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mercoledì, Aprile 30, 2025
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Europa in fieri

Spesso parlando di Europa non si adotta semplicemente una prospettiva, il che è inevitabile per qualsiasi discorso, ma si prova a definire un’identità, una proprietà coerente di “ciò che è Europa”. Forse anche questo è altrettanto inevitabile. Infatti proprio nel momento della crisi, quando si è smarrito ciò che era dato per scontato (ad esempio il senso della democrazia rappresentativa), nel momento della prova decisiva, viene naturale “farsi forza”, “resistere”, innanzitutto interrogandosi sulla propria identità. È un istinto naturale, dunque di per sé neutrale, non necessariamente positivo o negativo. Alla legittima e giusta domanda sul chi siamo, si risponde però con contenuti diversi, e soprattutto con modi e stili diversi. Qui sta il punto. Lo stile rivela il senso del contenuto, con che spirito è inteso. 

Oggi uno stile diffuso sembra essere la semplificazione, lo schematismo, e dunque l’irrigidimento, la cristallizzazione ideologica di una “cosa” Europa. Una deriva pericolosamente sterile che, astraendo dalla realtà delle persone e delle loro relazioni nella comunità, fa rinchiudere in populismi identitari “dal basso” (“l’Europa è il popolo arrabbiato”) o in elitarismi della tecnocrazia “dall’alto” (“l’Europa è l’Unione Europea e le sue politiche”, e nient’altro).

Al giovane europeo investito dal vento individualista-populista (perché i due elementi sono connessi), nel momento della crisi della democrazia e della comunità politica in quanto tale nonché dell’idea di un’Europa “unita nella diversità”, si presenta oggi il difficile compito di trovare un modo adeguato, un tono giusto, una voce significativa, per dire cosa è l’Europa. O meglio, come si farà l’Europa. 

Trovare questa voce, adattare il tono, lo stile, il pensiero alla realtà attuale nella sua evoluzione futura è la vera sfida dell’europeo di oggi e di domani, ed è la vera questione sull’identità europea. A partire da questa sfida oggi, nel circolo dei Liberi e Forti di Roma, si vuole riflettere su “La nostra Europa con De Gasperi e Spinelli” con spirito lucido e libero, senza facili identitarismi di nessun tipo. Un discorso genuinamente europeista oggi non può fermarsi a un banale “revival” di antiche radici archeologicamente venerate, ed è necessario invece un chiarimento di idee sullo stile di fondo dei sognatori, pionieri e fondatori d’Europa, quelli di ieri e quelli di domani: la speranza.

La tradizione europeista, con tutte le sue diverse sfumature, ci insegna fondamentalmente questo, che l’identità dell’Europa è e deve essere per sua natura un’identità dinamica, in fieri, protesa verso il futuro, forte proprio del suo cambiare procedendo con saggezza nel progresso della storia ed oltre essa. Non si tratta di banale ottimismo, ma di una chiara scelta morale e politica densa di senso, una scelta sul destino stesso dell’Europa e degli europei: essere una comunità coesa e aperta all’altro e alla speranza, faro di libertà e giustizia nel mondo.

 

Spinelli, non basta un vago amore per l’Europa

In occasione del convegno – La nostra Europa, con De Gasperi e Spinelli –  organizzato dal Circolo “I Liberi e Forti” (come da locandina allegata), pubblichiamo la parte conclusiva del discorso che Altiero Spinelli tenne il 12 dicembre 1978, alla Camera dei Deputati, nel corso del dibattito sull’ingresso dell’Italia nel Sistema Monetario Europeo (SME).10

L’ultima considerazione che vorrei fare è questa. Affinché una tale decisione di entrare ed una tale, dichiarazione, di politica da svolgere a, livello comunitario non restino  dei semplici pezzi di carta, occorre procedere, a rivedere rapidamente il tipo di politica comunitaria svolta per anni dal Governo italiano.

Le esitazioni attuali sono in misura rilevante il precipitare finale di un lungo passato di europeismo verbale, di disattenzione per i problemi reali di fronte ai quali, ci si trovava mancanza di iniziative, di non coordinamento tra i diversi ministri, i vari Funzionari, le diverse amministrazioni, di nostre frequenti infrazioni. Insomma, dopo aver dichiarato di essere per l’unità europea, non abbiamo seguito alcuna strategia d’insieme nel campo europeo; di conseguenza, abbiamo avuto un assai scarsa peso nel Consiglio.

Parlo infatti della posizione del Governo nel Consiglio. Gli italiani contano di più nel Parlamento che non nel Consiglio, perché in: genere sono presenti, attivi, seguono attentamente gli eventi nel Parlamento europeo. Direi, insomma che, a livello governativo, da molto tempo noi stiamo in Europa senza sapere più né cosa ci facciamo né dove andiamo. Due anni fa, entrando in questa Camera per la  prima volta nella mia vita e andando a far parte della ‘Commissione affari esteri, con il ricordo vivo di quanto avevo visto per sei anni sul funzionamento del Consiglio (perché la Commissione è presente in questo), ho proposto al Presidente della Commissione, collega Carlo Russo, di invitare il ministro degli esteri ad un lungo e approfondito dibattito sulla strategia dell’Italia nella Comunità; non sulla situazione della Comunità, o sul suo avvenire, ma precisamente sulla strategia politica del Governo italiano nella Comunità.

Avevo fatto questa richiesta perché, il ministro degli esteri ha l’obbligo di coordinare e di guidare tutte le nostre presenze. La risposta gentile e formale è stata: Sì, lo faremo. Ora sono passati due anni e mezzo che il ministro non ha trovato il tempo di fornire alcuna indicazione. Nel momento in cui ci accingiamo a compiere questa nuova impresa (di cui vediamo le implicazioni gravi e per questo ci preoccupiamo che le cose vadano in una certa direzione), ritengo sia opportuno che il ministro degli esteri, il quale è il coordinatore di tutte le iniziative del Governo e dei vari Ministeri nel Consiglio della comunità e quindi il responso finale, cambi completamente il modo di concepire la sua azione e quella del suo Ministero. Suggerirei che ci venga a presentare in Commissione il piano politico e operativo d’azione nella Comunità nei prossimi sei mesi: piano che deve implicare sia le indicazioni di quello che ci si propone di raggiungere sia questo periodo, sia il modo in cui il Ministero degli esteri intende assicurare la coerenza tra le varie presenze in seno alla Comunità e allo SME.

Poiché si tratta di recuperare una vecchia negligenza non è responsabile in particolare questo Governo, ma anche quelli che lo hanno preceduto, certamente ci vorrebbero alcune settimane di duro lavoro per una corretta messa a punto politica ed operativa. Se però prendiamo un tale impegno di principio nella mozione e un tale impegno operativo a seguito di un dibattito da fare in sede parlamentare, credo che si possa entrare nello SME sicuri di essere in grado di difendere in, esso gli interessi dell’Europa e nel quadro europeo gli interessi dell’Italia.

Certo, ciò non significherà affatto che vedremo soddisfatte tutte le nostre richieste, ma che non avremo più solo un vago amore per l’Europa, ma urta politica europea reale, la quale mirerà allo sviluppo di istituzioni e di politiche comunitarie di progresso e di solidarietà. Intorno ad essa cercheremo di far coagulare alleanze e ci batteremo perché quella prospettiva si sviluppi. Essere europeisti o significa questo o non significa nulla.

Piraino: per una democrazia comunitaria

Il governo degli opposti nato grazie alla geniale invenzione del “contratto” (Lega/5S) ha rotto gli equilibri politici del Paese incentrati su un innaturale “dominio” degli interessi del capitalismo finanziario di origine esterna ammantato di “umanesimo civile” per i diversi e gli immigrati.

Qualunque sia il giudizio sull’attuale governo, nessuno può disconoscere che esso ha cambiato l’agenda politica del Paese: dopo alcuni decenni sono tornati al centro del dibattito gli ultimi, l’ambiente , il ruolo dello Stato, la famiglia, un diverso approccio con l’Europa e l’Africa (sul tema dell’immigrazione).

Tutto ciò ha messo profondamente in crisi i due “terminali” politici del passato assetto economico-culturale: il PD di Renzi e Forza Italia di Berlusconi, innescando, oltre le apparenze, un profondo processo di ripensamento nel primo e di inesorabile declino, anche per motivi anagrafici, del secondo, destinato ad un rapido assorbimento da parte della Lega. Un processo di ripensamento che non potrà non portare il Pd, pena l’estinzione, ad un ritorno alle origini marxiste ed egualitarie e quindi ad una rinnovata sensibilità per gli ultimi e il ruolo attivo dello Stato. Di fatto avviando una scomposizione/ricomposizione del quadro politico, che vede proprio in questi giorni +Europa assumere il ruolo del “Pd plurale” in fase di archiviazione.

Se il ragionamento fin qui esposto è fondato, la vittoria di Zingaretti, con il progressivo assorbimento “delle ragioni” e degli esponenti di LEU, delineerà, il nuovo partito dei democratici di sinistra, con o senza Renzi, comunque marginalizzato, come anche la residua componente “cattolica”. Un partito in grado di recuperare “qualcosa”, in termini di consensi, anche ai 5S.

In questo contesto-prospettiva sorge la domanda: esistono “spazi” per nuovi soggetti politici? Indubbiamente sì per nuovi movimenti “meridionalisti” e “verdi”.

L’esplosione dei movimenti meridionalisti è alle porte, infatti, come risposta: 1) al federalismo fiscale rivendicato dalle regioni del Nord come ultimo atto di espropriazione sistemica del Mezzogiorno 2) alla mortificante politica agricola del Paese tutta incentrata sulla difesa degli interessi dell’industria agroalimentare e dei comparti produttivi agricoli del Nord.

Parallelamente il rilevante ritardo sulle grandi questioni ambientali, centrali per la stessa sopravvivenza del pianeta, non potrà non innestare anche in Italia nei prossimi anni una nuova coscienza ecologica con il rifiorire di nuove soggettualità politiche “verdi”.

E con riferimento alla visione delle cose di ispirazione cristiana? L’interrogativo serpeggia, seppure con modalità carsiche, dal Nord al Sud del Paese.

Se utilizziamo una metodologia di “derivazione” strategico-aziendale (la matrice soggetti politici/contenuti strategici) possiamo verificare se esiste un “vuoto di offerta” rispetto ad una domanda di ispirazione cristiana e quindi lo spazio per un nuovo soggetto politico identitario.

All’uopo dalla matrice allegata (cfr. tabella 1) emerge con tutta evidenza “lo spazio” per una soggettualità caratterizzata da una nuova sintesi dell’offerta politica come segue:

  1. A) Un “allineamento” dell’idea di uomo che riporti a coerenza la promozione della vita, la lotta alle diseguaglianze (con il riconoscimento della funzione positiva del reddito di cittadinanza) e l’apertura ad una immigrazione “umana”, in nome del diritto fondamentale unico e indivisibile di ogni essere umano ad esistere dignitosamente in quanto uomo. Non occorrono complesse analisi per cogliere le contraddizioni di tutte le attuali offerte politiche parziali e/o equivoche, comprese quelle riconducibile alla stessa gerarchia ecclesiastica, laddove un mancato approfondimento delle

conseguenze strutturali dell’innovazione tecnologica e delle esigenze di conversione produttiva, non permette di cogliere il valore umano-strategico di una misura di civiltà quale il reddito di cittadinanza. B) Una chiara e netta opzione per la salvaguardia degli equilibri del Pianeta, assunti a parametri di riferimento di tutta l’azione di regolazione delle attività umane (di produzione e consumo, di mobilità, ludiche). C) Una radicale opzione di contrasto al capitalismo finanziario globalista in nome della democrazia economica incentrata sulla pluralità dei soggetti economici in termini giuridici e dimensionali. Al riguardo si pensi al processo di concentrazione, in nome dell’efficienza, del sistema bancario uscito dalla riforma del ’36 che è stato alla base del grande sviluppo economico e sociale del nostro Paese. Ciò a partire da una rinnovata presenza e da un ruolo attivo dello Stato sia come soggetto economico che come Ente regolatore. D) Una serena e nitida “domanda” di revisione dell’Unione Europea, nella consapevolezza che una “Moneta senza Stato” è un mostro politico che produce guerre commerciali all’interno a danno dei più deboli e, di fatto, guerre neocolonialistiche nella povera Africa; Africa che deve tornare al centro delle politiche europee in una logica di valorizzazione della Stessa a favore dei popoli indigeni anche per scongiurare la colonizzazione cinese. Al riguardo come dimenticare secoli di solidarietà missionaria che ci rendono, come italiani, straordinariamente credibili! E) E per finire politiche familiari attive e derubricazione dall’agenda politica del Paese delle problematiche connesse alla sicurezza, che sono figlie di colossali interessi economici legati al “mercato della paura”, l’ultima frontiera del consumismo di massa.

Una offerta politica, quindi un partito minoritario, alla luce dell’attuale contesto socio economico e culturale, ma certamente vitale ed utile al futuro del Paese, sul quale incidere attraverso un saggio “gioco delle alleanze”, che privilegino il movimento 5S (probabilmente ridimensionato), il rinnovato partito della Sinistra, i nuovi verdi e i nascenti autonomisti meridionali (cfr. tabella 2).

Se così è, nel ricordo di Sturzo, De Gasperi, Moro, Olivetti, Martinazzoli abbiamo il dovere di spenderci per una Democrazia Comunitaria, a servizio del Paese e non solo.

La lezione di Esino Lario

Tratto dalla newsletter dell’Istituto Bruno Leoni

Nei giorni in cui il sindaco Raggi esultava perché lo Stato si accollerà una parte ulteriore del debito finanziario di Roma, un sindaco di un piccolo paesino lariano annunciava la vendita, pezzo per pezzo, dei pezzi pregiati del suo Comune.

Da una decina di anni a questa parte, il controllo della spesa pubblica ha avuto come principali destinatari i piccoli comuni. Per i governi nazionali, è stato più facile imporre alle amministrazioni locali di tenere i conti a posto, anziché farsi un esame di coscienza. Ai limiti imposti dalla riduzione dei trasferimenti statali e al mancato compimento del principio di corrispondenza tra entrate e spese, promesso dalla riforma del federalismo fiscale del 2009, si sono aggiunte, per i comuni a bassa densità demografica e soggetti a spopolamento, le difficoltà di raccolta di entrate proprie.

Così, il sindaco Pensa del comune di Esino Lario ha pensato di far fruttare ciò che il suo piccolo comune ha e ne ha messo in vendita i lampioni, le panchine, il parco giochi, la casa comunale ed altri beni mobili e immobili anche di valore storico-culturale.

Quella di Pietro Pensa non è una provocazione. Per quanto l’apertura di un sito specifico che emula i siti di e-commerce risponda a una strategia di comunicazione per richiamare attenzione sull’iniziativa e sul precario stato finanziario di un Comune anche ben amministrato, il sindaco ha intenzione serie. Il Comune ha un problema di reperimento delle risorse e per andare avanti, anziché piangere miseria o sacrificare i servizi ai residenti, ha fatto ciò che ogni assennata persona farebbe: vedere in casa ciò che potrebbe avere, anche per altri, un valore e provare a dargli un prezzo.

Ai piccoli Comuni che non hanno la fortuna di essere Roma Capitale e che devono provvedere da sé senza che Pantalone arrivi a salvarli ad ogni grido di aiuto, non resta che provvedere da sé.
Dietro questa iniziativa, non c’è solo l’arguzia e l’intraprendenza di un sindaco, ma anche una lezione di responsabilità che dalle piccole realtà amministrative, molto più vicini alle esigenze delle persone, sarebbe opportuno che arrivasse alle più grandi.

La moneta deve servire, non comandare

Alla vigilia degli Anni Venti molte nubi si addensano sul futuro del Paese, sull’Unione Europea e sulla tenuta di un equilibrio mondiale fra le potenze di questo secolo, che si va facendo sempre più fragile. L’Occidente ha bisogno di ritrovare al suo interno stabilità e coesione sociale, messi in discussione da trent’anni di politiche neoliberiste e di unilateralismo nelle relazioni internazionali, cavalcati dalle forze di sistema di destra e di sinistra nonché dall’Unione Europea che per molti versi costituisce la negazione della Comunità Europea e dell’idea di Europa che quest’ultima aveva elaborato prima della riunificazione tedesca.

L’economista Antonino Galloni individua la ragione principale della crisi di sistema in cui sta scivolando l’intero Occidente: un modello economico fondato su una esasperata competizione sulle esportazioni a scapito dei salari e della domanda interna, che ha comportato una drastica riduzione dei redditi e del tenore di vita della classe media e aumentato vistosamente le disuguaglianze. Tale processo ha prodotto un malcontento e un impoverimento così diffusi da determinare clamorosi rivolgimenti politici come la Brexit, l’elezione di Trump, il governo populista a Roma e persistenti venti di insurrezione popolare da parte dei gilet gialli in Francia.

E dunque il punto politico è il seguente: o si conviene sul fatto che solo cambiando con urgenza il verso delle politiche economiche e monetarie, anche nel caso in cui Bruxelles non sia d’accordo, si potrà erodere il terreno sul quale crescono i populismi, oppure la situazione è destinata ad avvitarsi su se stessa fino al punto da non poter escludere alcun tipo di sviluppo.

Confesso di fare una certa fatica a seguire il filo di certi discorsi politicisti che vagheggiano un nuovo impegno politico dei cattolici, un nuovo soggetto politico di centro, se tutto ciò non viene legato a un disegno politico preciso, chiaro, adatto alle necessità e all’emergenza del presente e capace di riscuotere consensi fra la classe media.

Occorre, peraltro, molto rispetto delle opinioni di coloro che ritengono, come già negli Anni Trenta, che l’Italia non abbia alternative al modello economico tedesco, scolpito nei Trattati di Maastricht e nell’Euro. Ma anche una ferma presa di distanza dall’idea che ottemperando ai vincoli europei, a suon di austerità per i prossimi lustri, l’Italia ritroverà la via della ripresa e l’integrazione europea ripartirà.

No, al contrario, dobbiamo dirci con chiarezza, ora, finché si è in tempo ancora a scongiurare il probabile disastro, che l’UE ordoliberista a guida tedesca è lanciata su un binario morto verso lo schianto, il collasso economico, sociale e politico. La Germania nelle guerre che intraprende, militari o commerciali (di surplus di bilancio) che siano, dimostra sempre schiacciante superiorità e, di successo in successo, marcia con coloro che la seguono verso la débâcle…Indirettamente lo conferma lo stesso Galloni parlando della Cina che persegue adesso obiettivi economici antitetici a quelli euro-tedeschi: “ crescita della sua domanda interna, dell’occupazione e dei salari”, non dissimili da quelli dell’America di Trump.

Ecco allora l’importanza, per tutti coloro che ne avvertono l’urgenza, di mettersi in gioco per rendere feconda la propria cultura politica riformatrice, nel nostro caso quella del popolarismo e del cristianesimo sociale, ragionando su quale forma organizzativa attribuire a un soggetto politico capace di presentarsi entro la scadenza delle prossime elezioni politiche con un programma e una strategia di cambio di paradigma, innanzitutto sulle politiche economiche e monetarie, e per questo capace di erodere consenso ai populisti, presso quella larga parte di ceti medi e lavoratori che li hanno votati e che, purtroppo, in massa ancora li voteranno alle prossime Europee, per assenza di partiti realmente loro concorrenti sul terreno della rappresentanza degli interessi di questi ceti sociali.

E che tali politiche espansive, anticicliche e volte a rianimare la domanda interna, siano tecnicamente fattibilissime, ce lo dimostrano i migliori economisti. Nino Galloni propone l’introduzione di una moneta non a debito per raggiungere il pareggio di bilancio senza gelare l’economia reale con una insostenibile stretta fiscale.

Un altro “pericoloso rivoluzionario”, Paul de Grauwe, uno dei padri dell’Euro e fra i massimi esperti di economia europea, con alle spalle importanti incarichi nel Fondo monetario internazionale e nella Banca centraleeuropea, ha recentemente ricordato che, a statuto vigente della BCE, risulta possibile creare moneta verde senza produrre inflazione, e dunque finanziare la sostenibilità ambientale, sociale, sul piano dei trasporti, della vivibilità delle città, della qualità del cibo e dell’aria. Ciò per il semplice fatto che la BCE a partire dal 2015 ha già creato 2.600 miliardi di euro di nuova valuta col Quantitative Easing.

Questa enorme creazione di denaro per le banche può benissimo – spiega l’autorevole economista belga in un suo articolo –  essere reindirizzata all’economia reale. Perché, una volta affermato il principio, contro il monetarismo tedesco, che la moneta non deve (più) comandare, bensì servire, servire per scopi utili all’umanità, l’ambiente, ma anche il lavoro, le infrastrutture, la cura e la manutenzione del territorio per prevenire il rischio delle calamità naturali eccetera, si vedrebbe che ciò che ha portato alla lunga stagnazione economica, all’impoverimento della classe media e ai drastici mutamenti degli orientamenti elettorali non aveva alcuna necessità economica per esser attuato. Anzi, si è rivelato nocivo sul piano economico come pure su quello sociale e su quello politico.

Il fatto che siano possibili e perfettamente fattibili politiche economiche e monetarie alternative alla attuale deriva ordoliberista dell’Unione Europea che sta producendo gravissime lacerazioni fra le classi sociali e fra gli Stati membri, esponendoci tutti a rischi incalcolabili per il futuro prossimo, va vissuto come un ulteriore stimolo a sentire la responsabilità del momento storico prima che venga il giorno in cui la storia ci scarichi addosso le conseguenze delle scelte o delle omissioni del presente.

(Fonte http://www.associazionepopolari.it)10

Libia: la strana convergenza della Francia con Khalifa Haftar

Nella questione della Libia, la Francia si ritrova “in una posizione scomoda”. Lo scrive il quotidiano francese “Libération”, spiegando che oggi Parigi cerca di prendere le distanze dal generale Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico.

Ma chi è questo generale che Emmanuel Macron invitò  al castello di Celle-Saint-Cloud presso Parigi nel 2017?

Il 75enne generale di Agedabia – dato per morto un anno fa quando era ricoverato a Parigi – ha alle spalle una vita da grande stratega militare, cresciuto al fianco del rais Gheddafi prima di essere da lui disconosciuto, e poi condannato a morte in contumacia.

Per anni è stato in esilio in Virginia, negli Stati Uniti, così vicino a Langley, quartier generale della Cia, da destare più di un sospetto di aver collaborato con gli americani nel tentativo di eliminare il dittatore libico.

Infatti torno in Libia proprio destituirlo.

Inoltre è stato alleato delle milizie islamiche prima di dichiarare loro guerra; a Palermo ha promesso di rispettare il ruolo di Tripoli e ora la sta invadendo.

Tuttavia, la Francia non ha mai disapprovato ufficialmente le azioni di Haftar.

Dazi: la scure di Trump sul vino Made in Italy

Al Vinitaly scoppia l’allarme dazi sulle esportazioni in Usa che rappresentano il principale mercato di sbocco del vino Made in Italy con un valore di 1,5 miliardi, con un aumento record del 4% nel 2018. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti dopo l’annuncio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di applicare dazi per un valore di 11 miliardi di dollari sui prodotti europei che colpirebbero anche vino, formaggi e olio di oliva in risposta agli aiuti europei all’Airbus che danneggiano la Boeing che è alle prese con la crisi scaturita dagli incidenti di cui è stato protagonista il jet 737 Max. Da sottolineare – afferma la Coldiretti – il continuo incremento delle esportazioni di spumanti italiani che, trainate dal Prosecco, nel 2018 sono ammontate a un valore di 333 milioni con un balzo del 13%.

L’Italia – precisa la Coldiretti – è il primo paese fornitore di vino e spumante con oltre 1/3 del mercato complessivo in valore davanti alla Francia (28%). In pericolo – continua la Coldiretti – ci sono anche altri prodotti simbolo dell’agroalimentare nazionale a partire dall’olio di oliva con le esportazioni che nel 2018 sono state pari a 436 milioni ma ad essere minacciati sono anche i formaggi italiani che valgono 273 milioni.

Nella black list ufficiale divulgata dall’Amministrazione statunitense sono citati espressamente tra gli altri gli spumanti e il Marsala tra i vini ed il pecorino tra i formaggi ma sono a rischio anche gli agrumi, l’uva, le marmellate, i succhi di frutta, l’acqua e i superalcolici tra gli alimentari e le bevande colpite.

Il valore complessivo delle esportazioni agroalimentari italiane negli Usa è pari a 4,2 miliardi e rappresenta circa il 10% del totale delle esportazioni nazionali che è di 42,4 miliardi nel 2018 secondo una analisi Coldiretti su dati Istat.

“Si tratta dunque di evitare uno scontro dagli scenari inediti e preoccupanti che rischia di determinare un pericoloso effetto valanga sull’economia e sulle relazioni tra Paesi alleati” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “gli Usa si collocano al terzo posto tra i principali italian food buyer dopo Germania e Francia, ma prima della Gran Bretagna”.

La Giornata nazionale del mare nei musei calabresi

Giovedì 11 aprile 2019  il Museo Archeologico Nazionale della Sibaritide  e il Museo Archeologico Nazionale di Amendolara celebreranno con interessanti iniziative la Giornata nazionale del mare, giunta alla seconda edizione.

A Cassano all’Ionio (Cosenza), presso il museo della Sibaritide, interverranno: Adele Bonofiglio, direttore del Museo Nazionale Archeologico della Sibaritide; la Capitaneria di Porto Corigliano – Rossano; Paola Caruso, archeologa subacquea; Sigismondo Mangialardi, presidente del Circolo Velico Lucano di Policoro; Gennaro Tauro e Pasquale Andreulli, A.S.D. Poseidon.

La manifestazione è volta a sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza del mare come un’immensa risorsa sia ambientale che economica e sociale per la rivalutazione del territorio e ha lo scopo di sviluppare la cultura del mare attraverso norme comportamentali nel rispetto della sua tutela e valorizzazione in relazione ai beni archeologici che ospita, alla ricerca e soccorso in mare, alla sicurezza della navigazione, alla salvaguardia dell’ecosistema marino e della filiera ittica.

Il Circolo Velico Lucano organizza presso i Laghi di Sibari dimostrazione pratica.

A seguire si terranno visite guidate e laboratori didattici a cura del Servizio Educativo del Museo, con la collaborazione dei Tirocinanti MiBAC.

Nella stessa giornata si svolgerà, per celebrare sempre la Giornata del mare, un interessante evento organizzato dall’associazione “Laghi di Sibari” in condivisione con il Museo Nazionale Archeologico della Sibaritide.

Ad Amendolara (Cosenza), presso il Museo Archeologico Nazionale di Amendolara, interverranno: Adele Bonofiglio, direttore del museo; Gennaro Tauro e Pasquale Andreulli, A.S.D. Poseidon.

La manifestazione rivolge particolare attenzione ai resti dell’antica isola oggi nota come “Secca di Amendolara”.

A seguire si terrà una dimostrazione teorico – pratica con proiezioni video dedicati.

Capri e Anacapri a difesa del mare

I Sindaci di Capri e Anacapri andranno a Roma al Ministero dell’Ambiente per avviare il percorso amministrativo che darà vita  ad un’area marina protetta. Lo ha annunciato il titolare dell’Ambiente, Sergio Costa, nel corso dell’evento organizzato da Marevivo per i dieci anni di Delfini Guardiani. “Ringrazio i Sindaci di Capri e Anacapri per il loro impegno – ha detto Costa – l’isola dal primo maggio sarà plastic free e non solo per l’estate ma per sempre. Questa è un’isola speciale, qui è nato 35 anni l’impegno di Marevivo per il mare. Ora vogliamo accelerare sulla costituzione dell’area marina protetta che Capri aspetta da anni”

Già con un’ordinanza (la n. 93 del 28 marzo) Capri ha aderito alla campagna di tutela ambientale che fa divieto di uso e commercializzazione di manufatti monouso in plastica non degradabile.
Un provvedimento volto a migliorare sia il servizio della raccolta differenziata, che ha già raggiunto soddisfacenti risultati, sia la tutela ambientale del territorio. Il Sindaco Gianni De Martino, nel ritenersi soddisfatto per l’adozione dell’ordinanza, ha sottolineato: “Capri, per il suo nome e per la sua immagine nel mondo, non poteva sottrarsi a partecipare a una iniziativa di sostenibilità ambientale così sentita per migliorare la vivibilità non solo dei territori ad altissima vocazione turistica, ma anche di tutte le altre realtà che stanno soffrendo in maniera più evidente il danno arrecato dalla plastica. La decisione di adottare il provvedimento è scaturita, oltre che per la difesa del nostro territorio, anche per richiamare, grazie al nome di Capri, l’attenzione delle Istituzioni e degli stessi cittadini sul problema che affligge il mondo intero”.

I giovani e la marijuana

Silvio Garattini, fondatore e presidente dell’istituto “Mario Negri” nonché membro dell’Aifa in Consiglio d’amministrazione, più volte componente del Consiglio Superiore di Sanità, ha svolto la lectio magistralis di apertura del convegno specificando che i prodotti da cannabis  non possono essere definiti prodotti  leggeri in quanto producono danni molto importanti sui giovani e possono essere l’anticamera per approdare ad altri tipi di droga.

È bene non trascurare che nei giovani il cervello è in via di sviluppo e quindi i danni sono maggiori proprio perché la presenza di una sostanza chimica altera tale evoluzione. Per lo scienziato esistono nel nostro Paese oltre duemila negozi esercizi commerciali che vendono prodotti a base di cannabis. È risibile che si vendano inflorescenze di vari tipi di cannabis per i collezionisti, che, in realtà, sono pochi mentre molti di più sono quelli che ne faranno altro uso.

Garattini, inoltre ha descritto le  prove scientifiche che dimostrano i diversi effetti collaterali nell’uso continuato della cannabis, a partire dagli effetti sul sistema nervoso, dalla minor capacità di concentrazione e di ragionamento, fino ad arrivare anche a forme pesanti di psicosi e schizofrenia ed infine  a un’ulteriore estensione degli effetti indesiderati con  il cancro del testicolo, in quanto il consumo di cannabis fa crescere il rischio mediamente di oltre il doppio che negli uomini non fumatori.

La questione del centro appartiene anche al Pd

Articolo già pubblicato su https://www.huffingtonpost.it

Nonostante le tesi contrarie, che suonano spesso come una vibrante stroncatura, la riflessione sul centro attira con forza l’attenzione del dibattito politico. Non è morta, anzi sopravvive con tutto il carico della sua problematica formulazione.

Da più parti s’insiste sull’aspetto cruciale della questione. L’editoriale di Panebianco sul “Corriere” ne ha posto ieri in evidenza l’ambiguità che, a fronte del voto del 4 marzo dello scorso anno, segnerebbe il desiderio di un semplice ritorno allo status quo ante.

Tuttavia indietro non si torna, il blocco pentaleghista non si scioglierà facilmente. Per questo bisogna capire se l’alternativa, connessa all’iniziativa di un Pd che Zingaretti vuole più radicato a sinistra, possa sussistere malgrado l’assenza di una forza politica di centro.

In effetti, potrebbe essere il Pd a farsi interprete degli umori e degli interessi dell’elettorato “intermedio”, favorendo implicitamente al suo fianco sinistro la riorganizzazione di una componente più radicale. È la soluzione uscita perdente dal congresso, ma non per questo annichilata nelle sue motivazioni. Sala, sindaco di Milano, ne ripropone il carattere positivo.

Ora, in base a un approccio di sano realismo, il Pd non può trastullarsi nella solitudine delle proprie convinzioni. Anche Zingaretti ha bisogno di un centro autorevole e solido, sebbene al contrario qualcuno sogni di ripristinare tardivamente uno schema dominato dalla sinistra, con piccoli satelliti attorno (tra cui quello dei cosiddetti moderati). Se non si scioglie questo nodo, pare molto improbabile che l’elettorato muti orientamento e favorisca l’astratta esigenza di rivalsa degli sconfitti.

Un segnale, in tempi rapidi, va dato. Altrimenti le elezioni europee, per l’incombenza di questa fragilità di assetto politico, potrebbero consacrare nel sordo frastuono dell’astensionismo la resistenza di una maggioranza incongrua di populisti e sovranisti, abbarbicata al potere e tuttavia adornata di grande forza residuale.

Il centro fra Panebianco e Cacciari

Angelo Panebianco sul Corriere della Sera e Massimo Cacciari su L’Espresso, da par loro, hanno scritto di politica ed in particolare di “centro”.
Due riflessioni franche e nette, molto intriganti, che solo apparentemente divergono nella sostanza.

Panebianco riconosce la necessità di un “centro politico”, visto che il sistema elettorale – pur confusamente – è diventato e resterà prevalentemente proporzionale, anche se mette in evidenza gli ostacoli che si frappongono su tale strada e ricorda che si tratta semmai di una operazione da costruire nel medio periodo.

Cacciari afferma che lo scenario europeo ed italiano del prossimo futuro sarà strutturato sul conflitto radicale tra due prospettive antagoniste, difronte alle quali non esistono “vie di mezzo”: quella della destra sovranista e quella di un europeismo democratico, aperto e progressivo.
A mio parere hanno ragione entrambi.

Il punto di contatto tra le due analisi sta nel fatto che il “centro politico che non c’è” non deve essere inteso come una “via di mezzo” tra le due prospettive irriducibilmente antagoniste di cui parla Cacciari, ma come un pilastro culturale e politico di uno dei due campi: quello democratico ed europeista.

Le culture politiche popolari e liberal democratiche di ispirazione cattolica e laica hanno avuto sempre il ruolo di barriera invalicabile a destra (Degasperi docet) ed hanno offerto un contributo essenziale e peculiare alla costruzione di scenari orientati all’inclusione sociale e alla qualità della democrazia, sul fronte interno e su quello internazionale.
Questo contributo è stato assicurato con gli strumenti di rappresentanza del momento e attraverso gli assetti che la Politica si è via via data.

Negli ultimi tre decenni, si è faticosamente ricercato il modo di continuare questa storia, ma con una diaspora che è stata in parte un segno dei tempi (conseguente al radicale mutamento della base sociale del tradizionale centro) ed in parte frutto di errori di valutazione politica.
Il futuro non si costruisce con i “se” e i “ma” postumi.

Guardiamo piuttosto alla evidenza di fatto oggi sotto i nostri occhi: né la convergenza in un unico partito “a vocazione maggioritaria” del centrosinistra, né la proliferazione di mille rivoli spesso autoreferenziali hanno consentito alle culture politiche del centro popolare e liberal democratico di continuare a dare un contributo visibile alla politica italiana.
Men che meno questo contributo lo può assicurare l’esperienza di Forza Italia e delle formazioni cosiddette “centriste” del centrodestra, oggi di fatto politicamente succubi della strategia sovranista di Salvini, nonostante le apprezzabili posizioni espresse da Mara Carfagna e da altri esponenti di quel partito.

Prendiamo atto della realtà e mettiamoci in cammino.
Dopo le elezioni europee – nelle quali occorrerà far di necessità virtù, visto che non è stato possibile presentare una lista espressione di questa idea di “centro” – va ripreso un percorso difficile ma necessario.

Il campo democratico ed europeista si deve organizzare in modo nuovo.
E dentro questo campo le nostre culture politiche devono essere riproposte con idee, linguaggi, classe dirigente e spirito unitario all’altezza dei rischi che il Paese, purtroppo, è destinato a correre e che la maggioranza giallo-verde sta irresponsabilmente rendendo ancora più drammatici.

Merton, Dorothy Day e il giovane Bruce

Articolo che appare nell’edizione odierna dell’Osservatore Romano a firma di  Lorenzo Fazzini

Metti un giorno qualunque nella sala d’ingresso di una rivista cattolica di vaglia, a New York. Metti che due contributor della suddetta rivista stiano seduti lì aspettando che i loro articoli vengano lavorati dalla redazione. Metti che un giovane rockettaro (siamo nel 1967) entri per caso in quell’ufficio. E intavoli con i due suddetti astanti una qualche conversazione (in apparenza leggera) sulla musica, la letteratura e la religione, a suon di battute e allusioni.

Beh, metti. Mettiamo allora i nomi a questi soggetti: la rivista è «America», il ben noto settimanale dei gesuiti statunitensi. Uno dei due contributor è Thomas Merton, il celebre monaco trappista autore de La montagna dalle sette balze, autentico bestseller del Novecento. L’altra persona risponde al nome di Dorothy Day, l’attivista sociale fondatrice del movimento Catholic Yorker, di cui Papa Francesco, nel suo discorso al Congresso americano, lodò «l’instancabile lavoro» in favore della giustizia e della causa degli oppressi (nella stessa occasione aveva lodato Merton come «uno straordinario americano»). Forse qualcuno avrà quindi indovinato il nome del rockettaro in questione, che non può che essere Bruce Springsteen, a quell’epoca nemmeno diciottenne.

Nell’anniversario di quel fortuito incontro — Springsteen era entrato nell’America House semplicemente per cercare una toilette, era il 1° aprile — la rivista «America» ha rispolverato un resoconto inedito di quel fatto così singolare che vide radunati nello stesso luogo il più famoso scrittore cattolico, la più celebre attivista cattolica, il più noto cantante di radici cattoliche che gli Stati Uniti possano vantare.

E che cosa si saranno mai detti quei tre? Joseph Hoover, responsabile della sezione poesia della rivista, ha rintracciato il racconto che di quel frangente fece Chad Mitchum, allora novizio gesuita, testimone oculare di quel provvidenziale incontro a tre.

Così si racconta che Springsteen chiede a Day (quest’ultima stava aspettando l’ok a un suo articolo sulla proliferazione delle armi nucleari) cosa stesse leggendo. Scoperto che la donna era immersa in Il potere e la gloria di Graham Green, lodò il romanzo dello scrittore (cattolico pure lui).

Poi quello che in futuro sarà chiamato The Boss invita la donna a leggere Flannery O’Connor: «Io penso che e la vecchia Flannery ed io abbiamo alcune cose in comune». «Siete entrambi cattolici?» chiede Day. «No, non sono cattolico. Cioè, lo sono stato…» ammette il giovane rockettaro. Di qui la profezia della più matura Day: «Lo sei stato? È una cosa che non ti abbandonerà mai! È come la polvere dell’Oklahoma che passa attraverso la cornice di una finestra fino ad arrivare a ogni canzone che tu scriverai, te lo garantisco!». Affermazione che in molti studiosi — due nomi, Antonio Spadaro e più recentemente Luca Miele, che ha dedicato a Springsteen diverse pagine del suo Il vangelo secondo il rock — hanno ampiamente dimostrato, rintracciando la continua fonte biblica dei testi spreengstiniani.

Al che, provocatoriamente, Springsteen rispose: «Me ne sono andato dalla chiesa quando ero giovane, per entrare nella chiesa del rock’n’roll». Intromettendosi nella conversazione, Merton apostrofò il giovane con un secco: «Te ne sei andato per quei quattro che predicano la libertà del rock’n’roll», riferendosi implicitamente ai Beatles, il quartetto di Liverpool che furoreggiava all’epoca tra i giovani, di qui e di là dell’Atlantico. Il giovane Bruce ha subito la risposta ironica pronta: «Chi pensi che stia cercando di fare, un Simon e Garfunkel qualunque?», riferendosi al ben noto duo musicale che in quegli anni andava forte.

La conclusione dell’episodio spetta a Day e resta fulminante. Mentre Springsteen se ne va alla toilette, l’attivista si rivolge a Merton: «Mi piace quel ragazzo. Potrei vedermi anche andare a uno dei suoi concerti un giorno. Ecco, artisti cattolici ovunque. Chi lo sa?».

Ocmin (Cisl), la fuga dei cervelli coincide anche con quella dei “pancioni”

Articolo già apparso sulle pagine di www.ildiariodellavoro.it a firma di Tommaso Nutarelli

È stata recentemente approvata la direttiva europea per il work-life balance. Una direttiva che per Liliana Ocmin, responsabile Cisl del Dipartimento Politiche Migratorie Donne Giovani e Coordinamento Nazionale Donne, ha dei punti positivi e segna un cambio di rotta significativo, per essendo ancora presente delle zone d’ombra. bisogna riconoscere il notevole sforzo politico indirizzato a rafforzare un modello sociale più vicino all’esigenza della famiglia in Europa, dove lavoratori e lavoratrici condividano, le responsabilità di cura dei bambini ed i familiari bisognosi di assistenza. Per Ocmin la vera sfida è superare quelle barriere culturali che nel nostro paese affossano ancora le politiche di conciliazione e incrementano la disparità di genere nel mercato del lavoro sia nell’accesso che nella sua permanenza anche dopo la maternità. La formula vincente è più lavoro alle donne uguale più natalità perché le donne che non lavorano non fanno figli.

Ocmin è stata approvata la nuova direttiva europea per il work-life balance. Quando è iniziato tutto l’iter e come si è svolto?

L’iter, iniziato nel 2017, è stato molto lungo e in certi passaggi anche complicato. Senza contare gli anni precedenti dove più volte è stata arenato l’iter. Alla fine si è giunti all’approvazione, e questo è senz’altro un fatto positivo. La direttiva rientra infatti all’interno del pilastro sociale europeo, ed evidenzia un cambio di rotta significato nelle politiche di conciliazione.

Per quanto riguarda i contenuti, come valuta la direttiva?

Ci sono dei buoni elementi. Il congedo parentale riservato al padre viene innalzato a 10 giorni e viene prevista la copertura totale, l’indennità come avviene per la malattia. Si riconosce, inoltre, anche un maggiore flessibilità per chi deve prendersi cura dei familiari Per quanto riguarda l’età̀ dei figli per cui si richiede il congedo, il testo prevede un approccio evolutivo, innalzando l’età̀ dagli attuali 8 a 12 anni. Non mancano, tuttavia, delle zone d’ombra.

Quali nello specifico?

Va precisato che rimarranno in vigore le disposizioni legislative nazionali, quando più̀ favorevoli ai lavoratori e alle lavoratrici. La Direttiva infatti prevede anche quattro mesi di congedo parentale, di cui due non trasferibili e remunerati, quindi in questo caso i governi dovranno prevedere un’indennità̀ “adeguata” a garantire un livello dignitoso di vita che incoraggi ambedue i genitori a usufruire dei congedi. Per averne diritto, i genitori dovranno avere un’anzianità̀ aziendale di almeno un anno. Ma in questo modo vengono esclusi i giovani, gli atipici e gli stagionali, creando così lavoratori di serie A e di serie B.

In tema di politiche di conciliazione l’Italia come è messa?

Sono stati fatti dei passanti avanti, ma c’è ancora molto da fare. Prima di tutto su aspetti strettamente pratici. Nel nostro paese abbiamo 5 mesi di astensione obbligatoria per le lavoratrici madri – di recente anche ulteriormente reso flessibile e 5 giorni di astensione obbligatoria ai lavoratori padri in seguito si può usufruire del congedo però questo viene retribuito solo del 30%. Dunque viene chiesto da chi ha solitamente lo stipendio più basso, che impatta di meno sul bilancio familiare, ossia alle lavoratrici. Bisogna fare in modo che ci sia maggiore flessibilità in alcuni momenti topici della vita dei lavoratori e delle lavoratrici superare alcune rigidità presenti per evitare che soprattutto le donne devano rinunciare al lavoro e che purtroppo come accade frequentemente le venga imposto dei part-time involontari, che di certo non aiutano la conciliazione. Serve dunque un cambio culturale nel mondo del lavoro e dell’impresa. Molto è stato fatto con la contrattazione del welfare aziendale ma rimane un’opportunità spesso solo per alcune aziende medio grandi.

La mancanza di politiche family friendly e che non aiutano a eliminare le disparità di genere che effetti stanno avendo sulla nostra società?

Che stiamo perdendo professionalità, perché mediamente sono proprio le donne le più qualificate, e quelle che hanno i titoli di studio più spendibili. Accanto alla ormai nota fuga dei cervelli, assistiamo anche alla fuga dei “pancioni”, perché molte giovani donne vanno a lavorare all’estero dove ci sono condizioni più favorevoli, e la maternità e la famiglia non sono viste come un ostacolo.

Al Congresso della famiglia di Verona si è molti discusso anche sul ruolo della donna nel mercato del lavoro. Quali sono le valutazioni in merito?

Le argomentazioni presentate a Verona sono del tutto infondate. L’incremento della natalità non si ottiene facendo rimanere a casa le lavoratrici, ma semmai è vero il contrario. Inoltre un’elevata presenza femminile nel mercato del lavoro crea, a sua volta, nuova occupazione, perché incrementa ad esempio la domanda di servizi.

Secondo lei, i vari interventi messi in campo dal governo potranno avere un effetto positivo sulla natalità e rafforzare le politiche di conciliazione?

Per il momento no. Nella legge di bilancio, ad esempio, è stato tagliato il fondo per il baby-sitting. Inoltre ci viene offerta un’immagine della famiglia del tutto disarticolata dalla realtà odierna. Non si può pensare di incentivare la natalità dando in cambio ettari di terra. Anche Quota 100, che nelle previsioni del governo dovrebbe garantire l’accesso nel mercato del lavoro ai giovani, non è detto che funzioni. Prima di tutto perché non c’è mai il ricambio 1 a 1. Inoltre Quota 100 è tarata per un lavoratore maschio dipendente con una carriera continua. Non bisogna solo valutare quando si va in pensione ma anche con quanto. E le lavoratrici in questo sono penalizzate, perché hanno avuto carriere più brevi e discontinue.

Libia: Questo è un colpo di Stato

Gli Stati Uniti chiedono l’immediato arresto dell’offensiva militare dell’Esercito nazionale libico (Lna), comandato dal generale Khalifa Haftar, contro la capitale libica Tripoli.

Nella nota Washington sostiene che le parti coinvolte che hanno la responsabilità di allentare urgentemente la situazione, come sottolineato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e dai ministri dei paesi del G7 lo scorso 5 aprile.

E mentre il generale Ahmed Omar Maitig, vicepresidente del Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale libico (Gna) dichiara che: “Noi siamo il governo legittimo della Libia. Questo è un colpo di Stato non c’è altro modo per definirlo. Lui vuole prendere il controllo della Libia e vuole essere a capo di un suo governo militare, vuole instaurare una giunta, una vera e propria dittatura”.

In Libia gli scontri hanno già convinto diverse società internazionali e governi stranieri a ritirare il proprio personale in Libia. Tra gli altri, hanno annunciato l’evacuazione del proprio personale la compagnia petrolifera italiana ENI e l’esercito statunitense.

Anche la Francia ha commentato l’offensiva di Haftar: una fonte diplomatica ha spiegato a Le Figaro che la Francia non è a conoscenza delle intenzioni del generale e che non esiste alcun “programma nascosto sulla Libia” ribadendo il sostegno ufficiale al governo di Al Sarraj.

Elezioni europee: anche le Acli a Colonia per flash mob

Le Acli nazionali, in collaborazione con la Kab Bundesverband (il più importante sindacato cattolico tedesco), l’Ecwm (il movimento europeo dei lavoratori cristiani) e le Acli Germania, si sono date appuntamento ieri, a Colonia, per l’Incontro europeo della società civile.

Quattro Movimenti dei lavoratori cristiani per il futuro dell’Europa”.
Un’azione congiunta sotto forma di “flash mob”.

Per l’occasione, è stato letto e presentato un documento condiviso dalle quattro associazioni che richiama i valori dell’Europa insieme ad un appello alla partecipazione alle prossime elezioni europee, che in Italia si svolgeranno il 26 maggio.

“Dobbiamo costruire una posizione politica chiara per dare forza a questa grande intuizione che è stata l’Ue”, ha dichiarato Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli. “Ancor prima di capire quale sarà il futuro del lavoro – ha aggiunto –, noi vogliamo ribadire che un’Europa unita è una forma di tutela delle fasce sociali più disagiate”.

Vinitaly, addio a una vigna su 10 nell’ultimo decennio

Addio ad una vigna su dieci nell’ultimo decennio con la scomparsa di quasi 80mila ettari di vecchie vigne, pari all’11% della superficie totale coltivate a vite. E’ quanto emerge da un’analisi Coldiretti diffusa in occasione della presentazione delle innovazioni 2019 nel mondo del vino, protagoniste di una maxiesposizione a Casa Coldiretti, dalle ultime rivoluzionarie tecniche di invecchiamento alle innovative soluzioni tecnologiche per promuovere i consumi, fino alle più incredibili esperienze di economia circolare in vigna.

In un decennio la superficie complessiva coltivata a vite è passata da 731mila ettari a 651 mila ettari del 2018, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat, con la scomparsa soprattutto di vigneti vecchi e non più produttivi. Il risultato è stato una contrazione del Vigneto Italia dalla quale si è ora ripartiti per una profonda operazione di rigenerazione che ha puntato soprattutto su varietà autoctone e “green”.

Lo testimonia il boom di domande presentate alle Regioni per l’autorizzazione all’impianto di nuove vigne nel 2019. Una mole di richieste che – sottolinea Coldiretti – ha superato il “tetto” delle superfici disponibili pari a 6600 ettari, secondo quanto previsto dal regolamento dell’Ocm Vino, l’organizzazione comune di mercato che regola a livello europeo il settore.

Le scelte delle aziende, molte delle quali giovani, per i nuovi impianti riflettono – spiega Coldiretti – il profondo cambiamento nei consumi, con il ritorno dei vini autoctoni che nel giro di quale anno hanno scalzato quelli internazionali nelle preferenze di consumo degli italiani. Un trend testimoniato anche dal fatto che nella top ten dei vini che hanno fatto registrare la maggiore crescita di vendite nel 2018 figurano solo bottiglie “sovraniste”.

Ma un altro indirizzo dei viticoltori italiani – continua Coldiretti – è quello dei vitigni resistenti. Si tratta di varietà anche chiamati super-bio da cui nascono i vini “piwi”, che eliminano del tutto o quasi l’uso di trattamenti. Una scelta che va nella direzione della sostenibilità e della tutela dell’ambiente, incontrando un favore crescente da parte dei consumatori, anche grazie a una nuova sensibilità verso questo tipo di tematiche. Non a caso i criteri di priorità indicati dalle Regioni per la presentazione delle domande di nuovi impianti premiano, tra le altre cose, – prosegue Coldiretti – chi segue le regole della produzione biologica, chi coltiva la vite nelle zone montane e in piccole isole dove il vigneto contribuisce alla conservazione dell’ambiente.

“Il profondo rinnovamento in atto sul Vigneto Italia conferma la vitalità di un’agricoltura che ha fatto dell’innovazione una delle armi per affermarsi sul mercato, della quale il vino rappresenta peraltro uno dei settori di punta” ha dichiarato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “non a caso le scelte dei viticoltori Made in Italy incontrano sempre di più i gusti dei consumatori sul terreno della qualità e della sostenibilità”.

Viaggi nell’antica Roma, torna il progetto multimediale per rivivere la storia del Foro di Cesare

Dal 17 aprile al 3 novembre 2019, lo straordinario progetto Viaggi nell’antica Roma che, attraverso due appassionanti ed innovativi spettacoli multimediali, racconta e fa rivivere la storia del Foro di Cesare e del Foro di Augusto.

I due spettacoli, che utilizzano tecnologie all’avanguardia, vedono l’ideazione e la cura di Piero Angela e Paco Lanciano con la storica collaborazione di Gaetano Capasso e con la Direzione Scientifica della Sovrintendenza Capitolina. Sono promossi da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e prodotti da Zètema Progetto Cultura.

Grazie ad appositi sistemi audio con cuffie e accompagnati dalla voce di Piero Angela e dalla visione di magnifici filmati e proiezioni che ricostruiscono i due luoghi così come si presentavano nell’antica Roma, gli spettatori potranno godere di una rappresentazione emozionante e allo stesso tempo ricca di informazioni dal grande rigore storico e scientifico.

I due spettacoli possono essere ascoltati in 8 lingue (italiano, inglese, francese, russo, spagnolo, tedesco, cinese e giapponese).

Le modalità di fruizione dei due spettacoli sono differenti. Per il “Foro di Augusto” sono previste tre repliche ogni sera (durata 40 minuti) mentre per il “Foro di Cesare” è possibile accedervi ogni 20 minuti secondo il calendario pubblicato (percorso itinerante in quattro tappe, per la durata complessiva di circa 50 minuti, inclusi i tempi di spostamento).

Gioco d’azzardo, un volume d’affari pari a 107 miliardi nel 2018

Disoccupati, pensionati, lavoratori e studenti.  Non c’è un unico profilo nel mondo del gioco d’azzardo, una piaga sociale spesso silenziosa che affligge moltissime famiglie. Su questo tema mette l’accento “Lose for life – Perdi per la vita. Come salvare un Paese in overdose da gioco d’azzardo”, un progetto realizzato da Avviso Pubblico, in collaborazione con il mensile Altreconomia e il Master in Analisi prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e della corruzione, dell’Università di Pisa. Un saggio su una dilagante criticità che investe giovani e meno giovani come un fiume in piena, curato dai maggiori esperti del settore, con un focus sulle azioni efficaci in termini di prevenzione. Nel libro vengono presentate anche alcune esperienze messe in campo dai Comuni che hanno affrontato adeguatamente la dimensione problema.

In Italia nel 2018, la raccolta dei giochi pubblici, cioè il numero delle puntate registrate nell’arco dell’intero anno, è stata pari a 106,8 miliardi di euro (in aumento del 5% rispetto al 2017). A dirlo il 6 marzo 2019, il direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Benedetto Mineo, sentito in audizione dalla Commissione Finanze della Camera, che ha fornito i primi dati, non consolidati, relativi al gioco d’azzardo legale nel 2018 La spesa, ossia le perdite complessive dei giocatori, che si ottengono sottraendo le vincite dalla suddetta raccolta, si attesterebbe intorno ai 19 miliardi di euro, un dato in linea con l’anno precedente.  Il 55% dell’importo, circa 10.5 miliardi di euro, corrisponde al gettito erariale incassato dallo Stato.

Ogni mese in tutti i territori della Penisola viene perso quasi un miliardo di euro in apparecchi da intrattenimento, la terminologia utilizzata dall’industria dell’azzardo per indicare le slot machine (tecnicamente Awp) e le videolottery. Un business ad alto rischio sociale poiché sono molti i casi crea dipendenza. Di ludopatia si parla quando s’incontra l’incapacità di resistere all’impulso di giocare d’azzardo o di fare scommesse, nonostante l’individuo che ne è affetto sia consapevole che il reiterarsi dell’azione compulsiva possa portare a gravi conseguenze. Il rischio a cui può incorrere il ludopatico, inoltre, non è solo la perdita incontrollata delle proprie risorse economiche (o di quelle familiari) ma anche la dismissione delle normali attività quotidiane (come lo studio e il lavoro), nonché lo sfilacciamento dei legami affettivi. Nei casi più estremi, la malattia del gioco compulsivo può portare persino al suicidio.

La dipendenza da “gioco” si colloca nel novero dei disturbi mentali ed è caratterizzata dall’incapacità di resistere alla tentazione “persistente, ricorrente e maladattiva” di giocare diverse somme di denaro. Le conseguenze più dirette si manifestano nel deteriorarsi delle attività personali, familiari e lavorative. Un fenomeno trasversale che vede tuttavia il 58,1% dei ragazzi impegnati nella pratica del gioco d’azzardo. E secondo una ricerca curata dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr, l’8 % dei giovani dedito ad esso ha, in breve tempo, comportamenti problematici.

Su questo sfondo rilevante può essere il ruolo dei Comuni nel contrasto al gioco d’azzardo patologico, con specifiche ordinanze riferite alla riduzione degli orari di apertura delle sale giochi, sale videolottery e sale scommesse o di funzionamento degli apparecchi installati in bar, tabaccai o altri esercizi commerciali, nonchè la distanza dai luoghi sensibili come scuole, impianti sportivi, stazioni di treni o autobus, ospedali o case di cura. Il comma 569 della Legge di bilancio n. 145 del 30 dicembre 2018 prevede che “al fine di rendere effettive le norme degli  Enti  locali  che disciplinano l’orario di funzionamento degli  apparecchi”, a partire dal primo giorno di luglio 2019, Comuni ed Enti locali potranno rivolgersi all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per verificare l’effettiva applicazione delle ordinanze emanate sulle limitazioni degli orari da gioco relative agli apparecchi da intrattenimento. Una possibilità al momento limitata alla sole videolottery, mentre per quanto concerne le slot machine (AWP) la disposizione è rimandata all’effettiva introduzione delle AWPR, le slot di nuova generazione a controllo remoto, prorogata al 2020.

Nel corso dell’audizione presso la Commissione Finanze della Camera, tenutasi il 6 marzo 2019, il direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Mineo, insieme alla responsabile direzione Dogane e Monopoli di Sogei, Carla Ramella, hanno presentato l’applicazione denominata Smart(Statistica e monitoraggio della raccolta territoriale), che sarà messa a disposizione degli Enti locali per controllare il flusso di gioco su rete fisica e la verifica dell’effettiva applicazione delle ordinanze emanate sulle limitazioni degli orari di gioco, relative agli apparecchi da intrattenimento VLT. L’applicazione Smart, attualmente in fase di collaudo, rappresenterà due categorie di informazioni: i volumi di gioco su rete fisica e i punti vendita. I dati relativi ai volumi di gioco ad oggi disponibili si riferiscono all’ultimo triennio (2016-2018) e saranno implementati con cadenza trimestrale, in relazione ai dati dell’anno in corso. I punti vendita saranno invece visualizzabili attraverso una rappresentazione cartografica. A partire dal mese di luglio verrà, infine, resa disponibile un’altra funzionalità, relativa al monitoraggio degli orari di accensione degli apparecchi VLT. I Comuni interessati potranno così inserire i dati delle proprie ordinanze e regolamenti ricevendo una comunicazione sui singoli apparecchi che violino le restrizioni.

Un nuovo fungo super-resistente può uccidere in tre mesi

Un report del New York Times ha rivelato qualcosa di inquietante che riguarda la salute pubblica. Diversi mesi fa in un ospedale di Brooklyn è stato ricoverato un anziano il quale ha successivamente subito un intervento chirurgico all’addome. Durante le analisi di routine post-operatorie è stato scoperta la presenza di un infezione fungina causata dalla Candida auris. Quest’ultimo è stato scoperto solo di recente, ma apparentemente è già diffuso a livello globale.

Tale fungo è pericoloso in quanto può risultare fatale quando si trova di fronte un sistema immunitario debole come quello di un anziano.

Il CDC, o Centers for Disease Control, ha definito il fungo come una serie minaccia in quanto è risultato resistente a diversi trattamenti e al farmaco noto come fluconazolo. I morti, accertati, finora sono stati 3400 tra Spagna, Grand Bretagna, Venezuela, Sud Africa e altri paesi. Solo a New York sono stati registrati 51 casi clinici e 61 casi paziente. Come detto poc’anzi l’infezione può risultare mortale in caso di un sistema immunitario debole mentre il range d’età dei casi registrati varia dai 21 ai 96 anni.

 

Il desiderio del centro politico

Dopo aver letto l’intervista di Lucio D’Ubaldo  a Guido Bodrato su Il Domani d’Italia  : “Il centro ha bisogno di cultura politica…” ; dopo i vari interventi seguiti: Prodi  “…Anche Prodi auspica la nascita di un partito più al centro ” ; Dellai : “Un nuovo centro” ; Di Giovan Paolo : “Centro, …solo un ‘nome nudo’ ; Capozza: “Essere al centro” ; ma anche Cacciari, Monaco, Fioroni,  in questi giorni, Panebianco e altri, che ruotono attorno allo stessa tema del centro politico moderato e dei cattolici in politica, mi sono sentito in disagio. Un disagio scaturito dal disaccordo su questo “Desiderio di Centro” e, nello stesso tempo, dalla stima che porto a Lucio D’Ubaldo, per il suo  tenace impegno prima culturale e solo dopo politico, che meriterebbe un riconoscimento. D’Ubaldo, non da oggi, rivolge il suo sguardo al ritorno dei cattolici sulla scena politica, facendomi vivere una profonda  contraddizione, dal momento che comprendo e condivido questo suo desidero. Di cui ne riconosco tuttavia le difficoltà storiche e sociali. E’ tempo , il nostro, di auspicare il ritorno del c.d. Centro politico connotato dal cattolicesimo democratico e dal popolarismo, con i ceti medi e i moderati  protagonisti ? E’ tempo il nostro della ricerca di una casa e di una collocazione spaziale di questo elettorato ? E’ tempo il nostro di desiderare la “ri-composizione ” – direbbe Padre Sorge – di un’ area cattolico- democratica e popolare oggi completamente assente dal dibattito politico ?  Tutte domande e aspirazioni interessanti di cui si è fatto interprete il tenace D’Ubaldo con molto coraggio. Ma che, pur riconoscendone  la legittimità e il nocciolo culturale nascosto, mi hanno tuttavia reso un poco critico. Consapevole che i desideri e le aspirazioni sono sentimenti umani fisiologici e condizioni mentali che nascondono spesso nostalgia e mancanza, o ricerca,  di qualcosa. E che, anche se validi , sono sentimenti che spesso non si misurano con la realtà e con le ragioni della storia nei suoi veloci e futuristici cambiamenti.

E’ vero. Col sistema elettorale proporzionale, con cui verosimilmente andremo di nuovo a votare, siamo tornati indietro nella storia della democrazia italiana. Il pluralismo connesso ai sistemi proporzionali, può però portare a sviste se collocato in epoche storiche diverse. Ed è vero che il cattolicesimo sociale e democratico, il popolarismo, sono scomparsi dalla scena politica. Ma rispetto al passato ci sono almeno quattro novità: l’emergere di una drammatica pulsione irrazionale sovranista ed antieuropeista pericolosa per il futuro dell’Italia; il proliferare di partiti, partitini e liste, che si dichiarano  di sinistra , centrosinistra, centro, centrodestra e destra, tali da spingere tutti alla illusoria ricerca di un elettorato c.d. di centro moderato vecchi tempi; la scomparsa delle classi sociali, e della vecchia distinzione marxista unita alla crisi dei “ceti centristi”; la ormai irreversibile personalizzazione leaderistica della competizione che, amplificata dai media e dai social, ci fa vivere nel presente e ci spinge a votare una persona al posto di un partito con la sua storia, i suoi valori da difendere, il suo programma elettorale. .                                                                         

Se non vogliamo risalire a Cavour e a Giolitti, molti sono partiti, partitini e liste che una volta autodichiaratisi di centro moderato, avrebbero forse potuto avere un senso solo ai tempi di De Gasperi, messo di fronte ad un robusto ceto medio consegnatogli dal fascismo, e a una buona borghesia che De Rita e Bonomi, “La fine della borghesia “,  Cacciari “ La borghesia ? Uccisa dal capitalismo “  e altri diversi studiosi, hanno tentato di scovare ai nostri giorni, senza riuscirci. Partiti, partitini e liste, che oggi rappresentano la presa in giro di autentico pluralismo politico e culturale, pur rispondendo ad un sistema proporzionale che spinge alla frantumazione verso lo zero virgola .

Il centro politico “orizzontale” del secolo passato

Se stiamo dunque rispolverando il centro politico nella sua valenza moderata e cattolica, non è solo colpa del proporzionale. Ma anche desiderio di alcuni  uomini politici, un poco frettolosi nell’identificare il “centro” politico dei nostri tempi – specie se cattolico – con il ceto medio, con la seppellita borghesia, o con i c.d. moderati .  Questi ultimi pensati  come tranquilli e pacati conservatori contrari  ad ogni cambiamento, che amano lo status quo, e l’etablishement . La faccenda confonde di più le acque, quando compaiono ancora oggi sigle doppie che , grazie agli esistenti  sistemi maggioritari comunali e regionali, si dichiarano di centrodestra, centrosinistra, se non di sinistra centro e di destra centro. Ma tant’è.                                                                                     

Il centro politico è, in realtà, solo una grande finzione spaziale, geometrica e lessicale. Identificabile solo negli emicicli dei parlamenti. In questo senso ben presente nella storia delle democrazie moderne a partire dalla rivoluzione francese. Ma oggi addirittura inesistente in alcuni paesi di democrazia  “bipolare” anche in virtù dei loro sistemi elettorali e delle tavole rettangolari attorno a cui sono seduti i parlamentari. Così come è inesistente la nozione dei moderati nei dizionari di politica seri pur incontrando partiti e liste che si richiamano al centrismo moderato: nella scienza politica, il moderato non è previsto !  Tutto allora sta a capire cosa intendiamo nei nostri tempi con centro moderato, ceto moderato, cattolico moderato, ecc. Ma anche ceto medio e classe media. Chiarendo sin d’ora che dal punto di vita sociologico è eventualmente meglio descrivibile un centro di natura sociale, al posto di un centro politico, di un ceto moderato, di una classe media, di un cattolico –democratico di centro,ecc.     

Il centro politico “verticale”dei  nostri giorni

Dobbiamo riconoscerlo: oggi il dibattito tra liberali e illiberali, tra classe operaia e middle class, tra conservatori e innamorati del cambiamento,  tra capitalismo e democrazia , tra rivoluzionari e tradizionalisti, si è fortemente alleggerito dei contenuti ideologici novecenteschi. Peccato, però, che abbia rimosso gli “ Ultimi”, nuovi e vecchi. Il “Disordine globale  con i suoi  “Scenari di un mondo in trasformazione”  come titola la rivista “ Humanitas”  della Morcelliana, galoppa ormai indisturbato verso un futuro sconosciuto.  Di fronte all’emergere impetuoso degli “alti” poteri finanziari , e dei super-ricchi con le loro multinazionali globali, la società si è appiattita verso il basso. E   tutto quello che sta al di sotto di una sottilissima punta di un iceberg , si dovrebbe completamente ripensare . E’ dunque un errore definire la classe media di centro con una fascia di reddito ( da tot euro a tot euro)  e con la professione lavorativa supposta sicura ( impiegati , insegnanti, medici, commercialisti, ingegneri, quadri aziendali, piccoli imprenditori, piccoli proprietari terrieri, ecc,). Oppure con chi diserta le urne. Oppure, ancora peggio, con chi va a Messa la domenica . Non sono parametri che oggi spiegano bene. Se così,  dobbiamo allora fare un piccolo sforzo linguistico e d’immaginazione per trasferirci dalla posizione orizzontale di un centro equidistante da destra e sinistra, a quella verticale di un centro equidistante da alti e bassi, ricchi e poveri, primi e ultimi, eguali e diversi. Credo che così facendo possiamo comprendere bene sia la realtà nuova che ci sta attorno, sia le nuove sfide che ci attendono, e trarne le conseguenze. 

Con dei particolari che potrebbero forse  aiutarci. Per esempio, che in basso troviamo ben  il 70 % della popolazione con una pensione al di sotto di 1000 euro al mese. Che il 33% dei giovani 15-34 anni è senza lavoro. Che robuste quote di (ex) classe operaia vota M5s e Lega.   Fabrizio Barca nel suo scandaloso Forum “Disuguaglianze e Diversità” , parla ormai di ceti forti e di ceti deboli, trascurando i ceti medi che colloca tra i ceti deboli. Alcuni dati Oxfam 2016, gli danno pure  ragione: c’è un 1 % più ricco che accumula una ricchezza del 25 % di tutta la ricchezza nazionale, mentre una quota più ampia di ricchi, (il 10%)  arriva ad accumulare sino al 62 % lasciando il restante 38% da distribuire al 90 % di popolazione. Infine , e ricorrendo ad un dato controverso, solo il 5% dei contribuenti italiani dichiara più di 50 mila euro di reddito.                                                                                                     

Insomma se non crediamo più alla “Fine della Storia”, con la ricomparsa delle diseguaglianze non siamo più neanche nella “società dei 2/3”  immaginata da Peter Glotz che prevedeva ben 2/3 di popolazione inclusi nel benessere e nei suoi benefici, e solo 1/3 di esclusi .  Siamo invece sicuramente con i 2/3 di esclusi e in difficoltà, e solo di 1/3 di inclusi, dal momento che quel terzo che stava nel centro, chiamato classe media, ceto medio , moderati di centro, ecc. sta velocemente scomparendo  scendendo verso il basso. Con una aggravante di disattenzione verso questi fenomeni dal momento che oggi un 40- 45%, a volte 60 %, degli aventi diritto al voto diserta le urne. Ora, se noi desideriamo identificare il centro politico con il 70 % degli italiani che prendono una pensione al di sotto di mille euro al mese, con il 33 % dei giovani disoccupati, oppure con l’1% dei ricchissimi o con il 20% di popolazione benestante e ricca senza grossi problemi economici e incertezze sul futuro proprio e dei figli, oppure con quel 40-50% di assenti al voto, siamo liberi di farlo. Ma così facendo, compiamo una operazione culturale, sociale e politica totalmente  sbagliata. In particolare oggi quando robuste quote di popolazione hanno preso il discensore sociale facendo squagliare il ceto medio. Una operazione che tende, oggi, ad imbrogliare e a fare confondere gli elettori evocando una terra di mezzo inesistente nella realtà sociale e antropologica e nella domanda politica, mentre è presente nell’offerta. E che risulta molto vaga in assenza di chiare definizioni di centro moderato. Se invece vogliamo rivolgere lo sguardo alla popolazione italiana e ai suoi ultimi comportamenti elettorali, tutto possiamo fare tranne che evocare un partito di centro e un elettorato centrista, se non moderato e conservatore. Quel lontano centrismo dell’Italia cattolica di De Gasperi ad ispirazione sturziana e popolare, che nel 1951, oltre ad avere da fare con la Cortina di ferro e la ricostruzione, tra tutti i lavoratori italiani, registrava ben un 63% fra  coltivatori diretti e salariati agricoli contadini (fonte Sylos Labini).

Sarebbe  corretto aggiungere che quando si rimuove la linea verticale (alti e bassi, ricchi e poveri,) e si ritorna alla linea orizzontale (destra e sinistra, o, peggio, centrodestra e centrosinistra) il discorso, dal punto di vista della  storia politica della nostra democrazia italiana si fa certamente più pertinente. Ma solo, appunto, per la storia politica del secolo scorso. Si possono infatti riscontrare riferimenti storici notevoli per spiegare e capire bene il termine centro nel gioco della competizione elettorale proporzionale  dei nostri parlamenti nazionali. Così come si possono trovare definizioni convincenti che spiegano cosa significhi  destra e cosa sinistra una volta divisi – come ha sostenuto Norberto Bobbio – tra idee di uguaglianza e idee di libertà  e disuguaglianza.

Ridefinire l’offerta politica alla luce della rivoluzione antropologica e sociale in atto.

Qual è, allora, il problema di oggi? A mio avviso risiede nel fatto che continuiamo ad utilizzare categorie politiche che spiegavano solo per il passato alcuni fenomeni della democrazia e della società del nostro paese. Del suo livello economico e del suo sviluppo tecnologico.  Ma che ai nostri giorni e sotto la cappa di una irreversibile globalizzazione con i suoi centri finanziari di immenso potere, dovrebbero far riflettere, spingendoci a urgenti rivisitazioni e ridefinizioni con categorie fortemente creative, pensando al futuro che ci attende.

Non credo che di fronte al seppellimento  del partito politico solido di massa, un partito che dava speranze e suggeriva valori e principi, un partito, quello di oggi, del tutto mutevole e liquido nella raccolta del voto, e trovandoci di fronte alla personalizzazione del partito con il suo leader in diretto rapporto con l’elettore , non credo dicevo che  utilizzando la nozione di centro si riesca a spiegare e capire qualcosa dei nostri tempi. Voglio ricordare che il più coraggioso europeista dei nostri giorni è il presidente senza partito di un paese, la Francia, dove la classe operaia vota per la Le Pen.

Così come non credo che, di fronte all’avanzata dei nuovi populismi  con la passionale ricerca di capri espiatori, e di fronte ai pericolosi nazionalismi e localismi emergenti ,antieuropei,  con la terra, il sangue, la lingua, e le tradizioni …e perfino la razza – una presa in giro dell’autentico comunitarismo -, messi nei loro programmi romantici e sbandierati nelle loro manifestazioni, la riposta sia quella di un partito di centro che comunica attraverso  twitter e social.media

Credo di più, invece, che, di fronte ai rivolgimenti sociali, antropologici e culturali inimmaginabili per tutto il Novecento,  di fronte alla seria crisi dei ceti medi saliti come dicevo sul “discensore”, ma che bene o male componevano il centro c.d. moderato nel secolo passato -, non bisogna stare immobili sulla riva del fiume richiamandoci a interpretazioni e paradigmi superati dalla storia. Forse è bene cominciare a pensare che i moderati, quelli senza problemi economici, educati e per bene, tranquilli e fiduciosi sul futuro loro e dei figli, nemici delle grandi “rivoluzioni”, hanno oggi ceduto il posto all’intemperante odioso, al nervoso preoccupato, alle famiglie benestanti con i figli disoccupati e senza molte speranze di trovare lavoro Al pauroso dello straniero altro e diverso. Al  razzismo strisciante odioso di tutti quegli “stranieri” che tolgono il lavoro e il pane agli italiani.

Il nuovo centro … in  basso ?

Penso , allora, che sia indispensabile declinare valori e principi del vivere insieme e della democrazia costituzionale nello “spirito dei tempi” che viviamo. Interpretando bene i rivolgimenti sociali sopraggiunti. Scoprendo categorie esplicative e definizioni completamente inedite, in grado di farci capire la storia che viviamo e le novità che ci attendono. Il che ci potrà aiutare nel confezionare programmi e offerte di politica realistica, una volta che facciamo lo sforzo –imprescindibile– di sovrapporle alle novità antropologiche, culturali e sociali  causate dalla inarrestabile globalizzazione in atto . In questo senso, rivolgersi agli elettori moderati di centro, specie quando si comprendono i “cattolici democratici moderati” che per definizione non sono mai stati moderati, è un grosso abbaglio . Il moderato, lo possiamo trovare  sia nella vecchia destra che nella vecchia sinistra,e perfino nei nuovi partiti sopraggiunti. E non solo nel mezzo della vecchia dimensione spaziale e politica orizzontale. Attrarlo oggi in un luogo di centro, anche ricorrendo a spezzatini irrilevanti di programmi  simili , è operazione inutile e culturalmente sbagliata. Il fatto è che siamo di fronte ad un elettorato antisistema e arrabbiato, incerto sul suo futuro che , grazie a Dio – dico io – ha trovato il suo sfogo senza scendere in Piazza con gilet neri,  e la sua rappresentanza addirittura parlamentare, in un Movimento fondato da un comico che lo dichiara né di centro, né di sinistra, né di destra.  Almeno nel significato spaziale che noi davamo a questa orizzontalità politica nel secolo passato. L’elettorato del  M5s che ha vinto il 4 marzo, ma che ha iniziato a riversare i suoi voti alla Lega, come dicono i sondaggi, è un elettorato presente tanto al Nord sviluppato quanto al Sud sottosviluppato. Trasversale e in parte simile a quello della Lega dal punto di vista socio demografico. La cui composizione presenta alcune caratteristiche che dovrebbero preoccupare i sostenitori di un “Nuovo Centro” : elettorato formato da un  picco di giovani, donne e uomini, 30-44 anni; con il 41% di giovani 18-24 anni; con il 43% di operai, il 27% di impiegati, il 20% di casalinghe , il 13% di disoccupati . Con il 36% di diplomati di scuola superiore e il 29% di laureati . La Lega invece ha un 11% laureati ,14% diplomati, 20% licenza elementare. C’è infine un 20% (media tra M5s e Lega), che dichiara di andare a Messa tutte le domeniche , e che ci fa capire che il voto c.d. cattolico , non da oggi è disperso e frammentato : sondaggio CISE – Sole 24 ore. E’ stato  l’Ipsos infine a suggerire che la classe operaia,la classe media e medio bassa non votano Pd, e che i voti il Pd li prende dalla classe medio alta

Oggi in conclusione c’è da chiedersi perché la Lega – contro il sistema e le istituzioni ma oggi facente parte del sistema e delle istituzioni, contro l’Europa e  sovranista, a favore dell’éstablishment o contro l’éstablishment, a favore delle competenze o contro le competenze, con la tuta della Croce rossa, o con il Vangelo o Rosario in mano, a Verona con le famiglie, a Torino con la Tav  , ecc. – cresca sempre di più e non dia cenni di esaurimento. Noi, invocando il centro, non diamo nessuna risposta. Evitando di riflettere sui motivi di fondo che hanno radicato nella società un Movimento come quello di Grillo e una Lega come quella di Salvini.  Che sono stati capaci di fare sparire , nel migliore dei casi assorbiti, il centro, i moderati di Centro, i cattolici moderati di centro, vecchia sinistra e vecchia destra. Se proprio vogliamo mantenere le categorie del secolo passato, seppure un ceto medio di centro misurato col reddito esiste, non è un ceto medio che guarda al centro moderato, perché senza speranze per il futuro,  e perché pieno di incertezze e paure . Ricorrendo alle obsolete definizioni spaziali, siamo di fronte ad una nuova destra senza che ci sia segno di una nuova sinistra. Basta solo evocare un centro per risolvere la questione ? Se così , torno in conclusione a chiedermi:  ma quando parliamo di centro a chi ci riferiamo, e di che cosa vogliamo parlare? Se è legittimo invocare un ritorno del cattolicesimo democratico sulla scena pubblica, esso non si può giustificare con la presenza di un sistema proporzionale. Ne delegare ad un partito di centro moderato senza riscontri sociali. Ritornare al prepolitico si può. Ritornare a studiare i cambiamenti si può. Ritornare all’associazionismo di base per la formazione di classe politica, si può. Pensare ad una Fondazione culturale e a scuole di formazione per non mettere in cantina il cattolicesimo democratico, la Dottrina Sociale della Chiesa, si può. Quello che non si può fare è evocare  categorie politiche scomparse.

Marina Amori: le comunità territoriali di piccole dimensioni meritano di essere salvate

Riportiamo ampi stralci dell’intervento di apertura del convegno su “Il futuro dei piccoli comuni di montagna”, tenutosi sotto gli auspici della rivista mensile “Borghi Magazine” ieri mattina a Poggiodomo, municipio con appena 101 abitanti in provincia di Perugia.

I demografi e i sociologi ci raccontano di una evoluzione che già possiamo toccare con mano, qui attorno a noi, relativa alla crescita esponenziale delle grandi città. Nei prossimi 20 anni si presume che nel mondo, specialmente nell’Asia altamente popolata, la concentrazione urbana costituirà il fattore decisivo della organizzazione dei diversi sistemi sociali e nazionali. La dimensione delle megalopoli, con 20 o 30 milioni di abitanti, non sarà più un’eccezione. Città del Messico o Il Cairo, Pechino o Londra, Lagos o Los Angeles, saranno affiancate da altre analoghe, immense conurbazioni. Cambierà pertanto il senso dell’appartenenza e dell’identità sociale, non solo per le persone coinvolte direttamente in questo gigantesco processo di accentramento. Ogni confronto determinerà la consapevolezza di essere in un’epoca profondamente diversa dal passato.

Oggi, in Italia, pensiamo a Roma o Milano o Napoli come grandi città; ma domani non potremo avere più la medesima percezione. Dovremo mutare il nostro paradigma di giudizio, dovremo chiederci che cosa resterà della tradizionale “visione” dei nostri comuni a dimensione umana. Non penso che potremo accettare che nulla sopravviva all’ipertrofico contesto urbano e metropolitano. Forse scopriremo che solo il retroterra di tante comunità territoriali – piccole ma feconde – potrà conservare il carattere più intimo di una civiltà a misura d’uomo.

La storia c’insegna che la rivoluzione comunale dell’XI e XII secolo rappresentò in Italia la fine del feudalesimo e il distacco, senza spargimento di sangue, dal castello feudale. Nel nostro DNA di nazione opera questa peculiare esperienza di “rinnovamento nella libertà”. I nostri comuni sono l’emblema di una trasformazione pacifica e nondimeno generosa, fervida e nondimeno tumultuosa. Dunque siamo figli, anche noi, di tale “vissuto storico”. In questo senso il legame con il passato ci porta alla difesa di valori e convinzioni radicate e conseguentemente anche di pietre e muri che ne incarnano il significato di generazione in generazione.

Come dice Vittorio Sgarbi nella sua lezione magistrale “Borghi e città: il paesaggio della bellezza italiana”, le piccole comunità rappresentano il luogo della memoria, della testimonianza del lavoro, della cultura e delle tradizioni delle generazioni che ci hanno preceduto, cultura e tradizioni che meritano di essere salvaguardate, difese e ricordate.

Siamo qui, allora, per immaginare che un piccolo comune debba aiutarci a regolare gli orologi del tempo che verrà; a spostare in avanti il confine tra spopolamento delle aree interne o di montagna ed espansione demografica dei maggiori centri urbani; a rendere visibile la necessità di un nuovo equilibrio, con tanti Poggiodomo in prima fila nel fare ancora dell’Italia una terra di bellezza e di senso della vita. È il motivo di fondo che autorizza a predicare la necessità della “salvezza” dei nostri comuni minori.

I numeri sono impietosi. Di questo passo, se non s’inverte la marcia, la perdita di popolazione minaccerà l’esistenza di tanti municipi. Poggiodomo è un esempio: eravamo 731 abitanti nel 1959 – lo abbiamo appreso dal breve filmato della Rai – e oggi siamo giunti ad appena un centinaio. I giovani fanno altre scelte, inseguendo opportunità che nascono e crescono nei luoghi della globalizzazione metropolitana. Diventa faticoso perxiò prevedere un futuro positivo dinanzi a una curva discendente di tipo anzitutto demografico. Occorre un salto di fantasia e un atto di sana caparbietà: le tecnologie ci vengono in soccorso e spetta alle persone – a tutti noi – impiegarle per il rilancio della dimensione comunitaria locale, anche negli agglomerati di poche centinaia d’anime.

Non dimentichiamo che la cultura e la conoscenza sono il vettore della speranza per la rinascita dei piccoli comuni. Diversi ambiti, a partire dall’agricoltura, possono trovare l’innesco di nuove formule di progresso; un  progresso che passa anche attraverso il ripensare alle infrastrutture e ai trasporti, il potenziamento delle comunicazioni – rendere efficiente l’introduzione della banda larga – e dei servizi. Tutto questo è la condizione necessaria per garantire la “tenuta” del territorio.

Non è detto che il lavoro e la ricchezza debbano allocarsi esclusivamente lungo l’asse delle condizioni offerte dal sistema delle grandi città. Non è un destino ineluttabile.

Le cronache riportano sempre più spesso informazioni interessanti sulle scelte che sindaci e amministratori coraggiosi hanno pensato di intraprendere per rivitalizzare le loro comunità che sono fortemente esposte al rischio di estinzione. È uno sforzo che vale per i singoli territori, ma contribuisce a rinvigorire il tessuto umano e civile del Paese. Dobbiamo nutrire la speranza di un “rinascimento di prossimità”, un qualcosa che sia in grado di mobilitare, intellettualmente e politicamente, le energie sparse  in lungo e in largo quali espressione della cosiddetta “Italia minore”. Anche l’ambiente, fonte di preoccupazione ormai diffusa, può essere salvato attraverso una sorta di gemellaggio permanente tra città e piccoli comuni, operando in questo modo a tutela dei beni di natura.

Giuseppe Blasi, sviluppo e rilancio delle comunità di montagna

Contributo scritto, in assenza dell’autore, al convegno su “Il futuro dei piccoli comuni di montagna”, organizzato ieri mattina dalla rivista mensile “Borghi Magazine” a Poggiodomo, municipio di 101 abitanti in provincia di Perugia.

Lo sviluppo dei Comuni di Montagna è un problema fortemente dibattuto da molto tempo, purtroppo senza grande successo.

Il Caso Poggiodomo è simile a tante altre realtà italiane; vi faccio un altro esempio molto significativo e da me ben conosciuto, perché si tratta del mio Comune di origine e residenza, situato sul versante pesarese dell’Appennino Umbro-Marchigiano, dove nel 2018, su di una popolazione di poco inferiore ai mille abitanti, sono stati registrati 15 decessi e nessuna nascita.

Se allarghiamo lo sguardo, ci rendiamo conto che quasi un terzo del territorio nazionale è lontano più di 40 minuti (spesso più di 80) da centri che offrono un sistema completo di servizi di base, vale a dire scuola, salute e mobilità. Su questi territori, vive il 7,6 per cento della popolazione italiana, pari a circa 4 milioni e mezzo di cittadini.

Si tratta di aree caratterizzate da grande diversità naturale, produzioni agro-alimentari di assoluta eccellenza, anche se di nicchia, un patrimonio culturale e paesaggistico inestimabile, usi e consuetudini locali di grande interesse.

Nonostante tutti questi pregi, in questi Comuni si assiste ad una inarrestabile caduta demografica: meno 1,4 per cento fra il 2001 e il 2011; un progressivo invecchiamento della popolazione; una forte riduzione del presidio e della manutenzione del territorio, in particolare dei boschi e dei pascoli, ma anche degli edifici e delle infrastrutture viarie, con effetti negativi anche sulle altre aree del Paese, soprattutto per quanto concerne il dissesto idrogeologico e le calamità naturali.

Le politiche comunitarie, in particolare quelle per la Coesione e lo Sviluppo Rurale, hanno dedicato, fin dalla loro nascita (avvenuta alla fine degli anni ’80), una grande attenzione alla dimensione territoriale dello sviluppo. Ciò significa essenzialmente un’attenzione alle differenze territoriali e ai fabbisogni specifici che i diversi territori esprimono.

Tuttavia, la riduzione dei divari territoriali è stata interpretata in passato per lo più in chiave di divari tra Regioni, dove la Regione corrisponde ad una determinata unità amministrativa.

In realtà, nel tempo è emersa la necessità di concepire una politica regionale in cui è sempre più importante l’articolazione sub-regionale e il coinvolgimento degli attori locali, sia nella definizione sia nell’attuazione delle politiche.

Questa nuova politica, che parte da una articolazione territoriale molto più dettagliata, ha come criterio definitorio l’accessibilità ai principali servizi di base, vale a dire scuola, sanità e ferrovie e, sulla base di questo, identifica le profonde differenze che esistono all’interno sia delle Regioni ricche, sia di quelle povere, tra territori centrali e territori periferici, in termini di scarso e/o problematico accesso a questi servizi, e delle ricadute che questa situazione strutturale provoca sui processi di sviluppo economico e sulle possibili politiche volte a sostenerne il rilancio.

E’ nata così la politica delle aree interne, lanciata dal Governo in corrispondenza dell’avvio del periodo di programmazione 2014-2020, oggi in fase di lenta e difficoltosa attuazione.

Non vi preoccupate, non voglio fare una relazione sulle aree interne, voglio però partire da questa esperienza, per cercare di capire cosa manca per il rilancio dello sviluppo.

La politica in favore delle aree interne non ha preso a riferimento solo l’accessibilità ai servizi di base, ma anche la governance, in particolare cercando di stimolare gli attori locali già nella fase dell’elaborazione delle strategie di sviluppo.

Questo approccio, si caratterizza anche per l’impegno congiunto del Governo nazionale, delle Regioni, e dei Comuni coinvolti.

Si tratta di un’impostazione molto complessa, perché comporta un forte impegno in termini di risorse umane e tempo, per enucleare quelle energie nascoste e quelle potenzialità che vanno sollecitate con un’attenta operazione di scouting.

E’ necessario lavorare come in laboratorio, ma senza conoscere le formule precise per le giuste combinazioni.

Innanzitutto, occorre rafforzare l’osservazione e la conoscenza dei luoghi, attraverso un’analisi in grado di individuare esperienze innovative sui temi socio-ambientali, sui nuovi abitanti delle aree interne, sui percorsi nelle pratiche di produzione e consumo alimentare, sulla produzione di qualità in agricoltura.

Molto spesso, l’esistenza di forme di gestione associata rappresenta un importante segnale sulla capacità di progettazione dei vari interventi; si tratta di una condizione determinante per attivare efficacemente un progetto pilota e, soprattutto, costituisce una condizione fondamentale per rendere permanenti gli interventi realizzati.

Il ruolo dell’agricoltura e delle foreste nei processi di sviluppo locale in questi casi è sempre rilevante. Se guardiamo bene, queste aree sono sempre caratterizzate da grandi potenzialità di sviluppo di produzioni agro-alimentari di qualità, ma frenate da problematiche di tipo organizzativo, sul versante della cooperazione tra produttori, su quello dell’integrazione della filiera e su quello dell’accesso al mercato.

Lo stesso discorso vale per la filiera del legno, caratterizzata da forte potenzialità nella fornitura di due categorie di prodotti e servizi: i prodotti con mercato, vale a dire legname ad uso industriale, legna per bioenergia e prodotti forestali non legnosi, e i servizi ambientali e sociali, fortemente legati anche allo sviluppo del settore turistico.

Le possibili interdipendenze con altri settori dell’economia locale sono rilevanti, ma manca un’iniziativa seria per favorire l’associazionismo privato e una gestione delle proprietà pubbliche, molte delle quali sono sotto-utilizzate o abbandonate.

E veniamo al dunque del problema.

Se guardiamo bene, non mancano le risorse o le possibilità, mancano le persone che possano tradurre queste possibilità in azioni concrete.

Da questo punto di vista, un ruolo fondamentale è affidato ai Sindaci, che da soli non possono certo innescare lo sviluppo di un territorio, ma possono sicuramente favorire la nascita di iniziative da prendere ad esempio, in modo che a queste possano seguirne altre, e far ripartire il sistema.

È necessario quindi scegliere bene le persone, perché è sulla qualità delle persone che si costruisce il futuro di una comunità.

*Giuseppe Blasi

Capo Dipartimento politiche europee e internazionali e dello sviluppo rurale

(Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo).

I cattolici nei tempi nuovi della cristianità

Articolo già apparso sulle pagine di www.mentepolitica.it a firma di Francesco Provinciali

Abbiamo imparato sui banchi di scuola a contestualizzare gli eventi, collocandoli nel presente e – insieme – nel flusso dei fatti della storia. La contestualizzazione è l’opposto del radicalismo ideologico e del dogmatismo: è aderenza alla realtà e sua lettura, attraverso gli strumenti del pensiero critico, della ragione e dell’etica.

Non significa “secolarizzare” o rendere relativo e avulso dalla storia il presente: al contrario implica uno sforzo di conoscenza, comprensione e interpretazione della realtà per vivere con maggiore consapevolezza il proprio tempo.

Siamo tutti in diversa misura attori e partecipi della vertiginosa accelerazione impressa al ‘modus vivendi’ e al ‘modus operandi’ nei costumi sociali e negli stili di vita individuali degli ultimi decenni, anche in relazione alla straordinaria incidenza che le nuove tecnologie e la loro diffusione hanno avuto nella deriva della globalizzazione e in quella opposta che le sta subentrando: poiché i corsi e ricorsi storici ci hanno insegnato che non esiste un anno zero, in cui tutto si annienta per dare spazio ad una improbabile teoria del cominciamento che escluda una continuità con il passato.

Siamo inesorabilmente legati a doppio filo alle coordinate spazio-temporali della storia, che è continuità, flusso, deriva, divenire, panta rei.

In molti hanno colto l’immenso sforzo della Chiesa nella seconda metà del ‘900 di contemperare l’ortodossia della dottrina con l’aderenza all’evoluzione culturale, economica e sociale dell’umanità.

Non più (solo) la Chiesa del “secretum et archivium” ma la Chiesa che si misura e si confronta con il mondo.

Non possiamo dimenticare le parole con cui Papa Giovanni XXIII aprendo il Concilio Vaticano II – nel lontano 1962 – metteva in guardia dai “profeti di sventura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi sovrastanti la fine del mondo. Nei tempi moderni essi non vedono che prevaricazione e rovina, vanno dicendo che la nostra età, in confronto con quelle passate, è andata peggiorando e si comportano come se nulla abbiano imparato dalla Storia che pure è maestra di vita”. Troviamo in queste parole la prima grande apertura ai tempi nuovi dell’era moderna. Né si può tacere una più recente esortazione di Papa Francesco nell’omelia di Santa Marta del 23 ottobre 2015 …” I tempi cambiano e noi cristiani dobbiamo cambiare continuamente” … “È proprio della saggezza cristiana conoscere questi cambiamenti, conoscere i diversi tempi e conoscere i segni dei tempi. Dobbiamo cambiare saldi nella fede in Gesù Cristo, saldi nella verità del Vangelo, ma il nostro atteggiamento deve muoversi continuamente secondo i segni dei tempi”.

Una esortazione di fondamentale importanza che spiega il rinnovamento impresso da Papa Francesco alla Chiesa cattolica, come apertura di credito all’agire dell’uomo e impulso ad un continuo riallineamento tra ortodossia e realtà

Questi brevi riferimenti contengono spunti di riflessione e sono di stimolo ad una presenza dialogante nel dibattito culturale del nostro tempo, con riguardo ai temi della famiglia, dell’educazione, del lavoro, della sicurezza, dell’informazione, dell’emigrazione che incombono in un mutato contesto sociale di vita dove emergono nuovi diritti individuali e collettivi.

Dopo l’ubriacatura espansiva verso il “possesso del mondo” (finanza, denaro, successo, carriere, competizione, invidia) Papa Francesco ci parla di povertà, mitezza, benevolenza, misericordia.

Oltre la dimensione strettamente religiosa, dovremo indirizzarci verso nuovi stili di vita e misurarci con una più consapevole sobrietà.

Come ricorda Giuseppe De Rita…” Dobbiamo rimettere gli altri al centro dei nostri interessi, evitando di misurare l’esperienza delle cose e della vita a partire dai nostri personali egoismi, e allontanandoci da quella sorta di fagocitosi del mondo che ci conduce ad una concezione esclusivamente individualistica e possessiva della vita. A questo si aggiunga la capacità straordinaria della Chiesa di leggere e anticipare i tempi e inoltre di indicare e aggiornare modelli esistenziali più consoni allo spirito del Vangelo”.

Parole che indicano una strada ai cattolici del nostro tempo, per non essere “profeti di sventure” ma artefici di speranze.

Anche proprio a partire da una presenza nella gestione della res publica, poiché come descritto da Bauman e Blumenberg mancano a questa società liquida approdi e porti che ci evitino il naufragio, riferimenti e valori caduti in disuso e mai sostituiti, visioni di modelli sociali rassicuranti che reggano l’impatto con il declino della responsabilità e della competenza, ancoraggi sicuri nel mare magnum della decadenza culturale e del pressapochismo etico che sembrano affliggere questa epoca.

Quale contributo possono offrire all’idea di bene comune e di interesse condiviso i cattolici impegnati in politica, ai quali spesso la Chiesa stessa –avendo superato la dicotomia tra potere temporale e spirituale – chiede un impegno attivo e propositivo? Ripartire dalle origini: è un invito ricorrente e a più voci, della Chiesa stessa, del mondo dell’associazionismo, della politica che ha un fondamento nei padri nobili, Don Sturzo, De Gasperi, La Pira, Dossetti e quelli che parteciparono alla stesura del Codice di Camaldoli e alla Costituzione Repubblicana. Fermo restando il principio della laicità dello Stato, spetta ai cattolici portare un valore aggiunto che fa la differenza. Ricorda il Teologo Mons. Bruno Forte: “Il fondamento dell’idea di bene comune, nella prospettiva del personalismo cristiano, non può che essere la dignità infinita di ogni essere umano, soprattutto del più debole. Bisogna riconoscere l’altro non come concorrente o avversario, ma come dono: è solo allora che il bene comune si illumina del suo senso più profondo.

Si tratta di un bene che realizza la persona umana in tutte le sue potenzialità, ad ogni livello, a cominciare da quello di chi meno ha ricevuto, ha meno possibilità ed è più esposto alla tirannia del tempo e allo sfruttamento dell’altro. Quando l’idea di bene comune saprà essere coniugata nei fatti e nelle scelte alla promozione di tutto l’uomo in ogni uomo, manifesterà tutta la sua straordinaria potenzialità e questa è la grande ispirazione della dottrina sociale della Chiesa che sta alla base della nostra Costituzione Repubblicana, attraverso il Codice di Camaldoli che entrò nello spirito costituente come carta fondamentale della convivenza civile nel nostro Paese. Concludiamo questa riflessione con Giuseppe De Rita: “Trovo che quello che manca alle nostre modalità di conoscenza della vita e del mondo sia fondamentalmente il concetto di “prossimità”. Oggi viviamo e annunciamo il primato del remoto e dell’ignoto mentre invece la qualità umana e sociale è impregnata da valori umani, individuali e comunitari.  Dobbiamo riscoprire il senso della comunità, il gusto del farne parte. Non possiamo immaginare che la democrazia consista e si risolva nel mandare un certo numero di mail, nel presenziare nel web o nel rispondere ad un blog. La vita è fatta di passioni, emozioni, sentimenti, azioni concrete, conoscenza e riflessione”.

Confrontarsi con lealtà e coraggio, lo sguardo rivolto al futuro.

Scuole, aule sempre più vuote

Dalle tabelle sulle iscrizioni risulta che al prossimo anno si sono iscritti 69.256 studentesse e studenti in meno, un calo dello 0,9% che assume dimensioni diverse se si considera l’andamento degli ultimi tre anni, in diminuzione costante e crescente. Oltre 45mila in meno nel 2016/17 rispetto all’anno precedente. Altri 67.754 in meno nell’anno successivo e 75.215 quest’anno scolastico rispetto al precedente. In totale si sono persi 188.583 alunne e alunni nei quattro anni scolastici a partire dal 2015/16, con un calo del 2,4%. E in futuro non si intravedono segnali di miglioramento. Anzi. Le altre tabelle all’esame del ministro e dei sindacati mostrano un calo di 369.057 studenti nei prossimi cinque anni in tutta Italia, quasi quanto una città come Bologna o Firenze.

Analizzando i dati regionali, il calo è più evidente al Sud e un po’ minore al Nord ma c’è una sola regione dove di anno in anno non si assiste a una diminuzione delle alunne e degli alunni presenti in classe, è l’Emilia Romagna, che a settembre porterà 1484 alunne e alunni in più nelle sue aule. Il record negativo spetta alla Basilicata dove da settembre entreranno nelle aule 1742 studentesse e studenti in meno, un calo del 2,23%, in Calabria 5418 con un calo dell’1,96%, in Puglia 11.202 in meno con un calo dell’1,91% e in Campania altri 15.535 in meno con un calo dell’1,77%. In totale nelle regioni del Sud si perdono 48.570 alunne e alunni, il 70% del totale italiano.

Da oggi si potranno chiedere gli incentivi per l’acquisto di auto elettriche e ibride

Da oggi si potranno richiedere gli incentivi per  le auto elettriche con valori di emissioni di anidride carbonica (CO2) da 0 fino a 20 g/km con un prezzo di listino massimo di 61mila euro IVA compresa; e le auto ibride con emissioni di CO2 comprese tra 21 e 70 g/km.

Per la prima categoria la riduzione del prezzo è di 6mila euro se si rottama un’auto Euro 1, 2, 3 o 4, di 4mila senza rottamazione. Per la seconda categoria, si ottengono 2.500 euro con rottamazione e 1.500 senza.

I modelli di auto che ne beneficeranno

Toyota Prius Plug-in Hybrid – incentivi da 1.500 a 2.500 euro

Kia Optima Plug-in Hybrid – incentivi da 1.500 a 2.500 euro

Audi A3 e-tron – incentivi da 1.500 a 2.500 euro

BMW Serie 5 530e – incentivi da 1.500 a 2.500 euro

Mini Countryman Cooper S E – incentivi da 1.500 a 2.500 euro

Mercedes GLC 350e – incenvitivi da 1.500 a 2.500 euro

Mitsubishi Outlander Phev – incentivi da 1.500 a 2.500 euro

Kia Niro Plug In – incentivi da 1.500 a 2.500 euro

BMW Active Tourer 225xe – incentivi da 1.500 a 2.500 euro

Kia Optima 2.0 Plug-in Hybrid – incentivi da 1.500 a 2.500 euro

Smart Fortwo EQ – incentivi da 4.000 a 6.000 euro

Volkswagen e-Golf – incentivi da 4.000 a 6.000 euro

Tesla Model 3 – incentivi da 4.000 a 6.000 euro

Renault Zoe – incentivi da 4.000 a 6.000 euro

Nissan Leaf – incentivi da 4.000 a 6.000 euro

Kia Soul Eco Electric – incentivi da 4.000 a 6.000 euro

Citroen C-Zero – incentivi da 4.000 a 6.000 euro

BMW i3 – incentivi da 4.000 a 6.000 euro

Hyundai Kona EV – incentivi da 4.000 a 6.000 euro

Volkswagen e-Up! – incentivi da 4.000 a 6.000 euro

Theresa May avverte: “Serve accordo o Brexit potrebbe scivolarci tra le dita”

“Poiché il parlamento ha chiarito che fermerà l’uscita del Regno Unito senza un accordo, ora abbiamo una scelta netta: lasciare l’Unione europea con un accordo o non andarcene affatto”. Lo ha detto la premier britannica Theresa May in una dichiarazione riportata dal Guardian. “Più tempo ci vuole – ha sottolineato la May – maggiore è il rischio che il Regno Unito non esca mai e la Brexit potrebbe scivolarci tra le dita”.

Ma sulla decisione vorrebbero intervenire anche i cittadini che, rivela il sondaggio BMG Research, hanno espresso un sostegno a un nuovo referendum che, finora, non era mai stato maggioritario. Del resto numerose voci in entrambi gli schieramenti hanno sempre sostenuto che un nuovo referendum potrebbe essere una scelta opportuna, a cominciare dal cancelliere dello scacchiere Philip Hammond e il ministro degli Esteri “ombra”, Emily Thornberry.

 

Celiachia: Dal 1° luglio in Emilia-Romagna basterà la tessera sanitaria per l’acquisto dei prodotti senza glutine

“Pane, pasta, farina, pizza, snack, biscotti, tutti rigorosamente senza glutine. A partire dal 1° luglio 2019, in Emilia-Romagna per i circa 18mila cittadini affetti da celiachia sarà più semplice ’fare la spesa’: da quella data, infatti, la Regione renderà operativo il nuovo percorso di approvvigionamento dei prodotti privi di glutine a carico del Servizio sanitario regionale, sostituendo l’attuale modalità di erogazione dei buoni cartacei con un corrispondente valore mensile (dai 56 ai 124 euro, a seconda del sesso e dell’età) in formato elettronico”. A darne notizia, un comunicato della Regione Emilia-Romagna.

“Per rifornirsi di questi alimenti – spiega la nota – basterà andare in qualsiasi farmacia o negozio convenzionato sul territorio regionale portando con sé la tessera sanitaria – Cns (Carta nazionale dei servizi) e lo specifico codice PIN celiachia: si potrà spendere il credito mensile in misura graduale, in base alle proprie esigenze. Una novità, questa, che verrà presto annunciata con una lettera dell’assessorato regionale alle Politiche per la salute, inviata dalle singole Ausl ai propri assistiti affetti da celiachia”.

Giuseppe Tognon: “La corrispondenza di De Gasperi, un monumento alla vita degli italiani”

Signor Presidente, grazie di averci accolto qui al Quirinale. Tutto ha un senso e credo non ci sia luogo più importante di questo per celebrare un uomo come De Gasperi che ha guidato con mano ferma la transizione tra la Monarchia e la Repubblica. I palazzi sopravvivono a chi li abita, ma chi li abita fa la differenza.

Grazie alle Signore Paola e Lia De Gasperi e ai moltissimi nipoti e pronipoti che ci fanno sentire il sostegno della famiglia De Gasperi. Grazie alle autorità presenti. E ai molti amici e responsabili di istituti culturali che stanno collaborando con noi. La nostra rete di collaborazioni conta già oltre trenta istituzioni.

In questa sala, ci sono gli storici che fanno parte della Commissione nazionale  che sovraintende l’impresa e l’intera squadra di ricercatori oltre ad amici e ad appassionati di De Gasperi. Oggi è la festa della intelligenza storica e anche, se me lo permette, della passione civile per il nostro paese. Il volume delle 15 lezioni degasperiane che avete tra le mani è un segno di riconoscenza a tutti coloro che hanno voluto onorare, come lei ha fatto nel 2016, l’esempio di De Gasperi.

Due anni fa abbiamo iniziato sapendo che il progetto era molto impegnativo. L’iniziativa è stata della Fondazione trentina Alcide De Gasperi. Ho coinvolto subito la Fondazione Bruno Kessler – il cui presidente F. Profumo  le invia un caloroso indirizzo di saluto – e l’Istituto Sturzo di Roma, con le sue preziose archiviste. Il Mibac ci ha sostenuto generosamente. Così alcune banche. Dopo due anni di lavoro questa sera apriremo on line la piattaforma dell’epistolario che contiene già 1300 lettere, quasi novecento inedite o sconosciute. Non solo trascrizioni, ma anche la riproduzione degli originali. Abbiamo lavorato su più di 100 fondi archivistici, sparsi in 9 stati e siamo solo ad un quarto dell’opera. Sono più di 30 i ricercatori coinvolti. Gli archivi americani ci hanno restituito una decina di documenti inediti. L’Austria e la Germania sono state già esplorate, per la Francia e l’Inghilterra stiamo organizzando il lavoro. Abbiamo la disponibilità di storici russi. Con l’apertura degli Archivi vaticani fino al pontificato di Pio XII possiamo coprire l’intero arco della vita di De Gasperi.

Ciò che più impressiona, oltre alle lettere di Stato, è il flusso di corrispondenza con amici, collaboratori, familiari. L’epistolario restituisce un volto ad una moltitudine di protagonisti, potenti o semplici cittadini, impegnati a disegnare i destini del mondo o semplicemente a sopravvivere. Sotto la penna di De Gasperi sono testimoni di quell’umanesimo che è alla base di ogni sana democrazia.

La grandezza di un politico si è misurata per secoli dal numero dei suoi corrispondenti e l’epistolario degli e agli uomini illustri era un genere letterario importantissimo fino a tutto l’Ottocento. Per De Gasperi credo si potrà dire lo stesso: la sua corrispondenza è un monumento alla vita degli italiani, dovunque fossero.

I dati materiali non dicono però tutto. Ciò che appare è una nuova prospettiva storica, un film dell’Italia che siamo stati e forse anche una prospettiva per l’Italia che vorremmo essere o che credo dovremmo ritornare ad essere. E la differenza è tutta qui: De Gasperi lavorò perché il necessario ritorno ai dati di realtà che la geopolitica imponeva potesse avvenire senza dover patire le umiliazioni e le sofferenze che gli italiani avevano troppo a lungo subito. Sapeva che in politica i tempi non sono lineari e che ciò che sembra una novità può trasformarsi in una tragedia.

La distanza, si dice, rende tutto più lontano e appannato, ma già gli antichi si erano accorti che non è la distanza degli anni che rovina la memoria, ma l’assenza di documenti e di storie da raccontare e da rivivere. Non è lo scorrere implacabile del tempo che ci separa da chi ci ha preceduto, ma lo spegnersi della passione per la conoscenza. Anzi, la giusta distanza aiuta perché crea la prospettiva.

Con l’edizione nazionale, insieme alla imminente digitalizzazione da parte della Fondazione Bruno Kessler dei volumi degli Scritti e discorsi già editi sotto la direzione di P. Pombeni, l’Italia fa bella figura a livello internazionale. Ritorna in prima linea negli studi storici e politici, perché De Gasperi sarà lo statista più aperto alla ricerca tra tutti i grandi dell’Europa. La scelta digitale è vincente perché l’intelligenza artificiale ci consente di costruire mappe concettuali precise. Ogni nuova lettera, ogni nuovo commento, potranno essere inseriti  senza distruggere nulla, in una costruzione sempre aperta ma ordinata. Di questo ci dirà Sara Tonelli. Poi, prima di dare la parola a Lucio Caracciolo e a don Ivan Maffeis, mostrerò in rapidissima sequenza alcune belle lettere.

Grazie Presidente, grazie Signore e Signori. Credo stiamo facendo qualche cosa di buono e di serio.

 

Don Maffeis, De Gasperi: “Un politico che faceva spazio all’uomo”

Signor Presidente, Signora De Gasperi, Signori e Signore.

Qual è, dunque, il segreto di uomini come De Gasperi?

Una traccia di risposta passa proprio dall’epistolario in quanto tale: prima ancora di entrare nel contenuto delle lettere, non si può non rimanere colpiti dal loro insieme, dalla loro espressività. Nessuna di esse è formale: c’è sempre un pensiero, un’espressione, un monito, un richiamo, un incoraggiamento. Le lettere testimoniano il rispetto profondo, assoluto, dell’Autore per la persona e la sua dignità, per la comunità e i suoi valori; dicono di relazioni non sporadiche, ma fedeli nel dispiegarsi del tempo e delle situazioni. La prosa di questo corpus esprime come l’arte del governo sia frutto di esercizio, di una lettura intelligente e libera degli avvenimenti politici ed ecclesiali, ma anche di prossimità, di immaginazione emotiva, di capacità di ascolto e di comunicazione cercata, attesa e coltivata, nel segno della reciprocità.

La parabola di De Gasperi racconta di quanto quest’uomo non abbia avuto timore di allargare lo spazio vitale della sua comunità. Da Pieve Tesino a Vienna, da Vienna a Roma, da Roma all’Europa. Un politico che faceva spazio all’uomo, oggi si direbbe un politico inclusivo. Si era formato in un Impero in crisi, attraversato da cambiamenti politici, amministrativi e istituzionali: l’annessione del Trentino all’Italia, l’occupazione da parte del regime fascista di ogni sfera della vita sociale, il conseguente venir meno della presenza organizzata dei cattolici. Denigrato, umiliato, minacciato, perseguitato e conobbe sulla propria pelle l’ottusità dei forti e la pusillanimità dei meschini. Immerso nel cattolicesimo sociale, capiva il senso del disegno della Chiesa di ricostruire un’egemonia diversa sulla società, ma sapeva che passare da un piccolo Stato pontificio ad una «nuova cristianità» non sarebbe stato possibile senza la giusta dose di libertà, di indipendenza e di rispetto della laicità della comunità dei credenti. De Gasperi colse il paradosso della Chiesa di quel tempo, che voleva mobilitare i cattolici senza dare loro gli strumenti necessari per essere cittadini responsabili e protagonisti. Abbracciò la politica quale approdo del sentimento morale e sociale dei cattolici di fine Ottocento; la visse come una missione, “la forma più alta ed esigente di carità” (Paolo VI) con cui declinare i principi dell’umanesimo cristiano; la scelse soffrendone i limiti, eppure senza mai rinunciare al dialogo e all’alleanza – anche di governo – con altre tradizioni culturali e politiche, purché di accertata estrazione liberaldemocratica.

Da queste lettere avvertiamo emergere una statura morale di cui oggi sentiamo la carenza.  Ci chiediamo come facesse a lavorare con quella intensità, quel rigore e quell’attaccamento al dovere, compiuto con modestia e umiltà, fino al sacrificio di sé. L’epistolario ce ne mostra la coscienza educata e libera, l’autonomia intellettuale, le convinzioni che lo animarono; ci fa sentire che cosa significhi donarsi alla politica, scelta a caro prezzo, pagata spesso con la solitudine. Come si fa a resistere al peso della politica? Come evitare di diventare cinici? In realtà, la generazione di De Gasperi aveva ispirazioni forti, vivo senso di responsabilità, respiro politico di lungo periodo, sostenuto con lealtà e coraggio, con fermezza di volontà e di carattere. Credeva nella storia e nelle sue leggi, più che nella tecnica e nei suoi padroni.

Ci possiamo chiedere da dove venissero la sua serenità d’animo, la sua sicurezza interiore e la sua condotta esemplare, nella vita privata come in quella pubblica. La risposta è nell’inchiostro stesso di queste lettere, nella fede cristiana genuina e coerente, priva di retorica, profonda e mai ostentata. La risposta è nell’affetto della sua famiglia, nell’amore alla Chiesa e, in definitiva, in una grande intuizione ideale. Molte sue lettere rivelano fatica e preoccupazione, ma De Gasperi sa che non può permettersi di rivelarsi debole sui principi. Opera in un contesto geopolitico difficilissimo, ma più degli eserciti e dei dittatori teme l’incontro della povertà con l’ingiustizia. Mostra di aver bene in mente le radici conflittuali della politica moderna e sa che l’unico modo per evitare la violenza è quello di prendere sul serio i valori positivi delle rivoluzioni per svuotarle del loro veleno. Avverte l’operare insieme, nel quadro di uno Stato di diritto e con istituzioni forti, come l’unico modo perché la comunità possa trasformarsi in società civile. Corre alla mente la definizione di un altro grande trentino, Antonio Rosmini, il quale – ben prima di Maritain o di Mounier – diceva che «la persona umana ha nella sua stessa natura tutti gli elementi costitutivi del diritto: essa è il diritto sussistente, l’essenza del diritto».

Le lettere, cari Amici, ci consegnano anche la pazienza e la costanza di De Gasperi. Egli sa che deve provarci sempre, come sa che non tutto è nelle sue mani. Si affida all’intelligenza degli interlocutori. Scommette sugli avversari politici e cerca di anticiparne le mosse. Li osserva, li studia, li stupisce. Invecchiare – e forse non soltanto in politica… – significa conoscere, capire e comprendere meglio gli altri.

Nella lectio degasperiana del 2016, Lei – Signor Presidente – ci ricordava che le basi morali della democrazia sono il vero patrimonio dell’Europa: “Non le banche o le transazioni commerciali hanno determinato l’Unione europea – sottolineava – ma uomini politici e parlamentari lungimiranti: non sono le crisi finanziarie che potranno distruggerla, ma soltanto la nostra miopia nel non riconoscere il bene comune”.

Il peggior tradimento di De Gasperi e dei padri della Repubblica sarebbe di ritornare ai loro tempi, alla lotta tra le nazioni sulla pelle dei giovani, così da rendere inutile un secolo di passioni per la pace e l’uguaglianza. Il rischio c’è, ma dal proprio tempo non si può uscire che in avanti.

Queste lettere ancora interpellano la nostra risposta.

 

Ivan Maffeis Sottosegretario CEI

 

One way ticket- Biglietto di sola andata

L’autore prende spunto da all’articolo del nostro Direttore Lucio D’Ubaldo, pubblicato su queste pagine, il 30 marzo 2019 intitolato: “Al centro, per battere la politica di sola andata”. L’articolo è leggibile qui  

La politica di “sola andata” è ben conosciuta dai cosiddetti managers di successo, che nel contratto hanno convenienti stock options (ovvero benefits di vario genere) ed una elevata indennità di buona uscita. Per loro il successo si misura nel breve periodo, come, per il politico di turno, quando intercorrono pochi mesi tra un’elezione e l’altra con relativa campagna elettorale.

Un manager è valutato bravo dai soci e dai datori di lavoro se già fa utili nei giorni successivi alla sua nomina, e presenta il primo bilancio trimestrale con tutti gli indicatori economici e finanziari in forte crescita. Da esperto sa bene che gli investimenti a lungo raggio in macchinari ed impianti, in particolare quelli a tecnologia avanzata, sono costosi ed assorbono molta liquidità, e creano profitti solo nel medio/lungo periodo. Sono quindi da rimandare. I profitti si devono vedere subito, come i voti per i nostri politici di successo: servono oggi, non domani. Quindi niente investimenti fissi. Altrettanto rischioso risulta sostenere spese in ricerca e sviluppo, senza la certezza di immediati guadagni e di reazioni positive del mercato: possono aspettare. Anche la formazione professionale è una via piuttosto costosa da percorrere, dati gli esiti incerti: la persona ben informata è molto ricercata dal mercato del lavoro, e trova facilmente altre opportunità. Investimento sprecato.

Una riduzione dell’utile farebbe perdere rapidamente il consenso dei soci, ansiosi di incassare subito; proprio come quegli elettori cui è stata promessa l’assunzione ora, non domani.

Il nostro manager si vede costretto a rivedere la politica dell’ufficio acquisti: deve risparmiare comprando al massimo ribasso, a discapito della qualità della merce. Il bilancio semestrale ci guadagna, la borsa ne prende atto. Il voto assembleare è importante, i soci sembrano soddisfatti e il manager è al settimo cielo. Visto che il logo aziendale gode di buona salute, tanto vale incrementare l’utile tagliando le spese di marketing e pubblicità: si può inoltre soddisfare la richiesta di nuove assunzioni, i soci sono d’accordo.

Tutto sembrerebbe andare per il meglio, se non fosse che i computers cominciano a registrare dati negativi sulle vendite, i prodotti sempre più scadenti non reggono la concorrenza dei rivali europei che nel frattempo hanno saputo investire in innovazione, formazione, marketing. La domanda è in caduta libera, il bilancio è in rosso, i soci sempre più irritati convocano il nostro manager: ma lui non c’è. Dopo aver intascato le stock options, alla stazione ha acquistato un biglietto di sola andata.

La vicenda del bravo manager può offrire spunti di riflessione sulle analogie con certi politici nello scenario attuale, alla perenne ricerca di facili consensi e di soluzioni populiste per compiacere al proprio elettorato. Il Paese meriterebbe di meglio.

 

Galloni: Per una finanza pubblica non controintuitiva

Tutto il mondo sa che, quando l’economia ristagna – perché i privati non investono in attesa di aspettative di ripresa e guadagno – l’unica forza in controtendenza è la spesa pubblica in disavanzo: tutti meno l’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale (con qualche eccezione). Lo ripetono continuamente illustri economisti americani, indiani e cinesi, premi Nobel, eccetera.

E’ così difficile capire che, se lo Stato incassa di tasse più di quanto immette nell’economia, quest’ultima viene frenata e non certo sospinta?

Vi sono, però, degli aspetti meno evidenti – e, purtuttavia, estremamente importanti – che riguardano molto da vicino il nostro Paese e che lo stesso governo gialloverde sembra sottovalutare.

A tal proposito, quando si parla di effetti, sul PIL, della spesa pubblica in disavanzo, si deve intendere quella al netto degli interessi sui titoli del debito: orbene, sono decenni che l’Italia realizza un avanzo primario ovverossia, appunto, un avanzo e non un disavanzo della spesa rispetto alle entrate fiscali. Prendiamo ad esempio, il presunto disavanzo delineato da questo governo: proposto al 2,4 presso gli scienziati dell’UE, ridotto compromissoriamente da questi ultimi al 2,04, ricalcolato oggi (alla luce della “piccola recessione”) al 2,4. Ebbene, trattasi di circa 40 miliardi di euro: secondo voi è di più o di meno di quello che paghiamo per interessi? Tutti sanno che è molto di meno: in alcune annate la spesa per interessi ha raggiunto il 12% del gettito tributario. Sostenibile, avrebbe detto il professor Domar, perché il problema macroeconomico non è quanto sia alto il debito, ma se la spesa al netto degli interessi – in situazioni di ristagno dell’economia – supera o meno quanto togliamo a imprese e famiglie con la tassazione.

Il livello del debito è un problema politico e di accordi con i partners internazionali: purtroppo andammo a Maastricht nel ’92 a negoziare un arbitrario rapporto debito/pil al 60% quando già stavamo al doppio; e distorto perché occorre considerare – per dare il rating a un Paese – tutto il suo debito anche quello privato (in tal caso, ad esempio, l’Italia sarebbe uno dei Paesi più virtuosi al mondo).

Ricapitolando: anche l’attuale manovra del governo gialloverde è macroeconomicamente recessiva perché accetta che la massa delle tasse sia superiore a quella della spesa al netto degli interessi; ma, per accordi pregressi – a mio avviso scriteriati – non possiamo fare un vero e necessario disavanzo perché gli “alleati” ci contestano che il debito crescerebbe.

Certo, una politica macroeconomica diversa (da quanto tempo si propugna una riduzione delle imposte e poi si fa tutto il contrario? IVA docet) sarebbe possibile: meno pressione fiscale e maggior gettito dicono sindacati e benpensanti. E’ ridicolo che solo il 5% dei contribuenti denunci oltre 50.000 euro di reddito. Ma bisognerebbe avere un diverso rapporto tra cittadini e fisco per capire chi evade perché se ne approfitta e chi evade perché se no chiude: bisognerebbe assumere personale giovane e motivato che andasse a vedere, sul territorio, come stanno veramente le cose; però non si può assumere perché “mancano i soldi” ovvero non si può fare un vero e necessario disavanzo.

Ma il debito pubblico potrebbe venir gestito diversamente: se il mercato vuole titoli a più breve termine (fino all’estremo di tassi zero sugli annuali e negativi sui trimestrali), bisogna accorciare le scadenze…questo ci farebbe risparmiare la metà degli interessi e, quindi, superare la errata condizione dell’avanzo primario. Poi abbassare le aliquote per ottenere più consenso (senza illusioni, ma nel contratto di governo c’è più di qualcosa al proposito).

Infine, come assumere giovani laureati e motivati nelle varie branche dell’amministrazione che, dalla giustizia alla sanità alla scuola reclamano rinforzi? Esercitando sovranità monetaria, cioè emettendo e immettendo quella moneta di cui non si occupa il Trattato di Lisbona che disciplina – all’art. 128 – “le banconote aventi corso legale in tutta l’Unione” – mentre qui stiamo parlando di statonote o biglietti di Stato aventi corso legale solo all’interno di un singolo Paese.

Senza un tale passaggio, la sola moneta a debito e, per giunta straniera, impedisce – in tutti i sensi – anche la realizzazione dell’art. 81 della Costituzione. La moneta sovrana, invece, avendo lo stesso segno algebrico delle tasse, ci consente di aumentare la spesa senza dover emettere altri titoli di Stato.

Mattarella: “La ricostruzione resta una grande sfida nazionale”

«Sono trascorsi dieci anni da quel tragico 6 aprile che sconvolse L’Aquila: il terremoto provocò morte e distruzioni, colpì al cuore l’intero Paese, lasciò segni profondi e dolorosi che il tempo e l’impegno umano hanno in parte lenito ma mai potranno cancellare. Nel giorno del decennale il primo pensiero va alle vittime, al lutto straziante dei familiari, ai tanti sfollati, alle molteplici ferite inferte alle comunità. La Repubblica non dimentica. E, personalmente, desidero rinnovare ai cittadini di tutti i comuni colpiti i miei sentimenti di vicinanza e solidarietà.

Il percorso della ricostruzione è cominciato, ma occorre procedere con forza perché ancora molto deve essere fatto. Il tessuto urbano de L’Aquila e dei comuni vicini va ricomposto e rivitalizzato, in modo che la società possa tornare a esprimere appieno i suoi valori civili, le sue relazioni umane, le sue attività economiche.

Numerose abitazioni attendono di essere ristrutturate. Nei centri storici un grande patrimonio artistico è stato danneggiato, lesionato, in parte distrutto dal sisma. I restauri fin qui completati costituiscono un segnale di speranza, oltre che una testimonianza viva della solidarietà nazionale e internazionale che si è espressa verso gli aquilani. Speranza e solidarietà sono armi pacifiche e potenti, che dobbiamo far crescere per contrastare la sfiducia e la paura.

La ricostruzione resta una grande sfida nazionale. È affidata alla responsabilità delle istituzioni, a tutti i livelli, che devono assicurare sostegno ai progetti, certezza e continuità nelle risorse, trasparenza nella gestione. Ma la ricostruzione avrà pieno successo se renderà protagoniste le comunità locali, se rigenererà le reti sociali e i luoghi dove si trovano le radici della vita civile. L’Aquila vanta una importante università, dispone di attività produttive d’eccellenza, può e deve utilizzare gli investimenti per potenziare l’innovazione. Il motore della ricostruzione va portato a pieno regime. Gli stessi cantieri devono diventare simbolo e incentivo alla speranza.

I giovani de L’Aquila e dei comuni colpiti dal terremoto del 2009 hanno diritto alla rinascita delle loro città, dei paesi, delle comunità. Pensare al domani, e non soltanto all’oggi, è il nostro impegno davanti alle nuove generazioni. Lo dobbiamo ai giovani de L’Aquila anche ricordando quei ragazzi della Casa dello Studente, a cui il sisma spezzò i progetti di vita, e che nella memoria del Paese rappresentano ancora oggi il segno più penoso della tragedia del 6 aprile. Dare un degno futuro ai giovani è il traguardo più ambizioso del cammino di ricostruzione da percorrere”.

Roma: Oggi ingresso gratuito nei musei e nei siti del Comune

Nei Musei della Capitale sono molte e varie le mostre da visitare durante il fine settimana tra cui ai Musei Capitolini, nelle sale al piano terra di Palazzo dei Conservatori, Roma. Il racconto di 100 donne, un viaggio lungo 18 mesi alla scoperta di realtà che raccontano la diversità e le contraddizioni che animano la città; inoltre, ancora in corso, sempre ai Musei Capitolini, la mostra La Roma dei Re. Il racconto dell’archeologia. Al Museo di Roma in Trastevere inaugura Memoria del Perù, una mostra fotografica con storie di conquista e migrazione che coinvolgono la società, la cultura e la geografia di un intero paese.

Ai Mercati di Traiano prosegue Mortali Immortali, tesori del Sichuan nell’antica Cina presenta reperti in bronzo, oro, giada e terracotta, databili dall’età del bronzo (II millennio a.C.) fino all’epoca Han (II secolo d.C.) provenienti da importanti istituzioni cinesi. Due le mostre in corso al Museo Carlo Bilotti di Villa Borghese: oltre ai quadri e carte di Vincenzo Scolamiero della personale intitolata Della declinante ombra, curata da Gabriele Simongini, è in corso La ferita della bellezza. Alberto Burri e il Grande Cretto di Gibellina, sull’opera di Land Art più grande al mondo dedicata al paese di Gibellina, distrutto dal terremoto nella Valle del Belice del 1968.

Al Casino dei Principi di Villa Torlonia prosegue Discreto continuo – Alberto Bardi. Dipinti 1964/1984 e alla Casina delle Civette Il mito rivisitato. Le maschere arcaiche della Basilicata, 38 opere tra maschere e sculture realizzate dall’artista Nicola Toce narratrici di storie legate ai territori lucani e alle loro tradizioni.

Al Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco continua l’esposizione dedicata all’archeologo e mercante d’arte Ludwig Pollak (Praga 1868 – Auschwitz 1943), che racconta la storia professionale e personale del grande collezionista, le sue origini nel ghetto di Praga, gli anni d’oro del collezionismo internazionale fino alla tragica fine nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. La Centrale Montemartini accoglie un’importante novità all’interno del proprio percorso museale. Grazie all’iniziativa i “Capolavori da scoprire”, il pubblico può ammirare il restauro e il nuovo allestimento del rilievo funerario di tarda età repubblicana che raffigura il fornaio Marco Virgilio Eurisace, ricco liberto di origine greca, e sua moglie Atistia.

Inoltre come ogni prima domenica del mese nei musei statali è possibile visitare

GALLERIE NAZIONALI DI ARTE ANTICA- GALLERIA CORSINI

Oltre la splendida quadreria della collezione permanente, sarà possibile ammirare le due mostre allestite all’interno della galleria

GALLERIE NAZIONALI DI ARTE ANTICA – PALAZZO BARBERINI

Oltre ai capolavori della collezione permanente del museo è possibile visitare la mostra “Il trionfo dei sensi. Nuova luce su Mattia e Gregorio Preti”

MUSEO NAZIONALE ETRUSCO DI VILLA GIULIA

Nel museo più rappresentativo della civiltà etrusca con la sua inarrivabile collezione permanente è attualmente allestita la mostra temporanea: “Maternità e allattamento nell’Italia antica”.

 

In Italia aumentano i cicloturisti

Viaggiare in bicicletta è diventata una nuova modalità di vacanza sempre più diffusa e in costante crescita anche in Italia. Nel nostro Paese, infatti, dal 2013 al 2018, i cicloturisti sono aumentati del 41%. Tale tendenza ha generato un valore economico pari a 7,6 miliardi di euro all’anno. Una cifra enorme che porta a quasi 12 miliardi di euro il valore attuale del PIB (Prodotto Interno Bici), ovvero il giro d’affari prodotto dagli spostamenti a pedali in Italia, calcolando la produzione di bici e accessori, delle ciclo-vacanze e dell’insieme delle ricadute positive generate.

Le presenze cicloturistiche rilevate nel 2018 ammontano a 77,6 milioni, pari cioè all’8,4% dell’intero movimento turistico in Italia. Stiamo parlando di oltre 6 milioni di persone che hanno trascorso una vacanza utilizzando più o meno intensamente la bicicletta.

Questi i numeri sono emersi dal rapporto di Legambiente e Isnart-Unioncamere, che ha fotografato un impatto economico rilevante di questo settore in un Paese che sta cercando di aprirsi a questa nuova opportunità che fa bene sia all’economia che all’ambiente.

Tumore ai polmoni: nuova terapia salvavita

Il tumore ai polmoni è purtroppo la forma di neoplasia che uccide più persone al mondo e il numero è in costante crescita rispetto ad altre forme di cancro.

Oggi arriva però una speranza per le persone colpite da questa patologia. Lo studio di fase 3 KEYNOTE-189, presentato nel corso dell’American Association for Cancer Research di Atlanta, ha confermato che la combinazione di immunoterapia e chemioterapia possono allungare di molto l’aspettativa di vita dei pazienti.

 

Bersani e il centro

Stupisce che una persona così prudente, così riflessiva e di lunghissimo corso politico come Pier Luigi Bersani dica una cosa così sballata e così sbilenca. Ovvero, durante l’ennesimo talk televisivo ha sostenuto che oggi “semplicemente il centro non esiste e non serve”.

Una affermazione così spropositata e così fuori luogo che, detta così, non meriterebbe neanche una risposta. Soprattutto nella storia politica italiana dove, come tutti sanno tranne il simpatico Bersani, il “centro politico e di governo” ha sempre svolto un ruolo decisivo in tutti i tornanti decisivi per la nostra democrazia e per il nostro sistema politico. E non è il caso di soffermarsi ulteriormente anche perche’ il centro ha continuato ad essere decisivo anche durante la cosiddetta “seconda repubblica”, seppur in forma diversa e con un profilo politico meno accentuato.

E se oggi quasi tutti i commentatori, gli opinionisti e i politologi lo richiedono ci sarà un perché. E la motivazione e’ molto semplice e al tempo stesso molto complessa: si tratta, cioè, di battere politicamente la tentazione e l’obiettivo – forse caro al nuovo Bersani – di radicalizzare la dialettica politica italiana e di contrapporre la destra e la sinistra. Una dicotomia vecchia e datata che non può non far regredire le lancette della politica italiana ad una stagione che francamente pensavamo fosse ormai alle nostre spalle. Una sorta di ritorno, anacronistico e singolare, degli “opposti estremismi” – in forma aggiornata e rivista, come ovvio – come abbiamo avuto modo di registrare a Verona la settimana scorsa dove, di fronte ad una destra cattolica e forse anche un po’ preconciliare, ha fatto da controfigura una sinistra laicista, libertaria e con una venatura larvatamente anticattolica.

È questo scontro politico e culturale che sogna il simpatico e divertente Bersani? Quello che serve, soprattutto oggi, e’ l’esatto contrario del contrasto irriducibile tra una “nuova destra” e una ritrovata e vecchia sinistra. Oggi, e la speranza è che decolli questo progetto dopo il vero sondaggio popolare del 26 maggio prossimo, si tratta di ricostruire un “centro” politico, culturale, di governo, riformista, plurale e profondamente democratico che sappia recuperare la miglior stagione politica italiana che era, e resta, quella di confrontare ricette di governo, anche alternative, ma dove la “cultura di “centro” e la “politica di centro” sapevano imporsi.

Non per addormentare il confronto politico o per privilegiare il tanto detestato consociativismo ma, al contrario, per reintrodurre la cultura della mediazione, la composizione degli interessi, la cultura di governo, il rispetto degli avversari e il riconoscimento del pluralismo. E, soprattutto, per una politica che non coltiva l’obiettivo dell’annientamento dell’avversario, caro alla destra attuale, o della delegittimazione morale ed etica del nemico, molto caro alla sinistra storica. E quindi, e sempre con il massimo rispetto per le opinioni di Bersani, si tratta adesso di fare l’esatto contrario di ciò che lui predica e auspica. Per il bene della democrazia e per la salute del nostro sistema politico.

I cittadini che fanno l’Europa

Artico già pubblicato da Civiltà Cattolica a firma di Antonio Spadaro

Alla vigilia delle elezioni europee alcuni sembrano mettere in discussione persino l’esistenza stessa di un processo di costruzione dell’Europa, che invece è stato – pur con tutti i suoi limiti – un fattore importante nella pacificazione del Continente. La Civiltà Cattolicanel feb­braio 1930 esprimeva così questa consapevolezza: «Si potrà discutere a lungo e battagliare senza posa in­torno alla tecnica di una nuova or­ganizzazione dell’Europa, ma non certo sulla sua necessità odierna».

Torniamo con la nostra memoria ai «padri fondatori» dell’Europa: la loro decisione e il loro impegno poggia sulle loro rispettive esperienze, alcune delle quali pla­smate dall’insegnamento sociale della Chiesa. Alcide De Gasperi, Altiero Spinelli, Jean Monnet, Robert Schuman, Joseph Bech, Konrad Adenauer, Paul-Henri Spaak…

I fondatori dell’Europa sono stati anche tutti i cittadini e le cittadine che hanno resistito alle due grandi dittature del XX secolo. Deve essere chiaro quindi che interrompere il processo europeo significa, di fatto, evocare spettri che avevamo messo a tacere.

Come porsi davanti a queste tensioni, frutto della sfiducia e di un sentimento nazionalista?

La grande sfida consiste nel ri­conoscere che siamo nel pieno di un lungo processo di costruzione dell’Europa. La costruzione della «casa comune europea» ha bisogno di essere il risultato di cittadini forti della loro identità culturale, responsabili della loro comunità, e allo stesso tempo con­sapevoli che la solidarietà con il resto dell’Europa è essenziale.

La coscienza cristiana è piena­mente coinvolta in tale processo. I cristiani non possono ritirarsi di fronte al compimento delle loro responsabilità storiche nei confronti del futuro del nostro Continente, e questo richiede scelte politiche precise e coerenti.

Per leggere l’articolo integrale

Nasce “Politica Insieme”

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

“ Politica Insieme” nasce per rispondere ad una esigenza di partecipazione attiva ed organizzata alla vita dell’Italia e dell’Europa. Un progetto che richiama ad un’assunzione di responsabilità personale e collettiva.

Ci riferiamo ai problemi del Paese, ma anche alle sue potenzialità. Della politica e delle istituzioni vediamo tutti i ritardi, le carenze e le contraddizioni. Al tempo stesso, siamo consapevoli che è possibile fare molto per cambiare le cose, per ridurre i divari e gli squilibri, operare  per sostenere l’occupazione e l’impresa, aprirci alle innovazioni, salvaguardare l’ambiente.

Tra tutti coloro che guardano alle cose della vita sulla base di una ispirazione cristiana emergono libere ed autonome dinamiche, è crescente l’intenzione di essere presenti per rimediare ad una situazione di grave degrado politico e sociale in cui siamo precipitati.

Non basta, però, l’impegno solo di parti della società italiana e, certamente, non c’è alcuna intenzione di operare in un’ottica integralista o clericale.

Anzi, vogliamo riallacciare rapporti e relazioni attorno alle aree vitali e critiche che ci riguardano con tutti coloro intenzionati a segnare una novità nel riscoprire il gusto dell’impegno pubblico e solidale. Sappiamo che una gran parte degli italiani, anche quelli con adesione ad altri filoni di pensiero, vive le nostre stesse speranze e preoccupazioni.

Il nostro coinvolgimento politico intende richiamare all’attenzione verso il bene comune tutti gli uomini di buona volontà, indipendentemente dal loro credo religioso e dai riferimenti culturali e politici. Intendiamo, infatti, superare un recinto delimitato perché abbiamo delle proposte concrete da suggerire  per la soluzione dei problemi degli italiani e degli europei, uscendo dalle dinamiche di una politica che guarda ai luoghi comuni, ai facili slogan e che continua a mobilitarsi sulla base di schieramenti precostituiti, come hanno confermato le recenti, accese discussioni attorno alla Congresso mondiale sulla famiglia, organizzato a Verona.

L’ispirazione cristiana che ci sorregge guarda, insieme, alla difesa e completa applicazione della Costituzione e al Pensiero sociale della Chiesa con l’obiettivo di mettere al centro di ogni analisi e scelta politica, sociale, economica, culturale e scientifica  la dignità della Persona, la Giustizia sociale, lo spirito della Solidarietà e quello della Sussidiarietà.

E’ la situazione complessiva dell’Italia a scuotere le coscienze e a far emergere l’ineluttabilità di un’assunzione di responsabilità.

Sempre più diffuso è il convincimento che devono essere avviate, anche velocemente, nuove efficaci e più originali politiche in grado di rispondere alle spinte disgregative e ai tanti “ egoismi” che si diffondono e definire in maniera diversa la spesa pubblica con il fine di reperire, così, le risorse da destinare agli investimenti necessari ad una effettiva ricrescita del Paese.

Vogliamo partecipare ad una politica concreta per reagire alla crisi dell’occupazione, affrontare adeguatamente le trasformazioni in atto nel mondo produttivo e del lavoro, delineare un nuovo modello di sviluppo per rispondere alla sfida lanciata dalla ricerca scientifica e dalle nuove applicazioni tecnologiche. Sulla base del riferimento alla “ Ludato si”, e in convinta adesione allo spirito ed alla sostanza dell’Agenda 2030, si può contrastare il degrado ambientale, lottare contro le povertà in modo più moderno ed efficace.

Il futuro delle nuove generazioni spaventa e le spaventa. Dobbiamo cominciare a “ risarcire” i giovani per quanto è  loro già sottratto in termini economici, di occupazione, di mancato ascolto, di disinteresse verso la loro educazione, di depauperamento del patrimonio naturale.

Temiamo per quanto si sta trasformando in negativo nelle relazioni internazionali. Continui sono i limiti posti alla volontà e alla capacità di negoziare ed il conseguente, inevitabile ritorno alle contrapposizioni economiche e alla corsa verso gli armamenti nucleari, chimici, biologici e convenzionali. Eppure, a tutto ciò si può rispondere positivamente, con fiducia.

Sempre più difficile appare giungere ad una distinzione tra l’oggettivo stato di difficoltà afferente la sfera pubblica e quella più intima, esistenziale, etica di ciascuno di noi che richiama la salvaguardia dell’essere umano, il rispetto della sua dignità materiale e spirituale e di quelle libertà destinate a dispiegarsi pienamente sin dal momento del concepimento, indipendentemente dalla sua religione, dal colore della pelle, dalle tradizioni e culture di riferimento.

L’ispirazione cristiana porta inevitabilmente ad impegnarci “ per” e non “ contro” qualcuno o qualcosa. Anche se ben chiari abbiamo i responsabili dei pericoli portati alle libertà, agli assetti democratici, agli equilibri tra le istituzioni, ad una piena ed effettiva partecipazione.

Siamo di fronte  a sfide con una forte carica innovativa e di potenziale arricchimento spirituale, scientifico e materiale e si deve, pertanto, contrastare ogni tendenza al mero disfattismo o abbandonarsi solo a sentimenti di impotenza o di rabbia. Il “ nuovo” che avanza può, infatti, rafforzare i processi democratici, ridurre gli squilibri, portarci ad uno sviluppo sostenibile  e, dunque, creare un mondo migliore.

I liberali, i popolari e cattolici democratici, i socialisti hanno ricostruito il Paese, nel rispetto delle libertà, hanno allargato la sua base partecipativa, concepito un sistema di equilibri tra poteri, istituzionali e non, ridotto il divario economico e sociale con le realtà internazionali più avanzate, concorso al dispiegarsi del percorso europeo consentendo al Paese di raggiungere condizioni di vita altrimenti impensabili.

Queste storiche forze ideali, in un momento delicato e particolare, devono ritrovare la forza ed il coraggio di rimettersi all’opera puntando nuovamente sulla  ricostruzione e sulla ricomposizione, le quali non possono che trovare un fondamento su di un rinnovato spirito di collaborazione, di confronto e di dialogo.

Siamo consapevoli che la nostra, anche se i suoi sbocchi non sempre ci piacciono, è divenuta una democrazia compiuta. Nel senso che la gestione del bene pubblico non è più interpretata in relazione a contrapposte visioni ideologiche o in conseguenza di pregresse, vincolanti vicende storiche.

Siamo pure consapevoli che il populismo si sviluppa sulla base di istanze inattese; trova giustificazione nel divario tra classi dirigenti e la gente fatta di carne ed ossa e nel perpetuarsi di politiche ispirate più dagli interessi di chi opera  per la “ cattiva finanziarizzazione dell’economia”, piuttosto che da chi ricerca il bene comune; trova linfa in un modello educativo non basato sulla centralità degli esseri umani cui è diretto ed anche in una comunicazione preoccupata più di condizionare  i processi decisionali piuttosto che in essi far confluire indipendenti motivi di riflessione, analisi obiettiva, valutazione ragionevole della sostenibilità di proposte e di progetti.

Per noi il popolarismo significa oggi contribuire ad una soluzione dei problemi partendo dall’essere umano, dalla famiglia, dai gruppi sociali intermedi, dall’insieme delle autonomie amministrative che dovrebbero ridurre le distanze da uno Stato vissuto come “ avversario” piuttosto che come strumento per operare a favore del bene comune.

E’ quindi doveroso puntare alla ricomposizione sociale ed alla collaborazione tra generazioni, tra istituzioni, tra le persone per ritrovarsi attorno a quegli interessi condivisi che fanno evolvere una società sempre più in una comunità capace di  suscitare volontà di partecipazione e richiamare nuove energie.

“Liberi e forti” del nostro tempo

Pubblichiamo la relazione introduttiva del Presidente, uscente e rieletto, dei Popolari piemontesi.

Care amiche, cari amici,

ci ritroviamo per fare il punto sull’attività svolta e per fissare alcuni punti di impegno per il prossimo futuro.

Il tempo scorre, e in un sodalizio in cui tanti hanno i capelli bianchi, ogni tanto qualcuno passa dall’altro lato del cammino, come scrive Paul Claudel in una sua bella poesia. Ricordo i nostri amici torinesi, Angelo Detragiache, Luigi Margaria e Renato Valente, poi Riccardo Triglia e Francesco Checco Sobrero del nucleo forte di Casale, Piero Genovese di Valenza, Enrico Nerviani di Novara, la cara Lucia Pigino di Vercelli. Amministratori locali e persone che si sono spese per le loro comunità incarnando la Buona Politica. Per questi amici “liberi e forti” che ci hanno lasciati e per tutti coloro che volete accomunare nel ricordo, vi chiedo un momento di raccoglimento.

Grazie.

Passiamo al bilancio di questo triennio, un triennio intenso, e non solo perché culminato nel Centenario del Partito popolare.

Per prima cosa un po’ di numeri, che ci aiutano a dimensionare la nostra presenza.

Sapete che negli anni il progressivo abbandono del collateralismo politico con amici ed ex amici impegnati politicamente aveva determinato una diminuzione costante del numero di soci, scesi dagli oltre 300 del 2003/2004 ai 114 del 2014. Poi una piccola risalita: 117 soci nel 2015 e 119 nel 2016. Infine 101 nel 2017 e 118 nel 2018

Pur con una piccola flessione nel 2017, di cui dirò qualcosa dopo, possiamo quindi ritenere di aver stabilizzato il numero di aderenti. Consideriamo che ogni anno una decina di soci non si iscrive, anche per semplice dimenticanza, compensata da un’altra decina di ritorni o nuovi soci. Abbiamo anche 3 soci fuori Regione.

Il Consiglio Direttivo ha lavorato intensamente. Si è riunito 20 volte nel triennio contro le 12 di quello precedente. Grazie all’escamotage dei componenti “effettivi” e degli “aggregati” abbiamo regolarmente raggiunto il numero legale per le sedute, di cui è stato redatto ogni volta un sintetico verbale. Ringrazio i componenti per la loro presenza e il loro impegno di questi anni. Per far parte del nuovo Direttivo ci sono i soliti due requisiti: essere iscritti e partecipare alle riunioni. Chi è motivato ad essere parte del Direttivo ma sa già che potrà essere presente poco o nulla, può entrare nel gruppo degli “aggregati”, regolarmente informati sulle riunioni ma non computati ufficialmente per il numero legale.

Passiamo alle iniziative. Vi elenco quelle realizzate nel triennio.

– Abbiamo cominciato con le “Elezioni a Torino”, incontrando i soci candidati Canalis e Cavaglià, e organizzando un successivo dibattito su “Perché Fassino ha perso?”.

– Due confronti sul referendum costituzionale: uno tra Guido Bodrato e Stefano Lepri, e uno incentrato sulle Autonomie locali, tra Davide Gariglio e chi vi parla.

– Sotto il titolo “PD o non PD?” abbiamo dibattuto la crisi del Partito Democratico tra scissioni e primarie, con Davicino, Fornaro, Lepri e Merlo.

– Ci siamo domandati se “Con il populismo svoltiamo a destra?”, con Guido Bodrato

– Ci siamo molto preoccupati del lavoro che manca e dell’aumento delle povertà. Prima “Dal lavoro al reddito di cittadinanza?” con Laura Castelli, Chiamparino, Morgando e Nanni Tosco. Poi con quest’ultimo abbiamo approfondito “Problemi di Welfare. Come la crisi cambia lo stato sociale in Italia e in Europa”. In successivi incontri seminariali intitolati “Se manca il lavoro…” ci siamo chiesti “Che fare?”, con i professori Calliano e Togati, e se “Il reddito di cittadinanza: può sostituire il lavoro che manca?”, con Morgando e Rossetti.

– In un altro seminario abbiamo sviscerato l’altro grande tema di questi anni, “Migranti, un fenomeno epocale”, con un primo incontro introduttivo con Ladetto e il sottoscritto. Poi gli incontri su “Come accoglierli, come integrarli”, con Davide Bertello e Sergio Durando; quindi “Aiutiamoli a casa loro. Cosa vuol dire, concretamente, in Africa”, con il Presidente FOCSIV Cattai, e il Presidente CESE Jahier; infine un approfondimento su “Occidente e Islam, quale possibile convivenza?” con don Segatti.

– L’evoluzione politica italiana è stato il terzo tema di forte interesse. Prima un dibattito su “Il nuovo Governo: ‘di cambiamento’, ‘populista’ o, solo, ‘di destra’?”, con conclusioni di Bodrato. Poi abbiamo inaugurato un ciclo intitolato Dialoghi sulla democrazia malata: “Le disuguaglianze e il Parlamento perduto”, con il costituzionalista Pallante, “La babele del potere perduto”, con il politologo Mastropaolo, e infine ci siamo domandati se “Un’altra Europa è possibile?” con Ciravegna e Davicino.

Rimangono le iniziative per il Centenario, organizzate in collaborazione – fortemente voluta – con la Fondazione Donat-Cattin. “La grandezza di un leader: Luigi Sturzo”, con Marco Vitale e Lucio D’Ubaldo; L’attualità del Popolarismo”, con padre Occhetta, Rosy Bindi e Bodrato; “Cattolici e Fascismo” con Alberto Guasco e chi vi parla.

Sono in tutto 21 incontri realizzati. Erano stati 15 nel triennio precedente.

Tre considerazioni.

A parte qualche caso (più di 100 persone per Bindi e Occhetta, un’ottantina per il confronto Bodrato-Lepri, calendarizzato in largo anticipo, oltre 60 per don Segatti con il suo pubblico di fedelissimi) la partecipazione sta tra l’accettabile (35/40 persone per il Centenario e gli incontri più politici – Fassino, PD – 20/25 per altri temi) e il deludente, con il minimo di 11 presenti con Cattai e Jahier. Abbiamo anche fatto una pausa di riflessione, e poi siamo ripartiti. Così poche presenze di fronte ad argomenti di attualità con relatori di valore, lasciano un po’ di amaro in bocca. È vero che spesso al TG3 si vedono sale desolatamente vuote a iniziative politiche o culturali, ma avere pochi intimi alle riunioni, per chi organizza, è demoralizzante.

Iniziative tutte fatte a Torino. È comprensibile, nel capoluogo è più facile arrivare per tutti. Ma l’assenza di attività esterna è un tasto per me dolente. Ma ribadisco che per fare di più è indispensabile l’iniziativa degli amici delle province. Non possiamo organizzare da Torino per Novara, Cuneo o Alessandria. Possiamo partecipare come relatori, come fa ancora Guido Bodrato o come ho fatto io quando sono stato invitato a Vercelli a parlare del popolarismo inaugurando la Sala intitolata a Lucia Pigino, ma non possiamo far cadere una iniziativa da fuori. L’interesse deve partire localmente.

Alcuni incontri sono serviti a raccogliere le idee per fissare il nostro pensiero sulla carta, arrivando a documenti condivisi. Avevamo già lavorato in forma seminariale su alcuni temi (riforma degli Enti Locali, status giuridico dei partiti, riforma elettorale, città metropolitana, come creare lavoro), conclusi con la stesura di documenti poi pubblicati sul sito. Ne abbiamo aggiunto uno solo, impegnativo, sul tema dei migranti e sono mancate le forze per raccogliere tutto il materiale scaturito dagli incontri su SE MANCA IL LAVORO… per dare una nostra lettura definita nel dibattito sul reddito di cittadinanza, un tema forte di questi anni, su cui in M5S ha costruito il suo successo elettorale, mentre tanti altri si limitavano ad invocare la mitica “crescita” negli anni della dura crisi…

Ma l’aspetto più rilevante della nostra presenza culturale è quello che abbiamo fornito con “Rinascita popolare” on-line.

Con l’insostituibile amico e tecnico Maurizio Steffenino avevamo fatto una serie di migliorie nel settembre 2017, ma poi la vecchia piattaforma, diventata obsoleta, ci ha dato a inizio febbraio 2018 problemi insormontabili. Anche un vecchio e indistruttibile trattore Landini, dopo 100.000 ore di lavoro, non ce la fa più. Così siamo passati a una piattaforma di ultima generazione, cosa facile a dirsi ma che ha richiesto settimane di lavoro occulto, che Maurizio ed io conosciamo bene…

Dal 6 aprile 2018 siamo in rete con il nuovo sito. Siamo ormai al compleanno e possiamo fare un bilancio, con qualche numero.

Nel triennio precedente avevamo pubblicato poco più di 300 articoli, su tre anni. Nel 2016-17 eravamo saliti a 130-150 articoli l’anno. Con la nuova piattaforma l’intenzione era di riuscire a pubblicarne 200. Dal 6 aprile sono stati pubblicati 294 articoli. Con l’anno di attività supereremo il traguardo dei 300 articoli

Grazie a tutti i nostri “scrittori”, in particolare quelli più assidui: a Carlo Baviera, a Giuseppe Ladetto, a Giorgio Merlo, a Giuseppe Davicino, ad Aldo Novellini. Altri scrivono sporadicamente, e altri potrebbero aggiungersi, avendo capacità e competenze per farlo. Oltre ai pezzi originali, che andrebbero potenziati, rilanciamo in maggior parte articoli già pubblicati che ci paiono significativi. Un grazie anche a chi li segnala.

L’insieme fa, appunto, i 300 articoli dell’ultimo anno. Sono tanti, ma talvolta ho il rammarico di non riuscire a trattare tutti gli argomenti che meriterebbero una presa di posizione.

Al materiale pubblicato dobbiamo aggiungere anche i commenti agli articoli, che abbiamo valorizzato nel nuovo sito inserendo i più recenti nella home page. Nell’anno sono stati appena 402. In media 1,25 per articolo. Pochissimi. Qui dobbiamo migliorare tutti, perché tutti possiamo scrivere una nostra opinione o considerazione su quanto abbiamo letto. Molti commenti sono ampi approfonditi, e vengono talvolta rilanciati come articoli. La vitalità del sito passa anche dal dibattito visibile che provoca.

Ma quanti sono i lettori di Rinascita popolare?

La mailing-list che ci serve per segnalare le nuove pubblicazioni viene ora inviata esattamente a 2143 mail, cui possiamo aggiungere 130 giornalisti e redazioni. Tre anni fa in tutto eravamo a 1700, e 10 anni fa partimmo con 365 indirizzi mail. Considerate che in un anno si sono cancellate 112 persone. Una cinquantina si sono registrati autonomamente al sito, e negli ultimi mesi i registrati pareggiano gli abbandoni.

È ovvio che l’incremento indirizzi dipende dalla disponibilità di persone, gruppi, associazioni a condividere la propria mailing-list. Tutti dobbiamo sentirci impegnati nell’implementazione dell’indirizzario segnalando persone che potrebbero essere interessate al nostro dibattito.

Sappiamo con certezza il numero di mail inviate, ma non possiamo sapere quante vengono lette, quante cestinate o considerate spam dai sistemi di posta. Il contatore statistico, nella versione incompleta perché gratuita (se il bilancio è in attivo è grazie ad una gestione attenta, un mix tra il francescano e Quintino Sella…), ci dà però alcuni numeri utili. Dal 6 aprile scorso i visitatori del sito sono più di 18.000, e hanno letto circa 50.000 pagine. La media mensile è quindi di più di 1500 lettori (con record di 2000 in gennaio) di cui circa 1200 utenti unici (più di 1500 a gennaio). Significa che ogni giorno dell’anno, in media, 50 persone si ritrovano tramite il sito.

Gli articoli meno letti hanno una cinquantina di visualizzazioni, quelli più letti avvicinano le 300.

Siamo presenti su Facebook, limitandoci alla segnalazione degli articoli, grazie all’impegno di Marco Verga e abbiamo 303 “mi piace”, termometro della popolarità sul web. Siamo anche approdati su twitter, anche qui con il semplice lancio degli articoli, senza innescare discussioni social. Abbiamo lanciato 278 tweet, sinora abbiamo raccolto 83 seguaci, i followers. Proprio pochi.

Dovremmo fare di più per ampliare la nostra presenza attraverso i social media. Ma da un lato tutto ciò che si fa richiede tempo, tutto ciò che si fa è nel tempo libero… Credo di poter dire che facciamo tantissimo, ma non si può far tutto. Dall’altro lato è innegabile che scontiamo un gap generazionale: sono strumenti, i social, che richiederebbero l’entusiasmo di qualche “nativo digitale”, e, come vediamo, la gioventù scarseggia. L’iniezione di forze giovani dovrà essere la nostra prima preoccupazione, e non solo per competere sui social. Noi più avanti con gli anni non difettiamo di passione politica, manca però la dimestichezza con questi strumenti di comunicazione.

Ribadisco che tutti voi potete fare molto: partecipare alle iniziative, scrivere un articolo, leggere quelli pubblicati, commentarli, segnalare amici e conoscenti interessati alla “cosa pubblica” inviando le loro mail. Questo è il modo per contribuire all’attività dell’Associazione e alla sua missione di mantenere vivi e attuali i valori del Popolarismo.

Abbiamo perseguito questo compito? Abbiamo tenuto alta l’attenzione sui temi che connotano la grande tradizione culturale e politica del cattolicesimo democratico e sociale? Quel movimento nato come concreta attuazione dell’Enciclica di Leone XIII, punto d’avvio della dottrina sociale cristiana, concretizzata da Toniolo e Sturzo?

Un governo si giudica dagli atti dell’amministrazione. Un sodalizio culturale si giudica dai temi che pone in risalto, che caratterizzano anche la linea editoriale del proprio sito.

Già dall’elenco delle conferenze tenute nel triennio abbiamo potuto ricavare alcuni temi forti della nostra presenza.

L’economia globalizzata, dominata dal capitalismo finanziario, che ha cambiato i rapporti di forza mondiali e trasformato le società occidentali. Le disuguaglianze, che sono aumentate, con pochissimi super-ricchi e masse popolari e ceto medio impoveriti, anche perché è diminuito il lavoro manifatturiero, trasportato in territori lontani e sostituito dall’automazione. Ma noi, Italiani, fondiamo la nostra convivenza proprio sul lavoro per tutti. Quel lavoro che dà dignità a ogni persona. E che vogliamo mantenere come caposaldo della cittadinanza. Cittadinanza che dipende dalla coesione sociale e che non può poi essere disgiunta dalla giustizia sociale; e in Italia abbiamo un divario sempre meno sostenibile tra una generazione che ha avuto troppo e quelle successive che guardano con grande preoccupazione al loro futuro. Ci interessa il futuro delle giovani generazioni, come ci interessiamo di welfare, di famiglia e di previdenza sociale in una società che invecchia rapidamente: ricordo che entro 15 anni i milioni di baby-boomers diventeranno pensionati, se non prima con la quota 100. Il sistema reggerà?

E al vecchio Occidente, dove si fanno sempre meno figli a causa delle incertezze sul futuro, si affianca un giovane Terzo Mondo. Dall’altro lato del Mediterraneo c’è l’Africa, dove i più miseri continuano a morire di stenti e malattie, ma che si avvia comunque a raddoppiare la popolazione nei prossimi trent’anni, con 2 miliardi e mezzo di abitanti. Ecco il fenomeno epocale delle migrazioni. Di migranti si parla tanto, per questioni di bassa politica. La demografia non entra nella politica, viene ignorata. Noi, grazie soprattutto a Beppe Ladetto, la consideriamo un elemento ineludibile.

Un altro tema fondamentale, l’ambiente. Credo che alcuni tra voi abbiano conosciuto Greta Thunberg grazie ai nostri articoli, prima del grande spazio mediatico ottenuto con le recenti manifestazioni degli studenti. Abbiamo un punto di riferimento in papa Francesco e nella sua Laudato si’, la tutela del creato e la sua trasmissione ai posteri dovrebbe essere il primo punto nell’agenda della politica. Molti fanno orecchie da mercante, noi possiamo dire che è tra i nostri temi forti.

Come lo è l’Europa, per noi che siamo eredi culturali di De Gasperi, sgomenti di fronte ad una Unione senza anima e progetto, preoccupata dal rispetto di parametri di bilancio ma incapace di una visione che possa rispondere alle emergenze del tempo e dare una prospettiva a un continente che, preda di anacronistici nazionalismi, è destinato all’irrilevanza di fronte alle potenze mondiali USA, Russia Cina e India.

Con la stessa preoccupata attenzione guardiamo al nostro Paese e alla sua democrazia malata. Ad ogni elezione siamo tra i pochi che si preoccupano dell’astensionismo, ormai stabile su poco meno del 50% di votanti (ultime conferme in Abruzzo, Sardegna, Basilicata). È uno dei risultati della Seconda Repubblica, caratterizzata dall’individualismo, dai partiti personali, dalla preferenza unica e dal maggioritario, dal bipolarismo coatto e muscolare, dal sistema dei nominati, dalla perdita di ruolo del Parlamento e dei corpi intermedi, dallo strisciante centralismo dello Stato e delle Regioni.

Noi Popolari sturziani, paladini della democrazia rappresentativa, del proporzionale, del dialogo e delle intese programmatiche, del municipalismo a fondamento delle Autonomie locali, del primato dei corpi intermedi – prima fra tutti la famiglia – siamo stati un po’ come pesci fuor d’acqua. E abbiamo anche vissuto male la deriva verso il leaderismo mediatico, il centralismo, l’individualismo radicale, del partito più vicino, il PD. Un PD che si è progressivamente allontanato dalla nostra cultura. Ricordo solo un dato di fatto emblematico: come costituzionalisti di riferimento per i democratici, siamo passati dai cattolici Leopoldo Elia e Valerio Onida all’ex PCI Augusto Barbera e al suo allievo Stefano Ceccanti, convinti presidenzialisti.

Abbiamo così avuto un confronto ampio e approfondito sul referendum costituzionale, un tema che non poteva non creare qualche attrito e qualche divisione, come aveva previsto il saggio Bodrato. Lo abbiamo affrontato a viso aperto, con franchezza, suscitando anche giudizi ammirati in mondi a noi esterni. A suo tempo c’è stato qualche malumore e forse la flessione nel numero di associati del 2017 si spiega con quello.

Ma il tempo, oltre che galantuomo secondo la saggezza popolare, è anche il più saggio. Lo scrisse Talete in uno dei pochi frammenti arrivati sino a noi: “Il tempo è il più saggio perché svela ogni cosa”.

Non eravamo dei gufi, solo degli osservatori attenti e coerenti quando criticavamo il leaderismo e i toni populisti al governo. Temevamo vincessero i populisti veri, cosa accaduta, nella convinzione che il populismo – INESORABILMENTE – vira poi verso destra. Cosa che sta accadendo.

Oggi siamo attenti osservatori del governo legastellato. Non ne commento opere ed omissioni, ci sarebbe da aprire una diga. Vi propongo due pensieri di don Sturzo: “Il silenzio è d’oro, specialmente in politica: oggi si parla troppo, e quindi si usano verità, mezze verità, verità apparenti, infingimenti e menzogne”. E pensiamo a Salvini.

Il secondo pensiero: “Non agire da ignoranti né da presuntuosi. Quando non si sa, occorre informarsi, studiare, discutere serenamente, obiettivamente, senza mai credere di essere infallibili”. E pensiamo a Di Maio e Toninelli.

In questo scenario desolante c’è un vivace dibattito su una possibile nuova stagione dei “liberi e forti”.

Una prospettiva che abbiamo seguito e alimentato. La riteniamo praticabile?

Ci sono una necessità reale, avvertita, e un fermento alimentato anche da prese di posizione della gerarchia ecclesiastica mai così esplicite. Dal disimpegno e disgusto per la politica (tanto bastavano gli accordi gentiloniani del cardinal Ruini con l’ateo devoto Berlusconi) siamo passati alle esortazioni del cardinal Bassetti per un rinnovato impegno dei cattolici in politica, tornata ad essere “una delle forme più alte di carità”.

In questi mesi abbiamo visto tante iniziative, alimentate anche da buoni propositi, ma frenate da ambiguità e debolezze di fondo:

Per prima la confusione sul “partito cattolico”, “dei cattolici” o “di cattolici”, tutte visioni confessionali che ritornano. E noi che davamo per scontata la laicità proclamata e spiegata da Sturzo cento anni fa al Congresso di Bologna… La prospettiva non può che essere un partito democratico e popolare, la cui ispirazione evangelica si evince dai comportamenti e dalle proposte programmatiche, non da etichette. Lasciamo ad altri i comizi brandendo il Vangelo e la coroncina del Rosario.

Poi inseguire la riedizione della Democrazia Cristiana, il partito unico dei cattolici, un prodotto forzato della storia nel mondo bipolare uscito dalla seconda guerra mondiale. La divisione sturziana tra “sinceramente democratici” e “sinceramente conservatori” è stata confermata dalla storia lontana del PPI di fronte al fascismo, dalla storia passata con la dolorosa divisione del nuovo PPI di Martinazzoli, dai sondaggi del presente che vedono più di un terzo dei cattolici praticanti appoggiare Salvini. Una nuova DC “moderata” è solo una favola politica.

La terza ambiguità è dovuta all’opportunismo di coloro che parlano del ruolo dei cattolici in politica per traghettare partitini, gruppi e gruppetti nell’alveo del centrodestra berlusconiano, nella speranza di qualche strapuntino per il nocchiero (pensiamo a un Rotondi, ad esempio). E, specularmente, vi sono anche coloro che cercano uno strapuntino nel nuovo PD di Zingaretti proclamandosi rappresentanti dei cattolici (Gasbarra e Sant’Egidio, forse Fioroni?).

Quarta debolezza, la dispersione in tante piccole realtà, frutto bacato della deriva individualista che non ha colpito solo la sinistra delle continue scissioni, dei 5 o 6 partiti comunisti, che non ha colpito solo la galassia centrista berlusconiana, ma anche il campo dei cattolici democratici. Nel nostro piccolo abbiamo sempre dato disponibilità negli anni per fare squadra con realtà analoghe, con spirito di collaborazione, ma ognuno vuole essere il padrone del proprio orticello, fosse anche di un metro quadro, e si sottrae al confronto. Come ora vediamo fughe in avanti di chi vuole posizionarsi per primo. Ma, girandosi indietro, vede gli altri fermi al palo.

Noi pensiamo che ci possa essere uno spazio e un futuro solo recuperando il senso della comunità e attingendo a piene mani dal nostro patrimonio culturale ultracentenario. Che dobbiamo adeguare ai tempi, ma nella continuità di valori etici come l’onestà, la sobrietà, la coerenza, lo spirito di servizio, la difesa della verità e della libertà, da esporre in un manifesto fondativo, un nuovo appello ai “Liberi e forti”

E costruendo una forza politica che chiede l’adesione e il consenso sulla base di un programma chiaro e coerente con i principi enunciati.

In questi anni abbiamo anche cercato di fare chiarezza sulle ambiguità che si celano dietro parole usate e abusate nel linguaggio della politica. Popolare e populista, centro, partito dei o di cattolici, destra e sinistra, moderato, conservatore, progressista. Tutti termini che assumono significati diversi a seconda dell’imbonitore di turno, quando non significati diversi per bocca dello stesso imbonitore a distanza di ore, con platee diverse. Chissà perché mi ritorna in mente Salvini?…

Dovremmo tornare alla politica del “sì-sì no-no”, quella che “Avvenire” ha attribuito a uno dei nostri maestri, Carlo Donat-Cattin. Questa potrebbe essere la novità rivoluzionaria che da troppo tempo manca alla politica italiana, ed anche europea.

Sono al termine. Spero di avervi dato una serie di spunti per procedere con la parte centrale della nostra Assemblea, il dibattito, con i vostri interventi. Emergeranno sicuramente indicazioni per orientare l’attività dell’Associazione, su cui lavorare nel prossimo futuro. Non mi sottraggo all’impegno. Se mi vorrete ancora alla guida dei Popolari piemontesi, sono motivato a proseguire nel lavoro iniziato, insieme a quanti vorranno impegnarsi nel prossimo Consiglio Direttivo.

Cerchiamo di essere, insieme tra noi e con altri compagni di strada che si aggiungeranno, un punto di riferimento per i “liberi e forti” del nostro tempo.

Banda Ultra Larga: 573 milioni dalla UE per l’Italia

L’Unione Europea finanzierà con oltre 573 milioni di euro la diffusione della banda ultra larga in Italia. Lo ha annunciato la Commissione Ue, che ha adottato un progetto nell’ambito della politica di coesione che copre il 60% dei costi ammissibili del progetto.

L’iniziativa contribuirà a portare l’accesso veloce a Internet in aree in cui non è al momento disponibile e interesserà oltre 7.000 comuni italiani, per un totale di 12,5 milioni di abitanti, e quasi 1 milione di imprese. Il progetto fa parte del Piano nazionale banda ultra larga, la strategia nazionale per la rete d’accesso di nuova generazione, e riguarderà, in particolare, le cosiddette “aree bianche”, in cui le forze di mercato non riescono a realizzare il necessario potenziamento delle infrastrutture. L’azione dovrebbe essere completata entro la fine del 2020.

Corina Creţu, Commissario per la politica regionale, ha dichiarato: “Questo progetto di banda larga finanziato dall’UE, che copre il 20% della popolazione italiana, significa opportunità di business senza precedenti, migliori servizi pubblici e migliore qualità della vita per il popolo italiano. Mostra di cosa tratta veramente l’UE: lavorare per migliorare la vita quotidiana dei cittadini, in modo molto concreto”.

Mariya Gabriel, commissario per l’economia e la società digitale, ha così commentato: “Un’infrastruttura a banda larga di alta qualità è essenziale per l’economia e la società di oggi. I cittadini beneficeranno pienamente del mercato unico digitale una volta che avranno accesso illimitato alle reti più efficienti, consentendo l’accesso diffuso a nuovi prodotti, servizi e applicazioni. Tali progetti pongono le basi per un’Europa digitale inclusiva e competitiva”.

Istat: qualche segnale positivo, ma lʼeconomia italiana resta debole

Le prospettive dell’economia internazionale restano caratterizzate dalla presenza di rischi al ribasso. Il processo di Brexit è rimasto incompiuto e i negoziati tra Stati Uniti e Cina so-no ancora in corso.

Nonostante alcuni segnali positivi, i dati congiunturali descrivono complessivamente una fase di debolezza dell’economia italiana.

L’indice della produzione industriale è tornato a mostrare segnali di vivacità, in presenza di un miglioramento degli ordinativi.

Prosegue la fase di stabilità sul mercato del lavoro ma torna ad aumentare la disoccupa-zione. Il reddito disponibile lordo delle famiglie consumatrici si è ridotto e il miglioramento dei consumi è stato raggiunto attraverso un’ulteriore flessione della propensione al risparmio.

In un contesto europeo di decelerazione dell’inflazione, permane il differenziale inflazionistico a favore dell’Italia.

Si conferma l’indebolimento della fiducia sia delle imprese sia dei consumatori. L’indicatore anticipatore ha segnato una flessione di intensità ridotta rispetto a febbraio, suggerendo un possibile cambiamento rispetto alla fase di contrazione dei livelli di attività economica manifestatasi negli scorsi mesi.

Sicilia: Un finanziamento da oltre 14 milioni di euro per tre grandi interventi di bonifica

Tre gli interventi finanziati, il più consistente è previsto a Palermo dove 11 milioni e mezzo di euro serviranno per la messa in sicurezza e il ripristino ambientale dell’ex discarica di Acqua dei corsari, dove è prevista la realizzazione del Parco urbano intitolato a Libero Grassi. Si tratta di un’area di circa 11 ettari che verrà recuperata e messa in sicurezza anche attraverso la piantumazione e la realizzazione di barriere protettive.

A Campofranco, in provincia di Enna, un milione e mezzo finanzierà la messa in sicurezza delle ex discariche in contrada Rizza, Manna e Chiartasi, mentre a Troina, nell’Ennese, con un circa un milione di euro si interverrà sulla discarica di contrada Nunziatella-San Silvestro.

Si tratta di strutture realizzate un tempo da sindaci e prefetti in base a norme meno rigide e situazioni di emergenza. Poi dagli anni Ottanta e Novanta le leggi sono cambiate e questi impianti sono stati dismessi, ma mai formalmente chiusi.

La Regione da diversi anni li ha censiti in collaborazione coi Comuni: sono 511 siti potenzialmente pericolosi, nati anche 30 anni fa, con un’estensione molto vasta. Il governo Musumeci vuole mettere fine a questa indecenza con una maxi-operazione di bonifica.

Curling: Italia da record ai Mondiali di Lethbridge

Quando mancano due sole partite al termine della fase di round robin e l’obiettivo resta fissato su quei playoff mai raggiunti nell’intera storia azzurra, la Nazionale italiana maschile di curling, dopo sei giornate di gare ai Mondiali di Lethbridge, ha già la certezza di aver fatto qualcosa senza precedenti. Con la doppia vittoria di ieri e della notte appena trascorsa contro Svizzera e Olanda, sconfitte rispettivamente 6-5 e 6-4, la squadra tricolore ha infatti già raggiunto in Canada il più alto numero di successi mai ottenuti dall’Italia in una rassegna iridata. Le cinque eccezionali affermazioni della scorsa stagione a Las Vegas sono solo un ricordo con la Nazionale azzurra guidata dall’allenatore Soren Gran e dal direttore tecnico Marco Mariani a caccia oggi di un sogno chiamato playoff. Al momento al quarto posto in classifica a pari merito con Canada e Stati Uniti, all’Italia tocca il compito di difendere un piazzamento tra le migliori sei. Se la sfida alla Svezia campione in carica (programmata alle 22 italiane di oggi) si preannuncia complessa nonostante la squadra guidata dallo skip Edin sia già qualificata, tutto potrebbe così essere deciso nell’ultimo match di round robin contro la Scozia (alle 3 italiane nella notte tra venerdì e sabato) che viaggia ora proprio al 7° posto, a ridosso degli azzurri. Comunque vada, dopo due bronzi europei, una qualificazione olimpica raggiunta con la squadra maschile e un’altra sfiorata con la squadra femminile a Pyeongchang 2018, l’Italia sta vivendo davvero un momento d’oro nel curling grazie a un’attenta programmazione di lavoro che sta dando frutti importanti.

Joel Retornaz (Sporting Club Pinerolo), Amos Mosaner (Aeronautica Militare), Sebastiano Arman (Aeronautica Militare) e Simone Gonin (Sporting Club Pinerolo) – con Fabio Pimpini (Aeronautica Militare) riserva – hanno portato sul ghiaccio talento e convinzione, in particolare proprio nella giornata di ieri. L’equilibratissima partita contro la Svizzera – al momento seconda forza del torneo – è stata infatti risolta all’extra end dopo che gli azzurri, vicini alla vittoria, erano stati raggiunti all’ultima ripresa dal 5-3 al 5-5. Con l’Olanda l’accelerazione è invece arrivata nella seconda metà di gara con i nostri bravi a piazzare due punti sia al settimo che al nono end ribaltando una situazione di svantaggio e centrando un successo fondamentale in chiave qualificazione.

La Francia ritira le protesi al seno per il rischio di tumore

L’agenzia sanitaria francese per la sicurezza dei prodotti medici ha deciso di ritirare dal mercato un tipo di impianto di protesi mammarie con superficie ricoperta da poliuritene, per il rischio connesso con l’insorgenza di una rara forma tumorale.

L’agenzia non raccomanda però l’espianto preventivo per le donne che hanno tali protesi.

La misura decisa dall’agenzia sanitaria francese (Ansm) prevede il divieto di immissione di tali protesi sul mercato, il divieto di distribuzione e utilizzo e il ritiro delle protesi presenti. La misura avrà effetto a partire dal 5 aprile. Nel 2017 il numero di donne portatrici di questo tipo di impianti mammari in Francia è stimato in 400mila. Dal 2011, afferma l’agenzia, 59 casi di ALCL associati a tali impianti mammari sono stati dichiarati in Francia.

A Firenze Bocci sfida Nardella. Ma gli eredi di La Pira non possono portare acqua al mulino della Lega

Le elezioni amministrative sono risucchiate nel gorgo della grande disputa per le europee. Ogni esperimento locale evapora nell’atmosfera arroventata che oppone due diverse concezioni dei rapporti tra Stato nazionale e Unione, ovvero sul destino del Vecchio Continente. Viene alla luce, anche sotto questo aspetto, l’incompatibilità del popolarismo con la posizione dei nuovi populisti. In sostanza, la lezione di De Gasperi (l’antipopulista per eccellenza) riemerge prepotentemente per configurarsi come fattore discriminante ai fini del giudizio sulle possibili alleanze.

Il voto, per altro, comporta all’atto pratico un test decisivo per l’attuale maggioranza di governo a un anno dal suo insediamento nei Palazzi del potere. Illudersi che una combinazione originale o un candidato carismatico, capace di rimescolare le carte, possano rompere l’involucro della dialettica politica principale tra europeisti e antieuropeisti, equivale a un azzardo oltre la logica stringente della lotta democratica. Portare acqua al mulino della Lega, seppure per ingenuità e in totale buona fede, vuol dire stravolgere la missione storica del cattolicesimo democratico.

Bisogna fare attenzione, in questo quadro, alla cortina fumogene della propaganda. A Firenze, ad esempio, Salvini ha messo in campo un candidato che non rientra negli stereotipi xenofobi e autoritari del leghismo. Il manager Umberto Bocci, dal profilo cattolico solidarista per la sua esperienza alla guida di Unitalsi, pone a dura prova il vecchio “blocco renziano” del sindaco Nardella. Sta di fatto però che dietro la candidatura di Bocci c’è tutto il peso della Lega (stimata in città al 30 per cento) e l’effetto di trascinamento nell’attuale contingenza del fondamentalismo politico di destra.

Dovrebbe essere chiaro, perciò, quanto l’impegno dei Cattolici Popolari, pronti a difendere l’eredità di La Pira, esiga un supplemento di accortezza e di rigore. Ovunque, a Firenze come altrove, le alleanze implicano una scelta di carattere strategico. Non si possono nutrire dubbi sulla necessità di fare argine alla deriva dall’Italia populista; né, pertanto, ignorare la concatenazione di premesse e conseguenze, come se la vittoria della Lega sul piano locale non desse ulteriore e immeritato credito all’azione di Salvini. La partita è troppo delicata per essere condotta in chiave di rottura con le forze democratiche di centrosinistra, le uniche in grado di fermare nonostante tutto l’avanzata dell’esercito leghista.

I conti sono in ordine peccato che la notizia sia doppiamente falsa

Articolo già apparso sulle pagine di Servire l’Italia

Negli ultimi decenni da tutti i governi, sia di centro-sinistra che di centro-destra, abbiamo spesso ascoltato questa frase rassicurante, di solito pronunciata dal Ministro del Tesoro di turno come risposta alle voci critiche dell’opposizione, sia di centro-sinistra che di centro-destra: “I conti sono in ordine, non c’è da preoccuparsi”. Peccato che questa affermazione sia sempre stata doppiamente falsa, perché non erano in ordine solo i conti “ufficiali” (entrate e uscite effettive dello Stato), ma ovviamente anche i conti “non ufficiali”, ossia gli impegni di spesa presi dalla P.A. e non ancora pagati alle imprese fornitrici dei prodotti e dei servizi, nonché ai cittadini (ad esempio per gli espropri di pubblica utilità). Famoso fu il solenne impegno preso da Renzi con Vespa nel 2015 e che ricordai nel flash del 14 febbraio 2016:

“Fra le tante promesse mancate da Renzi vi è il pellegrinaggio al Santuario del Monte Senario (a 20 Km. da Firenze). Lo aveva promesso un anno fa a Bruno Vespa nel corso di un ‘Porta a porta’. Vespa gli disse: ‘Non credo che lo Stato riuscirà a rimborsare quest’anno i 56 miliardi di debiti che deve alle piccole e medie imprese’. Renzi rispose: ‘Lo faremo entro il 21 settembre, giorno di S. Matteo. Se ciò non avverrà, prometto di andare a piedi da Firenze al Santuario del Monte Senario. Diversamente ci andrà lei’. Il Santuario è ancora in attesa di una gradita visita di Renzi e nel frattempo quel debito sta superando i 70 miliardi…”.

Che i conti siano (o che debbano essere) in ordine lo diceva anche il Ministro Tria, ma ieri ha in parte ceduto sul fronte dei rimborsi ai risparmiatori veneti frodati dalle banche, dopo aver sostenuto che tale pagamento avrebbe potuto esporlo a un rovinoso processo presso la Corte dei Conti in mancanza di una sentenza che attesti la frode. Ma è più rovinoso e immorale non rimborsare una supposta frode bancaria o ritardare per anni alle Pmi e ai cittadini il pagamento di quanto dovuto dallo Stato? Nel frattempo avvengono fallimenti e suicidi.

È certamente immorale che lo Stato non sappia fare bene i suoi conti per poi prendersela con Bruxelles. Dice Massimo Castaldo del M5S, Vice Presidente del Parlamento Europeo:

“I vincoli di bilancio imposti dalla UE hanno impedito investimenti pubblici per 5,3 miliardi dal 2012 a oggi. Vogliamo liberare queste risorse”. Nello stesso giorno Juncker ha sostenuto che negli ultimi 5 anni l’Italia ha ricevuto da Bruxelles ben 130 miliardi, molti dei quali non utilizzati per “incapacità tecnica”.

Più che “liberare risorse” (che non ci sono, se è vero che il disavanzo pubblico annuo sta superando i 30 miliardi e che i debiti non ancora contabilizzati sono di oltre 70 miliardi), l’Italia si dovrebbe liberare di politici e burocrati incapaci di ben gestire le risorse umane e finanziarie. Se questa incapacità tecnica fosse prevalente anche nel settore privato dell’economia, saremmo già falliti da tempo. Siamo invece ancora in piedi per una straordinaria capacità di resistenza delle Pmi. Ma è una resistenza che non potrà durare a lungo, se continueremo a credere alle false promesse degli incapaci, oggi votati da meno della metà degli elettori, se si calcolano anche le schede bianche e le schede annullate.

Caltagirone: il convegno per il centenario dell’appello ai Liberi e Forti

Si intitola “L’Attualità di un impegno nuovo” il convegno internazionale promosso in occasione del centenario dell’appello ai Liberi e Forti di don Luigi Sturzo (18 gennaio 1919) che si svolgerà dal 14 al 16 giugno a Caltagirone (Ct), città natale del sacerdote fondatore del Partito Popolare Italiano.

La tre giorni a Caltagirone è promossa e organizzata da un comitato promotore e scientifico composto da Salvatore Martinez, presidente della Fondazione “Casa Museo Sturzo” e del Polo di eccellenza della promozione umana e della solidarietà “Mario e Luigi Sturzo” a Caltagirone; da Nicola Antonetti, presidente dell’Istituto “Luigi Sturzo” di Roma; da Matteo Truffelli, presidente dell’Azione Cattolica italiana; da Francesco Bonini, rettore dell’Università Lumsa; da Gaspare Sturzo, presidente del “Centro internazionale studi Sturzo”; da Lorenzo Ornaghi, presidente del Comitato scientifico della Fondazione “De Gasperi”, da Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale e presidente della Commissione storica per la causa di canonizzazione di don Luigi Sturzo.

 

 

 

Mattarella: La Nato “il Trattato indica la pace, la libertà, la democrazia”

Il Presidente Mattarella, incontrando oggi al Quirinale gli studenti di alcune Scuole secondarie di secondo grado, alla domanda: «Signor Presidente, tra i suoi importanti compiti la Costituzione le riconosce anche quello di ratificare gli accordi internazionali. Ritiene che lo strumento del trattato internazionale sia veramente importante per costruire e mantenere l’equilibrio tra gli interessi degli Stati?», ha così risposto:

«I trattati sono uno strumento prezioso. Lo sono sempre stati, ma lo sono particolarmente adesso. Uno di questi oggi compie settant’anni ed è il Trattato dell’Alleanza Atlantica, che è stato firmato il 4 aprile del 1949. Nei suoi obiettivi, il Trattato indica la pace, la libertà, la democrazia, la prevalenza del diritto sulla forza, e ha contribuito fortemente a mantenere la pace nel mondo in questi decenni». 

Cottarelli a Vercelli, Occhetta a Novara

L’associazione Popolari segnala due interessanti iniziative che si terranno oggi.

A Vercelli l’Associaziome “Riflessione e Proposta” organizza un incontro sul tema: “L’economia italiana tra rischi di recessione e potenzialità di sviluppo inespresse”, con relatori Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici, ed Eliana Baici, direttore del Dipartimento di studi per l’economia e l’impresa dell’Università del Piemonte Orientale, moderati da Giuseppe Bottero, giornalista de “La Stampa”.
Appuntamento alle ore 18 nel Salone della Cripta della Basilica di S. Andrea.

A Novara l’UCID, Unione cristiana imprenditori e dirigenti, organizza la presentazione del volume di padre Francesco Occhetta “Ricostruiamo la politica. Orientarsi nel tempo dei populismi”, edizioni San Paolo. Dopo l�€ ™introduzione di Paolo Cattaneo, presidente UCID Novara, e di Paolo Maggi, dell’Università del Piemonte Orientale, l’Autore parlerà delle caratteristiche dei populismi europei, di quali riforme mancano al Paese e di quale contributo possano dare i credenti e la Chiesa alla vita pubblica, prima delle conclusioni del vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla.
Appuntamento alle ore 20.30 al Castello Visconteo Sforzesco, piazza Martiri della Libertà, 3.