeschi, che dedicano ampio risalto alla strategia unitaria di Cdu e Csu, elaborata dai rispettivi presidenti Annegret Kramp-Karrenbauer e Markus Soeder.

Il programma di Cdu e Csu presentato il 25 marzo, si fonda sul “contrasto al populismo e al nazionalismo e sulla promozione di riforme radicali” nell’Ue. Particolare attenzione è data alla politica estera, “a un progetto di pace europeo” nel mutamento degli equilibri geopolitici globali.

Nei rapporti con la Russia, Cdu e Csu propongo di estendere le sanzioni dell’Ue “fino alla piena attuazione degli accordi di Minsk” per la risoluzione del conflitto in Ucraina. Al contempo, “l’amicizia transatlantica” dell’Ue con gli Stati Uniti dovrebbe essere “rivitalizzata”, mentre “le imprese europee dovrebbero essere rese più forti per vincere i conflitti commerciali con la Cina”.

Per potenziare il ruolo internazionale dell’Ue, Cdu e Csu intendono, inoltre, giungere alla formazione di un esercito comune europeo entro il 2030. In materia di sicurezza interna, i conservatore tedeschi propongono un rafforzamento della cooperazione di polizia tra gli Stati membri e l’istituzione di “una sorta di Fbi europea”.

Cdu e Csu avanzano poi la proposta di rafforzare l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex). In politica economica, Cdu e Csu puntano, infine, sullo sviluppo delle tecnologie del futuro per rendere l’Europa “un leader del mercato digitale su scala globale”.

Elezioni europee: andare a votare significa “dire quale Europa vogliamo”

Anche i vescovi francesi scendono in campo e con un messaggio richiamano i cittadini di Francia a partecipare alle elezioni europee di fine maggio. “Non si tratta di chiudersi in uno schema manicheo (a favore o contro l’Europa), ma di dire quale Europa vogliamo, il modello economico, sociale, culturale e spirituale che ci sembra il più adatto per il nostro continente oggi”.

“Le elezioni per il Parlamento europeo si svolgeranno presto in un contesto difficile, sia a livello nazionale che europeo. Dire che l’Europa non gode di buona reputazione è una banalità: per molti dei nostri concittadini sembra distante, tecnocratica, spesso inefficace. Eppure, ci sembra importante invitare i cattolici, e in generale tutti i cittadini, a partecipare alle elezioni dei deputati  al parlamento europeo”. “I poteri del Parlamento europeo sono aumentati nel corso degli anni”, ricordano i vescovi francesi. “E vale la pena ricordare che molte decisioni europee influiscono sulla nostra vita quotidiana, attraverso politiche comuni (ad esempio agricole), lo scambio di beni e servizi, la circolazione di persone, l’istituzione da venti anni di una moneta comune, l’armonizzazione dei regolamenti, la politica commerciale internazionale”.

“L’Europa  è un continente segnato da una storia, dolorosa e conflittuale”.

“La Chiesa cattolica è sempre stata attenta a questo consolidamento della pace nella costruzione dell’Europa” ma “se oggi la pace in Europa sembra essere raggiunta per le generazioni più giovani, ricordiamoci anche che la guerra è alle porte, ieri nei Balcani, oggi in Ucraina”.

Inoltre, osservano ancora i vescovi, ci sono questioni che in Europa non possono essere risolte dai singoli Stati come la questione migratoria. E concludono: “dobbiamo aiutare i cittadini europei a discernere la natura delle loro scelte perché l’Europa possa rispondere sempre meglio alle loro attese ma anche alla sua missione per lo sviluppo del mondo”.

Cassa depositi e prestiti e Bank of China limited creano i Panda Bond

Luce verde all’accordo tra Cdp e Boc per la realizzazione di un Piano di emissioni obbligazionarie e di un  programma di co-finanziamento per imprese italiane che investono oltre la Grande Muraglia. A fine 2016 il numero delle imprese italiane in Cina si è attestato a 1.700 (2.150 considerando anche quelle presenti a Hong Kong). Realtà con un totale di oltre 130.000 dipendenti e un fatturato complessivo pari a 16,5 miliardi di euro. Numeri importanti in continua crescita. In considerazione di ciò Cassa depositi e prestiti e Bank of China Limited (Boc) hanno firmato il 23 marzo una collaborazione a sostegno delle aziende italiane nel mercato cinese. L’accordo fa seguito al protocollo d’intesa siglato dalle parti a fine agosto, che è stato sottoscritto dall’Amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, Fabrizio Palermo, e dal Chairman di Bank of China, Chen Siqing. Un’iniziativa nata per supportare la cooperazione tra le due istituzioni, dedicando nuove risorse alla crescita delle aziende italiane nel Paese del Dragone.

L’accordo riguarda in particolare la realizzazione di un Piano di emissioni obbligazionarie, “Panda Bond”, e quella di un  programma di co-finanziamento per imprese italiane che investono in Cina. Il Piano di emissioni per il quale è stato avviato l’iter autorizzativo da parte di People’s Bank of China ha come oggetto l’emissione da parte di Cdp di titoli obbligazionari, “Panda Bond”, destinati a investitori istituzionali operanti oltre la Grande Muraglia. I proventi derivanti dalle emissioni verranno utilizzati per finanziare – direttamente o indirettamente – succursali o controllate di aziende italiane con sede in Cina e quindi supportarne la crescita. La liquidità raccolta sarà veicolata alle imprese sia attraverso le banche italiane presenti in Cina, sia attraverso le banche cinesi. Con tale piano di emissioni, Cdp sarebbe il primo emittente italiano, nonché il primo Istituto nazionale di promozione europeo, a esplorare questo tipo di mercato.

Cassa depositi e prestiti e Bank of China hanno così stabilito di voler collaborare alla definizione di un programma di supporto finanziario volto alle imprese italiane in Cina. Il programma sarà strutturato su un orizzonte di medio-lungo termine e sulla base di un controllo del rischio di ogni singola operazione di co-finanziamento da parte di Boc e di Cdp. L’intesa prevede, infine, che Cdp e Boc possano continuare a operare per l’individuazione di potenziali opportunità di cooperazione in determinati prodotti e settori in cui sono particolarmente attive le imprese italiane in Cina quali export, corporate finance e infrastrutture.

Conclusa con successo la prima sperimentazione dell’innovativo sistema di raccolta dei rifiuti sul Po per combattere il marine litter

Otto “big bags” pieni di rifiuti e circa 92 kg di plastica avviata completamente a riciclo sono il risultato della “battuta di pesca” contro il marine litter realizzata sul fiume Po per circa 4 mesi, tra luglio e novembre 2018.

I rifiuti portati dal più grande fiume italiano sono stati, infatti, intercettati da barriere galleggianti prima di arrivare al mare Adriatico e avviati al riciclo grazie al progetto pilota di raccolta e recupero dei rifiuti, “Il Po d’AMare”, uno dei primi progetti al mondo di prevenzione dei rifiuti in mare, predisposto dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, dai Consorzi Corepla e Castalia e realizzato grazie al coordinamento istituzionale svolto dall’Autorità di Bacino distrettuale del fiume Po e con il patrocinio del Comune di Ferrara e dell’AIPO (Agenzia Interregionale per il fiume Po).

Un contributo per rafforzare e implementare le misure del piano di azione nazionale per la prevenzione e la mitigazione dei rifiuti marini e anticipare le nuove direttive sulla circular economy che prevedono impegni precisi anche per la riduzione dei rifiuti in mare.

Per arginare il marine litter è importante agire in primo luogo sui fiumi. Intercettare i rifiuti nei corsi d’ acqua infatti, è più facile ed economico, facilita il riciclo e previene l’inquinamento marino e la possibile formazione di microplastiche. I rifiuti marini provengono per circa l’80% dalla terraferma e raggiungono il mare prevalentemente attraverso i corsi d’acqua e gli scarichi urbani, mentre per il 20% derivano da attività di pesca e navigazione.

Tra le principali cause del marine litter vi sono la non corretta gestione di rifiuti urbani e industriali, la scarsa pulizia delle strade, abbandoni e smaltimenti illeciti. Inoltre l’Italia, per la sua posizione al centro del Mediterraneo, un bacino chiuso, e l’estensione delle sue coste, è un Paese particolarmente esposto a questo problema.

Il progetto pilota, operativo dal 18 luglio al 16 novembre 2018 ha lavorato “a regime” per quasi cento giorni. Nel periodo di operatività ha raccolto circa 3 quintali di rifiuti, stipati in 8 big bags, di cui 92,6 chilogrammi, il 40%, di plastica. La frazione non plastica è costituita, per la maggior parte, da scarti vegetali e sono stati intercettati anche contenitori in vetro. La quota più rilevante in termini di peso del rifiuto plastico captato è rappresentata da PE proveniente da fusti di capacità maggiore a 25 litri, imballaggi utilizzati in ambito agricolo o industriale.

Il progetto “acchiappa rifiuti” ha realizzato la selezione e raccolta dei rifiuti galleggianti attraverso l’installazione di un dispositivo di raccolta (Seasweeper) con barriere in polietilene galleggianti che non interferiscono con la flora e la fauna del fiume, progettato da Castalia e posizionato nel tratto del fiume Po in località Pontelagoscuro (Comune di Ferrara) a 40 km dalla foce.

I rifiuti intercettati sono stati avviati al riciclo e con il supporto di Corepla, il rifiuto plastico è stato poi inviato al centro di selezione che ha separato e avviato a riciclo le diverse frazioni polimeriche. Il granulo di plastica ottenuto dalle operazioni di riciclo è stato poi inviato ad una azienda inglese per la realizzazione di una casetta rifugio.

Si tratta di una prima sperimentazione di un progetto che proseguirà con nuove iniziative anche nel corso del 2019, ma da cui si possono trarre alcune importanti conclusioni. In primo luogo il sistema di captazione funziona, avendo operato per l’83% del tempo e intercettato tutti i rifiuti galleggianti che hanno attraversato la sezione delle barriere. In secondo luogo tutta la plastica che è stata intercettata era in buone condizioni, non degradata, ed è stato possibile avviarla a riciclo e re-immetterla così nel ciclo produttivo risparmiando nuova materia prima. Terzo i quantitativi raccolti, anche se derivanti da un unico punto di intercettazione, sono limitati grazie anche a un buon sistema di raccolta e gestione dei rifiuti in particolare plastici, a terra.

La responsabilità del tutor impuberum. Missioni e ruolo del tutore nell’antica Roma

Sabato 30 Marzo, alle ore 17:00, presso la Biblioteca comunale di Cori (LT) “Elio Filippo Accrocca”, sarà inaugurata l’edizione 2019 di “Cervelli in Scena”, l’iniziativa promossa dall’Associazione “Amici del Museo della Città e del Territorio di Cori”, con la partecipazione dell’Associazione “Arcadia” e il patrocinio del Comune di Cori, pensata per conoscere e valorizzare la ricchezza culturale prodotta attraverso le tesi di laurea e di dottorato, e proporla al pubblico in modo scientificamente accurato ma comprensibile a tutti.

Gli autori di questi lavori hanno modo di esprimersi in un contesto meno formale di quello accademico, seppur in presenza di voci esperte, e condividere questo sapere con la comunità. I volumi resteranno a disposizione per la consultazione in un’apposita raccolta dell’istituto culturale di vicolo Macari, in linea con il suo progetto biblioteconomico che da diversi anni persegue l’obiettivo della realizzazione della biblioteca partecipata, aperta alla collaborazione con le varie realtà locali, singole ed associate.

L’ospite del primo appuntamento è il dottor Mariano Macale, laureato presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma, con un lavoro in materia di diritto romano. All’incontro interverrà l’Avvocato Pasquale Lattari, legale e Mediatore Familiare del Consultorio Familiare Diocesano “Crescere Insieme” della Diocesi di Latina Terracina, Sezze e Priverno, nonché Coordinatore dell’Ufficio “In mediazione” di Conciliazione e Riparazione della Provincia di Latina in materia di mediazione penale minorile.

Si tratta di un’indagine sui profili della responsabilità del tutor impuberum, ossia l’istituto che nel diritto romano era posto a tutela dei pupilli fin dai tempi delle XII Tavole, la cui problematica verte intorno alla conservazione e alla gestione del patrimonio del “minore” nell’Antica Roma. Studiata nelle sue varie fasi storiche (dall’età arcaica a Giustiniano), la ricerca giunge fino ai moderni profili del diritto di famiglia che concernono la tutela del minore oggi, la mediazione penale minorile, la conflittualità e i modi di risoluzione offerti dall’ordinamento giuridico.

Torino: l’Ospedale Koelliker apre il nuovo Centro di Terapia Del Dolore.

Quasi un quinto della popolazione italiana soffre di dolore cronico, circa 300mila persone solo nell’area metropolitana di Torino, persone che convivono per anni, in media 8, con lombalgie, sciatiche, emicranie, artrosi e poi ancora reumatismi, ernie del disco, neuropatie da diabete, tutte patologie che compromettono sensibilmente la qualità della vita.

Per dare risposta ad un problema tanto diffuso, l’Ospedale Koelliker apre il suo nuovo Centro di Terapia Del Dolore. Un polo d’eccellenza multidisciplinare coordinato e guidato dal Dott. Evangelos Panagiotakos.

Il nuovo Centro affiancherà quelli della città metropolitana – ospedale Molinette, San Luigi e Valdese – per far fronte ad una domanda alta e al contempo inevasa sul territorio.

Attraverso tecniche, strumentazioni e tecnologie all’avanguardia la nuova divisione si occupa del trattamento di tutte le forme di dolore – dal mal di schiena ai dolori articolari, dal mal di testa all’Herpes Zoster – e delle manifestazioni ad esse associate: formicolii, bruciore, sensazioni di punture di spilli, scosse elettriche, perdita di forza muscolare.

L’attività del Centro di Terapia del Dolore si caratterizza per un approccio multidisciplinare che mette il paziente al centro di un percorso di diagnosi e cura completo, in collaborazione con tutte le altre equipe mediche, in particolare Ortopedia e Neurologia, Diagnostica per Immagini, Laboratorio Analisi Cliniche e Centro di Fisiatria e Fisioterapia.

Papa: Roma sia all’altezza della sua storia e affronti la sfida epocale dell’accoglienza

Signora Sindaca,
Signori e Signore Assessori e Consiglieri del Comune di Roma,
Illustri Autorità,

Cari amici!

Ringrazio la Signora Sindaca per il gradito invito e per le gentili espressioni che mi ha indirizzato. Il mio cordiale saluto si estende agli Assessori, ai Consiglieri del Comune, ai Rappresentanti del Governo, alle altre Autorità presenti e a tutta la cittadinanza romana.

Da tempo desideravo venire in Campidoglio per incontrarvi e portarvi di persona il mio ringraziamento per la collaborazione prestata dalle Autorità cittadine a quelle della Santa Sede in occasione del Giubileo Straordinario della Misericordia, così come per la celebrazione di altri eventi ecclesiali. Essi, infatti, per il loro ordinato svolgimento e la loro buona riuscita hanno bisogno della disponibilità e dell’opera qualificata di voi, amministratori di questa Città, testimone di una storia plurimillenaria e che, accogliendo il Cristianesimo, è divenuta nel corso dei secoli il centro del Cattolicesimo.

Roma è la patria di una originale concezione del diritto, modellata sulla sapienza pratica del suo popolo e attraverso la quale ha irraggiato il mondo con i suoi principi e le sue istituzioni. È la Città che ha riconosciuto il valore e la bellezza della filosofia, dell’arte e in genere della cultura prodotta dall’Ellade antica e l’ha accolta e integrata al punto che la civiltà che ne è scaturita è stata giustamente definita greco-romana. Al tempo stesso, per una coincidenza che è difficile non chiamare disegno, qui hanno coronato col martirio la loro missione i santi Apostoli Pietro e Paolo, e il loro sangue, unito a quello di tanti altri testimoni, si è trasformato in seme di nuove generazioni di cristiani. Essi hanno contribuito a dare all’Urbe un nuovo volto, che, pur nel groviglio delle alterne vicissitudini storiche, con i loro drammi, luci e ombre, risplende ancora oggi per la ricchezza dei monumenti, delle opere d’arte, delle chiese e dei palazzi, il tutto disposto in maniera inimitabile sui sette colli, dei quali questo è il primo.

Roma, lungo i suoi quasi 2.800 anni di storia, ha saputo accogliere e integrare diverse popolazioni e persone provenienti da ogni parte del mondo, appartenenti alle più varie categorie sociali ed economiche, senza annullarne le legittime differenze, senza umiliare o schiacciare le rispettive peculiari caratteristiche e identità. Piuttosto ha prestato a ciascuna di esse quel terreno fertile, quell’humusadatto a far emergere il meglio di ognuna e a dar forma – nel reciproco dialogo – a nuove identità.

Questa Città ha accolto studenti e pellegrini, turisti, profughi e migranti provenienti da ogni regione d’Italia e da tanti Paesi del mondo. È diventata polo d’attrazione e cerniera. Cerniera tra il nord continentale e il mondo mediterraneo, tra la civiltà latina e quella germanica, tra le prerogative e le potestà riservate ai poteri civili e quelle proprie del potere spirituale. Si può anzi affermare che, grazie alla forza delle parole evangeliche, si è qui inaugurata quella provvida distinzione, nel rispetto reciproco e collaborativo per il bene di tutti, tra l’autorità civile e quella religiosa, che meglio si conforma alla dignità della persona umana e le offre spazi di libertà e di partecipazione.

Roma è quindi divenuta meta e simbolo per tutti coloro che, riconoscendola come capitale d’Italia e centro del Cattolicesimo, si sono incamminati verso di essa per ammirarne i monumenti e le tracce del passato, per venerare le memorie dei Martiri, per celebrare le principali feste dell’anno liturgico e per i grandi pellegrinaggi giubilari, ma anche per prestare la loro opera al servizio delle Istituzioni della Nazione italiana o della Santa Sede.

Roma, perciò, in un certo senso obbliga il potere temporale e quello spirituale a dialogare costantemente, a collaborare stabilmente nel reciproco rispetto; e richiede anche di essere creativi, tanto nella tessitura quotidiana di buone relazioni, come nell’affrontare i numerosi problemi, che la gestione di un’eredità così immensa porta necessariamente con sé.

La “Città eterna” è come un enorme scrigno di tesori spirituali, storico-artistici e istituzionali, e nel medesimo tempo è il luogo abitato da circa tre milioni di persone che qui lavorano, studiano, pregano, si incontrano e portano avanti la loro storia personale e familiare, e che sono nel loro insieme l’onore e la fatica di ogni amministratore, di chiunque si impegni per il bene comune della città.

Essa è un organismo delicato, che necessita di cura umile e assidua e di coraggio creativo per mantenersi ordinato e vivibile, perché tanto splendore non si degradi, ma al cumulo delle glorie passate si possa aggiungere il contributo delle nuove generazioni, il loro specifico genio, le loro iniziative, i loro buoni progetti.

Il Campidoglio, insieme alla Cupola michelangiolesca e al Colosseo – che da qui si possono vedere – ne sono in un certo senso gli emblemi e la sintesi. Infatti l’insieme di queste vestigia ci dice che Roma possiede una vocazione universale, portatrice di una missione e di un ideale adatto a valicare i monti e i mari e ad essere narrato a tutti, vicini e lontani, a qualsiasi popolo appartengano, qualsiasi lingua parlino e qualunque sia il colore della loro pelle. Quale Sede del Successore di San Pietro, è punto di riferimento spirituale per l’intero mondo cattolico. Ben si spiega perciò che l’Accordo di Revisione del Concordato tra Italia e Santa Sede – di cui quest’anno si celebra il 35° anniversario – affermi che «la Repubblica Italiana riconosce il particolare significato che Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicità» (art. 2 § 4).

Questa peculiare identità storica, culturale e istituzionale di Roma postula che l’Amministrazione capitolina sia posta in grado di governare questa complessa realtà con strumenti normativi appropriati e una congrua dotazione di risorse.

Ancora più decisivo, però, è che Roma si mantenga all’altezza dei suoi compiti e della sua storia, che sappia anche nelle mutate circostanze odierne essere faro di civiltà e maestra di accoglienza, che non perda la saggezza che si manifesta nella capacità di integrare e far sentire ciascuno partecipe a pieno titolo di un destino comune.

La Chiesa che è a Roma vuole aiutare i romani a ritrovare il senso dell’appartenenza a una comunità tanto peculiare e, grazie alla rete delle sue parrocchie, scuole e istituzioni caritative, come all’ampio ed encomiabile impegno del volontariato, collabora con i poteri civili e con tutta la cittadinanza per mantenere a questa città il suo volto più nobile, i suoi sentimenti di amore cristiano e di senso civico.

Roma esige e merita la fattiva, saggia, generosa collaborazione di tutti; merita che tanto i privati cittadini come le forze sociali e le pubbliche istituzioni, la Chiesa Cattolica e le altre Comunità religiose, tutti si pongano al servizio del bene della città e delle persone che la abitano, specialmente di quelle che per qualsiasi ragione si trovano ai margini, quasi scartate e dimenticate o che sperimentano la sofferenza della malattia, dell’abbandono o della solitudine.

Sono trascorsi 45 anni da quel Convegno che ebbe per titolo: «Le responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e di giustizia nella Diocesi di Roma», meglio noto come il Convegno “sui mali di Roma”. Esso si impegnò a tradurre in pratica le indicazioni del Concilio Vaticano II e consentì di affrontare con maggiore consapevolezza le reali condizioni delle periferie urbane, dove erano giunte masse di immigrati provenienti da altre parti d’Italia. Oggi quelle e altre periferie hanno visto l’arrivo, da tanti Paesi, di numerosi migranti fuggiti dalle guerre e dalla miseria, i quali cercano di ricostruire la loro esistenza in condizioni di sicurezza e di vita dignitosa.

Roma, città ospitale, è chiamata ad affrontare questa sfida epocale nel solco della sua nobile storia; ad adoperare le sue energie per accogliere e integrare, per trasformare tensioni e problemi in opportunità di incontro e di crescita. Roma, fecondata dal sangue dei Martiri, sappia trarre dalla sua cultura, plasmata dalla fede in Cristo, le risorse di creatività e di carità necessarie per superare le paure che rischiano di bloccare le iniziative e i percorsi possibili. Questi potrebbero far fiorire la città, affratellare e creare occasioni di sviluppo, tanto civico e culturale, quanto economico e sociale. Roma città dei ponti, mai dei muri!

Non si temano la bontà e la carità! Esse sono creative e generano una società pacifica, capace di moltiplicare le forze, di affrontare i problemi con serietà e con meno ansia, con maggiore dignità e rispetto per ciascuno e di aprirsi a nuove occasioni di sviluppo.

La Santa Sede desidera collaborare sempre più e meglio per il bene della Città, al servizio di tutti, specialmente dei più poveri e svantaggiati, per la cultura dell’incontro e per un’ecologia integrale. Essa incoraggia tutte le sue istituzioni e strutture, come pure tutte le persone e le comunità che ad essa fanno riferimento, ad impegnarsi attivamente per testimoniare l’efficacia e l’attrattiva di una fede che si fa opera, iniziativa, creatività al servizio del bene.

Formulo perciò i migliori auspici affinché tutti si sentano pienamente coinvolti per raggiungere questo obiettivo, per confermare con la chiarezza delle idee e la forza della testimonianza quotidiana le migliori tradizioni di Roma e la sua missione, e perché questo favorisca una rinascita morale e spirituale della Città.

Signora Sindaca, cari amici, al termine di questo mio intervento, voglio affidare alla protezione di Maria Salus Populi Romani e dei santi Patroni Pietro e Paolo ognuno di voi, il vostro lavoro e i propositi di bene che vi animano. Possiate essere concordi al servizio di questa amata Città, nella quale il Signore mi ha chiamato a svolgere il ministero episcopale. Su ciascuno di voi invoco di cuore l’abbondanza delle benedizioni divine e per tutti assicuro un ricordo nella preghiera. E voi pregate per me e se qualcuno di voi non prega, almeno pensatemi bene! Grazie tante!  

 


PAROLE DEL SANTO PADRE
ALLA CITTADINANZA

Cari romani, buongiorno!

Come vostro Vescovo di solito vi incontro a San Pietro, a San Giovanni, o nelle parrocchie… Oggi mi è dato di rivolgervi la parola e il saluto dal Campidoglio, culla di questa Città e cuore pulsante della sua vita amministrativa e civile. Grazie della vostra presenza e grazie dell’affetto che nutrite per il Successore di Pietro!

La Chiesa che è a Roma, secondo la nota espressione di Sant’Ignazio di Antiochia, «presiede alla carità» (Lettera ai Romani, Proemio). Pertanto è compito del suo Vescovo, il Papa, ma anche di tutti i cristiani di Roma, di operare concretamente per mantenere il volto di questa Chiesa sempre luminoso, riflettendo la luce di Cristo che rinnova i cuori.

Nel cuore del Papa trovano posto anche coloro che non condividono la nostra fede, sono tutti fratelli: per tutti è la mia vicinanza spirituale, e il mio incoraggiamento ad essere ogni giorno “artigiani” di fraternità e di solidarietà. Questo è il compito di un cittadino: essere artigiano di fraternità e solidarietà. Come tanta gente in tutto il mondo, anche voi, cittadini di Roma, siete preoccupati del benessere e dell’educazione dei vostri figli; vi sta a cuore il futuro del pianeta, e il tipo di mondo che lasceremo alle generazioni future. Ma oggi, e ogni giorno, vorrei chiedere a ciascuno di voi, secondo le proprie capacità, di prendervi cura l’uno dell’altro, di stare vicini gli uni agli altri, di rispettarvi a vicenda. Così incarnate in voi stessi i valori più belli di questa Città: cioè una comunità unita, che vive in armonia, che agisce non solo per la giustizia, ma in uno spirito di giustizia.

Grazie ancora per questo incontro! Chiedo al Signore di ricolmarvi delle sue grazie e delle sue benedizioni. E chiedo a voi, per favore, di pregare per me. Grazie e arrivederci!

 

I cattolici interessati alla Politica ed il rapporto con la Gerarchia

Molte volte nel corso degli anni scorsi abbiamo ascoltato la ricorrente lamentela di chi auspicava che i vescovi facessero sentire la propria voce a sostegno della ripresa di una iniziativa politica dei cattolici.

E’ chiaro come in molte situazioni, a fronte dell’ampia divisione dei laici in diverse formazioni politiche, spesso l’una contro l’altra armata, gerarchia e clero non potevano che limitarsi a prendere atto di uno stato di cose.

Nonostante fosse evidente che, a lungo andare, ciò avrebbe solo portato all’indifferenza e all’inconsistenza; nonostante apparisse sempre più evidente la necessità della riproposizione di quei valori e quelle istanze collegate ad uno dei filoni ideali di pensiero e programmatico che tanto aveva  inciso in positivo nella storia moderna del Paese e dell’intera Europa.

Questa necessità sta spingendo adesso molti vescovi ad intervenire sempre più spesso con un ampio spettro di posizioni. Speculari e coincidenti con la varietà di sensibilità ed atteggiamenti che ben sappiamo essere presenti nel mondo laicale interessato alla cosa pubblica.

E’ inevitabile, dunque, accettare che una dialettica ed una riflessione sia avviata per individuare la strada migliore al fine di definire quali possano essere iniziative e strumenti utili a raggiungere  quel bene comune che resta il riferimento generale.

Il cardinale Gualtiero Bassetti  è venuto a mettere in qualche modo ordine in questo complesso di sentimenti e prospettive destinate ad agitare il campo di coloro che formano la composita realtà, oggi, rappresentata dai cattolici intenzionati ad  impegnarsi politicamente.

Abbiamo colto nelle sollecitazioni del Presidente della Cei, nel suo richiamo all’esperienza sturziana,  le finalità di un discorso “ aperto” il cui sbocco è l’intera gente italiana.

A queste sollecitazioni si sono aggiunte quelle del cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin. Anche queste non dedicate e dirette ad una sola parte, bensì rivolte a tutti, indipendentemente dal credo religioso, dalla storia, dalla collocazione politica, dall’appartenenza ad una tradizione proprie di ciascuno.

Qui devono emergere il significato e la forza di una “ nuova rete”, di un nuovo sistema di relazioni  da portare al servizio di tutti gli italiani e gli europei.

Un qualcosa che parta dal basso, dalle persone di buona volontà, dai competenti, dalle professionalità, da coloro che non sotterrano il proprio talento o se lo giocano solo della dimensione individualistica, dai circoli e dai gruppi che intendono portare il loro apporto all’interno di un superiore processo di presenza pubblica.

Il problema non è quello di chiedersi solamente cosa ci si aspetti dai pastori, la cui funzione e ruolo assurgono ad una dimensione del tutto diversa, più ampia, più “ profonda” rispetto a quella riconducibile alle scelte della politica.

Si tratta di comprendere il fatto che dare sostanza all’ispirazione cristiana, nel momento in cui ci si appresta ad una immersione nelle cose del mondo, significhi misurarsi sul piano della soluzione dei problemi reali, quelli vissuti direttamente dalla gente.

Siamo consapevoli che molte sono le opzioni e non stupisce se i cattolici intendano declinare il loro impegno lungo diverse prospettive e sulla base di differenti sensibilità.

In ogni caso,  una sorta di “ convergenza” potrebbe pur  sempre realizzarsi su tutto ciò che concerne il rispetto della vita, sin dal momento del concepimento, la dignità della persona, il sostegno alla famiglia, quella generata sulla base dell’amore di una donna con un uomo, l’identificazione e il sostegno ad una corretta e doverosa applicazione delle nuove scoperte scientifiche, destinate a toccare da vicino l’essenza dell’umanità. Anche molte questioni economiche e sociali possono costituire occasione di confronto costruttivo e di comune proposta.

Con il Concilio Ecumenico Vaticano II iniziò il cammino della Chiesa “ in uscita” con l’intento di avvolgere in un più aderente abbraccio il “ nuovo”, il quale comunque già in precedenza non tutto veniva aborrito e condannato. Anche se ciò non era recepito in modo chiaro e distinto da chi del mondo cattolico non faceva parte.

Questo specifico cammino, perché altri se ne avviarono sotto il profilo della catechesi e della teologia, iniziò sulla base di un riconoscimento del ruolo specifico del laico, parte viva ed attiva della Chiesa e, al tempo stesso, immerso nel mondo.

Poi, giunse un periodo complesso. Prese le mosse negli anni ’90, con la scelta della Chiesa italiana di non sostenere più quello che fino ad allora era stato il partito di riferimento organico dei cattolici.

L’allontanarsi da esso sembrò trovare una giustificazione in una serie di vicende cui forse si poteva provare a dare una risposta diversa, ma eventi drammatici e traumatici non sembrarono allora essere altrimenti governabili.

Si impose, invece, il convincimento che meglio sarebbe stato tutelare principi e valori in un rapporto “ diretto” con le tante realtà italiane, incluse quelle politiche ed istituzionali. Questo ha in qualche modo favorito e sostenuto il processo della “ diaspora” e la conseguente irrilevanza di cui molte volte abbiamo già parlato.

Purtroppo, assieme all’abbandono della particolare entità storicamente espressa dal mondo cattolico democratico in politica,  finì per essere anche trascurata la complessiva partecipazione dei laici cattolici nel tessuto civile e sociale. Si lasciò che la rete allentasse le proprie maglie, fino alla scomparsa.

Oggi, non solo in Italia, molti cattolici intenzionati a riproporre una presenza certa attorno ai valori della solidarietà, della sussidiarietà, del superamento della visione liberista e di quella socialista, si stanno  chiedendo anche quale possa essere il giusto rapporto da instaurare con gli uomini di Chiesa nel contesto specifico che debbono affrontare. Come avviene il contrario, in una feconda, reciproca riflessione.

Noi laici per primi dobbiamo capire che l’interessarsi da parte della Chiesa ai “ problemi temporali” deve partire dalla sollecitudine verso quei mali e quelle questioni per il risolvere le quali è assolutamente necessario l’intervento fattivo ed operoso della intera società, dello Stato, della comunità.

Certo, ad essi, ed ad essi solamente, sta il diritto ed il dovere di prospettare risposte concrete a quelle deficienze, ritardi, contraddizioni e pericoli che la Chiesa, però, aiuta ad individuare sulla base della propria esperienza derivante dall’essere, per dirla con san Paolo VI, “   esperta in umanità”.

Ai cattolici in perenne attesa di un “ intervento” diretto ed esplicito da parte delle gerarchie deve essere anche portata all’attenzione un’altra riflessione.

Poiché il laico credente è al tempo stesso parte  della Chiesa e parte del mondo, è necessario non perdere mai di vista, alla luce dell’insegnamento di Cristo sulla distinzione tra ciò che è di Dio e ciò che è dell’uomo, la individuazione di differenti piani di collocazione.

In qualche modo, è Cristo stesso che prefigura l’autonomia del laico nella soluzione dei suoi problemi nelle istituzioni e nella società umana.

Alla Chiesa non può e non deve essere chiesto di più della capacità di essere maestra nell’indicare, per dirla con Maritan,  la “ forza vivificante del cristianesimo nell’esistenza temporale”.

Pd, cambia tutto. Ma con chi?

Articolo già apparso sulle pagine di https://www.huffingtonpost.it

Il neo segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti ha annunciato, giustamente e pomposamente, che il suo partito “cambierà tutto”. E ha ragione. La trasformazione del Pd in un nuovo e aggiornato Pds è ormai sotto gli occhi di tutti.

L’archiviazione del partito a “vocazione maggioritaria” da un lato e il ritorno del partito della sinistra italiana dall’altro, sono la conferma plateale che il Pd ha cambiato pelle e ragione sociale rispetto al passato. O meglio, cerca di cambiare pelle.

Sotto questo profilo, è perfettamente inutile proseguire nella liturgia, e nell’ipocrisia, di un partito plurale che raccoglie le più grandi culture politiche del Novecento nel medesimo partito. Quella stagione si è chiusa definitivamente con l’archiviazione definitiva e irreversibile del renzismo e la ridiscesa in campo della cultura, del pensiero, della tradizione e della simbologia della sinistra italiana.

Del resto, un nuovo e rinnovato Pds, come l’ha coerentemente tratteggiato Zingaretti, non può che comportarsi così. Adesso il compito del nuovo corso del Pd/Pds è quello di ricomporre tutta l’area della sinistra italiana. Quella di governo, quella che un tempo si definiva extraparlamentare, quella movimentista e tutte quelle frange che più o meno sono riconducibili alla galassia della sinistra italiana.

È del tutto evidente, al riguardo, che chi non proviene da quel pensiero, da quella cultura, da quella tradizione e da quella simbologia deve contribuire a organizzare un altro “campo”, come si suol dire in gergo. Il cosiddetto “centro”, cattolico democratico, cattolico popolare, liberal democratico e laico riformista, non può che riconoscersi in un altro movimento/partito/campo politico e culturale.

Questa è la vera sfida politica, culturale e programmatica dei prossimi mesi. In particolare dopo il voto europeo che resta il vero e grande sondaggio popolare. Ogni altra interpretazione, seppur legittima, è del tutto fuori luogo. Come quella di pensare che i cattolici nel nuovo corso del Pd/Pds siano determinanti e indispensabili per garantire la pluralità di quel partito.

Su questo versante, e com’è evidente a tutti, il ruolo dei cattolici democratici e popolari nel partito di Zingaretti è sempre più simile a quello dei “cattolici indipendenti” di sinistra nel Pci degli anni Settanta e Ottanta. Cioè soprammobili utili per dire che il partito era plurale e che si limitava, per confermare quell’assunto, a regalare una manciata di seggi parlamentari a livello nazionale e qualche incarico di prestigio a livello locale.

Ma è inutile approfondire questo aspetto perché è del tutto scontato oltreché noto a tutti. Il problema di fondo del “nuovo corso” di Zingaretti e dell’impegno solenne a “cambiare tutto” rispetto al recente passato renziano, è con chi intraprendere e con chi condividere questo processo politico. Ed è proprio qui che emerge qualche contraddizione.

È appena sufficiente rivedere le immagini delle prime fila alla recente Assemblea nazionale all’hotel Ergife di Roma per rendersi conto che quasi tutti gli ex turbo renziani per lunghi cinque anni erano tutti lì a spellarsi le mani ogniqualvolta Zingaretti invocava una netta discontinuità rispetto al passato più o meno recente.

È inutile fare nomi e cognomi perché sono a tutti noti. Uno per tutti, l’ex sindaco di Torino Piero Fassino, fan di Renzi e del renzismo per tutto il tempo della segreteria del leader fiorentino e, di conseguenza, convinto sostenitore di tutte quelle scelte politiche che oggi si vogliono, almeno a parole, cancellare dall’orizzonte politico e programmatico del nuovo Pd/Pds.

E, oltre all’ex sindaco di Torino, l’elenco sarebbe lunghissimo avendo avuto Renzi una maggioranza nel partito che ondeggiava fra il 70 e l’80%. Ora, che in Italia ci sia la prassi consolidata nel tempo di salire sul carro del vincitore appena stravince e di scendere immediatamente quando quel vincitore va in disgrazia rinnegandolo pubblicamente, non è una gran novità.

È sempre stato così e sarà, presumibilmente, sempre così. Però qui il problema è un altro, almeno in apparenza. E cioè, come può essere serio, e soprattutto credibile, un partito che annuncia una rivoluzione radicale del suo progetto politico con una classe politica che sino a qualche tempo prima l’ha rinnegata altrettanto radicalmente?

Come può essere credibile un progetto politico che viene predicato e praticato – salvo il neo segretario del partito che non è mai stato un fan e un tifoso di Renzi e del Renzismo – da tutti coloro che hanno condiviso radicalmente il progetto renziano sino a quando è rimasto alla guida del partito beneficiando di incarichi, candidature, prebende e tutto ciò che è riconducibile alla cultura del potere?

Sono domande, semplici ma gigantesche, a cui il neo segretario del Pd/Pds dovrà dare una risposta altrettanto seria e credibile. Perché dopo l’entusiasmo delle primarie viene il tempo della politica e del suo progetto politico. Ed è proprio su questo versante che si gioca, a parere di molti e anche del mio, la statura e la personalità politica di Nicola Zingaretti.

Perché un nuovo progetto politico è anche e soprattutto credibile se viene incarnato e vissuto da chi non può essere accusato che ha sostenuto un disegno prolifico opposto per molti anni. Se, per intenderci, il “cambiamento totale” invocato giustamente e coerentemente da Zingaretti viene gestito concretamente da coloro che erano seduti in prima fila alla recente Assemblea nazionale del partito, più che un atto di grande cambiamento ci troveremmo semplicemente di fronte a una gigantesca operazione di camaleontismo politico. E cioè, l’eterno “cambiamo tutto affinché non cambi nulla”. Ovvero, il solito e ben noto alle cronache politiche gattopardismo.

Brexit: sempre più vicino al “no deal”

Alla luce di “rischi di uno scenario di no deal sempre più verosimili”, l’Ue e gli Stati membri hanno sostanzialmente “completato” la preparazione in caso di un’uscita traumatica dall’Ue della Gran Bretagna. Lo ha annunciato la Commissione Ue, spiegando che anche quasi tutte le misure legislative (17 su 19) sono già state adottate e le rimanenti dovrebbero esserlo “rapidamente”.

La dichiarazione della Commissione segue le conclusioni del Consiglio europeo (articolo 50) della scorsa settimana. “Anche se uno scenario di “no-deal” non è auspicabile, l’UE è pronta”, aggiunge la nota.

Tra i provvedimenti di preparazione a una Brexit senza accordo, Bruxelles ricorda di avere adottato il proseguimento del programma PEACE sull’isola d’Irlanda fino alla fine del 2020, l’accordo sul bilancio, le misure sulla pesca, le misure temporanee sui servizi finanziari, la connettività e la sicurezza aerea. Inoltre sono state messe a punto le misure sulla connettività stradale e ferroviaria, sulle ispezioni navali, sul riallineamento del corridoio del Mare del Nord, la politica sul clima, il programma Erasmus +, i titoli di sicurezza sociale e la reciprocità dei visti.

Edilizia scolastica, semplificazione per gli interventi degli Enti locali

Sono previste procedure più semplici per l’esecuzione di lavori di edilizia scolastica da parte degli Enti locali. Lo stabilisce una norma contenuta nel D.L sblocca-cantieri, approvato la scorsa settimana in Consiglio dei ministri. Con questa disposizione, per tutto il triennio di programmazione 2019-2021, gli enti locali potranno affidare i lavori pubblici relativi a interventi di edilizia scolastica fino alla soglia comunitaria mediante procedure negoziate aperte ad almeno 15 operatori economici. Una semplificazione assai rilevante che ridurrà di gran lunga i tempi di realizzazione degli interventi. Analoga disposizione si applicherà per l’affidamento degli incarichi di progettazione da parte degli enti proprietari degli istituti scolastici con procedura negoziata rivolta ad almeno 5 operatori.

“Il nostro impegno sull’edilizia scolastica continua con costanza – ha detto il titolare del Miur, Marco Bussetti – Abbiamo infatti approvato una norma fondamentale che consentirà agli enti locali di affidare in tempi più stretti i lavori di messa in sicurezza delle scuole e le relative progettazioni e di semplificare le procedure di appalto. Ancora una volta – ha sottolineato il ministro – stiamo dimostrando con i fatti e con azioni concrete e mirate come l’edilizia scolastica e la sicurezza dei nostri studenti siano una priorità di questo Governo. Oltre ad aver sbloccato ingenti risorse negli ultimi mesi e ad aver messo in moto procedure significative per agevolare e sostenere economicamente le progettazioni degli enti locali, siamo intervenuti ora con una deroga specifica per l’edilizia scolastica al codice dei contratti pubblici”.

La Russia rinuncia a monitorare la campagna elettorale Ucraina

La Russia non monitorerà a campagna elettorale in Ucraina ma farà parte dell’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani (Odihr) dell’Osce e, per questo motivo, rinuncia definitivamente a inviare degli osservatori nel paese. Lo ha annunciato il ministero degli Esteri russo in una nota.

Questo perché  il parlamento di Kiev ha approvato a inizio febbraio una legge che impedisce ai cittadini russi e ad altre personalità indicate da Mosca di partecipare come osservatori alle consultazioni che si svolgeranno nel paese nel 2019.

A votare in favore del procedimento sono stati 232 deputati del parlamento ucraino. In base al testo della legge, un cittadino o soggetto proveniente da un paese riconosciuto dal parlamento ucraino come Stato aggressore o occupante non può partecipare al monitoraggio elettorale, anche in qualità di osservatore.

Spacciatori di cultura a Scampia

“Si chiama La Scugnizzeria, ovvero la casa degli scugnizzi, i ragazzi di strada”. Così Rosario Esposito La Rossa (classe 1988), primo libraio del quartiere all’estrema periferia nord di Napoli nonché responsabile delle case editrici Marotta&Cafiero e Coppola editore.

Ma cosè la Scugnizzeria?

E’ la Casa degli Scugnizzi, un luogo dove la porta è sempre aperta. 140 mq di rivoluzione in periferia, tra Scampia e Melito. La Scugnizzeria è una moltitudine, è una bottega, un bazar, una Piazza di Spaccio Creativa. La prima enolibreria dell’area nord di Napoli.

Una sala polifunzionale, uno spazio teatrale professionalmente attrezzato. Un luogo dov’è possibile organizzare presentazioni di libri, cineforum, mostre fotografiche. Un centro di formazione per giovani del territorio con wifi gratuito, postazioni pc, teli chroma key per registrare Made in Scampia News – Il Tg delle Belle Notizie, un’area insonorizzata per registrare audiolibri e i podcast di Radio Scugnizzi.

Ma è anche l’Ospedale dei Libri, un laboratorio di restauro di libri per l’infanzia. Un luogo dove si riparano i libri, si aggiustano le storie. Un orfanotrofio per volumi destinati al macero. C

L’inquinamento a Taranto e il principio di precauzione

Si parla da decenni dell’importanza dell’inquinamento a Taranto, fino agli avvenimenti recenti con giudizi contrastanti sui dati raccolti, coinvolgenti tutti gli organi tecnici preposti, il procuratore, il sindaco, le varie associazioni ambientaliste, i privati cittadini.
Si parla da decenni dell’emergere dell’inquietante problema della diossina che ha portato Taranto a diventare un caso nazionale.

D’altronde la presenza di un’area industriale che include uno stabilimento siderurgico, una raffineria, un cementificio, un porto crocevia dei maggiori traffici petroliferi mondiali e una serie di industrie minori, non può certamente portare ad un impatto zero.
Il caso del complesso siderurgico di Taranto è emblematico di come una visione non lungimirante del rapporto tra sviluppo industriale, sociale e sostenibilità ambientale non possa che portare col tempo gravi danni.

Va ricordato che negli anni fra il 2002 e il 2005, veniva deciso dalla direzione dell’azienda di spostare l’intera produzione di acciaio a Taranto, dopo che erano state chiuse la cokeria e l’altoforno dell’impianto di Genova. Secondo i dati dell’Ines (Inventario Nazionale delle Emissioni e delle loro Sorgenti), la crescita di diossina nell’aria sarebbe stata superiore al 60%.
Dal 2005 quindi irrompono nel dibattito la diossina e i policlorobifenili, tra i composti più tossici e cancerogeni, e l’attenzione dell’opinione pubblica sull’industria siderurgica cresce, come le misurazioni e le valutazioni, i sequestri degli impianti, gli accordi con i proprietari dello stabilimento, che si impegnano a ridurre le emissioni, a bonificare, a concordare provvedimenti di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) e così via.
Per questo motivo l’area industriale è stata costantemente monitorata attraverso dati e rilevazioni, per supportare delle certezze scientifiche a sostegno di politiche ed interventi di governo.

Gli studi, le analisi e le relative conclusioni a cui sono giunti i vari team scientifici promossi dall’autorità civile, politica, giudiziaria e dalle stesse industrie, gli esiti concreti di questi esami svolti a partire dagli anni ’90, mostrano già che, sebbene le cifre raccolte abbiano valenza scientifica, sono importanti le interpretazioni, che lasciano spazio a manovre diverse e in contrasto tra di loro.
La politica dell’Unione Europea in materia di ambiente si fonda sul principio della precauzione, dell’azione preventiva e della correzione dell’inquinamento alla fonte, nonché sul principio chi inquina paga.

Il principio di precauzione è uno strumento di gestione dei rischi cui è possibile ricorrere in caso d’incertezza scientifica in merito a un rischio presunto per la salute umana o per l’ambiente derivante da una determinata azione o politica.
Per esempio, qualora sussistano dubbi in merito all’effetto potenzialmente pericoloso legato alla produzione industriale di un prodotto e qualora, in seguito ad una valutazione scientifica obiettiva, permanga l’incertezza, può essere impartita l’istruzione di bloccare la produzione di tale prodotto.

Tali misure devono essere non discriminatorie e proporzionate e vanno naturalmente riviste non appena si rendano disponibili maggiori informazioni scientifiche e più certezze.
Per questo motivo, è di qualche giorno fa la notizia, dopo il referendum consultivo sulla chiusura totale o parziale dell’Ilva che fu votato da circa 33 mila persone non raggiungendo il quorum, il Comitato Taranto Futura, ne ha riproposto un altro.

Il presidente Nicola Russo ha chiesto al sindaco Melucci, lo svolgimento di un nuovo referendum comunale.
Sono due i quesiti da sottoporre all’attenzione: chiusura dell’area a caldo dell’attuale industria siderurgica Arcelor Mittal o allontanamento della fabbrica dal centro abitato, per rispetto del principio di precauzione.

“ A questo principio fa riferimento anche il Regolamento Comunale di Igiene e Sanità. Quando c’è il rischio potenziale per la salute dei cittadini, pertanto il sindaco ha due soluzioni, o disporre l’allontanamento degli impianti siderurgici, oppure disporre la chiusura dell’aria a caldo – ha riferito Nicola Russo – però noi abbiamo anche dato delle alternative, o bonificare utilizzando gli stessi lavoratori dell’area a caldo, o prevedere un premio incentivante per l’esodo anticipato o addirittura produrre le bramme fuori dal centro siderurgico tarantino”.

Il Comitato dei Garanti avrà venti giorni per approvare i quesiti, dopodiché saranno sufficienti tremila firme.

Rimane il fatto che a Taranto o perché manca effettivamente la volontà per dare seguito a certe decisioni, o perché le misure intraprese si rivelano sempre insufficienti, o perché diversi interessi non trovano mai un accordo, l’inquinamento ambientale resta a livelli altissimi e ha ripercussioni sulla salute e qualità della vita, ma anche sulle attività commerciali quali la pesca, l’allevamento, il turismo.

Il problema di fondo è che Taranto dipende ancora molto dalla grande industria, nonostante gli sforzi cominciati per andare in un’altra direzione, tanto da essere difficile trovare una via economica alternativa all’Arcelor Mittal o alle raffinerie.

Come è successo per altre città, bisognerà bypassare la monocoltura industriale con progetti di green-economy, di risanamento ambientale e urbano e di valorizzazione del settore turistico diventando un incubatore di progetti di riconversione industriale.
Vito Piepoli

Firenze: L’Inferno di Dante nei dipinti di Tannaz Lahiji

Prosegue il percorso artistico “Riflessioni su Dante” di Tannaz Lahiji. Dopo la prima tappa dello scorso 20 marzo a Palazzo Vecchio, ieri, giorno del Capodanno fiorentino, alle ore 15.30 in Sala Gonfalone nel Palazzo del Pegaso, in Via Cavour 4 a Firenze, si è tenuta l’inaugurazione della seconda tappa del progetto artistico dedicato all’Inferno.

Sono le tre cantiche dantesche a ispirare Tannaz Lahiji, artista persiana (a Firenze dal 2004) che intuisce come la Divina Commedia non rappresenti solo un viaggio nell’immaginario del poeta, ma il senso della vita stessa di Dante in quanto Uomo.

La sua opera magna diventa, quindi, una fonte d’ispirazione che Tannaz Lahiji rielabora attraverso lo studio della luce (da oltre cinque anni al centro della sua ricerca). Tre grandi tele – oggetto della installazione – rivisitate attraverso tre diversi cromatismi – il blu, il rosso e la luce naturale – restituiscono scenari danteschi trasformati.

“In queste tre interpretazioni, Tannaz Lahiji riproduce il modo in cui decidiamo di vivere e di porci nel mondo: una riflessione che rappresenta anche la verità dell’artista, in grado di rivivere l’opera di Dante alla luce della sua ricerca e della sua vita”, osserva la scrittrice d’arte Manuela Antonucci.

Che cos’è la Sindrome di Raynaud

Il fenomeno di Raynaud è uno spasmo eccessivo dei vasi sanguigni periferici, che provoca una riduzione del flusso di sangue. Questo evento si associa ad una sensazione locale di dolore, bruciore e alla variazione del colorito cutaneo.

Il fenomeno di Raynaud si verifica in risposta all’esposizione al freddo, a stress emotivi o alle vibrazioni. Si manifesta soprattutto in una o più dita delle mani e dei piedi e occasionalmente sulla punta del naso o sui lobi delle orecchie.

Il vasospasmo può persistere per minuti o per ore. Il fenomeno di Raynaud può anche essere associato a malattie come l’artrite reumatoide o il lupus eritematoso sistemico.

Per diagnosticarla occorrono esami del sangue specifici e la capillaroscopia, una tecnica di indagine sui capillari.

Dopo la Basilicata. Con Zingaretti il Pd non decolla…perché manca il centro

Si può archiviare in fretta l’ennesima sconfitta del centrosinistra, stavolta in Basilicata, oppure estrarre  dal voto un elemento di valutazione contingente, ma non superfluo.

Archiviare sarebbe un errore, anche quando lo si facesse, come sembra in queste ore, con la forzata soddisfazione per una percentuale in crescita rispetto al dato delle politiche.

È vero, il declino non è irrimediabile. Dal blocco grillino si è sfaldata la “sezione” di sinistra per tornare in qualche modo a casa; ma il grosso delle perdite – più della metà del consenso raccolto nel 2018 – è andato a rimpinguare la destra, e segnatamente la Lega.

Quanto può durare l’andazzo attuale che vede sistematicamente penalizzato il M5S in sede locale, a tutto vantaggio dell’alleato Salvini? Si dice che in passato i socialisti applicavano la medesima regola pratica, accordandosi con la Dc a Roma e con i comunisti in periferia; non era tuttavia sempre così, rigidamente, anche perché l’ambivalenza socialista si ammantava di giustificazioni legate alla governabilità non potendo ignorare il peso dei comunisti, specie nelle regioni rosse.

Salvini invece adotta uno schema senza varianti: al governo con i Cinque Stelle, nelle Regioni e nei Comuni con il centro destra. Neppure avverte la fatica di spiegare la spregiudicatezza di tale condotta opportunistica, visto che il M5S ha rivendicato fin dall’inizio della legislatura il diritto al suo splendido isolamento negli enti locali.

Questa impostazione grillina ha favorito in modo diretto e indiretto una sorta di “ambientazione sovranista” del suo elettorato estraneo e, più ancora, ostile alla sinistra. Lo spostamento a destra risulta perciò coerente con i paradigmi di una sensibilità originariamente aggrappata al mito dell’antipolitica come arma di riscatto del popolo, magari a costo di un inasprimento in chiave di xenofobia, intolleranza e faziosità del vivere democratico.

Il problema del centro sinistra risente di questa inconsistenza strategica dei grillini. Anche Zingaretti stenta a trovare una linea, essendo quella che confida e sollecita il “ritorno a casa” degli elettori sedotti dal sinistrismo alla Rousseau una debole prospettiva di ripresa politica. Il renzismo mette a verbale che il partito, nonostante alcuni segnali di fiducia, continua a perdere. Si consuma in effetti l’illusione che il “partito a vocazione maggioritaria”  abbia solo bisogno, ai suoi lati, di embrionali formazioni di complemento. 

Il vuoto al centro resta incolmato. D’altronde Zingaretti ha vinto le primarie giocando una carta alla Corbyn, pur con l’afflato del post-comunista modernizzatore, immaginando che il vento del cambiamento possa spingere verso il rilancio della sinistra (emendata perciò dal renzismo). Ora, a fronte di questa tesi, il responso della Basilicata non è incoraggiante. L’impalcatura della politica zingarettiana non regge. Per altro, si nota la riduzione al minimo della pretesa funzione egemonica del Pd. Se cresce rispetto alle politiche, il centrosinistra lo deve, a vista d’occhio, alle altre componenti con forte radicamento territoriale della (finora) bistrattata coalizione. Bisogna tenerne conto: invece di un partito nazionale forte, capace di far respirare a pieni polmoni l’alleanza articolata sul territorio, sono i “mondi vitali” (liste civiche o del candidato) del territorio a trainare lo sforzo di sintesi nazionale.

In conclusione però, il Centro che manca d’identità e non si propone con autorevolezza ai fini della riforma del modello coalizionale, si staglia all’orizzonte come la più importante questione da risolvere per la politica dei democratici e riformisti. È il vero nodo della crisi italiana ai tempi del sovran-populismo.

 

Elezioni regionali in Basilicata 2019 – Chi ha vinto, chi ha perso Lo studio dell’istituto Cattaneo

Basilicata: Giù i cinque stelle

Le elezioni regionali della Basilicata hanno consegnato la vittoria al centro destra con il 42% di voti; il centro sinistra raccoglie una buona percentuale, il 33% ma con un notevole svantaggio dal primo, male il Pd che si ferma al 8,1%. Il dato che però fa più clamore è quello dei 5Stelle che rispetto alle politiche dimezzano i loro voti, passando dal 44% al 20%.

Il cartello delle sinistre perde ancora. Era prevedibile. Ma bisogna riconoscere che l’allargamento oltre il Pd rende meno amara la sconfitta. In fondo, ritornano sopra un significativo 30% e lasciano alla deriva il renzismo, quello votato all’autosufficienza del partito, che pensava essere spavaldamente bastevole a se stesso.

Il primo commento è che dopo la Sardegna e le precedenti competizioni regionali si conferma che il centro destra è ancora gradito agli elettori e che la sinistra non riesce a raccogliere consensi. Ma il dato più emblematico è come dicevo, quello dei 5Stelle che continuano a perdere appeal elettorale con emorragie di voti davvero considerevoli. Questa situazione dove i penta stellati non godono più del favore degli elettori, pone in luce che il sistema tripolare sembra lasciare il posto al bipolarismo.

Le ragioni del fenomeno si possono ricercare sul fatto che la scelta di governo fatta dai 5Stelle li ha portati a compromessi contro il loro programma con la conseguenza di notevole perdita di voti. Infatti i loro elettori si sono sentiti traditi per la rinunzia a guidare i processi politici da parte di Di Maio, soggiogato dal ben più abile e astuto Salvini che, di fatto, ha guidato la coalizione giallo-verde.

E, il fatto che la sovranità di Matteo Salvini si manifesti quotidianamente, consente alla Lega di aumentare, dappertutto, i suoi voti a danno dei 5Stelle che poi devono fare i conti con il loro elettorato, sempre più insofferente all’accordo giallo-verde. Ora, se alle elezioni Europee di maggio i penta stellati saranno relegati sotto il 20% è molto probabile che subito dopo ci sia la caduta di questo governo con la riproposizione del centro destra che lo sostituirà con un governo provvisorio.

Questo porterebbe presto a elezioni politiche anticipate con il conseguente ritorno al bipolarismo che dovrebbe garantire governabilità al Paese.

In attesa del decollo, l’Italia ha allacciato la cintura cinese

Con l’imperscrutabile sorriso del presidente Xi Jinping e lo strabiliante annuncio di una fantomatica vittoria dell’Italia sulla Cina, proclamato dal ridente vice premier Di Maio, si è concluso il più colossale accordo commerciale mai finora firmato dal nostro Paese.

In realtà, la gaffe del leader M5S, dovuta forse ad una cattiva interpretazione dello slogan win-win coniato da Pechino per sopire le preoccupazioni dei partner occidentali e della riluttante Europa in particolare, è piuttosto imbarazzante se si considera che dall’avvento della Repubblica Popolare di Cina in poi le trattative di Pechino sono sempre state improntate sul “reciproco interesse”, win-win appunto, che si spera verrà attuato anche in questi accordi del valore di oltre due miliardi e mezzo di Euro.

Nel 1970, l’Italia fu il primo Paese NATO ad allacciare i rapporti diplomatici con la Cina Popolare e, in questi giorni, è stato il primo Paese del G7 a firmare il documento della “Belt and road initiative” (Bri), meglio noto come “La nuova Via della Seta”, il grandioso programma infrastrutturale cinese che dall’Asia si estende all’Africa e all’Europa, coinvolgendo oltre 60 paesi nel suo gigantesco abbraccio.

Con la realizzazione della Bri, la Cina non è più soltanto il “Paese di mezzo” (Zhong-guo, Cina) dell’Asia, ma anche il centro strategico di tutta l’immensa fascia terrestre e marittima coinvolta nel progetto.

Russia – Mongolia, Bangladesh, Birmania, Indocina, Pakistan, Asia centrale e occidentale fino all’Europa, Kazakistan – Russia,  oltre alle rotte marittime verso gli oceani Pacifico e Artico, costituiscono l’immensa Via della Seta che converge sulla Cina e dalla Cina si irradia.

Il progetto prevede nuovi posti di lavoro, nuovi scambi, nuovi sviluppi commerciali, con  evidenti vantaggi per tutti i paesi coinvolti e che il presidente Xi Jin Ping, impegnato ad avviare la Bri fin dal 2013, non ha mancato di evidenziare nel corso di tutti i colloqui ufficiali tenuti a Roma.

Alla pressante necessità della Cina di smaltire l’eccesso delle sue produzioni e di far fruttare il suo immenso capitale monetario, corrisponde la crisi economica in cui  versa gran parte dell’Europa e l’Italia in particolare, anche se con ogni probabilità non saremo in grado di importare tutto quello che Pechino non riesce a smaltire in casa propria.

Ancora non sono chiare le condizioni poste dal governo di Pechino ai paesi firmatari della Bri e, per quanto ci riguarda, all’Italia in particolare, ma la decisa opposizione di Washington al progetto cinese, che solo l’abilità diplomatica e la grande apertura al dialogo del Presidente Mattarella sono riuscite a placare, lascia temere qualche atto di rivalsa da parte del presidente Trump, contrario all’accordo e notoriamente non troppo incline alla benevolenza nei confronti dei suoi recalcitranti alleati.

Due miliardi e mezzo di Euro non sono una cifra trascurabile ed è prevedibile che l’Italia dovrà prepararsi a dure fatiche per onorare gli impegni assunti che, comunque gli accordi vengano considerati, non costituiscono certo  una nostra vittoria.

Il sorriso accattivante di Xi Jinping e i mutui scambi di cortesie, non debbono trarre in inganno. I cinesi sono spietati nel difendere i loro interessi e la debolezza economica dell’Italia, con un debito pubblico sull’orlo dell’abisso, non fa che aggravare la nostra posizione .

Gli avvertimenti non sono mancati, sia da parte del Fondo Monetario Internazionale che ha citato il caso del Montenegro e delle Maldive, arrivati al collasso economico  a causa di uno smisurato aumento del debito pubblico dovuto alla Bri, sia da parte degli ambasciatori dell’UE a Pechino, che hanno sottolineato l’estrema difficoltà delle aziende europee nei tentativi di penetrare il mercato cinese e, al contempo, la consumata abilità di Pechino nello sfruttare a proprio vantaggio certe ambiguità della lingua cinese e non facilmente traducibili, proditoriamente inserite nei documenti ufficiali originali.

Giustamente è stato rilevato come la proposta della Bri non si limiti ai rapporti commerciali, ma rivesta un più ampio aspetto politico che riguarda direttamente anche il nostro Paese. Formalmente, le intese tra l’Italia e la Cina sono state definite strettamente economiche e spaziano dal paternariato strategico tra la Cassa Depositi e Prestiti e il Bank of China Limited a quello tra l’ENI e il Bank of China Limited, al Piano di Azione sulla collaborazione sanitaria, alla “restituzione di 796 reperti archeologici appartenenti al patrimonio culturale cinese”, al “protocollo sui requisiti sanitari per l’esportazione di seme bovino dall’Italia alla Cina”, fino al memorandum di intesa tra la RAI e il China Media Group e l’accordo tra le agenzie giornalistiche ANSA e XINHUA.

Tra intese, memoranda, contratti, patti, protocolli, sono state apposte 28 firme su altrettanti accordi. Ma come è da intendere “l’accordo di cooperazione tra l’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Orientale-Porti di Trieste e Monfalcone e la China Communications Construction Company”? A quali obblighi dobbiamo sottostare  per onorare l’Accordo di cooperazione tra il Commissario Straordinario per la Ricostruzione di Genova, l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale e, ancora, la China Communications Construction Company? Quali finalità politiche si prospetta la Cina in un programma di aiuti che coinvolge i porti più nevralgici per i nostri commerci e quale il prezzo che dovremo pagare?

La Cina di noi conosce tutto, perfino il nome degli amanti  e le abitudini dei più discreti membri del nostro Parlamento. Noi della Cina sappiamo soltanto quello che i cinesi vogliono si sappia o, raramente, quello  che ci arriva da qualche sporadica notizia sfuggita alle strettissime maglie del controllo governativo. Non disponiamo di dati certi e controllabili, non sappiamo quanto il deserto del Gobi abbia ingoiato delle loro terre coltivabili né fin dove arrivi la miseria e la fame di una crescente fascia della popolazione.

La lotta è impari, speriamo di uscirne con le ossa non troppo rotte.

Paolucci: i cattolici devono ritrovare le proprie ragioni d’impegno civile e politico

Sturzo riteneva che il risveglio di partecipazione dei cattolici e laici popolari alla politica rinnovasse i moti del Risorgimento, ai quali notoriamente avevano partecipato tutte le classi sociali, innescando quel rinnovato spirito di partecipazione che egli chiamava popolarismo.

Oggi, a distanza di cent’anni da quella fondazione, che prese anche di sorpresa la Chiesa ( l’iniziativa di Sturzo fece tabula rasa di tutte le varie unioni cattoliche conservatrici con a capo il nobile Della Torre, nominato direttamente dal Papa), di fatto si stanno ripetendo analoghe situazioni. Fondamentalmente, la dispersione o diaspora dei cattolici e laici nelle varie formazioni politiche, in lotta anche acerrima fra di loro, ne è il paradigma.
Non solo, ma osserviamo un’ulteriore divisione nei modi e nei tempi sulle proposizioni che i cattolici dovrebbero seguire per reinserirsi a pieno titolo nella politica attiva. I temi del cattolicesimo democratico popolare e liberale, temi che riprendono i valori che Sturzo prima e De Gasperi poi propugnavano, sono lucidamente gli stessi ieri e oggi: la promozione del lavoro come volano dell’economia e della realizzazione di ciascuno, la difesa della famiglia naturale, la tutela dell’impresa, lo sviluppo dei territori attraverso le autonomie comunali, il tutto inquadrato nella centralità della persona (v. il personalismo comunitario di Maritain), che nulla ha a che vedere col socialismo e/o attuale comunismo ( lo chiamerei capitalismo di Stato, che avanza in alcuni paesi del mondo, Cina in primis, ma anche Turchia, India, e altri paesi emergenti).

Il laboratorio italiano è invece un insieme di iniziative che comprendono le nostre radici culturali derivanti dal Vangelo e dal Pensiero Sociale della Chiesa. Parliamo di ciò che ha attraversato la storia di due millenni, generando quella economia di mercato che ha inizio in Toscana nel Rinascimento (su iniziativa dei mercanti e dei monaci Francescani come San Bernardino da Siena e anche di Sant’Antonino da Firenze vescovo) e prosegue poi con l’economia civile di Antonio Genovesi, a metà del ‘700. Ai nostri giorni essa si potrebbe tradurre in una economia che abbia come guida i valori dell’uomo, ponendosi come tutela dei più poveri e dei meno integrati, e superando perciò in Italia le categorie dei poveri assoluti e dei poveri relativi, così da sorreggere la classe media in difficoltà, ridotta rispetto al passato e costretta a una lotta di sopravvivenza.

Si tratta di un laboratorio che privilegia la consapevolezza del ruolo di ciascuno nella società, nella politica intesa come piena espressione della democrazia e piena realizzazione di ogni persona nella società. Deve esserci la certezza perciò che ognuno possa vivere in aderenza alle proprie aspirazioni, con il diritto a realizzare se stesso, quale che sia l’etnia di appartenenza e il luogo di provenienza. La sostanza dei “moti popolari d’ispirazione cristiana“ è questa: garantire la centralità della persona uomo e donna nella politica, nell’economia e nella società, superando gli ostacoli dello statalismo o capitalismo di Stato e/o del neoliberismo sfrenato. Tutti sistemi che travolgono le persone e generano le condizioni di un moderno schiavismo.

Documento d’intesa tra il Governo Italiano e il Governo Cinese

Il governo della Repubblica italiana e il governo della Repubblica popolare cinese (d’ora in
poi denominati “controparti”), nella prospettiva di promuovere una collaborazione pratica
bilaterale; nell’accogliere favorevolmente le conclusioni del Forum sulla cooperazione
internazionale della Via della Seta, tenutosi a Pechino nel maggio 2017; nel riconoscere
l’importanza e i benefici derivanti da una migliorata connettività tra l’Asia e l’Europa e il
ruolo che l’iniziativa della Via della Seta può svolgere in questo ambito; ricordando il
comunicato congiunto emanato dalla Tavola rotonda dei capi di stato del Forum per la
collaborazione internazionale della Via della Seta; ricordando il piano di azione per il
rafforzamento della collaborazione economica, commerciale, culturale e scientifica tra
l’Italia e la Cina 2017-2020, stipulato a Pechino nel maggio 2017; ricordando il comunicato
congiunto emanato dal 9° Comitato intergovernativo Italia-Cina, tenutosi a Roma il 25
gennaio 2019, e l’impegno espresso in quella sede per promuovere il partenariato
bilaterale in uno spirito di rispetto reciproco, uguaglianza e giustizia, a reciproco beneficio,
nella prospettiva di una solidarietà globale rafforzata; consapevoli del passato storico
comune sviluppato attraverso le vie di comunicazione per via di terra e di mare che
collegano Asia e Europa e del ruolo tradizionale dell’Italia come punto di approdo della Via
della Seta marittima; ribadendo il loro impegno a onorare i principi e le finalità della Carta
delle Nazioni Unite e promuovere la crescita inclusiva e lo sviluppo sostenibile, in linea con
l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e gli accordi di Parigi sui cambiamenti climatici;
ricordando inoltre gli obiettivi fissati dall’Agenda strategica per la collaborazione Unione
Europea-Cina 2020, e i principi guida della Strategia dell’Unione Europea per collegare
Europa e Asia adottata nell’ottobre 2018; hanno raggiunto la seguente intesa:

Paragrafo I: Obiettivi e principi guida per la collaborazione.

1. Le controparti si impegnano a lavorare insieme nel progetto della Via della Seta (Belt
and Road Initiative – BRI) per trasformare in vantaggi le reciproche forze complementari,
nell’ottica di una cooperazione pratica e crescita sostenibile, appoggiando le sinergie tra la
Via della Seta e le priorità identificate nel Piano di investimento per l’Europa e le reti transeuropee, e altresì tenendo presenti le discussioni riguardanti la Piattaforma per la
connettività Unione Europea-Cina. Questo consentirà inoltre alle controparti di rafforzare i
loro rapporti politici, i loro legami commerciali e gli scambi tra i popoli. Le controparti si
impegnano a rafforzare la collaborazione e a promuovere la connettività regionale in un
quadro di riferimento aperto, inclusivo ed equilibrato, i cui benefici si estenderanno a tutte
le parti, in modo da promuovere nella regione pace, sicurezza, stabilità e sviluppo
sostenibile.
2. Le controparti si impegnano a promuovere la collaborazione bilaterale in base ai
seguenti principi:
(i) Guidate dalle finalità e dai principi contenuti nella Carta dell’ONU, le controparti
lavoreranno per sviluppo e prosperità reciproche, basate sulla fiducia reciproca e spirito di
collaborazione:
(ii) Nel rispetto delle leggi e normative nazionali, coerenti con i rispettivi obblighi
internazionali, le controparti si impegnano a promuovere l’avanzamento dei loro progetti di
collaborazione;
(iii) Le controparti si impegnano a esplorare le sinergie e ad assicurare coerenza e
complementarietà con i meccanismi esistenti di cooperazione bilaterali e multilaterali e con
le piattaforme di cooperazione regionale.

Paragrafo II: Aree di cooperazione.

Le controparti si impegnano a collaborare nelle seguenti aree:
1. Dialogo sulle politiche. Le controparti promuoveranno le sinergie e rafforzeranno le
strutture di comunicazione e coordinamento. Stimoleranno il dibattito sulle politiche da
adottare nelle iniziative di connettività e sugli standard tecnici e normativi. Le controparti
lavoreranno assieme alla Banca di investimento asiatica per le infrastrutture (AIIB) per
favorire la connettività nel rispetto delle finalità e delle funzioni della Banca.
2. Trasporti, logistica e infrastrutture. Le controparti condividono una visione comune sul
miglioramento dei trasporti, affinchè siano accessibili, sicuri, inclusivi e sostenibili. Le
controparti collaboreranno allo sviluppo della connettività delle infrastrutture, tra cui
investimenti, logistica e inter-operatività, nelle aree di interesse reciproco (come strade,
ferrovie, ponti, aviazione civile, porti, energia – tra cui fonti rinnovabili e gas naturale – e
telecomunicazioni). Le controparti esprimono il loro interesse nello sviluppo di sinergie tra
la Via della Seta, il sistema italiano di trasporti e infrastrutture, come – tra gli altri – strade,
ferrovie, ponti, aviazione civile e porti e la Rete trans-europea dei trasporti dell’Unione
Europea (TEN-T). Le controparti accoglieranno favorevolmente ogni dibattito nel quadro
della Piattaforma di connettività tra l’Unione Europea e la Cina, per migliorare l’efficienza
della connettività tra Europa e Cina. Le controparti si impegnano a collaborare nel facilitare
il disbrigo delle operazioni doganali, rafforzando la cooperazione nelle soluzioni di
trasporto sostenibile, sicuro e digitale, come pure per quel che riguarda investimenti e
finanziamenti. Le controparti ribadiscono l’importanza di stabilire procedure di appalto
aperte, trasparenti e non discriminatorie.
3. Rimuovere ogni ostacolo al commercio e agli investimenti. Le controparti si impegnano a
estendere gli investimenti bilaterali e i flussi commerciali, la cooperazione industriale come
pure la cooperazione nei mercati di paesi terzi, esplorando i sistemi per promuovere una
robusta cooperazione a beneficio reciproco. Le controparti riaffermano l’impegno condiviso
per realizzare scambi commerciali e investimenti aperti e liberi, per contrastare gli
eccessivi squilibri macroeconomici, e opporsi all’unilateralismo e al protezionismo.
Nell’ambito della Via della Seta, le controparti si impegnano a promuovere commercio e
cooperazione industriale in modo aperto, libero, trasparente e non discriminatorio; appalti
trasparenti; parità di condizioni e rispetto dei diritti di proprietà intellettuale. Le controparti
si impegnano a studiare sistemi di collaborazione e partenariato più stretti e di vantaggio
reciproco, promuovendo la cooperazione triangolare e quella nord-sud, sud-sud.
4. Collaborazione finanziaria. Le controparti rafforzeranno le comunicazioni e il
coordinamento bilaterale su politiche di riforma fiscale, finanziaria e strutturale, in modo da
creare un ambiente favorevole alla collaborazione economica e finanziaria, anche tramite
l’avvio di un Dialogo finanziario Italia-Cina, tra il ministro dell’economia e della finanza
della Repubblica italiana e il ministro delle finanze della Repubblica popolare cinese.
Le controparti favoriranno il partenariato tra le rispettive istituzioni finanziarie per sostenere
congiuntamente la cooperazione in materia di investimenti e finanziamenti, a livello
bilaterale e multilaterale e verso paesi terzi, nell’ambito dell’iniziativa della Via della Seta.
5. Connettività tra persone. Le controparti si impegnano a favorire ed espandere gli scambi
interpersonali, a sviluppare la rete di gemellaggio tra le città, e a sfruttare appieno la
piattaforma dei Meccanismi di cooperazione culturale tra l’Italia e la Cina per portare a
termine il gemellaggio tra i siti UNESCO dei rispettivi paesi, allo scopo di promuovere la
collaborazione su istruzione, cultura, scienze, innovazione, salute, turismo e benessere
pubblico tra le rispettive amministrazioni. Le controparti favoriranno scambi e
collaborazione tra le rispettive autorità locali, mezzi di comunicazione, think tank,
università e giovani.
6. Cooperazione allo sviluppo nel rispetto dell’ambiente. Le controparti si impegnano a
sostenere pienamente l’obiettivo di sviluppare la connettività tramite un approccio
sostenibile ed ecologico, promuovendo attivamente la tendenza globale verso lo sviluppo
ecologico, circolare e a basse emissioni di carbonio. Con questo spirito condiviso, le
controparti collaboreranno nel campo della protezione ambientale, dei cambiamenti
climatici ed altre aree di reciproco interesse. Le controparti si impegnano a condividere le
loro idee sullo sviluppo sostenibile e a promuovere attivamente le direttive dell’Agenda
2030 per lo sviluppo sostenibile e gli accordi di Parigi sui cambiamenti climatici. Il
ministero per l’ambiente, il territorio e il mare della Repubblica italiana parteciperà
attivamente alla Coalizione internazionale per lo sviluppo ecologico sulla Via della Seta,
già avviato dal ministero dell’ecologia e dell’ambiente della Repubblica popolare cinese, in
sintonia con il programma ambientale delle Nazioni Unite (UNEP).

Paragrafo III: Modalità di cooperazione.

1. Le modalità di cooperazione potrebbero includere le seguenti, ma senza che siano
imposti imposti limiti o restrizioni:
(i) Lo scambio di visite e dibattiti ad alto livello all’interno dei meccanismi di scambio
governativi e non governativi. Le controparti metteranno a disposizione reciprocamente le
informazioni raccolte nei più svariati campi e su canali multipli, allo scopo di aumentare la
trasparenza e incoraggiare la partecipazione di cittadini provenienti da tutti i settori della
società;
(ii) Le controparti studieranno lo sviluppo di programmi pilota nelle aree chiave, negli
scambi economici e nella cooperazione, nella ricerca congiunta, nello sviluppo delle
capacità, negli scambi e nella formazione del personale.
2. Le controparti si impegnano a esplorare i modelli di cooperazione a vantaggio reciproco
per sostenere le principali iniziative nell’ambito della Via della Seta. Le controparti
seguiranno i principi del mercato, promuoveranno la cooperazione tra capitale pubblico e
privato, incoraggeranno gli investimenti e il supporto finanziario attraverso approcci
diversificati. Le controparti ribadiscono il loro impegno verso investimenti che siano
sostenibili, sotto il profilo sociale e ambientale, e fattibili economicamente.
3. Le controparti si impegnano a esplorare congiuntamente tutte le opportunità di
cooperazione tra Italia e Cina e di possibile cooperazione in paesi terzi. Le controparti si
impegnano a rispettare modi di cooperazione che siano a beneficio di tutti i partecipanti e
ad adottare progetti che siano a vantaggio dei paesi terzi, favorendo le loro priorità in
termini di sviluppo e le esigenze della loro popolazione, assicurandosi che siano validi e
sostenibili sotto il profilo fiscale, sociale, economico e ambientale.
4. Le rispettive autorità competenti delle controparti potranno siglare accordi di
collaborazione in settori specifici, anche per la creazione di strutture specifiche di
collaborazione.

Paragrafo IV: Meccanismo di cooperazione.

Le controparti sfrutteranno appieno i meccanismi bilaterali già esistenti per sviluppare la
cooperazione nell’ambito dell’iniziativa della Via della Seta.
La commissione governativa Italia-Cina avrà il compito di monitorare lo svolgimento e i
futuri sviluppi del presente accordo.
Paragrafo V: Risoluzione delle controversie.
Le controparti si impegnano a risolvere amichevolmente tutte le controversie derivanti
dall’interpretazione di questo documento di intesa tramite incontri diretti.
Paragraph VI: Legislazione applicabile.
Questo documento d’intesa non costituisce un accordo internazionale che potrebbe
portare all’applicazione di diritti e obblighi sotto la legge internazionale. Nessuna parte di
questo documento è da considerare come base di impegno legale o finanziario per le
controparti. Il presente documento d’intesa verrà interpretato secondo la legislazione delle
controparti e la legislazione internazionale, laddove ne ricorrano i presupposti, e per la
parte italiana anche secondo la normativa dell’Unione Europea.

Questo documento d’intesa avrà effetto dalla data della firma.
Questo documento d’intesa resterà valido per un periodo di cinque anni e sarà rinnovato
automaticamente per altri periodi di cinque anni in futuro, a meno che non venga terminato
da una delle controparti con comunicazione scritta con almeno tre mesi di anticipo.
Firmato a…. il….., in due originali, ognuna in lingua italiana, inglese e cinese, tutti
ugualmente autentici. Nel caso di divergenze interpretative, farà fede il testo in lingua
inglese.

No Brexit

La globalizzazione ha offerto molte opportunità dalla fine degli anni ottanta, esprimendosi al massimo a cavallo tra i due millenni, sembrando, per l’appunto, che il primo decennio del 2000 cedesse al secondo una via preferenziale per battezzare il terzo millennio. E, difatti, così è stato. I primi dieci anni è stata una galoppata verso questo traguardo. Ma, come sempre, agli effetti immaginati sono anche seguiti risvolti inediti. La massiccia presenza di mezzi di comunicazione veloci e articolati in ogni angolo di mondo, unito alla celerità con la quale le merci sfrecciavano da un continente all’altro e, senza mai comprendere fino in fondo, la quantità smisurata di finanza che attraversava i diversi oceani, tutti questi fenomeni hanno via via ristretto sempre più il nostro pianeta.

Nessuno non avrebbe mai ipotizzato che in parallelo, per cause non sempre immediatamente comprensibili, si presentassero anche condizioni del tutto deleterie. Mi riferisco allo scoppio di bolle finanziarie negli Stati Uniti e la conseguente ripercussione negativa in tutti i Paesi ricchi del mondo. Quella crisi ha un po’ annebbiato il processo positivo della globalizzazione facendo emergere il lato oscuro che, dal 2008 a oggi, sembra ancora contaminarci. Quella crisi ha svelato intendimenti del tutto imprevisti: un rapido ritorno a una sorta di confinamento nazionalistico, quello che, oggi, viene configurato con il concetto di “sovranismo”.

Questa premessa, per capire che cosa stia accadendo nella vecchia Gran Bretagna. La Brexit: il fenomeno di ritorno alla separazione rispetto al continente, segnava quel cammino che, tra l’altro, si scopre anche in altri Paesi europei, Italia inclusa. Solo che la Gran Bretagna, per fatti geografici, è facilitata nel seguire questo indirizzo. Il referendum di alcuni anni fa, ancorché per un margine ridotto, ha sentenziato il divorzio dalla Unione Europea.
Gli inglesi, però, non avevano capito a fondo che cosa ciò potesse comportare o almeno la maggioranza di essi, perché, i Londinesi, massicciamente, avevano votato contro il referendum. Il ridicolo balletto del governo Inglese, circa il che cosa fare, quando uscire e secondo quali modalità, ha messo in luce la debolezza dei conservatori ancora convinti della bontà di quel testo.

Ma, proprio ieri, Londra, la grande capitale ha messo in mostra la vasta e profonda preoccupazione che oggi vivono gli Inglesi; più di un milione di manifestanti, preoccupatissimi, per quanto possa loro capitare, hanno gridato a più non posso, la necessità di consentire al popolo una nuova consultazione referendaria.Che cosa capiterà adesso è un po’ difficile capire, ma dai conti immediati e da una economia veloce, a tutti è dato sapere che il rischio di quel Paese, nel caso in cui si staccasse dalla madre Europa, potrebbe essere pagato a caro prezzo.

Il vantaggio di tutti i Paesi Europei, anche quelli vinti da un intenso desiderio sovranista, è quello di trovarsi incollati gli uni agli altri dal suolo di questa vecchia terra del tramonto che li tiene, nonostante tutto, ancora tutti quanti abbracciati strettamente.

Responsabilità politica tra individuo e autorità

Articolo già apparso sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Flavio Felice

Sturzo ci lascia una eredità ricchissima tanto per lo sviluppo della teoria politica e della teologia pastorale, quanto per l’azione politica vissuta come alta forma di carità cristiana: «La politica è un dovere civico, un atto di carità verso il prossimo».

Luigi Sturzo ci insegna che ogni società, qualunque sia la sua forma, non potrà mai fare a meno dell’autorità. In essa Sturzo vede un “principio d’ordine”, un “mezzo di unificazione”, il “simbolo” stesso della socialità. Sturzo parte dalla convinzione che non si possa parlare di società, se non come una “compartecipazione” di idee, di sentimenti, di affetti, di valori e di interessi. Sarà proprio il confliggere e l’intersezione delle azioni poste in essere in nome di tali valori e interessi che conducono Sturzo ad affermare che gli individui in società concorrono, ciascuno nel modo che gli è proprio — direttamente o indirettamente — alla «creazione, attuazione e solidificazione dell’autorità»; per questa ragione egli ribadisce che «l’essenza dell’autorità è la stessa coscienza permanente, attiva, unificatrice e responsabile».

Esistono diverse tipologie che negano l’autorità. I primi sono coloro che la negano in quanto tale, e sono gli anarchici, i quali si mettono immediatamente e da sé al di fuori della società. Poi ci sono i nemici dell’autorità, in quanto contraria a un proprio interesse particolare e finiscono per essere colpiti dalle stesse leggi che violano. In terzo luogo, vi sono colori che negano l’autorità e un determinato ordine sociale perché ritengono che ve ne sia un altro migliore. Questi ultimi esprimono una continua forma di rinnovamento sociale, un fermento perpetuo che può condurre verso il meglio, ma anche verso il peggio. A queste tre categorie: l’anarchico, il partigiano e il riformatore, Sturzo ne aggiunge una quarta: il despota. Invero, Sturzo annovera tra i nemici dell’autorità e dell’ordine sociale anche coloro che detengono il potere abusandone e, così facendo, diventano la ragione stessa del disordine che emerge per reazione al loro esercizio dispotico dell’autorità.

Il cuore dell’argomento sturziano è la considerazione del “metodo della libertà”, al quale il Nostro contrapponeva il “metodo di autorità” (ovvero di “costrizione”). Per “metodo di autorità”, scriveva Sturzo, intendiamo «quello che regola tutta l’attività pubblica per via di legge, che procura la osservanza di questa mediante la coazione e applicandola per i trasgressori, che non lascia nulla all’iniziativa privata, né permette che l’opinione pubblica formata dai singoli cittadini o dai vari corpi morali interferisca nelle attività del potere pubblico». A esso si contrappone il «metodo di libertà, il quale parte dalla convinzione che lo sviluppo della personalità non può essere normale in un ambiente di costrizione, ma in un ambiente libero».

Sturzo riconduce l’autorità, l’unica che possa dirsi legittima, in quanto si fonda sul “metodo della libertà”, alla dimensione personale e alla coscienza individuale, dal momento che nessuno nasce con la qualità dell’autorità su un altro uomo. Oltretutto, per Sturzo, la base del fatto sociale è la persona e non «un’astratta autorità pubblica». L’autorità è un attributo che spetta a ciascuna persona, dal momento che siamo tutti figli dello stesso Padre. Certo, per ordinare e orientare al meglio la convivenza civile, gli uomini si organizzano in modo tale che il processo evolutivo con il quale si concretizza l’istituzionalizzazione dell’agire umano faccia sì che l’autorità di ciascuno non leda e, piuttosto, promuova la libertà degli altri, ma così la persona non rinuncia all’autorità, semmai la orienta a un fine che giudica superiore (trascendente) proprio per il perseguimento del bene che gli è proprio: «Il bene individuale che è vero bene […] diviene per se stesso bene comune».

In altre parole, i detentori del potere pubblico possono rivelarsi i primi nemici dell’autorità. In questo caso, il potere arbitrario non esercita “l’autorità pubblica”, bensì nega quella individuale, l’unica che abbia una concreta ragione di esistere. Il compito della politica è di garantire l’autorità individuale, costruendo, per via “evolutiva-processuale”, pubbliche istituzioni, e relativi istituti giuridici, che la esaltino. L’esercizio del potere sarà dunque pubblico, mentre l’autorità sarà tale solo e soltanto nella misura in cui sia possibile ridurla alla coscienza individuale. Con tali premesse, la politica può diventare una vera e propria opera d’arte, la più alta forma di carità.

Con riferimento a un’autorità europea, Sturzo è preoccupato che l’unione europea possa avvenire nel campo del totalitarismo, piuttosto che in quello della libertà, e per tale ragione già nel 1934 riteneva che si trattasse di una “necessità urgente” appellarsi a «un’etica superiore […] per la quale s’impedisca che l’Europa cada nella barbarie delle persecuzioni di razza, della soppressione dei partiti con massacri, del bastone e dell’olio di ricino, e che edifichi i nuovi stati totalitari in cui la persona è assorbita dal gruppo dominante». Di qui il dovere di «potenziare e far valere» le forze di resistenza e di ricostruzione, tra le quali, come ci ricorda Eugenio Guccione, uno dei più attenti storici del pensiero sturziano: 1. Un’organizzazione interna dei singoli stati moralmente ed economicamente «salda e coerente»; 2. La volontà da parte dei governi di «difendere l’ordine del paese da qualsiasi attentato sovvertitore, sia all’interno sia all’esterno»; 3. Il «superamento di inutili e spesso dannosi residui nazionalistici e di puntigli di sovranità, per una effettiva federazione europea», in grado di rafforzarne i «vincoli morali e politici», attuando «un’efficiente e perciò graduale unione economica».

Sul fronte istituzionale, Sturzo proponeva la creazione di un’assemblea formata dai rappresentanti delle camere di ogni paese membro, piuttosto che dai rappresenti dei governi, riconoscendo peraltro a ciascuno stato membro l’autonomia di stabilire le modalità procedurali per la scelta dei propri rappresentanti. Il motivo per cui Sturzo preferisce un’assemblea composta dai rappresentanti delle camere, piuttosto che dei governi, risiede nella natura “popolare” dell’organismo legislativo il quale sarebbe snaturato qualora fosse espressione di classi dirigenti, piuttosto che del popolo. L’argomento è originale, in quanto ammette che i rappresentanti popolari, tanto che siano espressione della maggioranza quanto della minoranza, possano essere portatori, sul piano internazionale, di istanze che si distanziano dalla linea di governo ed essere persino contrarie a esse. Scrive Sturzo: «I limiti di intese governative, le quali, come tali, sono destinate a restare sul piano di accordi internazionali senza legare i popoli a una politica e a una economia in comune».

Sturzo nel 1950 aderisce al Comitato promotore internazionale per la «Petizione di un Patto federale» e sottoscrisse uno dei più significativi manifesti europeistici. Nel manifesto si legge: «Federazione europea significa soluzione comune dei problemi che interessano tutti i paesi associati e rispetto della tradizione e delle autonomie degli stati membri per quel che riguarda i loro particolari interessi: un parlamento europeo, eletto a suffragio universale da tutti i cittadini; un governo europeo, dotato di mezzi necessari per farsi ubbidire, nell’ambito dei suoi poteri costituzionali; un tribunale europeo a tutela dell’uguaglianze dei popoli e della libertà dei cittadini; unità di politica estera, unità di esercito, unità di mercati, unità di moneta».

Sono questi gli anni in cui Sturzo ingaggia la sua ultima battaglia, quella durissima contro ciò che egli considerava i nemici mortali della democrazia, al punto da definirli le «tre male bestie della democrazia»: statalismo, partitocrazia, spreco del denaro pubblico. Ecco, dunque, che prendendo in esame il problema europeo dal punto di vista economico, Sturzo richiamava l’attenzione sui principi dell’economia libera, un’economia di concorrenza che trova notevoli punti di contatto con la tradizione ordoliberale tedesca e i tentativi di implementazioni portati avanti dai padri dell’economia sociale di mercato. In polemica con Ugo La Malfa, Eugenio Scalfari e Ernesto Rossi, Sturzo scriveva proprio nel 1957: «Non è certo questa l’iniziativa privata che io difendo; altrimenti non avrei potuto richiamarmi ai miei precedenti sul libero scambio, alla mia lotta contro le barriere doganali, al mio largo consenso (sostenuto da teorie e studi nei miei libri e scritti vecchi e nuovi a favore della comunità internazionale della Ceca e del Mercato comune); tutto ciò senza intenzioni, senza pentimenti, né abiure, nella mia continua lotta contro ogni vincolismo e parassitismo»

Bolletta dell’acqua, in Italia si spendono in media 426 euro all’anno

426€: questa la cifra spesa nel 2018 da una famiglia per la bolletta idrica, con un aumento del 2,9% (12€) rispetto al 2017. Grosseto e Siena si confermano i capoluoghi di provincia più cari con una spesa media a famiglia di 753€, Isernia resta ancora la più economica con 120€. Incremento record a Teramo (+14,3%) e Gorizia (+14,2%).

Le regioni centrali confermano il primato per le tariffe più alte con €581 annuali e un maggior incremento rispetto al 2017 (+3,8%). A livello regionale, le famiglie più “tartassate” risiedono nell’ordine in Toscana (676€), Umbria (536€), Marche (512€) ed Emilia Romagna (511€).

La regione più economica resta il Molise con 153€ l’anno, che detiene però anche il primato negativo della dispersione idrica (68%, rispetto al 36,4% della media nazionale).

Il maggior incremento tariffario (+9%) si registra in Friuli Venezia Giulia. Solo in Calabria la tariffa resta invariata rispetto al 2017.

Edilizia scolastica, in Emilia-Romagna interventi per 28 milioni

Nuovi interventi di ristrutturazione, messa in sicurezza sismica, adeguamento antincendio, e anche l’ampliamento o la costruzione di nuovi edifici, in 26 scuole dell’Emilia-Romagna, da Piacenza a Rimini, grazie a un investimento complessivo da 27 milioni e 600mila euro.
Le risorse, ripartite dalla Regione su tutto il territorio, provengono dal Fondo di Protezione civile (oltre 5 milioni) e dai risparmi ottenuti (2 milioni e 600mila euro) in fase di aggiudicazione degli appalti e alla fine dei lavori su opere, sempre di edilizia scolastica, realizzate grazie ai mutui della Banca europea degli investimenti (Bei) nel 2016.

A questo pacchetto si aggiungono poi 20 milioni di euro del programma regionale di edilizia scolastica (provenienti dal Fondo nazionale per lo sviluppo e la coesione, Fsc), destinati a tutte le Province e alla Città metropolitana di Bologna per interventi di edilizia sugli istituti scolastici secondari di 2° grado (superiori); le risorse – già programmate dalla Giunta regionale, che nell’ultima seduta ha approvato l’elenco degli interventi finanziabili – servono a soddisfare il fabbisogno di nuove aule dovuto all’aumento della popolazione scolastica, ad adeguare gli edifici alle nuove esigenze della scuola, anche in virtù della  riforma degli ordinamenti e dei programmi, e a razionalizzare la rete scolastica sul territorio.
Dal primo piano regionale di edilizia scolastica varato nel 2015, a inizio legislatura, a oggi, in Emilia-Romagna sono stati realizzati o sono in corso quasi 900 interventi, per quasi 350 milioni di euro di finanziamenti che, con le quote di cofinanziamento, hanno generato un investimento complessivo di 460 milioni di euro.

“Uno sforzo straordinario per quantità e qualità, se penso alle tante scuole che sono state aperte o ristrutturate in questi anni in tutti i territori. Una priorità e una scelta strategica per le quali adesso continuiamo a investire, pensando al futuro dei nostri giovani a partire dal loro presente. Stiamo parlando di spazi pensati per i bambini, le ragazze e i ragazzi di questa regione, per i docenti e tutto il personale. Ogni scuola deve essere sicura, efficiente, ma anche confortevole e bella: ne siamo profondamente convinti, per questo il piano regionale di edilizia scolastica è stato tra i nostri primi atti a inizio mandato, più volte ampliato e rifinanziato. Una scelta, ripeto, che guarda al futuro e che dà respiro a un comparto importante come quello dell’edilizia, fra i più colpiti dalla crisi.”, ha commentato il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini.

Le Mandorle sono delle buon alleate per il cuore

Un frutto secco che è diventato protagonista nella dieta mediterranea perché favorisce un apporto corretto, quali-quantitativo, di nutrienti molto importanti come le proteine, i grassi insaturi, le vitamine e il calcio.

La dose giornaliera ideale è di una manciata di mandorle di circa 28g o 23 mandorle. Se è vero che la frutta secca oleosa è salutare, sulle mandorle sono più numerosi gli studi scientifici che ne evidenziano le proprietà e i benefici per prevenire patologie come il diabete, le malattie cardiovascolari, l’obesità e la gestione del peso, il colesterolo ma anche la correlazione con le funzioni cognitive.

Ecco perché si suggerisce questo snack nei momenti in cui ci si sente più affamati, tra un pasto e l’altro, o quando si avverte un calo di forze e stanchezza.

Infatti sono un ottimo spuntino per ricaricarsi di energia e ricche di micronutrienti come il magnesio, che aiuta a ridurre la stanchezza e il senso di affaticamento; hanno un’alta densità nutrizionale ma sono a basso contenuto di zuccheri, sono prive di colesterolo e ricche di vitamine E, calcio, potassio.

Tutti vogliono la cittadinanza per il giovane Rami. e poi?

Adesso tutti (o quasi) vogliono dare la cittadinanza italiana al giovane Rami, nato in Italia da genitori egiziani, che ha concorso in modo determinante a sventare l’attentato contro il bus scolastico nel milanese e da grande vuol fare il Carabiniere. E forse anche ad Adam.

Giusto. È il minimo che si possa fare. Ma chiediamoci: quanti sono i ragazzi “italiani”, figli di stranieri che vivono regolarmente in Italia, si comportano bene, studiano oppure lavorano e non possono avere la cittadinanza italiana?
Si tratta di un tema di grande impatto. Sono le “seconde generazioni” di cui si parla troppo poco e spesso in modo superficiale; ragazzi che, in realtà, vivono due dimensioni assieme.
“Stranieri” perché portatori della cultura della propria famiglia di origine; “italiani” perché nati in Italia e ormai definitivamente inseriti nella nostra comunità da ogni punto di vista.

Questa loro situazione paradossale può portare ad un effetto devastante, in prospettiva: la crescita dentro le nostre comunità di enclave di giovani cittadini che si sentono tutt’al più tollerati ma non pienamente accettati quali membri attivi e partecipi della nostra società, come invece, di fatto, essi già sono.

L’esperienza di altri Paesi Europei dimostra che ciò non porta nulla di buono alla necessaria coesione del contesto civile e sociale ed alla difesa della stessa sicurezza democratica.E – oltretutto – priva la società dell’apporto pieno e completo di risorse umane dotate spesso di grande potenzialità.
Bene dunque che ci si proponga di dare la cittadinanza italiana al giovane Rami. Ma essa non può essere solo una sorta di (giustissimo) premio a fronte di comportamenti eclatanti e degni di enfasi mediatica.

La cittadinanza italiana – con i diritti e i doveri che comporta – va riconosciuta nella “normalità “ anche a tutti questi ragazzi che sono ormai nostri concittadini, studiano, lavorano, fanno sport, frequentano i ritrovi sociali esattamente come i figli degli italiani di origine.

Non aver approvato, nella scorsa Legislatura – per timori elettorali o per contrarietà ideologica – la proposta di Legge sostenuta da larga parte del centro sinistra – e in primis dal Gruppo Parlamentare che ho avuto l’onore di presiedere – è stato, in questo senso, un grande errore. Che non ha aiutato la nostra comunità a ragionare con pacatezza e con lungimiranza, nel suo stesso interesse.

Urge, per il futuro della nostra democrazia (e anche della nostra sicurezza) una Politica con la spina dorsale, capace di far riflettere la comunità su queste tematiche. Senza pregiudizi e senza buonismi: semplicemente con la razionalità e l’umanità che sono l’alfa e l’omega della buona politica.

A 75 anni dall’eccidio delle Fosse Ardeatine

Ricordare e fare memoria di eventi e fatti storici, spesso ci aiuta a comprendere il periodo in cui viviamo, e non sempre sono comprensibili come gli anni che stiamo attraversando.
Non a caso tante persone: anziani e giovani, occupate o in cerca di lavoro, precari e lavoratori autonomi, ritengono che pensare “agli anni a venire, non si parla, al massimo si prevede una triste prosecuzione dei mali presenti. In una società narcisista, dove la solidarietà sembra scemare, perché si vive di solo presente, o di malinconica nostalgia, questa rimozione del futuro è del tutto comprensibile,” questi concetti esprimevano diversi uomini di cultura, in occasione della ricorrenza dei 150 anni dell’Unità d’Italia. E purtroppo hanno ancora una attualità, nel presente della società, del nostro Paese.

Ecco, uno dei perché, il 24 marzo, anniversario dell’eccidio, evento simbolo della durezza della rappresaglia, durante l’occupazione nazista di Roma, rappresenta dopo 75, anni una pagina di storia di grande attualità e di dolore, che richiama gli orrori della guerra.
Questi i numeri delle Fosse Ardeatine: 335 italiani trucidati,( dalle forze di occupazione tedesche) tra militari e civili, 13 persone non furono identificate, fra le vittime 75 appartenenti alla Comunità ebraica romana; fra i caduti civili : commercianti, professori, artigiani,industriali, contadini, ingegneri, avvocati, farmacisti, pittori, studenti; e fra i militari soldati, di diverse armi, come marinai, carabinieri, ufficiali, maggiori, oltre a un sacerdote don Pietro Pappagallo.

La società romana era sostanzialmente rappresentata, in tutte le fasce sociali di quel periodo, e questo rese l’eccidio, malgrado i bombardamenti e l’occupazione dei militari tedeschi e delle SS della Città Eterna, più drammatico e partecipato.
La vicenda delle Fosse Ardeatine è raccontata e presente in molti libri, film, fiction televisive, su diversi siti internet, questo a dimostrazione di come questo drammatico evento sia ancora vivo nella memoria, non solo di Roma, ma nel Paese.
Il doveroso ricordo e il rispetto per le vittime, deve far riflettere sulla nostra storia, ove la guerra non guarda in faccia a nessuno, e la ricerca della pace deve essere un bene che va coltivato ogni giorno.

Nel corso degli anni alle Fosse Ardeatine, ci sono state diverse visite dei Pontefici: dall’italiano Papa Paolo VI, al polacco Papa Giovanni Paolo II, al tedesco Papa Benedetto XVI, all’argentino Papa Francesco, e dei Rabbini della Comunità ebraica di Roma, Elio Toaff e Riccardi Di Segni.
Nel Sacrario, dove i simboli hanno un grande valore, si svolgerà lunedì 25 marzo, la Cerimonia per il 75° anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Ci sarà la preghiera e la condanna degli sfregi dell’ultimo conflitto, ma soprattutto contribuirà al rafforzamento del dialogo fra religioni, e a migliorare i rapporti fra cattolici ed ebrei.

Questa ricorrenza è sempre destinata a lasciare un segno di ricordo e di speranza.

Non a caso in questi giorni, viene citata una frase di Indro Montanelli: “Un paese che ignora il proprio ieri, non può avere un domani,”

Ecco perché è giusto ricordare !

Altiero Spinelli e il federalismo europeo

Articolo già apparso sulle pagine della rivista http://www.treccani.it

Il federalismo europeo «è nato durante gli anni più duri della guerra nell’animo di alcuni uomini della Resistenza, di vari Paesi d’Europa, che nelle prigioni, nei campi di concentramento, nelle isole di confino, o nascosti alla macchia come partigiani o cospiratori, senza conoscersi fra loro, poiché la loro condizione era di una diaspora nell’illegalità, contemplando la rovina vergognosa dei vecchi Stati e meditando su quel che si sarebbe dovuto fare una volta abbattuta l’idra nazista, non si contentarono di progettare restaurazioni democratiche nazionali e riforme sociali ed economiche nazionali, ma intravidero come impegno di lotta politica la costruzione di una federazione europea»: in una bellissima voce pubblicata nel 1977 nell’Enciclopedia del Novecento, così Altiero Spinelli raccontava la nascita di una nuova idea d’Europa, che avrebbe dovuto creare le condizioni di una “pace perpetua” – per usare le parole di Kant – tra gli Stati del continente, ponendo fine al sistema delle sovranità nazionali, che aveva condotto a entrambe le guerre mondiali e alle crisi economiche che le avevano intervallate.

Spinelli, dopo quasi dieci anni di carcere (1928-37) e due di confino a Ponza (durante i quali era stato peraltro espulso dal Partito comunista per la sua avversione a Stalin), fu trasferito nel 1939 fino al ’43 sull’isola di Ventotene, dove scrisse, assieme all’esponente di Giustizia e Libertà Ernesto Rossi, il Manifesto per un’Europa Libera e Unita. Progetto di un Manifesto (1941), meglio conosciuto come Manifesto di Ventotene, che fu clandestinamente stampato a Roma nel 1944 dal socialista Eugenio Colorni, che ne redasse anche la prefazione.

In esso, che costituisce come noto uno dei testi base dell’europeismo, ricco di progettualità e speranza, si indicava come causa della guerra non il capitalismo, ma la sovranità assoluta degli Stati-nazione, fra loro perennemente rivali: secondo Spinelli, non si sarebbe data pace in Europa se alcune delle principali competenze attribuite fino ad allora agli Stati, quali «la garanzia del rispetto delle regole di vita democratica, la politica estera, la politica militare, la politica economica e monetaria», non fossero state delegate a organi sovranazionali, affidate a istituzioni politiche comuni. Da qui, nell’ideale progetto spinelliano, sarebbe dovuta ripartire la ricostruzione postbellica europea.

Poiché a suo parere la vera, nuova distinzione tra progressisti e reazionari era l’aderire o meno a un’idea di Europa federale, egli cercò di coordinare i diversi gruppi europeisti in un “movimento” e non di organizzarli in un partito, dando pertanto vita all’Union Européenne des Fédéralistes e poi al Mouvement Fédéraliste Européen. Pur cogliendo affinità con l’europeismo funzionalista di Jean Monnet, inoltre, egli considerava illusoria l’idea che dal potere amministrativo potesse discendere infine un potere politico: «Nessuna agenzia settoriale europea avrebbe avuto una forza trascinante per il resto delle economie e della società europea, ove fossero mancati impulsi politici nuovi provenienti dal di fuori dell’agenzia stessa».

Tuttavia, già il Congresso dell’Aia del 1948 decretò la sconfitta dell’utopia federalista. Come lo stesso Spinelli ammetteva, i federalisti «si rendevano scarsamente conto che il ritmo delle realizzazioni politiche è assai più lento e più tortuoso di quello della formulazione del pensiero. La penetrazione delle loro idee sarebbe stata assai più difficile di quel che essi avevano immaginato, ma la loro critica e il loro disegno, benché ancora non realizzato, è rimasto sino ad oggi il lievito fondamentale dell’europeismo».

Le intese economiche italo-cinesi

Ecco la lista degli accordi firmati a Roma fra Italia e Cina in occasione della visita del presidente Xi Jinping.

– Intesa di partenariato strategico tra Cassa Depositi e Prestiti S.p.A (CDP) e Bank of China Limited.

– Memorandum of Understanding sul partenariato strategico tra ENI S.p.A. e Bank of China Limited.

– Intesa di collaborazione tecnologica sul Programma di Turbine a Gas tra Ansaldo Energia S.p.A. e China United Gas Turbine Technology Co.-UGTC.

– Contratto per la fornitura di una turbina a gas AE94.2K per il progetto Bengangtra Ansaldo Energia S.p.A., Benxi Steel Group Co., e Shanghai Electric Gas Turbine Co.

– Memorandum of Understanding tra Cassa Depositi e Prestiti S.p.A (CDP), Snam S.p.A. e Silk Road Fund Co.

– Intesa di cooperazione strategica tra Agenzia ICE e Suning.com Group Coper la realizzazione di una piattaforma integrata di promozione dello stile di vita italiano in Cina.

– Accordo di cooperazione tra Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale – Porti di Trieste e Monfalcone e China Communications Construction Company (CCCC).

– Accordo di cooperazione tra il Commissario Straordinario per la Ricostruzione di Genova, l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale e China Communication Construction Company (CCCC).

– Memorandum of Understanding tra Intesa Sanpaolo S.p.A. ed il Governo Popolare della città di Qingdao.

– Contratto tra Danieli & C. Officine Meccaniche S.p.A. e China CAMC Engineering Co per l’installazione di un complesso siderurgico integrato in Azerbaijan.

*Le diciannove intese istituzionali:

– Memorandum d’intesa sulla collaborazione nell’ambito della ‘Via della Seta Economica’ e dell”Iniziativa per una Via della Seta marittima del 21° secolo’.

– Protocollo d’Intesa per la promozione della collaborazione tra Startup Innovative e tecnologiche tra il Ministero dello Sviluppo Economico italiano e il Ministero della Scienza e Tecnologia della Repubblica Popolare Cinese.

– Memorandum d’Intesa tra il Ministero dello Sviluppo Economico italiano e il Ministero del Commercio della Repubblica Popolare Cinese sulla cooperazione nel settore del commercio elettronico.

– Accordo tra il governo italiano e il governo cinese per eliminare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni e le elusioni fiscali.

– Protocollo sui requisiti fitosanitari per l’esportazione di agrumi freschi dall’Italia alla Cina.

– Memorandum d’Intesa sulla prevenzione dei furti, degli scavi clandestini, importazione, esportazione, traffico e transito illecito di beni culturali e sulla promozione della loro restituzione.

– Restituzione di 796 reperti archeologici appartenenti al patrimonio culturale cinese.

– Piano di Azione sulla collaborazione sanitaria.

– Protocollo in materia di ispezione, quarantena e requisiti sanitari per l’esportazione di carne suina congelata dall’Italia alla Cina.

– Protocollo sui requisiti sanitari per l’esportazione di seme bovino dall’Italia alla Cina.

– Memorandum d’Intesa tra il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale della Repubblica Italiana e il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese sulle consultazioni bilaterali.

– Memorandum di intesa sul progetto di gemellaggio volto alla promozione, conservazione, conoscenza, valorizzazione e fruizione dei siti italiani e cinesi iscritti nelle Liste del Patrimonio Mondiale dell’Unesco.

– Memorandum di intesa tra il ministero italiano dell’Istruzione, Università e Ricerca e il ministero della Scienza e Tecnologia della Repubblica Popolare Cinese sul rafforzamento della cooperazione sulla Scienza, Tecnologia e Innovazione.

– Patto di gemellaggio tra la Città di Verona e la Città di Hangzhou per la promozione della conoscenza, valorizzazione e fruizione dei rispettivi siti iscritti nelle liste del Patrimonio mondiale dell’Unesco.

– Gemellaggio tra l’Associazione per il Patrimonio dei Paesaggi Vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato e il Comitato di gestione per il Patrimonio dei “Terrazzamenti del Riso di Honghe Hani” dello Yunnan volto alla promozione della conoscenza, valorizzazione e fruizione dei siti iscritti nelle Liste del Patrimonio Mondiale Unesco italiani e cinesi.

– Protocollo di Intesa tra l’agenzia Spaziale Italiana e la China National Space Administration sulla cooperazione relativa alla missione “China Seismo-Electromagnetic Satellite 02” (CSES-02).

– Memorandum di Intesa tra RAI-Radiotelevisione italiana S.p.a. e China Media Group.

– Accordo sul servizio Italiano ANSA-Xinhua.

– Memorandum d’intesa tra TOChina Hub China Global Philanthropy Institute e China Development Research Foundation.

Comboniani: al via da Padova l’iniziativa “Adotta un albero per la tua città”

I missionari Comboniani hanno avviato una collaborazione con il Comune di Padova “Adotta un albero per la tua città”.

Partendo dalla consapevolezza che “se vogliamo salvaguardare il nostro ambiente e la nostra salute ogni uomo che utilizza mezzi a combustione dovrebbe piantare almeno 8 alberi all’anno”.

L’ente locale mette a disposizione l’equivalente di 12 campi da calcio di aree verdi che potranno essere migliorate grazie all’impegno di cittadini, aziende e associazioni.

Il progetto consiste in una raccolta di fondi per la piantumazione di alberi nelle zone di Pontevigodarzere e in zona Arcella. I primi alberi saranno piantati entro maggio.

La raccolta fondi per questo progetto sarà presso i missionari Comboniani. Sarà possibile scegliere tra diverse tipologie di alberi: leccio, nocciolo, acero, carpino, quercia, frassino e tiglio.

Election day il 26 maggio per Europee e Amministrative

Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Giuseppe Conte, ha individuato nel prossimo 26 maggio la data per lo svolgimento delle elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia. Il Governo proporrà pertanto tale data al Presidente della Repubblica, che indirà con proprio decreto i comizi elettorali.

Contestualmente si è comunicato che nella medesima data si svolgeranno le consultazioni per l’elezione diretta dei sindaci e dei consigli comunali, nonché per l’elezione dei consigli circoscrizionali da tenersi nel periodo compreso tra il 15 aprile e il 15 giugno. Il successivo eventuale turno di ballottaggio avrà luogo il 9 giugno 2019.

Reggio Emilia celebra il romanticismo di Antonio Fontanesi

Dal 6 aprile al 14 luglio 2019, apre al Palazzo dei Musei la mostra “Antonio Fontanesi e la sua eredità. Da Pellizza da Volpedo a Burri”, una rassegna dedicata all’illustre artista di Reggio Emilia, che si è distinto come uno dei pittori più innovativi del romanticismo e della pittura italiana dell’Ottocento.

La mostra, promossa dai Musei Civici di Reggio Emilia, in collaborazione con la Fondazione Torino Musei-Galleria d’arte moderna e la Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza, nasce in occasione dei 200 anni dalla nascita di Antonio Fontanesi (1818 – 1882) e ricostruisce, attraverso le sue opere più importanti, il percorso del pittore e le connessioni con gli artisti che dall’Ottocento fino agli anni ’60 del Novecento hanno ripreso un approccio alla natura e al paesaggio simile a quello dell’artista, tra la necessità di rappresentare la realtà e l’esigenza di esprimerne le emozioni.

Coppa del Mondo di spada, Rossella Fiamingo seconda a Chengdu

Rossella Fiamingo torna sul podio in Coppa del Mondo. La bicampionessa del Mondo ed argento olimpico a Rio2016, esattamente due anni dopo il successo nel Grand Prix FIE di Budapest, ha conquistato il secondo gradino del podio al termine della gara individuale della tappa di Chengdu del circuito di spada femminile. Un acuto importante, per la spadista siciliana, soprattutto perché giunge alla vigilia dell’avvio della fase di qualificazione olimpica che scatterà il prossimo 1° aprile.

L’azzurra, dopo aver sconfitto in semifinale l’ex compagna di Nazionale, da sei anni portacolori del Brasile, Nathalie Moellhausen, col punteggio di 15-10, ha subìto la rimonta in finale dalla francese, dalle lunghe leve, Helene Ngom capace di chiudere il match sul 15-12. Rossella Fiamingo, dopo la giornata dedicata alle qualificazioni, ha esordito superando per 15-14 l’estone Katrina Lehis, proseguendo poi con le vittorie contro la portacolori di Hong Kong, Lin Yik Hei Coco per 15-4 e contro l’ucraina Inna Brovko per 15-7. Ai quarti è poi arrivata la vittoria contro la francese, classe 1996, Alexandra Louis Marie col punteggio di 15-11.

Si è fermata invece ai piedi del podio Mara Navarria. La campionessa iridata in carica ha subito la stoccata del 15-14 nel match dei quarti di finale contro la statunitense Courtney Hurley. Mara Navarria, dal canto suo, da testa di serie numero 3 del tabellone, aveva esordito avendo ragione dell’ungherese Kinga Nagy per 15-14 in suo favore, quindi aveva sconfitto la russa Irina Okhotnikova per 15-12 e poi la tedesca Nadine Stahlberg ancora col punteggio di 15-14. La stoccata del 15-14 invece aveva interrotto, nel turno dei 32, la gara di Alice Clerici. La torinese è stata fermata dalla sudcoreana Injeong Choi, dopo che in precedenza si era aggiudicata il derby contro Nicol Foietta per 15-10.

Oltre a Nicol Foietta, a fermarsi nel primo turno del tabellone principale, erano state anche Federica Isola, sconfitta 15-14 dall’italo-brasiliana Nathalie Moellhausen, Roberta Marzani, superata 15-12 dall’ucraina Bezhura, Giulia Rizzi, stoppata sul 15-11 dalla polacca Knapik-Miazga, e Francesca Boscarelli arrerasi alla stoccata del 12-11 della russa Irina Okhotnikova. Era uscita di scena nella giornata di qualificazione invece Alberta Santuccio. Domani è in programma la gara a squadre con l’Italia che salirà in pedana con il quartetto composto da Rossella Fiamingo, Mara Navarria, Alice Clerici e Federica Isola.

L’influenza intestinale ancora non è finita

Chiaramente ininfluenza può avere una durata che varia da soggetto a soggetto. Quasi sempre non si va oltre i dieci giorni ma possono registrarsi tempi più lunghi in persone più fragili dal punto di vista fisico. Ovvero bambini e adulti con più di 65 anni.

Come ricorda il sito del Ministero della Salute “sono a maggior rischio di complicanze più gravi o peggioramento della loro condizione di base”.

Nel caso specifico, con il termine gastroenterite si indica una infiammazione dello stomaco e/o dell’intestino tenue e crasso. Essa è determinata da un virus. Presenta sintomi comuni a quello dell’influenza come appunto il vomito, la diarrea, la febbre e dolori addominali.
Per rimediare sono assolutamente consigliati alcuni piccoli accorgimenti. Tra questi certamente il riposo, il lavaggio frequente delle mani e una alimentazione controllata. Infatti è facile contrarre il virus tramite il contatto con persone già colpite dal virus o tramite cibo contaminato o toccando oggetti già utilizzati da persone colpite dal virus.

In ogni caso si suggerisce di contattare un medico che in base ai sintomi potrà meglio indirizzarci verso cure specifiche e appropriate. Evitare cure fai da te, a maggior ragione se si decide di assumere farmaci senza prima aver consultato personale medico specializzato.

Italia Finlandia 2-0: gol di Barella e Kean

Comincia bene il cammino dell’Italia verso l’Europeo del 2020. A Udine gli azzurri vincono 2-0 contro la Finlandia e salgono subito in vetta al Gruppo J insieme a Grecia e Bosnia.

La squadra di Mancini va a segno con un gol per tempo: Barella sblocca dopo 7′ con un destro da fuori; il bis arriva nella ripresa e ha la firma di Kean, che finalizza un bell’assist di Immobile. Quagliarella colpisce una traversa all’85’.

Ora la qualificazioni all’Europeo non sembra impossibile, se due squadre su sette accedono direttamente alla fase finale, e le altre sono Bosnia, Grecia, Armenia e Liechtenstein.

 

 

Un secolo fa nasceva il fascismo, ma furono in pochissimi ad accorgersene

Articolo già pubblicato dall’Agenzia AGI

“Fascism” in inglese, “Faschismus” in tedesco, “fascismo” senza intermediazioni in spagnolo e portoghese: cento anno fa, in un’auletta dappoco che ospitava il bivacco di uno sparuto manipolo, veniva coniata una delle due parole che l’italiano del Novecento avrebbe regalato al vocabolario delle altre nazioni.

Era il 23 marzo del 1919: nascevano i Fasci Italiani di Combattimento. Un uomo solo al comando: Benito Mussolini, ex combattente e reduce, maestro elementare riottoso e giornalista di geniaccio. Rivoluzionario di vocazione nonché, leninianamente, di professione.

Seguiva le sue indicazioni un esiguo corteo di arditi, socialisti rivoluzionari, futuristi e piccoloborghesi impauriti.

Cento uomini, non uno di più. A dirla tutta, un fiasco bello e buono. Nessuno si accorge di loro.

Poco importa: Mussolini era di matrice socialista soreliana, sapeva bene che un’elite pronta a tutto, soprattutto se chiamata allo scontro con una politica esausta ed una massa femminea, può andare molto lontano.

E lui la massa una femmina considerava (con la stessa considerazione che può avere per una donna chi non è abituato a vederne altro che l’aspetto erotico-riproduttivo). Quanto alla politica esausta, stanca ed esaurita era quella di quell’epoca, ed il sonno della politica genera mostri.

Teatro della venuta al mondo di un tal movimento, che avrebbe contribuito attivamente alle peggiori distruzioni della storia dell’Umanità, fu una sala del Circolo per gli interessi industriali e commerciali in quel di Milano, collocata in Piazza Sansepolcro.

Qui Mussolini, precedendo una definizione che di lui avrebbe dato Piero Gobetti, funse da ostetrico della Storia. Quella stessa storia che (sempre Gobetti lo scrisse) “non sapendo capirla, egli interpretava per miti”.

E per miti Mussolini, quel giorno, prese a rivolgersi agli italiani.

anniversario fascismo
 fascismo, Mussolini (AFP)

La sua mitopoietica era limitata, ma efficace. Disarticolata, ma incisiva. Priva di verità, e di conseguenza del tutto più credibile per chi rifiutava il mondo moderno come si andava profilando dopo la Prima Guerra Mondiale.

Non è un caso, quindi, se quelle duecento orecchie si drizzarono all’unisono in piazza Sansepolcro udendolo parlare di Vittoria Mutilata, di Italia umiliata, di tradimenti perpetrati alle spalle e congiure delle democrazie straniere.

La colpa, inevitabilmente, era della debolezza dei partiti italiani. Cioè della classe politica postrisorgimentale che ancora pensava di poter gestire il Paese. A cominciare dalla Monarchia.

Sì, perché il Mussolini che non toccherà mai il Re e concluderà i Patti Lateranensi – è cosa nota – in piazza Sansepolcro si professa autenticamente anticlericale e repubblicano. Ma se in entrambi questi casi avrà modo di cambiare idea, un passaggio del discorso di Sansepolcro lo vedrà fedele fino all’ultimo giorno.

Il passaggio è questo: “Non si fonda un partito, oggi, ma si dà una spinta a un movimento. Si crea semmai l’Antipartito, perché il fascismo è una realtà di vita”.  Promessa mantenuta.  Anche il Partito Nazionale Fascista, quando nascerà, tutto sarà meno che un vero partito quanto piuttosto un movimento volto, paradosso di ogni regime, alla soffocante stabilizzazione dei pensieri e dei comportamenti.

Insomma, il fascismo è appena nato e già si sa dove tira a parare. Basta volersene accorgere.

Il problema che questa volontà non c’è, perché a Milano ed in Italia, come ai tempi della peste del Manzoni, il buon senso ha lasciato spazio al senso comune.

Il vero pericolo, pensano tutti ad iniziare dagli industriali che ospitano quella mattina Mussolini e i suoi seguaci, non può che venire da sinistra, dal socialismo.

Non è ancora esploso il Biennio Rosso, ma le prime avvisaglie si iniziano a notare. A metà febbraio un corteo imponente di socialisti è sfilato per Milano, in modo pacifico. E Mussolini commenta, dalle colonne del “Secolo d’Italia”: “Dobbiamo combattere contro la Bestia ritornante”.

I primi morti

Tempo poche settimane e già per le strade si contano i morti: quattro, nell’assalto alla sede de “L’Avanti!”.

Scrive Federico Chabod che è proprio questa paura del Pericolo Rosso che attanaglia alta borghesia, latifondisti e ceto medio urbano, a scatenare chiunque sia disposto a cavalcare la tigre di un reducismo frustrato ed un futurismo immaginifico.

Mussolini non ha molte truppe, ma tanto fiuto. Questo basta, anche se nell’immediato la prova della democrazia lo tradisce.

È infatti il 1919, anno del suffragio universale maschile e della prima legge elettorale proporzionale.

Ai Fasci di combattimento non basta presentarsi con un programma socialrivoluzionario (abolizione del Senato, partecipazione degli operai alla gestione delle fabbriche e dei servizi pubblici, nazionalizzazione delle fabbriche di armi). Finiscono, uscendo dalle urne, tra gli ultimi.

Qui si compie l’ultimo passo della trasformazione: lotta su due tavoli, quello elettorale e quello rivoluzionario. Tanto si sa che sarà il secondo a dare i risultati migliori, di fronte ad una politica stremata.

Il veto di Vittorio Emanuele alla proclamazione dello stato d’assedio, il 28 ottobre del ’22, è la conferma del discorso di Sansepolcro. Mussolini ci vedeva lungo. Fine della storia.

anniversario fascismo
 Fascismo, Mussolini, Vittorio emanuele III (AFP)

Resta a questo punto da spiegare una sola altra cosa, vale a dire quale sia l’altra parola che l’italiano ha regalato al vocabolario delle altre lingue indoeuropee.

Questa parola è “pluralismo”, e la rimuginava nel suo studio – proprio mentre Mussolini declamava le sue certezze in quell’auletta degli industriali – un sacerdote con una maschera facciale che ne avrebbe potuto fare un personaggio del cinema di quegli anni. Si chiamava Luigi Sturzo, e proprio in quell’anno, il 1919, lanciava un appello ai liberi e ai forti. Ne sarebbe scaturita l’Italia postfascista.

Mussolini ci vedeva lungo, ma qualcuno forse ci vedeva più lungo di lui.

Parla di noi, democratici dell’occidente, la crisi generata da una brexit fuori controllo

Sono veramente preoccupato per la pessima conduzione della politica della Gran Bretagna offerta dalla May. Tutta la gestione della Brexit mostra l’assoluta incapacità della May di saper coinvolgere i diversi soggetti politici interessati. Tale incapacità è giunta a interessare apertamente gli stessi membri del suo Governo.

Possibile poi che non sia stata in grado di avvertire per tempo l’orientamento sulla questione procedurale da parte dello speaker della Camera dei Comuni? La conduzione complessiva della vicenda o è frutto, come sembra, di tale incapacità politica di dialogo e coinvolgimento o indica la scelta di condurre chiaramente le cose verso una rottura netta con l’Unione Europea, rovesciandone la responsabilità sui diversi soggetti via via coinvolti.

Comunque vedo in tutto ciò un segnale preoccupante di indebolimento del sistema parlamentare in Gran Bretagna. Fatto di estrema gravità anche per noi, in generale, mentre assistiamo per ogni dove alla crisi della democrazia rappresentativa. Quando, per altro, il Regno Unito è stato da sempre il punto di riferimento principale nella battaglia per l’ affermazione di tale forma di regime politico.

Per concludere,  la bufera che investe Londra, mortificando il suo prestigio di grande democrazia liberale, supera i confini dell’Isola visto che ognuno di noi, democratici  dell’Occidente, in varia misura ne risultiamo coinvolti.

Infante, brutti segnali: torna strisciante l’apologia di fascismo

E’ davvero difficile intervenire in maniera equilibrata su cose comiche e patetiche, ma al tempo stesso drammatiche, come quelle legate ai brutti segnali che giungono per la presenza dei gruppetti di fascisti intenzionati  a ripresentare una storia sepolta da crimini efferati, da servilismo filo nazista, da vuota retorica di potenza e di superomismo post nicciano.

Si rischia di sottovalutare o sopravvalutare fatti che colpiscono in ogni caso  e portano ad interrogarsi su che razza di paese si sia venuto sviluppando sotto i nostri occhi, soprattutto grazie a vera e propria ignoranza,  autentica mancanza di equilibrio e di senso storico, delirio onirico e innata spinta alla violenza ed alla prepotenza.

Comicità, pateticità e drammaticità coesistono nel vedere le imprese di quanti dovrebbero ben sapere come l’esperienza  cui si richiamano, macchia indelebile sul nostro passato, sia stata irrimediabilmente sconfitta dai fatti e poi ripudiata dalla nostra Costituzione e di come, proprio per repulsione nei suoi confronti,  il mondo intero abbia progressivamente fatto propria la Carta dei diritti dell’uomo.

Eppure “ quattro gatti” ancora provano a rinverdire i Fasci nonostante, con la croce uncinata, essi richiamino una delle pagine più indecorose e disumane delle nostre vicende nazionali ed europee.

Il problema, ovviamente,  non sono loro ed il loro carico di problemi da affidare ad esperti di psicoanalisi, più che ai politologi. Tanto sono incapaci persino di riflettere su quanto non rappresentino più niente, visto che il loro vero serbatoio elettorale organizzato raggiunga ogni volta poche migliaia di voti. Questa è la parte patetica e comica del ragionamento.

La parte drammatica comincia là dove si deve constatare che c’è chi li coccola, li vezzeggia , li copre e quanti sono coloro che riempiono pagine di giornale sul loro nulla.  L’obiettivo è chiaro: utilizzare questa manovalanza per tenere comunque vive le pulsioni razziste, antisemite, xenofobe, sempre utili da accarezzare al momento opportuno. Un tempo, era sfruttata per tenere viva ed utilizzare la teoria degli opposti estremisti.

Lo sanno bene i familiari delle vittime cadute sotto il piombo dei terroristi neo fascisti. Un piombo non diverso da quello dei brigatisti rossi. Piombo utilizzato lungo un paio di insanguinati decenni  per minare la nostra democrazia.

La parte drammatica è , così, richiamata da quei servitori dello Stato che ignorano la XII esima Disposizione transitoria  della Carta costituzionale, nonostante su quella carta abbiano giurato al momento di diventare Prefetti o qualcos’altro.

Che dire poi di magistrati che giustificano l’ingiustificabile: la nascita dei Fasci del lavoro, con tanto di fascio littorio nel simbolo, non si configura come ricostituzione del partito fascista? Solo perché non è direttamente menzionato il termine in questione? E’ davvero possibile che per questi magistrati ciò non significhi niente? Non hanno studiato i processi ad Ordine nuovo? Neppure quello si definiva direttamente partito fascista.

Così, l’auspicio è che i vertici istituzionali intervengano con fermezza a mettere i puntini sulle i e dimostrare coerenza con il loro giuramento sulla Carta; che il Csm e il Procuratore generale di Cassazione esaminino il comportamento di certi magistrati , magari anche solo per ricordare loro che prendono lo stipendio grazie alle tasse pagate dalla stragrande maggioranza di 60 milioni di italiani che non vogliono più avere niente a che fare con il fascismo.

E’ il minimo essenziale per pretendere che tutti rispettino le leggi.

Se si comincia , infatti, a tollerare che persino la Costituzione possa essere stravolta e dimenticata come è poi possibile aspettarsi da tutti senso di responsabilità ed una convinta adesione al consapevole sentirsi parte di una comunità?

Parlo della necessità di intervento da parte delle istituzioni perché mi rendo conto di quanto sia troppo chiederlo a certi politici. Anche ai nuovi che,  a volte, sembrano più vecchi dei vecchi. Nel loro Dna, anche di quanti volevano cambiare il mondo, sembrano avere solo la ricerca del consenso a basso costo e di fronte a questo sacrificano ogni scatto di orgoglio personale e di dignità pubblica.

Augusto Gregori: Roma, ” Il leader di una squadra, come il Sindaco, vale tanto quanto le persone di cui si contorna”

Le notizie che circolano su Roma in questi giorni non hanno tanto a che fare con la città, quanto piuttosto con le vicende giudiziarie che riguardano alcuni esponenti di spicco della Giunta Raggi.

E questo tema non mi appassiona.

Sarà la magistratura a stabilire se “qualcuno” ha sbagliato violando la legge. Detto ciò, Il leader di una squadra, come il Sindaco, vale tanto quanto le persone di cui si contorna.
Penso, che il torto più grande subito da Roma in questi ultimi 3 anni, non si possa riassumere con una indagine della Procura, perché in tutto questo tempo la nostra città è stata continuamente offesa, straziata e maltrattata da una Giunta comunale che i cittadini avevano deciso fosse in Campidoglio per far cambiare rotta alla città.

Invece in soli 3 anni sono riusciti a causare qualcosa che probabilmente non era mai avvenuto prima: hanno “semplicemente” tolto a Roma il suo presente e quindi, ogni speranza per il futuro. Una intera città spinta dentro a un baratro, cancellando completamente ogni prospettiva ed ogni idea di sviluppo. Nessuna visione e idea di
cosa è Roma e, cosa più grave, di quello che potrebbe diventare con un’amministrazione capace, preparata ed in grado di scegliere le migliori energie di cui circondarsi per rilanciare finalmente la Capitale d’italia come traino del Paese intero.
Amministrare Roma non è una questione di (H)onestà, che deve essere il presupposto, la precondizione per chiunque si occupi degli interessi della propria comunità.
Amministrare Roma vuol dire conoscerne le grandi complessità e le tante esigenze dei cittadini che la popolano.

Amministrare Roma significa avere il coraggio di scegliere e non dire “lasciateci lavorare” quando il lavoro in 3 anni non è mai neanche iniziato. Amministrare Roma vuol dire amore verso ciò che si fa e verso la città che si ha l’onore di poter amministrare. Tentativo fallito, ai danni dei romani. La Sindaca riconsegni la fascia tricolore e vada a casa

Investimenti in combustibili fossili: anche la Chiesa austriaca annuncia lo stop

Il cardinale Christoph Schönborn, Presidente della Conferenza Episcopale Austriaca, ha annunciato che i vescovi austriaci hanno deciso di disinvestire in un arco di 5 anni da tutte le compagnie che estraggono o producono combustibili fossili (carbone, petrolio e gas). Questa decisione include tutti gli investimenti finanziari della Conferenza episcopale, di tutte le diocesi austriache e di tutte le istituzioni nella loro sfera di competenza. L’Austria è la terza conferenza episcopale a disinvestire, seguendo le precedenti decisioni pubbliche delle Conferenze episcopali di Belgio ed Irlanda.

“Firmando l’impegno per il disinvestimento del Movimento Cattolico Mondiale per il Clima (GCCM), la Conferenza episcopale austriaca si unisce al movimento globale sul disinvestimento di oltre un migliaio di istituzioni. Questo è un passo profetico che segue una verità innegabile, ossia che bruciare tutte le riserve note di combustibili fossili ci porterà a catastrofi inimmaginabili”, afferma Anja Appel, direttore dell’Ufficio di coordinamento della Conferenza episcopale austriaca (KOO). Ad oggi, 1032 istituzioni hanno preso impegni di disinvestimento a livello globale – il 28 percento di esse sono organizzazioni di ispirazione religiosa. “Siamo in grado di osservare le conseguenze della imponente domanda di risorse e la relativa crisi ecologica e sociale provocata ogni giorno nelle condizioni di vita delle persone che vivono nei nostri paesi partner – non solo nel sud del mondo. È inaccettabile che persone di altri continenti o l’intero creato paghino il prezzo del nostro eccessivo stile di vita. Noi, come Cristiani, e le nostre istituzioni abbiamo la responsabilità di prenderci cura del Creato e lavorare per la giustizia globale. Rientriamo in quella parte della popolazione mondiale che produce la maggior parte delle emissioni di gas serra e quindi, naturalmente, dobbiamo combattere la sua causa principale – l’uso di combustibili fossili “, sottolinea la dottoressa Appel. “Questo importante passo mostra lo sforzo coerente dei vescovi austriaci per uniformarsi alle richieste dell’Accordo sul clima di Parigi. L’annunciata ridefinizione degli investimenti finanziari fa seguito all’azione per il clima nei settori dell’energia e degli approvvigionamenti già decisa nel 2015. Tutti questi passi rafforzano noi ed i delegati per l’ambiente delle diocesi austriache che stanno partecipando all’attuazione di azioni relative al clima.”

Il Vescovo Werner Freistetter, responsabile per gli Affari Internazionali della Chiesa d’Austria, accoglie con favore l’annuncio della Conferenza episcopale: “Dal punto di vista dell’ecologia integrale, la logica del profitto non può più essere l’unico punto di riferimento per le attività economiche, ignorando i doveri morali. Adottando linee guida etiche sugli investimenti nel 2017, la Chiesa cattolica in Austria ha già compiuto un passo importante verso l’allineamento degli investimenti finanziari delle istituzioni cattoliche con la cura della nostra casa comune. La nostra recente decisione segue di conseguenza questa strada. Gli investimenti finanziari delle istituzioni cattoliche non alimenteranno più la crisi climatica, ma contribuiranno invece a preservare il Creato. Chiediamo alle altre istituzioni di unirsi al movimento di disinvestimento con i propri impegni, al fine di preservare la nostra casa comune per le generazioni attuali e future.”

 

Gli svizzeri sono i maggiori acquirenti al mondo di prodotti italiani

Gli svizzeri, pro capite, sono i maggiori acquirenti al mondo di prodotti italiani ai quali associano valori come bellezza, lusso, benessere e passione. Ma non solo. Il consumatore svizzero ha un potere d’acquisto molto elevato, visto che stando al “Global Remuneration Planning Report” un giovane laureato in Svizzera guadagna in media 78.475 euro all’anno, in termini di stipendio di base lordo, contro i 55’864 euro del Lussemburgo e i 54’405 di un danese.
Un quadro dirigente medio riceve in Svizzera un salario medio annuo di 144.931 euro, rispetto ai 111.739 euro del Lussemburgo e ai 108’812 della Danimarca.

Inoltre gli Svizzeri sono un popolo di viaggiatori: la maggioranza della popolazione ha un’attitudine al viaggio e fa mediamente oltre 3 vacanze all’anno scegliendo l’Italia come seconda destinazione, dopo la Germania (13%) e prima dalla Francia (11%) con una quota di mercato pari al 12% del totale dei viaggi con pernottamento effettuati dagli svizzeri

In particolare i turisti svizzeri sono il terzo mercato per le regioni del nord Italia, il secondo mercato per le destinazioni di montagna e il terzo mercato per le destinazioni di mare

L’immagine del nostro Paese è più che positiva soprattutto grazie alla balneabilità dei mari, al clima mite, al ricco patrimonio culturale e monumentale, alla varietà enogastronomica e alla bellezza dei paesaggi, Gli svizzeri amano anche la cordialità, l’ospitalità e la simpatia, percepiti come tipicamente italiani.

Altri punti di forza sono il forte appeal per l’Italia come sinonimo di qualità ed eccellenza, non solo nell’arte, ma anche nella cultura, nella moda, nel lusso e nel design.

A Padova in 50.000 contro le mafie

Come ci raccontano le cronache e come dimostrano le ultime inchieste, la mafia ha messo le sue grinfie anche in Veneto. Non un’infiltrazione ma un vero radicamento. Ora si sa, ora si sente, ora si vede. Così ieri in tanti, in tantissimi hanno voluto dire il loro “no” alla criminalità organizzata, “no” ad un sistema da sconfiggere partendo dalla consapevolezza e dall’impegno.

La manifestazione organizzata dall’Associazione Libera e da Avviso Pubblico non è stata soltanto una celebrazione alla memoria, ma un grido diffuso raccolto, una partecipazione fattiva e dinamica di persone di ogni età. Prorompente l’ondata di giovani che si è riversata nelle strade e nelle piazze. Le stime parlano di 50.000 partecipanti. Sguardi attenti, mani pronte, bandiere di legalità mosse appena un poco dall’aria non più fredda di una giornata di sole: è primavera. Tra le autorità presenti, anche una sessantina di Sindaci di Comuni veneti, nonchè il primo cittadino della città del Santo, Sergio Giordani, con l’intera giunta comunale e diverse sigle sindacali. Alle 12 in Prato della Valle, in un momento di grande commozione, sono stati letti i nomi delle 1.011 vittime di mafia.

“Abbiamo bisogno di verità. Abbiamo bisogno del Nord-est – ha detto don Ciotti – Meraviglioso Nord-est di gente bella, lavoratrice e coraggiosa. Il fatto che a sentire questa responsabilità siano i giovani ci deve ispirare. Siete voi giovani a non essere induriti dagli egoismi, a non essere corrotti dalla sete di denaro e di potere, siete voi sensibili al sogno – ha aggiunto con forza – Le mafie oggi sono diventate simili a noi, hanno assunto sembianze più rassicuranti e noi siamo diventati simili a loro. Non occorre essere complici attivi per essere alleati delle mafie, basta la mafiosità, quel modo distorto di vedere e di sentire che mette davanti a tutto l’interesse privato”.

Nel pomeriggio presso una sala di Palazzo Moroni si è tenuto un seminario dal titolo “ Il ruolo degli amministratori locali nella lotta a mafie e corruzione”. A introdurre i lavori è stato l‘assessore allo Sport, contratti, avvocatura civica e legalità, Diego Bonavina.  Il prefetto di Padova, Renato Franceschelli, intervenendo ha sottolineato il valore dell’impegno corale dei cittadini insieme all’importanza della consapevolezza del fenomeno. “La guerra alla criminalità organizzata la fa la Repubblica – ha detto – La Repubblica è qualcosa che ha dentro tutti, dalle Regioni agli Enti locali, dalle associazioni di volontariato ai cittadini. Io sono convinto – ha aggiunto – che le Amministrazioni locali e tutta la rete della società civile siano nostro unico e migliore alleato, quello che ci dà la forza per andare avanti anche quando si prende qualche sconfitta perché le sconfitte fanno parte della vita”.

L’accento è poi stato messo sullo strumento dell’interdittiva che può essere l’arma principe per contrastare la criminalità organizzata consentendo di stabilire, secondo un insieme di elementi, se in un complesso di fatti vi siano criticità o meno. L’informativa antimafia costituisce, insomma, uno dei maggiori strumenti di contrasto al coinvolgimento di organizzazioni criminali nell’ambito dei rapporti economici tra pubblica amministrazione e privati. L’intervento di Renato Natale, considerato il primo Sindaco di Casal di Principe ad aver posto come priorità assoluta la legalità, la trasparenza e la lotta alla camorra nella terra dei Casalesi, ha messo in evidenza il fatto che ormai il sistema mafioso è capillare quanto pervasivo e sbagliano coloro che pensano sia una piaga soltanto del Sud. Sempre e ovunque “il male avanza quando il bene rinuncia a fare la sua parte – ha detto”. Nel nostro Paese ogni giorno un amministratore locale viene minacciato o intimidito. Dal 2011, anno della prima edizione del Report“Amministratori sotto tiro”, in cui furono rilevati 212 casi,  il fenomeno si è dilatato e nel 2017 ha coinvolto per la prima volta tutte le regioni, ben 78 Province e 314 Comuni.  Dal  2013 al 2017  gli episodi di minaccia e violenza censiti da Avviso Pubblico, la rete nazionale di Enti locali impegnati contro le mafie e la corruzione, sono stati 2.182. Ma gli amministratori onesti non hanno paura e non scendono certo a compromessi. Tanti, tantissimi oggi più che mai hanno deciso di metterci la faccia per far capire da che parte stanno. Ed è ancora una volta don Ciotti a ricordare a ciascuno di noi come “in questo momento nel nostro Paese dobbiamo alzare la voce mentre altri scelgono un prudente silenzio”.