10.6 C
Roma
mercoledì, 5 Novembre, 2025
Home Blog Pagina 470

La terza via del popolarismo

Nel corso della Assemblea dei Popolari del Piemonte, convocata dall’amico Alessandro Risso lo scorso 11 luglio, Guido Bodrato ci ha dato una grande lezione di politica.

In poche parole, rafforzate dalla sua straordinaria storia personale, ha definito lucidamente il profilo di un manifesto politico. Del “nostro” manifesto politico.
Il tema, ha detto, non è la nostalgia, ma il futuro di una Democrazia sempre più assediata dal rischio di una insidiosa deriva autoritaria.

È attorno a questa urgenza, impellente nella sostanza dei problemi del Paese, che si può riscoprire la “missione” di quanti hanno l’ardire di definirsi “popolari”.

Questo forte richiamo di Guido Bodrato è di per sé sufficiente per farci coraggio e per superare timidezze, incertezze, reciproche gelosie tra le diverse iniziative che in questi mesi si sono messe in campo.

Del resto, che cosa è il “Popolarismo”?

Non certo una ideologia. E men che meno la rievocazione delle formule che la storia ha via via archiviato nel suo divenire (lasciamo in pace la gloriosa ed irripetibile stagione della DC).
È piuttosto un modo di essere della Comunità e di concepire la Democrazia.

Il Popolarismo è cultura della “Comunità” organicamente preordinata e dotata di un “primato” sullo Stato e sul Mercato, dei quali pure rispetta le essenziali funzioni.

È antagonista alla “mitologia dell’individuo” confinato in quella sua illusoria sovrana solitudine che pare crescere oggi con i radicali mutamenti antropologici, sociali e tecnologici, non culturalmente ed eticamente presidiati.

Il Popolarismo è concezione “sociale” (finalizzata cioè al superamento di tutte le disuguaglianze) e “comunitaria” (animata cioè dal respiro di una solidale e responsabile appartenenza) della Democrazia.
Il rischio “autoritario” (ben visibile nella delegittimazione di Parlamenti, Partiti, corpi intermedi non corporativi e di tutte le istanze civili e sociali non funzionali alla logica del leader di turno, che “parla” direttamente al popolo) altro non è che la ricaduta politico-istituzionale di una profonda crisi del senso di Comunità, della sua narrazione condivisa, della sua rappresentanza.

La gravità dell’inchiesta aperta sui rapporti tra la Lega di Salvini e la Russia non è tanto nella pur seria questione del tentato o realizzato finanziamento illegale, quanto nella adesione militante e nella contiguità ideale del più forte partito di governo italiano a quella concezione di democrazia praticata in quel Paese e proclamata nelle recenti interviste di Putin.

Di fronte alla evidente perdita di carisma della democrazia liberale, il Popolarismo così inteso è l’unica Terza Via possibile tra la deriva delle “democrature” e l’improbabile tentativo di difesa passiva delle pure “regole del sistema”.

Per questo serve una nuova proposta politica “popolare”.
È una grande sfida per i “popolari” (parlo ovviamente di quelli veri), che non possono pensare di continuare ancora a lungo con belle ma isolate esperienze: devono invece mettere a fattor comune tutti i loro sforzi, con generosità, lungimiranza, leadership nuove e credibili.

Rete Bianca, Insieme, Demos ed altre importanti realtà, anche locali, devono a mio parere decidere subito un percorso di convergenza, finalizzato alla costruzione di un unico Soggetto, una unica “Comunità Politica Popolare”.

Non uso volutamente il termine “partito” perché in questa fase occorre inventare nuovi profili organizzativi e nuove “forme partito”.

Costruito il Soggetto Politico Popolare, si tratterà di valutare (sul piano politico-elettorale) le modalità di incontro con altre culture compatibili e vicine, come ad esempio quella liberal-democratica o quella ambientalista (modello tedesco, semmai…) e con altre esperienze che si muovono nella società italiana fuori dagli schemi dei vecchi recinti.

È però anche una sfida per tutto il campo alternativo alla destra populista ed in particolare per il Partito Democratico – del quale non sfugge certo il ruolo importante – e non eludibile – ma che non può continuare a immaginare il futuro del Paese – di “questo” Paese – nei termini non più attuali, se mai lo sono stati, di una pretesa esclusiva vocazione maggioritaria, benché reinterpretata con la finzione dei satelliti o delle “gambe” germinate modello Start Up.
Serve una vera cultura della coalizionale, (la vera cifra di una idea di politica aperta, cooperativa e rivolta al bene comune), che può esistere però solamente se esistono soggetti autonomi, ontologicamente concorrenti, riconoscibili per identità, rappresentanza sociale e proposta programmatica.
Il paradigma è cambiato.

L’urgenza del rischio “autoritario” per la nostra democrazia lo rende evidente e ne denota la cogenza civile prima che politica. Le risposte, dunque, non possono che essere all’altezza.

Dc e Pd, correnti di ieri e di oggi.

In un partito autenticamente e sinceramente democratico le correnti esistono. Da sempre. Che poi siano correnti di pensiero, correnti di potere o bande organizzate per la conquista del potere come capita oggi poco importa. Sempre di correnti si tratta.

L’esatto contrario dei partiti cosiddetti “personali” o del “capo”. Detto questo, che non è affatto un elemento secondario ai fini della qualità della democrazia nel nostro paese e della stessa concezione democratica dei partiti, è indubbio che la situazione della prima repubblica non è lontanamente paragonabile alla fase politica contemporanea. Al netto delle profonde diversità politiche, culturali, sociali e di sistema tra i due periodi storici.
Ma, per fermarsi al capitolo delle correnti e del loro ruolo all’interno dei partiti, non si può non registrare che anche la democrazia interna ha un senso solo se la politica è protagonista e non un semplice accessorio. Perché delle due l’una.

E cioè, o le correnti sprigionano un forte e qualificato dibattito politico e allora non solo vanno mantenute ed incentivate ma addirittura regolamentate e garantite, oppure sono puri strumenti di potere nelle mani di qualche ras che hanno come unico obiettivo quello di interdire e di condizionare la linea del segretario nazionale da un lato, e di perseguire un uso spregiudicato del potere nella scelta delle candidature e nella spartizione del sottogoverno dall’altro. Locale e nazionale. Ed è proprio qui che emerge la profonda diversità tra un partito della prima repubblica e quelli dell’attuale stagione politica – la Dc e il Pd, nello specifico – che coltivano al proprio interno una infinita’ di articolazioni di sfumature. Con una differenza di fondo, però.

Nella Democrazia Cristiana esisteva certamente la degenerazione correntizia ma, per citare Donat-Cattin, le “correnti di pensiero” rappresentavano una specificità e una qualità non indifferente che contribuivano a guidare un grande partito popolare, di massa, interclassista e di governo. Una presenza che ancora oggi viene ricordata, e citata, per la sua elaborazione politica e culturale e per la sua organizzazione profondamente democratica. Accanto, ovviamente, a gruppi vari di potere legati a mere cordate clientelari e di tessere. Nel Pd, oggi, facendo un doppio salto temporale, la molteplicità e la continua proliferazione delle correnti assomiglia più ad una gamma di gruppi organizzati alla ricerca del potere che non a movimenti e correnti dediti al progetto politico e alla costruzione di un dibattito tra i diversi filoni ideali presenti in quel partito.

E’ appena il caso di ricordare che le svariate dispute locali all’interno dl Pd – in qualsiasi parte d’Italia da Torino Palermo – assomiglia più ad uno scontro tra persone, ognuna con la propria banda o corrente organizzata che non ad un confronto politico e culturale tra i vari filoni ideali. Al punto che la notizia che da sempre domina incontrastata in qualsiasi città o paese quando si parla del Pd è la conta delle correnti interne in quella o in quell’altro luogo. Altroché la barzelletta dello scioglimento delle correnti o dei gruppi organizzati all’interno del Partito democratico. Quelle, con le primarie, restano i due capisaldi essenziali della natura del Pd. Almeno sino ad oggi. Certo, la fase decadente della Democrazia Cristiana con la molteplicità delle correnti prive ormai di qualsiasi respiro politico ricorda molto l’attuale organizzazione del Pd dove la politica è drasticamente secondaria rispetto allo scontro tra le varie cordate interne per la distribuzione del potere. Ma, per non fare di tutta l’erba un fascio, non posso dimenticare che proprio la Dc è stata per molti anni un modello esemplare di come in un grande partito possa esistere un forte e qualificato dibattito senza per questo lacerare il tessuto e l’unità profonda dello stesso partito.

anche oggi nel Pd, per citare un altro grande partito democratico e popolare dopo la stagione renziana del “partito personale “, l’ormai famoso “Pdr”, è possibile recuperare un fecondo dibattito politico, purché sia un confronto dettato dalla politica e non da uno scontro del tutto artificiale e virtuale tra singoli detentori di tessere, di potere clientelare interno che prescinde, come ovvio, da qualsiasi valutazione politica, culturale o sociale. Comunque sia, ieri la Dc e oggi il Pd, partiti diversi ma comunque attraversati da una qualificata e robusta democrazia interna.

Con molti limiti e molte imperfezioni. Ma sempre meglio di quei partiti o movimenti politici, soprattutto contemporanei, che si caratterizzano solo e soltanto per la strategia del capo, con tanti saluti alla democrazia, alla partecipazione interna e al rispetto delle minoranze. Perché alla fine, meglio un partito un po’ balcanizzato e confuso che un partito guidato da una sola persona. Perché la conservazione della democrazia, sino a prova contraria, resta la
strada maestra rispetto alle intuizioni di una modernità che ha come effetto, tra gli altri, quello di incrementare la deriva autoritaria e illiberale delle stesse istituzioni.

Torino: parte la campagna “Homo Sapiens?”

Parte da Torino «Versus», una campagna sociale per prevenire e contrastare la violenza sulle donne, promossa dalla Piccola Casa della Divina Provvidenza, in collaborazione con altri partners, e  finanziata da un bando della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento delle Pari Opportunità.

Il titolo, «Homo Sapiens?», si rivolge agli uomini per arrivare a quelle realtà nascoste dentro le mura domestiche dove la violenza è di casa. La domanda provocatoria, aperta e diretta, invita a guardarsi dentro perché solo partendo dalla coscienza di ognuno è possibile un vero cambiamento. La risposta è contenuta nel messaggio in calce del manifesto dove si esplicita che «ogni violenza sulle donne è un passo indietro nell’evoluzione». Il progetto invita, appunto, ad abbandonare un mero atteggiamento pietistico nei confronti delle donne e a porre il focus su colui che commette la violenza.

L’immagine scelta per la campagna pone di fronte all’uomo di Neanderthal, antenato che faticosamente ha trovato un equilibrio tra i suoi istinti aggressivi e una dimensione umana priva di violenza. Questi istinti disumani emergono ogni volta che si trattano le donne senza rispetto attraverso violenze fisiche e psicologiche.

«Versus» prevede l’attuazione di tre azioni progettuali per raggiungere gli obiettivi: una campagna sociale, uno spettacolo teatrale, e una mirata proposta di attività e sensibilizzazione nelle scuole.

La campagna sociale, che durerà 18 mesi e avrà un raggio d’azione locale, regionale, e nazionale, utilizzerà vari mezzi di comunicazione: affissione di poster su bus e tram, spot radio e tv, pubblicazioni sui quotidiani a livello locale e nazionale e diffusione sul web.

Lo spettacolo teatrale verrà messo in scena in luoghi non convenzionali, come le piazze, con l’intento di rispondere a questi interrogativi:

  • Perché un essere umano genera violenza?
  • Da dove nascono i presupposti della violenza?
  • L’essere umano è chiamato alla cura dell’altro e non alla distruzione. Come mai esiste la violenza nella storia?

Alla luce di tali domande è stato pensato di portare sul palcoscenico proprio chi ha usato la violenza, per cercare di capire chi sono queste persone e quali sono i loro vissuti.

L’utilizzo del mezzo artistico del teatro favorisce l’abbattimento dei pregiudizi e fa emergere la figura femminile come essere umano al pari dell’uomo.

Il gruppo di attori sarà, inoltre, composto da giovani che frequentano a vario titolo la Piccola Casa e studenti del corso di laurea Dams dell’Università di Torino.

Nelle scuole torinesi verranno attivati percorsi che coinvolgeranno le classi secondarie di primo grado e secondarie di secondo grado. Con gli studenti sarà adottata una metodologia didattica «sociale» che si basa sul confronto tra quanto proposto da filmati e letture e ciò che, invece, succede nella vita reale.

I risultati attesi dalle azioni di «Versus» intendono aumentare il livello di conoscenza del fenomeno, incrementare lo spirito critico rispetto all’osservanza dei diritti umani, proporre una lettura delle differenze di genere intese nella dimensione della relazione fra uomini e donne e, infine, incentivare la responsabilizzazione verso atteggiamenti e comportamenti interpersonali basati sul rispetto dell’identità.

Il progetto prevede, inoltre, un’azione di monitoraggio e una di valutazione finale realizzata da un’esperta in progettazione.

I partners, oltre al Cottolengo che coordina l’intero progetto, sono:

  • L’ente «EssereUmani Onlus», che opera in ambienti a rischio di disumanizzazione come carceri, scuole ed ospedali, svilupperà la campagna nelle scuole secondarie monitorando le attività attraverso questionari somministrati prima e dopo gli interventi del progetto. È prevista, inoltre, la realizzazione di un flash mob.
  • L’associazione «Liberamenteunico», che gestisce un centro di formazione di teatro e danza, realizzerà lo spettacolo teatrale previsto dal progetto.
  • L’agenzia «Noodles», specializzata nel costruire strategie di comunicazione e pubblicità, si occupa della realizzazione dei manifesti pubblicitari e dei materiali video e audio.
  • L’agenzia «Strategy e Adventure Media Group», specializzata in media e comunicazione indipendente, ha pianificato la diffusione della campagna nei media outdoor, stampa, radio, web.

Per ulteriori informazioni: www.homo-sapiens.eu

Friuli Venezia Giulia: Il carnevale che parla male della quaresima

Dibattito stucchevole quello tra i due (Debora Serracchiani e Riccardo Riccardi); basti appena pensare che dal 2008 che è stato dichiarato lo stato di emergenza per la realizzazione della terza corsia e che dopo ben 11 anni, l’unico tratto realizzato è quello in terra Veneta da Quarto d’Altino a San Donà di Piave. Evidentemente qualcosa non deve aver funzionato per il meglio.

Per l’esperienza che ho maturato personalmente quale commissario straordinario in diverse emergenze, so bene quali siano le problematiche da affrontare, ma anche la necessità di porre rimedio alle varie situazioni nei tempi più brevi possibili. Non confondiamo le sorti della società di Autovie Venete con le esigenze realizzative della terza corsia. I due temi dovevano essere affrontati separatamente.

Era evidente, fin dall’inizio, che non vi erano le risorse finanziarie necessarie per realizzare un’opera così imponente. E, quindi, la prima domanda che veniva spontaneamente da porsi era quella se fosse veramente necessario un commissario straordinario individuato, non tanto in una figura tecnica, ma in una politica, per di più sprovvisto di qualsiasi dotazione finanziaria.

Scarso contributo può dare un commissario politico privo di portafoglio, tant’è che detto ruolo più che semplificare, pare aver talvolta complicato un quadro già di per se complesso. Il paradosso è che il dibattito di questi giorni attivato dai suddetti protagonisti, verte sull’attribuirsi i meriti di un siffatto capolavoro!

C’è da auspicare che effettivamente nelle prossime settimane, così come annunciato, veda finalmente luce qualche isolato chilometro di terza corsia in terra friulana: da Palmanova a Gonars. A dir il vero sembra sia un po’ poco dopo undici anni di bagarre assoluta sul tema e questo risultato lo si ha non certo per merito della politica, ma delle maestranze che indubbiamente stanno dando il loro massimo impegno con la concreta realizzazione dell’opera.

La terza corsia ha posto la politica, in particolare quella del Governo Renzo Tondo, nella condizione di dover sobbarcarsi tutti gli oneri finanziari per non aver voluto in alcun modo chiedere allo Stato, proprietario della infrastruttura, alcun finanziamento (l’allora Presidente si riempiva la bocca dicendo “fasin di besoi”). Anche se, bisogna dirlo, che un po’ di più, ha fatto Serracchiani ottenendo qualche spicciolo dal Governo nazionale, rispetto alle reali esigenze. Se le risorse finanziarie fossero state già disponibili dall’inizio del commissariamento, come dovrebbe essere buona regola, si sarebbero raggiunti due risultati: il primo che il costo del pedaggio non sarebbe aumentato sino ai livelli attuali; il secondo che i tempi di realizzazione sarebbero stati molto, ma molto più brevi. E, oggi, già potremmo raggiungere le nostre spiagge senza l’incubo delle code e degli incidenti oggi rilevabili quasi quotidianamente.

Libro dai sogni? No, dal momento che ingenti risorse lo Stato ha dirottato su altre iniziati di altre Regioni e che, opportunità che, invece, l’incapacità politica di entrambi i Governi citati della nostra Regione, non hanno saputo gestire.

Quindi, c’è poco di cui vantarsi sia da una parte che dall’altra. Un po’ di umiltà vorrebbe che entrambi facessero una corretta e obbiettiva analisi, anche critica, sul proprio operato anziché pavoneggiarsi.

Si consolida il ruolo delle energie rinnovabili

Come per gli anni precedenti, il Ministero dello Sviluppo Economico pubblica la “Relazione sulla situazione energetica nazionale”, un documento che illustra in maniera sintetica l’andamento del settore energetico, aggiornato al 2018.

Il sistema energetico nazionale – si legge in una nota del MISE – registra un aumento della domanda di energia (+1,6% rispetto al 2017), pur rimanendo ancora inferiore ai valori precrisi. Tale aumento, tuttavia, va interpretato alla luce delle variazioni metodologiche intervenute nella rilevazione dei consumi petroliferi, al netto delle quali si registrerebbe una sostanziale stabilità.

Le fonti rinnovabili soddisfano per oltre un quinto la domanda di energia e si confermano come risorsa strategica – anche in termini economici ed occupazionali – per lo sviluppo sostenibile del Paese.

Aumenta la domanda per gli usi civili, che rimangono il primo settore di consumo finale, seguito dai trasporti. Rimane debole la domanda dell’industria.

L’efficienza energetica, frutto di molti strumenti di sostegno e promozione adottati (dalle detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici, al nuovo Conto Termico, ai Titoli di efficienza energetica) ha determinato rilevanti risparmi di energia stimati, nel periodo 2014-2018, in circa 11,8 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. Tuttavia, nel corso dell’ultimo anno, il livello di efficienza energetica, pur soddisfacente, è rimasto stabile: l’intensità energetica del PIL risulta infatti in lieve aumento, pur rimanendo tra i valori più bassi dei Paesi OCSE.

La bozza di Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), presentata a dicembre 2018, pone la promozione dell’efficienza energetica tra i principali obiettivi da perseguire. Il PNIEC prevede una riduzione dei consumi di energia finale a circa 9,3 Mtep/anno rispetto allo scenario di riferimento al 2030, da conseguire prevalentemente nei settori non ETS. Si individua nel settore civile il principale attore degli interventi di efficientamento, con una riduzione dei consumi di energia di circa 5,7 Mtep, seguito dal settore dei trasporti con 2,6 Mtep.

L’accresciuto ruolo delle FER e la dinamica di progressiva riduzione dell’intensità energetica, nonostante il lieve peggioramento del 2018, contribuiscono a diminuire la dipendenza del nostro Paese da fonti di approvvigionamento estere: la quota di fabbisogno energetico nazionale soddisfatta dalle importazioni, pur rimanendo elevata (pari al 74%), è risultata in diminuzione e ormai al di sotto dei valori storici.

Uno scatto per volare

Martedì 16 luglio 2019, alle ore 17.00, a Mileto (Vibo Valentia), nel Museo Statale di Mileto, verrà inaugurata la mostra fotografica di Nicola Scordamaglia dal titolo Uno scatto per volare che ha come obiettivo la valorizzazione e la promozione del nostro territorio, delle eccellenze dei prodotti, delle imprese turistiche e gastronomiche.

Interverranno all’iniziativa:

Faustino Nigrelli, direttore del Museo Statale di Mileto

Pippo Prestia, poeta

Salvatore Fortunato Giordano, sindaco di Mileto

Il Museo Statale di Mileto espone un cospicuo e rilevante patrimonio di opere d’arte, che abbraccia un arco temporale compreso fra l’età tardo imperiale e l’Ottocento. La raccolta, ordinata in diverse sale espositive disposte su due piani, è divisa in sezioni a loro volta organizzate secondo una sequenza cronologica.

La mostra fotografica sarà visitabile dal 16 al 31 luglio 2019 da martedì a domenica dalle ore 10.00 alle ore 18.30

Morbo della mucca pazza: i ricercatori italiani scoprono come avviene la replicazione

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

La scoperta apre la strada alla ricerca di farmaci per queste malattie finora incurabili, come quella di Creutzfeldt-Jackob. Il risultato, pubblicato sulla rivista Plos Pathogens, è del gruppo dell’Istituto Telethon Dulbecco presso l’Università di Trento, guidato da Emiliano Biasini, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).

I prioni sono versioni anomale di proteine normalmente presenti nel cervello dei mammiferi, capaci di replicarsi e propagarsi in maniera simile a virus e batteri. L’esatto meccanismo della replicazione è ancora sconosciuto, ma si sa che possono indurre il cambiamento della loro forma normale in quella anomala, che poi prende il sopravvento e forma degli aggregati che uccidono le cellule nervose, provocando delle gravissime malattie neurodegenerative. Quelle che colpiscono l’uomo finora note sono la malattia di Creutzfeldt-Jakob, l’insonnia fatale familiare e la malattia di Gerstmann- Sträussler-Scheinker: si tratta di malattie spontanee, genetiche o infettive molto rare, che insorgono in genere in età adulta dopo una latenza molto lunga, ma con un’evoluzione rapida dopo la comparsa dei primi sintomi.

 

Per recuperare lo spirito comunitario. Intervista a Sabino Cassese.

Riportiamo l’intervista a Sabino Cassese pubblicata nell’edizione odierna dell’Osservatore Romano. a firma di Andrea Monda

Per il giurista Sabino Cassese, non tutto è perduto di fronte all’attuale crisi della società italiana ed europea. Intervenendo nel dibattito avviato su queste pagine spiega che anche le società “vecchie” hanno dimostrato capacità di rinnovamento e in questo processo la religione, in particolare quella cattolica, può offrire un contributo decisivo riaffermando i valori fondanti ed essenziali della convivenza.

Giuseppe De Rita su queste pagine ha affermato che per il buon governo c’è bisogno di due autorità: una civile e una spirituale-religiosa. Quella civile garantisce la sicurezza, quella spirituale offre un orizzonte di senso. L’uomo ha bisogno di tutte e due le cose. Se invece si esclude una delle due, la società soffre, diventa schizofrenica. Quale potrebbe essere il ruolo della Chiesa nell’attuale situazione italiana?

C’è di più. Le società contemporanee stanno perdendo lo spirito comunitario: basti pensare alla crisi di partiti e sindacati. Quindi, è tanto più necessario l’elemento comunitario che è alla base dell’esperienza religiosa, anche per chi non è credente.

C’è chi dice che l’Europa è vecchia e decrepita e necessita di un “fertilizzante” che può essere proprio la Chiesa cattolica come già in passato a ogni “cambiamento d’epoca”.

Non concordo con la diagnosi. L’essere la civiltà europea antica non vuol dire che sia vecchia. E anche le civiltà vecchie sono state capaci di rinnovarsi, ringiovanendosi. Il valore della religione, in particolare di quella cattolica, sta in un altro elemento: quello di ricordare i valori fondanti, essenziali, per esempio, la vita, la pace, il rispetto degli altri. 

La società italiana oggi sembra dominata dal rancore. Da dove nasce questo rancore? De Rita dà una sua lettura, quasi un lutto per quello che non c’è stato, una promessa mancata, un futuro che sembra incrinato, perso.

Il rancore non sta nella società, sta nella “narrazione” che ne fanno coloro che sfruttano il rancore per fini sostanzialmente elettorali. È per questo che bisogna piuttosto mettere in luce gli aspetti che riguardano il futuro e principalmente la speranza. 

In questa situazione emerge un dato che ha una sua ambiguità, anche inquietante, cioè il dato dell’identità come risposta alla globalizzazione ma una risposta che si colora di chiusura e violenza.

Anche questo argomento è narrato in maniera distorta. Infatti, non si tratta di aprirsi agli altri e perdere la propria identità, ma di riconoscere che ormai abbiamo tutti multiple identità. Siamo romani, italiani, europei, cittadini del mondo. Nella misura in cui ci preoccupiamo dei cambiamenti climatici, ad esempio, ci interessiamo dei problemi di casa nostra, ma anche di quelli delle case degli altri.

Da una parte la società appare del tutto secolarizzata, dall’altra ci sono politici che esibiscono i simboli religiosi per accrescere il proprio consenso. È una schizofrenia oppure “tutto si regge”?

L’esibizione politica di simboli religiosi è una offesa per la religione, che viene così usata come strumento.

La tecnologia come incide in questa situazione che sembra mutare a ritmo accelerato? C’è in atto una mutazione antropologica? C’è un impatto delle nuove tecnologie, dalla bioetica alla comunicazione, sui rapporti sociali e sulla politica?

La tecnologia sta cambiando quasi tutto, dal modo in cui sto scrivendo queste risposte alla durata della vita umana. Si tratta sia di non abusarne, sia di renderla umana. Con questo intendo dire che è uno strumento, non un fine.

Il PD romano si attarda a difendere un decentramento amministrativo a misura di piccoli Podestà

La questione dell’ordinamento della Capitale suscita sempre un moto d’interesse. Nella discussione si perde il senso della concretezza. Quanto più la crisi morde ai fianchi della città, tanto più l’ingegneria istituzionale subentra a fomentare le illusioni. In genere si parla di nuovo ordinamento nella convinzione di poter innescare, per questa via, miracolose soluzioni finanziarie.

Tra le idee che ciclicamente tornano, a destra e a manca, ve n’è una ritenuta semplice ma valida: quella di un ulteriore processo di decentramento amministrativo, dal Campidoglio ai Municipi, fino al punto di frantumare Roma in tanti comuni autonomamente partecipi della realtà metropolitana. Chissà perché, una volta fatto questo, l’efficienza aumenterebbe e con l’efficienza anche la qualità della vita urbana. In un tempo dominato dalla regola di massima razionalizzazione tecnico-gestionale, per abbassare i costi ed elevare la produttività dei servizi, curiosamente rimbalza sul terreno politico un’affermazione estrinseca, priva di costrutto, che decreta l’esatto contrario. Il perché e il come si perdono nella fumisteria.

Anche il Pd consuma l’oppio di queste amene considerazioni. Fa parte del gioco. Eppure, quando si è all’opposizione, lo sforzo di revisione critica dovrebbe assumere contorni più nitidi. Il decentramento è nato decine di anni fa per esaltare, organizzandone le modalità, la partecipazione dei cittadini. Oggi, viceversa, in luogo di un’autentica partecipazione di base, si assiste alla micro-verticalizzazione del potere. Anche l’elezione diretta dei Presidenti di Municipio ha reso, all’atto pratico, un cattivo servizio. Affiancati da giunte prive di reali competenze, composte da assessori scelti al di fuori degli eletti, essi dimenticano il valore del confronto con l’assemblea dei consiglieri municipali.  Quale sarebbe, dunque, l’effettics strutturazione del fattore civico-partecipativo?

C’è bisogno, in verità, di “più Campidoglio” e più “consigli di quartiere”. Roma è fatta di circa 320 nuclei urbani, ognuno corrispondente a un certo livello di auto identificazione di vecchi e nuovi residenti. Pertanto, il passaggio da 19 a 15 municipi non ha fatto altro che ingarbugliare l’organizzazione degli uffici, con l’inevitabile penalizzazione dei cittadini. Il vero decentramento consisterebbe nel dare forma istituzionale alla vita di quartiere (lasciando agli attuali municipi i relativi compiti di sostegno e coordinamento). Anche le nuove tecnologie potrebbero essere impiegate per migliorare l’esercizio del diritto di partecipazione. Invece, grazie all’autarchia dei mini-Sindaci, si scivola passo dopo passo nella palude del disincanto democratico. Un vero guaio, frutto di pigrizia intellettuale e superficialità politica.

Resta da capire, in ultimo, se davvero una città scomposta in entità autonome, fino cioè ad arrivare all’abrogazione dell’attuale Comune, sia l’esito più confacente alla edificazione di una solida Città metropolitana. A questo riguardo poco si può dire, data l’astrattezza del disegno, salvo far presente che nessuna conurbazione di area vasta sussiste al mondo in assenza di un “centro” di governo. Non a caso, in sede di riforma costituzionale, intuendo la complessità del nodo istituzionale, si è voluto aggirare l’ostacolo prevedendo per Roma norme adeguate al suo status di Capitale. Di fatto si è solo prodotto un auspicio, non essendoci un criterio che possa asseverare la bontà di capricciose invenzioni. Non a caso…è tutto fermo.

Altro si potrebbe aggiungere, ma non si guadagnerebbe nulla in termini di comprensibilità del tema. Roma ha urgenza di un governo forte, come richiede un’articolazione urbana complessa, non di questo “pluralismo podestariale” fatalmente gravato di piccoli e grandi difetti del “centralismo capitolino”. Continuare a modellare l’odierno confronto pubblico sulle coordinate culturali e politiche degli anni ‘70 è indice di quanto sia decrepita la proposta dei partiti. Anche a sinistra, tra i dirigenti del Pd romano, questa inclinazione a ripetere e a ripetersi appalesa la rinuncia a fare i conti con la realtà. E quindi, in conclusione, a misurarsi con l’impatto di nuove esigenze di governabilità.

Come essere felici con un gruppo Whatsapp

Articolo già pubblicato dalla Rivista Studio a firma di Arnaldo Greco

Negli ultimi mesi ho riscoperto il piacere di scorrere i social network, se mi guardo intorno decisamente in controtendenza e perciò, come vorrebbero Vonnegut e Marie Kondo, ho il dovere di condividere questa gioia. Capisco, la disaffezione per i social è un sentimento molto comune e anche io, a lungo, non ne sono stato immune. Sono uno di quelli che ha letto Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social annuendo a ogni pagina e poi Chiudete internet annuendo ancora, e però, appena finito di annuire, con la testa ancora bassa ho aperto Instagram e messo una valanga di like. Sono rimasto dentro a leggere e a osservare, senza combattere nessuna battaglia interiore. Vedendo che mi apparivano prodotti che avevo appena nominato o citato altrove – dunque mi spiano! Fa niente, li ho comprati lo stesso. Senza immaginarmi come un moderno stilita a-social, senza atteggiarmi a sapiente convinto da un paesino di aver detto la cosa giusta e aver fatto la mia parte.

Il merito va a una funzionalità che avevo sempre creduto fosse stata realizzata dal Maligno in persona per rovinarci le vite: le chat private (su Whatsapp, Messenger, dove capita). In certe chat (ovviamente non quelle coi genitori o coi compagni di classe delle superiori) ho riscoperto la sensazione di complicità che trovavo nei social quando ho cominciato a usarli. Non le notizie, lo stare al passo coi tempi, il saper trovare lo spunto interessante in mezzo alle ossessioni degli altri che, nella migliore delle ipotesi troviamo sui social quotidianamente, ma proprio il divertimento e il piacere. Per esempio ho un gruppo che si chiama “Stay tuned” e lì, quotidianamente, ci scambiamo tweet o screenshot di persone che promuovono il proprio lavoro in maniera rocambolesca. Sì, certo, è necessario, ce ne rendiamo tutti conto. Fa parte dei compiti della moderna Partita Iva. Anche se sta bruciando Notre Dame e non sappiamo ancora se la struttura della cattedrale crollerà, non possiamo fare a meno di segnalare la nostra intervista a Radio Lippa sull’anniversario della guerra di Corea (potete trovarla anche dopo sul podcast, comunque, a fiamme spente, ecco il link), e come non ricordare a tutti che siamo a Pulline Lanosa nella libreria Libr’aria a presentare il nostro libro o che proprio stamattina abbiamo detto la nostra in tv sul ballottaggio a Sassari? I social ci costringono a un’immagine pubblica che pure noi stessi sappiamo essere ridicola, ma vivono sul tacito accordo per cui il nostro tratto più imbarazzante e autopromozionale verrà taciuto in cambio di altrettanta riservatezza.

 

Articolo completo leggibile qui 

Save the Children: la prima edizione del Festival Sottosopra “We all rights”

Si terrà a Bari dal 16 al 18 luglio la prima edizione del Festival Sottosopra, il Movimento giovani per Save the Children attivo in 15 città italiane. Trecentocinquanta ragazzi e ragazze provenienti da tutto il Paese, insieme per tre giorni dedicati all’ascolto, al confronto e la condivisione di diversi punti di vista e una riflessione sul tema dei diritti dei minori, a partire dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia. Il festival è patrocinato dal Comune di Bari e dall’Università degli studi di Bari Aldo Moro.

L’apertura del Festival si svolgerà martedì 16 luglio alle 16 presso l’Università degli studi di Bari “Aldo Moro”. Proseguirà con un evento serale speciale aperto al pubblico presso i giardini di piazza Garibaldi, dedicato ai ragazzi e al protagonismo giovanile: oltre alle performance artistiche e musicali che si susseguiranno nel corso della serata, un talk show dedicato proprio al tema dei diritti e del ruolo dei giovani.

A discuterne, oltre ad alcuni rappresentanti del Movimento SottoSopra, del Movimento Friday 4 Future e di Save the Children Italia, il rapper romano Amir Issaa, lo scrittore Gianrico Carofiglio e l’attrice Anna Foglietta.

Il giorno successivo le strade e le piazze della città saranno protagoniste dell’Urban Game, una caccia al tesoro per promuovere tematiche e articoli della Crc in collaborazione con realtà del territorio. A conclusione del Festival, il 18 luglio, i ragazzi si confronteranno in tavoli tematici anche con esperti esterni sui temi a loro vicini, tra i quali gli stereotipi, il cambiamento climatico, l’Agenda 2030, le migrazioni e diritti, il cyberbullismo e le nuove tecnologie.

Roma, San Silvestro al Quirinale: il convento, la caserma e il Pio istituto per i poveri orfanelli

San Silvestro al Quirinale, antica chiesa eretta intorno all’anno Mille in pieno centro di Roma, nel tempo ha subito una serie di trasformazioni dai molteplici significati, non solo sotto l’aspetto spirituale e architettonico, ma anche, per così dire, “istituzionale”. Proprio per questi motivi ha alternato alcune caratteristiche molto interessanti che meritano di essere narrate e ricordate.

La struttura, splendido esempio di arte medievale ecclesiastica come testimoniano la sua natia pianta a croce latina, le cappelle decorate e l’ampia navata che avvolge l’altare, è ricca di affreschi riferiti a scene bibliche ritratte da diversi e quotati pittori (uno di questi fu il Domenichino) coevi. Chiamata inizialmente In Biberatica (appellativo di una delle ubicazioni dei paleocristiani Mercati Traianei) e poi Santo Stefano in Cavallo (denominazione ispirata alla Salita di Monte Cavallo su cui è posizionata), a Medioevo inoltrato – si presume intorno al XVI secolo – prese l’attuale nome, da collegarsi ovviamente al colle del Quirinale. Fu Papa Giulio II a volere le sue prime modifiche e il suo ampliamento, fattori che determinarono diversi mutamenti logistici legati alla viabilità e all’edilizia adiacente; il luogo dove sorge attualmente, Via Ventiquattro Maggio (a due passi da Piazza Venezia), fu infatti interessato da scavi e costruzioni ex novo per permetterne l’estensione e la costruzione di un convento annesso.

Lo stesso fu donato all’ordine dei Domenicani, che ne fecero un centro di ascetismo e raccoglimento, oltre che di culto nel senso semantico del termine.
I grandi cambiamenti ai quali fu soggetta l’Italia in età moderna e contemporanea ebbero per protagonista anche San Silvestro al Quirinale: a seguito dell’occupazione napoleonica, malgrado le interdizioni imposte dalla repubblica, dal laicato e dai nuovi quadri governativi, una parte del complesso riuscì non solo a mantenere le sue antiche prerogative in nome della libertà di culto tanto sventolata dai francesi, ma rivestì anche un ruolo di ricovero per giovani orfanelli, anziani e nullatenenti; ricovero gestito e diretto con pochissimi mezzi dal popolare artigiano e benefattore Giovanni Borgi (più noto come “Tatagiovanni”). Personaggio burbero ma dal cuore d’oro (era tra l’altro notoriamente analfabeta), Borgi riuscì a organizzare in loco anche diverse attività istruttive e di manovalanza che potessero consentire ai ragazzi di trovare successivamente un’occupazione o di proseguire i loro studi. Per i tempi che correvano (a dimostrazione per l’ennesima volta del ruolo centrale svolto dalla Chiesa cattolica nel corso dei secoli), quel centro polifunzionale rappresentò un sito di straordinaria importanza.

La chiesa divenne ancora operativa nel 1815, periodo di Restaurazione, ma solo per pochi decenni. Nel 1870, infatti, dopo l’entrata a Roma dei Piemontesi, fu requisita e trasformata in caserma militare con uffici acclusi. Trattasi del periodo in cui San Silvestro subì le modifiche più radicali : vennero abbattute due cappelle e l’intera facciata, mentre la pavimentazione – compresa l’attuale Via Ventiquattro Maggio – fu abbassata di diversi metri per consentire l’apertura di nuovi varchi e la trasformazione della rete stradale dell’intero isolato. Nel 1877, benché profondamente cambiata ancorché ridotta nelle sue dimensioni, la bellissima chiesa riprese le sue funzioni originarie, mantenendo alcune caratteristiche estetiche tardo-rinascimentali (su tutte i vecchi stucchi, il cinquecentesco soffitto ligneo a cassettoni e la cappella Bandini) e riacquistando le sue prerogative di edificio religioso. Oggi, anno 2019, l’edificio è visitabile solo su appuntamento.

Genio & impresa – Leonardo e Ludovico ieri e oggi

In occasione delle celebrazioni per i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e delle iniziative organizzate nell’ambito del progetto “Leonardo in Lombardia”, Regione Lombardia realizza e promuove una serie di eventi con l’obiettivo di raccontare e valorizzare la figura e le opere del genio nel territorio regionale.

In particolare, presso lo Spazio Espositivo di Palazzo Lombardia la mostra “Genio & Impresa – Leonardo e Ludovico ieri e oggi”.

L’esposizione ha l’obiettivo di celebrare la straordinaria capacità del territorio di creare innovazione; si tratta di una mostra multimediale ed immersiva che racconta diverse storie d’impesa, selezionate in base ad una ricerca commissionata da Assolombarda al Politecnico, ispirate al rapporto tra Leonardo da Vinci e Ludovico il Moro. Partendo quindi da questo sodalizio, la mostra arriva fino ai giorni nostri, descrivendo le storie di “geni” e imprenditori contemporanei.

All’esposizione è collegata una caccia al tesoro alla scoperta dei luoghi leonardeschi, che si svolgerà il 13 settembre 2019, che coinvolgerà oltre 1.000 persone divise in squadre di 10-15 elementi e che vedrà Palazzo Lombardia e Palazzo Pirelli tra i luoghi protagonisti.

La sfida al rischio idrogeologico si gioca sulla prevenzione

In provincia di Belluno verranno collocate due stazioni di sensori in grado di monitorare le precipitazioni intense che innescano il fenomeno di dissesto e l’avanzamento dei detriti verso l’area abitata. Il Comune di Vodo di Cadore, nel bellunese, è spesso interessato da colate detritiche innescate da precipitazioni particolarmente intense che tendono a ripetersi con sempre maggiore frequenza, soprattutto nel periodo estivo. Propagandosi lungo il torrente i flussi detritici molto rapidi giungono ad interessare il fondovalle fino alla confluenza con il torrente Boite in prossimità del quale sono ubicati altri centri abitati. Ed è agendo in termini di prevenzione e di messa in sicurezza del territorio che gli Uffici della Regione Veneto “hanno realizzato nel tempo e continuano a programmare opere per la difesa idrogeologica lungo il tratto terminale del corso d’acqua – ha detto l’assessore alla Difesa del suolo, Gianpaolo Bottacin -. Tra queste opere in particolare una grande briglia filtrante a monte dell’abitato, che ha già consentito di frenare alcuni recenti importanti eventi di colata, riuscendo a trattenere gran parte del materiale detritico rimobilizzato dalle frane”. “Per integrare e coadiuvare le opere strutturali di mitigazione del rischio a cui è soggetto l’abitato di Peaio  – ha aggiunto –  questa settimana abbiamo avviato i lavori per la realizzazione di un sistema di monitoraggio ed allarme, intervento per il quale avevamo impegnato 240.000 euro”. “Il sistema di monitoraggio, per il cui progetto definitivo ci eravamo avvalsi anche del nostro braccio operativo rappresentato da Arpav – ha precisato l’assessore –  prevede l’installazione, in corrispondenza di due distinte stazioni, di sensori in grado di monitorare le precipitazioni intense che innescano il fenomeno di dissesto e l’avanzamento verso l’area abitata della colata detritica innescata lungo il corso d’acqua”.

Un’infrastruttura che consentirà il monitoraggio delle precipitazioni intense, verrà collocata a quota 2.140 metri, nell’area di alimentazione delle colate detritiche e sarà costituita principalmente da due pluviometri. Una seconda stazione è invece prevista in corrispondenza della briglia filtrante a quota di 905 metri, oltre che nell’abitato di Peaio e lungo le diverse vie di comunicazione. Il progetto comprenderà sensori in grado di segnalare il passaggio della colata, costituiti da cavi a strappo, posti trasversalmente al corso d’acqua a monte, in corrispondenza e a valle della briglia filtrante. Sempre in riferimento a questa stazione vi saranno un impianto d’illuminazione dotato di 3 fari a Led, i software di raccolta dati, elaborazione del segnale di allarme e gestione del sistema, nonchè gli impianti semaforici sulle viabilità comunali, i cartelli informativi e l’impianto di diffusione del segnale di allarme (sirene, lampeggianti e sistema di invio della messaggistica di allertamento). A regime si avrà quindi un sistema di monitoraggio che rappresenta un importante passo per aumentare ulteriormente la sicurezza del territorio  – ha conclude Bottacin – e che sarà in grado di indirizzare i dati anche al Centro funzionale decentrato della Regione, divenendo altresì di  estremo supporto per il Comune e in particolare per il sindaco nell’organizzare le diverse attività di protezione civile”.

Lo zucchero nelle bevande può far salire il rischio di tumore

Uno studio pubblicato dal ‘Bmj’ mette in luce una possibile associazione tra un maggiore consumo di bevande zuccherate e un aumento del rischio di ammalarsi di tumore. I risultati si aggiungono al crescente numero di evidenze che indicano come limitare il consumo di bevande zuccherate potrebbe contribuire a ridurre i casi di cancro.

A firmare lo studio il team di Mathilde Touvier, del Sorbonne Paris Cité Epidemiology and Statistics Research Center (Cress).

Il gruppo ha esaminato i dati relativi a 101.257 adulti francesi sani (21% uomini, 79% donne) con un’età media di 42 anni al momento dell’inclusione nello studio NutriNet-Santé. I partecipanti hanno completato almeno due questionari dietetici online, progettati per misurare l’assunzione abituale di 3.300 diversi alimenti e bevande, e sono stati seguiti per un massimo di 9 anni (2009-2018).

I risultati mostrano che un aumento di 100 ml al giorno nel consumo di bevande zuccherate sarebbe associato a un aumento del 18% del rischio di cancro (con un +22% per il tumore al seno). Quando il gruppo di bevande zuccherate è stato diviso fra succhi di frutta e altre bibite, il consumo di entrambi i tipi di drink è risultato associato ad un maggior rischio di cancro.

Senza tregua

È indubbio che una parte della giornata vorremmo trascorrerla quietamente. Infatti, la notte, almeno per chi, come me, non ha più una età verde, è stata creata per mettere a tacere tutti gli affanni del giorno. Vale a dire concedersi un meritato riposo.

Se questo vale per la nostra esistenza, possiamo dire che dovrebbe essere un modello valido per le altre realtà di umana natura. Così anche quando si lavora, dovessimo sempre consumare il tempo in affanno, sarebbe un lavoro sicuramente improduttivo. È sempre utile mettersi in attività anche con una buona dose di tranquillità.

Per semplice traslazione, possiamo utilizzare lo stesso schema nella dimensione pubblica-politica. Se ci mettiamo a leggere un giornale o a seguire un telegiornale, dopo un inevitabile forte scroscio di aspetti negativi, ci attenderemmo anche una buona dose di notizie favorevoli. È questione di equilibrio e di armonia delle parti, per tener desto e il tasto delle preoccupazioni, e le corde della piacevolezza.

Purtroppo non è così, in questi tempi non è cosi. Sul piano politico si rovesciano addosso solo notizie negative. Sì, è vero, di tanto in tanto fugge anche qualche aspetto leggero, ma, inevitabilmente, viene subito fagocitato nelle spire dell’oscurità.

Non soffermiamoci sulle nuove disgrazie che sembrano giungere da Mosca. Non ho elementi tali da fare commenti oltre a quel che già si legge. In ogni caso, è una nuova tegola che, pur capitando sulla testa di Salvini, ricade anche sull’intero Paese. Non è sicuramente una piacevole notizia.

A rincarare le dosi in questo ingeneroso periodo, ci si mettono pure le agenzie che rilevano faticosi stratagemmi per gestire la pesante situazione dell’Ilva di Taranto e, non ultima, l’affannosa condizione del percorso di Alitalia.

In questo marasma, va pure sottolineato che le sintonie governative hanno ieri ricevuto un’ulteriore battuta d’arresto: il provvedimento sulle autonomie regionali sembra essere in una situazione che si avviterà via via sempre più su se stessa, senza vedere né a breve né a lungo termine un traguardo da raggiungere.

Notizie non più riservate, indicano ormai anche un possibile divorzio all’interno del partito di opposizione: voci ormai ricorrenti informano che Renzi e i suoi accoliti stiano preparando i propri bagagli.

Non vive senz’altro un miglior destino l’equipaggio che soggiorna sul vascello capitanato ancora da Silvio Berlusconi.

Ditemi voi, in tutto ciò, qual è l’angolo di riposo spirituale che spetterebbe anche alla sfera politica? Siamo purtroppo sotto l’egida di un andamento guerresco che non vede in alcun modo approssimarsi anche un degno riposo del pensiero.

L’uomo non vive di solo pane ma anche di parola.

Una delle più belle definizioni di uomo ce la offre Emmanuel Mounier: “Il luogo dove l’essere si fa parola”.  La specificità umana connessa alla possibilità della comunicazione verbale è preclusa a qualsiasi altro essere vivente con peculiare riferimento al fatto che il linguaggio umano, diversamente dal modo di intendersi degli animali, è in continua evoluzione ed è dotato di insondabili ricchezze di creatività.

Un dono così grande esige la custodia più accorta, la vigilanza più ininterrotta. Di solito i grandi cambiamenti storici sono accompagnati, e spesso addirittura preceduti, da un cambiamento del linguaggio. Una buona educazione linguistica può essere il volano del cambiamento di una società. Al buon padrone del proprio linguaggio si possono attribuire le virtù che Machiavelli assegnava al principe: la forza e l’astuzia.

La forza, intesa come controllo pieno dei propri mezzi espressivi e capacità di porre argine alle degenerazioni, è fondamentale: chi sa disporre delle parole e ha la forza di sottometterle al filtro dell’intelligenza, è in grado di intavolare una conversazione che sappia dire la realtà nella sua complessa struttura senza cedere all’approssimazione.

Ma altrettanto importante è l’astuzia, che è diversa dalla furbizia: il furbo fa leva sulle debolezze dell’altro e “ruba” (“fur” in latino significa ladro), saccheggia senza costruire; l’astuto, invece, comprende anticipatamente non solo le conseguenze di quello che dice, ma anche le conseguenze delle conseguenze. Ciò che è detto, una volta detto, non torna più indietro e le parole sono pietre. Non è vero che siamo responsabili solo di quello che diciamo e non di quello che gli altri capiscono: se sappiamo usare il linguaggio con forza e astuzia, diventiamo capaci di vincolare il nostro dire a un’unica interpretazione, quella che noi intendiamo proporre all’intelocutore.

In tempi in cui il linguaggio è usato in maniera sempre più leggera e spesso si carica di un portato di odio tanto gratuito quanto inconsapevole, il cambiamento può iniziare dall’uso di un buon linguaggio. Bisogna, inoltre, considerare che la parola si ammanta di particolari connotazioni a seconda che sia pronunziata con un certo tono di voce piuttosto che con un altro, sorridendo oppure con espressione arcigna, con il volto di chi sa che la comunicazione finirà quando egli avrà finito di parlare o con l’occhio di chi dà l’impressione di essere desideroso di ascoltare la risposta per arrivare insieme alla verità perché la comunicazione è dialogica e il dialogo è reciprocamente maieutico.

Usare un linguaggio sempre negativo è indice di scarso spirito di osservazione. Per quanto tu sia stato deluso dalla vita, le cose positive saranno sempre di più di quelle negative. Camus, ne “La peste”, scriveva che “nell’uomo ci sono più cose da ammirare che non da disprezzare”. Se stai respirando, significa già che non sei morto ed è un valido motivo per ringraziare. Se conti, tra le tue conoscenze, le persone buone rispetto a quelle “cattive”, le prime saranno di più. La quantità di generosità ricevuta è sempre maggiore rispetto all’ingratitudine. “Non finirò mai di stupirmi della cattiveria della gente”: perché, invece, non ti stupisci della bontà, che è anche più difficile da vivere e le cose più difficili danno maggiore soddisfazione? Volgi il tuo occhio al bene invece che al male e allena una selettività della memoria.

Sul monte del Purgatorio, nel paradiso terrestre, Dante fa bagnare le anime purificate nelle acque del Letè, il fiume della dimenticanza del male, e nell’Eunoè, il fiume del ricordo del bene. Gli altri vanno aiutati in questa opera, a porsi di fronte alle cose in modo costruttivo: se torni dal lavoro stanco non è perché questo lavoro ti distrugge, bensì perché hai fatto tante cose belle e utili agli altri.

È assolutamente sconsigliabile considerare sempre gli altri l’origine delle frizioni nelle nostre relazioni. È significativo il caso di una classe scolastica: con l’insegnante X regna la confusione e il disordine, con l’insegnante Y la disciplina e la diligenza. Eppure i ragazzi sono gli stessi. Cosa cambia? Chi dà il tono spirituale al dialogo. Le relazioni, infatti, sono sempre asimmetriche: vi sarà uno che si trova a un grado di maturità spirituale più alto dell’altro.

La persona più matura, intelligente da capire la sua superiorità ma umile da accettare di metterla al servizio dell’altro, deve incaricarsi di strutturare la relazione perché sia significativa per la vita e non si riduca a scontro frontale.
Il linguaggio deve essere chiaro, sintetico, rispettoso della complessità delle cose e  mai involuto. Le parole devono essere ricercate perché solo nelle sfumature si riesce a essere precisi. Insegnare una nuova parola a qualcuno è un’opera di misericordio: lo si sta rendendo maggiormente padrone delle cose. Non bisogna abbassare il livello con chi è culturalmente meno dotato: bisogna alzarlo, dandogli la possibilità di seguire il discorso. Naturalmente tutto con senso della realtà e della misura.

Se tua nonna ha ottant’anni e non parla che in brianzolo, evita di comunicare con lei come un erudito accademico della Crusca: preferisci essere sapiente e rivolgiti a lei in dialetto. Ma se il tuo fratellino a quattro anni non sa cosa significhi bistecca, non abbassarti al suo livello chiamandola ciccia, ma insegnagli un’altra parola. Si rapporti l’esempio alle diverse occasioni di vita e si veda che non è così scontato come appare.
Se si può dire una cosa in tre parole, non se ne usino quattro. Se proprio si ha fiato da sprecare, lo si usi per atti di “bontà linguistica”, che possono mettere capo a una vera rivoluzione, la “rivoluzione della tenerezza” di cui parla il Papa.

Tenerezza è il contrario di arrendevolezza o dolcezza melensa: è una mano tesa all’altro perché sia abilitato a leggere la realtà è a dirla nella sua componente ontologicamente positiva. Il linguaggio, quando è corretto ed espressivo di un pensiero attrezzato al buono e al vero, è automaticamente seminatore di bontà; altrimenti diventa portatore di calunnie e incomprensioni.
Visto che non siamo perfetti, avverrà che una volta decideremo deliberatamente di offendere la nostra compagna. Però anche qui occorre misura: mai parole pesanti, che possono scoprire equilibri fragili che è meglio lasciare coperti, mai tirare in ballo i suoceri; al massimo le si può dire che il risotto che ha cucinato ieri sera (questa settimana tocca a lei cucinare) faceva schifo. In questo caso, il più intelligente o semplicemente quello che ha trascorso una giornata migliore, lasci all’altro la libertà di sfogarsi e, lungi dal dimostrarsi offeso, sia lui stesso a ristabilire la comunicazione rimodulando appena possibile il linguaggio a una dolcezza maggiore anche dell’usuale.

È la missione che fu di Giovanni Battista: ricondurre “aspera per vias planas”, rendere scorrevoli i sentieri tortuosi, appianare i declivi, rischiarare, addolcire.
Ma tutto questo ha bisogno di allenamento: ringraziare per cose dovute, far presente all’altro che si è contenti di vederlo anche se l’incontro era scontato, salutare il portiere sorridendo o ringraziare il controllore per averci vidimato il biglietto sul tram, sono l’inizio di una piccola rivoluzione. Si finirà per capire che non è vero che i buoni sono sempre i grandi fregati, che a essere gentili ci si rimette sempre, che chi fa del bene finisce male. La tenerezza è contagiosa: gli altri vorranno imitarci e la relazione salirà di livello.
La performatività della parola buona renderà pazienti costruttori di una casa in cui quando si parla ci si capisce, ci si ascolta, ci si ama. E il mondo non è che una grande casa fatta di tanti piccoli rivoluzionari che hanno capito che l’uomo non vive di solo pane, ma anche di parola (oltre che di Parola).

Garavaglia: Insieme si può.

Sembra che siamo in tanti, distratti, che sporchiamo le strade, roviniamo la natura, in una parola ci sentiamo estranei a quanto ci appartiene, perché sì tutto quello che è pubblico è come fosse di nessuno e quindi non mi interessa: invece è di tutti e di ciascuno. È anche mio. È un bene comune che è mantenuto – e manotenuto – con le tasse dei cittadini (che le pagano). L’indifferenza – quando non anche il disprezzo – di tutto quanto è “nostro” si manifesta con una molteplicità di comportamenti: mozziconi per terra e altro, compreso lo sporco dei cani; muri imbrattati, carrozze metro e pullman danneggiate, suppellettili a scuola, panchine divelte nei parchi, ecc. sono anche miei quei beni pubblici! Che direste se venisse qualcuno in casa a sporcare e a sfasciare? Abbiamo città e borghi, paesaggi e architetture d’incanto e invece di essere orgogliosi, siamo spesso disfattisti. La bellezza salverà il mondo, ma non avviene per miracolo, bisogna coltivarla e educare a rispettarla e a crearla. A chi giova educare all’odio e alla indifferenza verso il prossimo più bisognoso? Siamo la culla della scienza e della poesia.

I Romani hanno ‘inventato’ gli acquedotti, le fognature, le terme e soprattutto il diritto! Il diritto romano ispira i codici di molte nazioni. L’orgoglio ci renderebbe interpreti di una comunità aperta, sicura, appassionata al proprio destino. In realtà ci sono cittadini volonterosi che riscattano gli ignavi e accidiosi. Ci sono quelli che si armano di ramazze e puliscono pezzi di città, le spiagge, il mare. Perché questi sì, e la maggioranza no? Perché c’è bisogno di cultura, di formazione e di informazione positivamente orientata; se i media devono inseguire le spacconate, divulgare un linguaggio sguaiato e violento della politica, non potrà divulgare mitezza, buona creanza, solidarietà e impegno civile. Un buon esempio di successo della coesione civile e della collaborazione fra Istituzioni, temporaneamente rappresentate fa forze politiche diverse, è stato il risultato, che ci ha entusiasmato, con l’assegnazione delle Olimpiadi invernali 2026.

Ma ho dovuto perfino sentirmi dire che sarebbe stato meglio di no, “perché chissà quante mazzette correranno“… mi viene da dire che chi pensa male, male fa. La corruzione è una mala pianta che ciascuno è incaricato di partecipare a sradicare. Si lascia corrompere chi non ha priorità morali e professionali nell’esercizio dei propri doveri. Anche in questo ambito bisogna educare, controllare, censurare con obiettività e non secondo pre-giudizi ideologici e di parte. Non si può affermare che sono tutti uguali. È, innanzitutto una ingiustizia, perché i cittadini non sono tutti evasori, tutti “furbetti”, tutti incapaci, ecc. Generalizzare significa concedere una amnistia a cominciare da sé: fanno tutti così. È un alibi drammatico per una serena convivenza civile. Si può certamente osservare che nonostante ci siano regole è facile aggirarle, soprattutto se mancano i controlli (e mancano!). Questi mesi ci hanno sciorinato una antologia delle incongruenze, frutto di disinformazione e di manipolazione. In politica – e non solo – senza il dialogo non si costruisce la forza propulsiva che faccia ottenere i risultati attesi, per gli obiettivi prefissati. Per esempio non si è vista la stessa “forza d’urto “della unione di tutte le istituzioni nazionali e locali per ottenere l’Agenzia Europea del Farmaco, a Milano. Un antico detto ci ricorda che l’unione fa la forza eppure i sovranisti vogliono convincere il popolo che è meglio fare da soli. Putin in questi giorni ha fatto capire come gli sarebbe utile non avere una Europa unita, per poter trattare in modo bilaterale, dove il più forte sarebbe lui…idem Trump.

Gli Stati Uniti d’Europa sarebbero una super potenza e come mai non piacciono ai nostri nazionalisti? Senza Europa gli Italiani non sarebbero primi a nessuno. Perciò urge recuperare il senso di realtà. Non è arrivata la “procedura per debito“ perché il Primo Ministro e il ministro Tria hanno mantenuto un fitto dialogo coi membri della Commissione Europea e perché uno dei Paesi Fondatori non può essere messo in mora. C’è un senso per tutto. Le regole sopranazionali sono una difesa per tutti, perché oggi tocca a me e domani a te. E dobbiamo tutti essere soddisfatti dell’esito e del miglioramento sia pure debole dei dati economici. Il Paese merita sostegno e affetto. La nostra piccola patria, in quella più grande europea, è la nostra casa: ereditata da chi ce l’ha costruita anche col sangue, e da consegnare ai nostri eredi. Soddisfazione anche per avere un Italiano al vertice del Parlamento europeo. E chi conosce la storia sa che la solidarietà tra Stati e popoli costruisce la sicurezza e sviluppo per tutti. Anche le singole forze politiche devono sentirsi investite delle stesse responsabilità. I parlamentari – rappresentano tutti (oppure sono “senza vincolo di mandato” solo quando serve?) per cui non salgono su una nave per protesta, ma si recano a dialogare col Ministro dell’Interno perché prima faccia sbarcare i naufraghi (secondo il diritto della navigazione) e poi seguano gli eventuali provvedimenti a carico della Capitana. In modo diverso si è solo aumentata la potenza propagandistica di chi utilizza il solo argomento migranti per imbonire gli elettori invece di attivare risposte concrete.

Agli argomenti propagandistici si risponde con proposte attuabili e non mistificatorie. Grave che il PD abbia smentito le scelte politiche del suo governo, senza aver avanzato un modello alternativo. È una stucchevole provocazione contrapporre Papa e Salvini (piani semantici abissalmente diversi). Quando sono in gioco diritti umani universali si devono difendere con la Politica – maiuscola- e cioè organizzazione, prevenzione, finanziamenti, cooperazione interna e internazionale con enti e associazioni che sanno fare il loro mestiere. Per quanto tempo ancora lasciare “una autostrada elettorale “e non governare un fenomeno planetario con presenza, impegni nelle sedi preposte? Il PD si svegli. Serve nel sistema democratico una attrezzata opposizione. Come pensa di essere votato se non sono noti i programmi? È ora che gli Italiani sentano illustrata con chiarezza argomentativa e operativa la visione politica, la quale deve essere ammantata di verità e non di inutile politichese. Se gli Italiani scelgono – purtroppo – gli imbonitori non hanno colpa: semmai è nostra che non abbiamo dimostrato di capire le loro esigenze. Per sottrarli ai dispensatori di paura e depressione riguardo al futuro offriamo dialogo, presenza, sincerità, trasparenza, spiegando spiegando e ancora spiegando il da farsi e come e in quanto tempo farlo. Con quale personale politico, competente, riconoscibile e di qualsiasi età. Il giovanilismo passa e l’esperienza responsabile resta. Cosa succede ai nostri minorenni? I giornali non possono fare a meno di segnalare le violenze di baby gang verso anziani, immigrati, loro coetanei, vetrine, ecc. se messaggi e comportamenti di adulti e perfino di politici sono iniettati di odio… gli esempi vengono dall’alto (una volta si diceva). Toccherà a loro fra qualche anno assumere ruoli dirigenziali, con quale cultura? Intanto 600.000 giovani hanno lasciato il nostro Paese; se ne sono andati dalla nostra casa comune perchè evidentemente nè confortevole nè amata. Ormai sembro una vecchia zia brontolona, ma non mi rassegno al lasciar perdere. Il dogma liberale “laisser faire” ci ha condotto qui.

Preferisco il motto di don Milani “I care”, mi tocca, è anche responsabilità mia: l’Italia, l’Europa sono casa mia. Non rinuncio a parlare ovunque vengo invitata, perché metto la mia faccia nello sventare le fake news. Senza la conoscenza della storia e delle regole della nostra convivenza democratica il popolo ‘beve’ qualsiasi cosa. Sono gravi peccati sociali l’accidia e l’ignavia. Del resto l’ignoranza di fatti e di persone non viene nemmeno avvertita da chi, non sapendo, non sa nemmeno quello che non conosce! Le maratone televisive nel riproporre notizie imprecise o parziali (perciò, secondo Papa Francesco, bugie) sollecitano reazioni pericolose. Penso che nessuno (che non ignori tutto!)
creda che una motovedetta della Guardia di Finanza sia una nave da guerra! Penso che chiunque sia in buona fede non può credere che la comandante Carola volesse speronare la nostra Guardia di Finanza, perché il giudice istruttore, che l’ha lasciata libera, aveva visionato video e fotografie.

E del resto nessuno un po’ avvertito può pensare che una motovedetta sia una nave da guerra, perché perfino le navi della Marina Militare, quando sono nelle nostre acque territoriali, non sono navi da guerra. Ci vorrebbe il genio poetico di Dante (a proposito: sono favorevole al Danteday) per collocarci in diversi gironi. Per la Nazionale di calcio femminile abbiamo ascoltato sia dalla CT che dalle atlete un parlare educato, sereno, tecnicamente appropriato e il pubblico si è appassionato a questo calcio, femminile ma sportivamente calcio! Questo stesso sport sugli spalti maschili può addirittura essere violento in slogan e… fisicamente. Abbiamo giovani e meno giovani che danno l’anima in attività volontarie di servizio alla società, in ambito sociale, culturale, ambientale e ci sono altrettanti – come li collocherebbe Dante? – che in “parole e opere” esprimono i sentimenti peggiori sia verso Carola, come contro la senatrice a vita Segre o, semplicemente, contro i passanti in strada. C’è bisogno di una grande operazione “retake” civile. I cittadini consapevoli, le famose élite, gli intellettuali, tutte le persone che ne hanno occasione e opportunità siano i primi a scendere in campo – o meglio, in strada – promuovendo iniziative volte a ridurre il degrado e partecipandovi in prima persona, modificando i propri comportamenti, segnalando ciò che non va alle istituzioni competenti, acquisendo un maggiore senso di solidarietà civica. Educare e sviluppare un comune senso di appartenenza sono le chiavi per accendere il motore del cambiamento. Per ora il ‘Governo del cambiamento‘ sembra non abbia l’obbiettivo di coltivare una cittadinanza italiana e europea ancorata alla tradizione di civiltà, che abbiamo cooperato a realizzare. È una sfida ambiziosa, degna del nostro passato, che dobbiamo fare il possibile per vincere.

El Pais: “L’Italia sta liberalizzando la xenofobia. Il prossimo passo sarà, con ogni probabilità, la liberalizzazione del razzismo”

Con un editoriale pubblicato da “El Pais” (il più venduto quotidiano spagnolo) il noto scrittore e giornalista Thomas Leoncini, autore dei due bestseller internazionali “Nati liquidi” (scritto con Zygmunt Bauman e pubblicato in 14 lingue) e “Dio è giovane” (scritto con Papa Francesco e pubblicato in oltre 100 Paesi nel mondo), ha raccontato “i giovani frustrati”.

“Nel mondo quasi 1,8 miliardi di persone hanno tra i 15 e i 30 anni, ma ogni anno la percentuale di frustrati aumenta, poiché questa è di fatto la fascia d’età ormai globalizzata considerata superflua per tutto, fuorchè per la capacità e la rapidità del consumo” scrive Leoncini.

Che aggiunge: “In Italia un antidoto alla frustrazione ha cercato di darlo il ministro dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini, accorgendosi quanto sia efficace creare valvole di sfogo per allentare la tensione. È grazie all’esaltazione dell’odio da sfogare qui e ora verso un bersaglio abbordabile e che non può difendersi, che l’Italia sta liberalizzando la xenofobia. Il passo successivo sarà probabilmente la liberalizzazione del razzismo. Com’è possibile pensare solo all’utile immediato quando in gioco ci sono le vite delle persone? Com’è possibile in un mondo globalizzato parlare ancora di xenofobia e razzismo?”

Di seguito il link alla versione digitale dell’articolo:

https://elpais.com/elpais/2019/07/08/opinion/1562583715_679075.html

Dossier sui minorenni stranieri non accompagnati nei centri di accoglienza

Quali sono i rischi, le vulnerabilità, i sogni e i bisogni dei minori stranieri non accompagnati (Msna) ospiti dei centri di prima e seconda accoglienza in Italia? La risposta arriva dal rapporto L’ascolto e la partecipazione dei minori stranieri non accompagnati in Italia frutto di un lavoro congiunto dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (AGIA) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Il dossier è stato presentato oggi al Museo dell’Ara Pacis a Roma dalla Garante Filomena Albano e dalla Portavoce UNHCR per il Sud Europa Carlotta Sami.

Ventidue le strutture visitate in 11 regioni per un totale di 203 minorenni coinvolti (età media 17 anni) di 21 nazionalità diverse. Nell’ambito delle visite sono stati realizzati focus group e attività di partecipazione e ascolto. Al termine sono state adottate dall’Autorità garante raccomandazioni che rappresentano la sintesi e la voce dei ragazzi che hanno preso parte all’attività.

Tra le problematiche più segnalate, nell’80% dei centri vitati sono state rilevate diffuse e sostanziali carenze nelle informazioni e nelle attività di orientamento destinate ai ragazzi. Nel 53% è stata denunciata la mancanza di attività di socializzazione e nel 47% dei casi è risultato che la permanenza nei centri di prima accoglienza o emergenziali si è protratta ben oltre i 30 giorni massimi fissati dalla legge. I gestori dei centri hanno lamentato tempi lunghi per la nomina dei tutori. Insieme ai ragazzi hanno inoltre segnalato l’impossibilità di far giocare i giovani in squadre di calcio iscritte alla Figc, poiché per il tesseramento è richiesta la firma di autorizzazione da parte di un genitore.

L’80% dei minorenni coinvolti poi nelle attività di partecipazione ha chiesto approfondimenti e chiarimenti sulla procedura di richiesta di protezione internazionale e il 60% li ha chiesti sul funzionamento della Commissione territoriale, competente sulla valutazione delle richieste. Il 70% ha dichiarato di aver percepito ostilità o pregiudizi, mentre il 50% ha manifestato l’esigenza di condividere tempo e spazi con i coetanei italiani. Il 40% ha dichiarato di non essersi sentito coinvolto nelle scelte al proprio percorso legale in Italia.

Triestte: Neanderthal, nostro fratello: origine, vita, nuove scoperte

La conferenza, con proiezione e visita alla sala dell’evoluzione dell’uomo, spiegherà la storia dei neanderthal, dalla loro scoperta, nel 1856 nella valle di Neander, in Germania fino ai giorni nostri. Quando furono scoperti i primi resti, si pensava appartenessero ad un individuo patologico. Fu William King, professore di geologia, a capire che il fosse era una nuova specie, che chiamò Homo neanderthalensis.

Era il 1864, anno dl’inizio della paleoantropologia, scienza che studia i fossili dell’uomo e degli altri ominidi. Da allora è stato scoperto molto su questa popolazione e sulle sue abitudini: che aspetto aveva, cosa mangiava, qual era la sua organizzazione sociale.

Oggi le scoperte sui neanderthal continuano a susseguirsi, grazie a nuove tecniche di studio, alla genetica, all’applicazione di modelli digitali che permettono di effettuare analisi virtuali non invasive.

Firmato il decreto FER1: sosterrà la produzione di energia da fonti rinnovabili

Il decreto FER1,  ha l’obiettivo di sostenere la produzione di energia da fonti rinnovabili per il raggiungimento dei target europei al 2030 definiti nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), attraverso la definizione di incentivi e procedure indirizzati a promuovere l’efficacia, l’efficienza e la sostenibilità, sia in termini ambientali che economici, del settore.

Il provvedimento, in particolare, incentiva la diffusione di impianti fotovoltaici, eolici, idroelettrici e a gas di depurazione. “Un grande lavoro di squadra dei due ministeri, ambiente e sviluppo economico, che darà impulso alla produzione di energia rinnovabile, creando migliaia di nuovi posti di lavoro – ha dichiarato Di Maio – e puntando alla attuazione della transizione energetica, in un’ottica di decarbonizzazione”.

Dopo aver ottenuto il via libera della Commissione europea, il Decreto FER1 è stato inviato per la registrazione alla Corte dei Conti prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Diminuisce l’aspettativa di vita degli italiani

Gli Italiani mantengono sempre l’alta classifica per l’aspettativa di vita rispetto ai 36 paesi Ocse, ma se fino al 2008-2009 erano terzi dopo Giappone e Svizzera, negli ultimi anni sono stabili al quarto posto, con una leggera diminuzione del risultato che passa, mediamente, dagli 83,3 anni alla nascita del 2016 agli 83 negli anni successivi e in classifica è sempre primo il Giappone con 84,2 anni, seguito dalla Svizzera (83,6) e dalla Spagna (83,4).

Si tratta comunque di risultati eccellenti se si guarda in fondo alla classifica, chiusa dai 74,8 anni della Lettonia (quasi 10 anni di meno) e comunque con una media Ocse di 80,7 anni di speranza di vita alla nascita.

Il genere in questo caso fa la differenza: le donne hanno infatti una speranza di vita di 85,2 anni, mentre gli uomini si fermano a 80,8.

Per quanto riguarda invece la mortalità infantile, il dato medio Ocse è di 3,78 decessi per 1.000 nati vivi, ma l’Italia va meglio e con Spagna e Portogallo si ferma a 2,7 decessi, settimo posto dopo i 2 di Giappone e Finlandia, 2,1 della Slovenia, 2,3 di Norvegia ed Estonia e 2,4 della Svezia.

La classifica sul versante opposto è molto diversa e l’ultima in classifica è il Messico dove di decessi ogni 1.000 nati vivi se ne contano 12,3, seguito dalla Turchia con 9,2, dal Cile con 7 e poi troviamo gli Stati Uniti con 5,8 decessi e il Canada con 4,5, sempre ogni 1.000 nati vivi.

Prima i cavalli italiani

Strano Paese il nostro. E strano il tempo che ci tocca vivere, a proposito della “scala dei valori” di antica memoria.

Pare che il Parlamento si appresti a votare una Legge per vietare le “botticelle” trainate dai cavalli, che  – si dice – soffrono troppo nel torrido caldo della capitale.
Non è dato di sapere se l’azione riformatrice dei Legislatori arriverà anche a stabilire orari e condizioni climatiche minime per l’attività degli equini per traeking e così via.

Nel contempo, apprendiamo che il Parlamento si appresta a votare ulteriori norme contro l’attività delle ONG operanti nel Mediterraneo a salvaguardia della vita dei profughi in fuga dalla disperazione.

Domanda: queste ulteriori norme prevederanno almeno che le condizioni “inumane” di caldo torrido invocate per i cavalli delle “botticelle” romane vengano prese in considerazione anche per gli uomini, le donne e i bambini soccorsi in mare sui barconi? Temo di no. “Prima i cavalli italiani”, immagino…..

Corso di Alti Studi sul Mediterraneo

La diplomazia culturale è una tipologia di diplomazia pubblica che include lo scambio di idee, l’informazione, le arti, le lingue e altri aspetti della cultura tra nazioni e popoli per una mutua comprensione, in quel difficile terreno che è la pace”(Mary Niles Maack, University of California)

L’Istituto Internazionale Jacques Maritain, associazione culturale no profit con sede a Roma, e l’Università degli Studi della Basilicata organizzano la terza edizione del Corso annuale di Alti Studi sul Mediterraneo sul tema della pace nel Mediterraneo nell’ambito delle attività della “Cattedra Jacques Maritain” su “Pace e dialogo tra le culture e le religioni del Mediterraneo” istituita al fine di svolgere programmi di ricerca scientifica e di formazione volti a favorire la comprensione e il dialogo tra le culture e le religioni dei Paesi che si affacciano sul “Mare Nostrum”. Le attività della Cattedra comprendono, oltre al Corso di Alti Studi sul Mediterraneo, incontri di intellettuali e professionisti delle due sponde del Mediterraneo; seminari di formazione per studenti universitari e post-universitari, la International Summer School for Peace, iniziativa di formazione annuale; le pubblicazioni. Sede della Cattedra è la città di Matera (sede dell’Università della Basilicata), dichiarata dall’Unesco Patrimonio Mondiale dell’Umanità e proclamata dall’Unione Europea Capitale europea della cultura per il 2019.

Il Corso di Alti Studi Mediterranei, inaugurato nel luglio 2017 a Matera, alla presenza del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, dopo la II Edizione 2018 sul tema L’impegno per la pace degli scrittori e degli artisti del Mediterraneo, nel 2019 organizzerà la sua III Edizione con il patrocinio del Ministero italiano per i Beni e le Attività Culturali e nell’ambito della “Cattedra UNESCO” dell’Istituto Internazionale Jacques Maritain su “Pace, Sviluppo culturale e Politiche culturali”, dal 15 al 20 luglio. L’attenzione quest’anno è rivolta alle sinergie tra mondo della cultura e mondo della diplomazia ed il tema prescelto è Cultura e Diplomazia per la pace nel Mediterraneo. L’inaugurazione e le attività didattiche si svolgeranno a Matera. Il Corso sarà quindi aperto agli attori del mondo della diplomazia che operano nel campo della cultura, a docenti interessati alle tematiche proposte, a laureati e a dottorandi di ricerca dei Paesi Mediterranei. Il Corso intende così essere un’occasione
di formazione, di incontro e di dialogo favorendo la conoscenza reciproca tra i partecipanti e l’esperienza di vivere alcuni giorni insieme.

Il Corso trae ispirazione anche dai Circoli di intellettuali, organizzati da Jacques e Raïssa Maritain prima nella loro casa di Meudon (Parigi), quindi nel castello di Kolbsheim in Alsazia, a New York e infine a Princeton negli Stati Uniti. Come la casa del filosofo era un luogo aperto agli intellettuali per vivere in amicizia alla ricerca della bellezza e della verità, così nella stessa prospettiva il Corso vuole essere un punto di incontro tra giovani dei vari Paesi mediterranei, per favorire la relazionalità tra persone di diversa provenienza geografica, storica, religiosa, di lingua e di tradizioni. Una concentrazione di giovani intellettuali che potrebbe favorire una maggiore comprensione delle vicende che caratterizzano drammaticamente il Mare Nostrum.
Il Corso intende dunque richiamare l’attenzione in particolare sulle responsabilità della diplomazia culturale, per contribuire a costruire un mondo migliore. Essa accompagna, infatti, la persona alla “buona politica” mediante il dialogo autentico con le diverse culture. La diplomazia culturale, in ogni sua forma, e ad ogni latitudine, può essere apportatrice di valori e costruttrice di una cultura di pace, promuovendo un’integrazione autentica tra le persone.

La diplomazia culturale, inoltre, può divenire conoscenza capace di produrre legami di amicizia e fratellanza, nel rispetto della dignità della persona, dei valori umani, spirituali e culturali, contribuendo così a cambiare la mentalità delle nuove generazioni, rendendo concreto il “ben vivere” quale frutto della solidarietà e della responsabilità verso l’Altro.
In una prospettiva di inclusione e amicizia vicendevole, gli operatori di “Cultural Diplomacy” potranno cooperare così a edificare ponti per la pace. Ad essi è rivolto il compito di creare lo “stile della pace”, di attivare una diplomazia della cultura, che tenda a superare i conflitti e si impegni affinché i doveri di solidarietà, di giustizia sociale e di fraternità universale, nell’interpretazione particolare di ogni cultura, diventino diritti umani universali.
Nell’insieme il Corso intende dunque offrire una visione della cultura che unisca le due sponde del Mediterraneo attraverso gli strumenti propri degli operatori di “Cultural Diplomacy”.

Industria: Istat, la produzione è in calo dello -0,7% su base annua

A maggio 2019 si stima che l’indice destagionalizzato della produzione industriale aumenti dello 0,9% rispetto ad aprile. Nella media del trimestre marzo-maggio, il livello destagionalizzato della produzione diminuisce dello 0,1% rispetto al trimestre precedente.

L’indice destagionalizzato mensile mostra un aumento congiunturale sostenuto per i beni strumentali (+1,9%) e un più modesto incremento per i beni di consumo (+0,9%) e i beni intermedi (+0,6%), mentre diminuisce il comparto dell’energia (-2,1%).

Corretto per gli effetti di calendario, a maggio 2019 l’indice complessivo è diminuito in termini tendenziali dello 0,7% (i giorni lavorativi sono stati 22, come a maggio 2018).

Gli indici corretti per gli effetti di calendario registrano a maggio 2019 una moderata crescita tendenziale esclusivamente per i beni di consumo (+0,7%); al contrario, diminuzioni contraddistinguono i beni intermedi (-1,7%) e in misura più contenuta i beni strumentali (-0,8%) e l’energia (-0,5%).

I settori di attività economica che registrano variazioni tendenziali positive sono le industrie alimentari, bevande e tabacco e le altre industrie (+2,8% per entrambi i settori), la fabbricazione di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (+1,4%). Le flessioni più ampie si registrano nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-4,9%), nell’industria del legno, carta e stampa (-3,7%) e nella fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche, altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (-3,1%).

La Germania respinge la chiamata degli Stati Uniti a schierare truppe di terra in Siria

Il governo tedesco ha respinto la richiesta di Washington di schierare truppe di terra in Siria, affermando che una tale mossa non corrisponde alla strategia adottata dal paese per combattere il gruppo terroristico Daesh. “Le attuali misure di anti-Daesh della coalizione non includono truppe di terra”, ha detto il portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert.

Le truppe tedesche,secondo Washington, avrebbero potuto aiutare i loro alleati americani e fornire supporto tecnico alle forze curde per combattere i resti del gruppo terroristico Daesh.

L’inviato speciale, in particolare, aveva chiesto alla Germania di schierare i suoi addestratori militari, specialisti della logistica e tecnici per aiutare le forze democratiche siriane (SDF) guidate dai curdi. 

RC auto: usufruire della legge Bersani conviene soprattutto a Roma

Stipulare una polizza assicurativa auto usufruendo dei benefici della legge Bersani conviene soprattutto nella Capitale. Qui un diciottenne che si avvalga dello sconto riconosciuto a chi ha familiari o conviventi in prima classe di merito (secondo la formula bonus-malus) può arrivare a risparmiare fino a 2748 euro sull’assicurazione auto.

Lo rileva l’ultima indagine SosTariffe.it, che ha analizzato quanto convenga a un neo maggiorenne sottoscrivere una polizza assicurativa per il proprio veicolo con e senza i vantaggi attribuiti dalla legge Bersani, distinguendo tra residenti a Nord, Centro e Sud della Penisola.

RC auto: a Napoli è sempre un salasso, con e senza agevolazioni

Il costo medio nel capoluogo partenopeo va da un minimo di 1532 euro a un massimo di 3527 euro. Cifre esorbitanti se confrontate con le altre città d’Italia prese in esame: più del doppio di quanto necessario a Roma, ad esempio.

Nel caso di un automobilista che invece non possa avvalersi della legge Bersani, le cifre subiscono rincari, ma nel complesso non eccessivi. Il costo medio infatti, stimato sempre utilizzando i preventivi richiesti sul comparatore, va da un minimo di 2201 a un massimo 3527 euro.

Quindi il risparmio minimo che si può ottenere, avvalendosi della legge Bersani nel capoluogo campano è di 669 euro. Quello massimo, invece, sempre usufruendo delle agevolazioni previste per legge è di 1995 euro.

A Roma mai senza Bersani: prezzi polizze alle stelle per chi non gode delle agevolazioni

Nella Capitale il discorso cambia. Poter godere o meno dei benefici di legge modifica di molto la situazione. I costi medi sono decisamente più moderati rispetto alla Campania, e oscillano tra un minimo di 752 euro e un massimo di 1964 euro, nel caso di un giovane automobilista che possa avvalersi della legge Bersani.

Chi invece non può, risente di una vera stangata assicurativa. In questo caso infatti i costi medi oscillano da un minimo di 936 euro a un massimo di ben 3500 euro. Dunque il risparmio che si può ottenere va da un minimo di 184 euro fino a 2748 euro. Una bella differenza che pregiudica in modo significativo chi non può beneficiare della legge varata nel 2007.

RC auto: anche a Milano avvalersi della Bersani conviene

Nel capoluogo lombardo i prezzi sono grossomodo più bassi rispetto a tutte e tre le città considerate dallo studio. A Milano infatti, il costo medio della polizza RC auto per un diciottenne che si avvalga della legge Bersani, va da un minimo di 481 a un massimo di 1549 euro.

Un giovane che per il proprio acquisto non possa godere degli sconti sulle polizze, qui ne risente parecchio. In questo caso infatti il costo medio si aggira tra i 653 euro ei 3128. Dunque all’ombra della Madonnina è importante poter usufruire dei benefici di legge, quasi quanto a Roma. Anche questo caso la convenienza, rispetto a chi non può avvantaggiarsene, è notevole. Con risparmi che vanno da un minimo di 172 euro a un massimo di 2647 euro.

Mibac: 180 milioni per la tutela del patrimonio culturale italiano

Il nostro è uno dei Paesi più ricchi del mondo dal punto di vista delle risorse culturali e storico-artistiche. Parte da questa consapevolezza il programma biennale finanziato con le risorse derivanti dalla Legge n. 190 del 23 dicembre (Legge di stabilità 2015) commi 9 e 10, che comprende 595 interventi.

“Un’attenzione al patrimonio che necessita di interventi di tutela – ha detto il ministro Alberto Bonisoli – e che è frutto di un puntuale lavoro di ricognizione sui territori, attraverso il coinvolgimento di tutti gli istituti periferici del Ministero. Tra le priorità, il restauro dei beni culturali, in particolare quelli colpiti da calamità naturali; il recupero di aree paesaggistiche degradate, la prevenzione contro i rischi sistemici e ambientali, ma anche l’efficientamento energetico e il miglioramento dell’accessibilità, intesa come obiettivo per la partecipazione e l’inclusione sociale”.

Alcuni dei principali interventi riguardano, ad esempio: a Roma, sia il Monumento a Vittorio Emanuele II (3, 9 milioni di euro) sia la Crypta Balbi (3,5 milioni di euro); a Pisa, l’Acquedotto Mediceo di San Giuliano (3,2 milioni di euro); a Napoli, Castel Sant’Elmo e il Museo Archeologico Nazionale (ciascuno finanziato con 3 milioni di euro) e, a Bologna, l’ex Convento dell’Annunziata (2,1 milioni di euro). Il piano prevede inoltre oltre 17,6 milioni di euro per lavori urgenti e imprevisti, in particolare nel settore Archivi, nonchè la disponibilità di somme utili per il cofinanziamento dei progetti Art Bonus, ovvero quelli che hanno ottenuto il sostegno economico attraverso il mecenatismo di privati.

Creati due nuovi antibiotici super potenti

Assorted pills

Sono stati creati, partendo da una tossina batterica, due nuovi antibiotici super potenti e ritenuti efficaci anche contro infezioni multi-resistenti ad antibiotici oggi in uso. Inoltre non sembrano a loro volta in grado di indurre nuove resistenze farmacologiche quando usati su modelli animali. E’ il risultato raggiunto dall’equipe francese di Brice Felden dell’Institut national de la santè et de la recherche medicale (Inserm).

Questo lavoro parte dalla scoperta fatta dallo stesso gruppo di ricerca francese nel 2011.

Una tossina prodotta dallo Stafilococco aureus, il cui ruolo è facilitare al batterio patogeno l’infezione, è anche allo stesso tempo capace di uccidere altri batteri presenti nel nostro corpo. Quindi una molecola con una duplice proprietà, da una parte tossica e dall’altra antibiotica.

Il prossimo passo sarà lanciare una sperimentazione clinica di fase I su esseri umani

Ma la classe politica meridionale una macroregione del mediterraneo occidentale la vuole?

Una macroregione euro-mediterranea che coinvolgesse anche Algeria, Egitto, Libia, Tunisia non c’è dubbio che potrebbe gestire meglio di quanto non avvenga attualmente con questa sorta di ‘guerra fredda’ la questione dei flussi migratori verso l’Europa. Così come una macroregione del mezzogiorno d’Italia potrebbe essere la risposta seria e non isterica delle regioni del sud Italia al regionalismo differenziato di quelle del nord. Inoltre, sicuramente, una macroregione europea del mediterraneo occidentale avrebbe potuto evitare lo scempio di 380 milioni di fondi strutturali restituiti in questi giorni dalla Sicilia all’Unione Europea per gravi carenze nella gestione e nei controlli. Infine, una macroregione incentrata sul versante occidentale della penisola potrebbe costituire la spinta giusta per inserire strade e ferrovie nel sistema dell’interconnessione europea o per indirizzare le politiche energetiche verso l’utilizzo delle fonti rinnovabili.

Ecco quattro tematiche che da una strategia macroregionale potrebbero ricevere un impulso veramente decisivo per la soluzione dei non facili problemi che presentano. Solo che, per raggiungere un tale obbiettivo, è necessario rispettare due condizioni preliminari: 1) che si sappia che cosa è una strategia europea macroregionale; 2) che la si voglia costruire ed adottare veramente. Senza l’adempimento di entrambe queste condizioni, infatti, il pur meritorio movimento che in questi ultimi mesi si è sviluppato intorno a questa idea e nei giorni scorsi ha celebrato un ulteriore momento di riflessione nella prestigiosa “sala del cenacolo” della Camera dei deputati costituirà una pura esercitazione intellettuale non lontana dall’astrattezza che caratterizza la politica del nostro Paese in questa fase storica e quindi destinata a fallimento.

Dunque, è necessario innanzi tutto chiarire bene cosa sia una macroregione europea. Essa non è -come si potrebbe facilmente pensare- una istituzione di nuovo conio, una nuova struttura ‘moderna’, una organizzazione inedita, Insomma, essa non è un nuovo apparato o, peggio, una più complessa ‘costruzione’ politica. Con la conseguenza che chi pensa che si tratti di una nuova opportunità di posizionamento politico, di una migliore occupazione di snodi di potere per intercettare più facilmente flussi finanziari, di una maggiore possibilità per aiutare masse di clientes ha completamente sbagliato strada. Pensando di potere continuare a percorre quelle a trazione animale cui ormai ci si è riabituati, ad esempio, nella mia Sicilia. Ma la macroregione europea non è nulla di tutto ciò.

Essa invece è una strategia che si inserisce nell’ampio quadro delle politiche di coesione che -previste dall’Atto Unico Europeo del 1986 e riproposte dai Trattati di Maastricht, Amsterdam e Nizza- sono state rilanciate dal Trattato di Lisbona che, alle due iniziali dimensioni economica e sociale, ha aggiunto per la prima volta la prospettiva della “coesione territoriale”. Secondo l’art. 2 del Regolamento UE 1303/2013, infatti, per strategia macroregionale deve intendersi “un quadro integrato approvato dal Consiglio Europeo e sostenuto dai Fondi Strutturali e d’Investimento Europei (Fondi SIE) per affrontare sfide comuni connesse agli Stati membri e ai Paesi terzi situati nella stessa area geografica, che beneficiano così di una cooperazione rafforzata che contribuisce al conseguimento della coesione economica, sociale e territoriale”. In altri termini, ciò di cui trattasi è della costruzione di un sistema di gestione più efficiente delle risorse europee che possa realizzare, nell’area geografica interessata, forme di coordinamento degli interventi finanziati dai Fondi SIE. Il che significa che una strategia macroregionale deve prendere coscienza dell’esistenza di problematiche che riguardano aree geografiche non necessariamente coincidenti con quelle delimitate dai confini politico-amministrativi degli Stati membri ed anche dei territori limitrofi. In particolare, poi, ciascuna strategia macroregionale si sviluppa intorno a determinati obbiettivi tematici che vengono indicati con il termine pilastri e che, a loro volta, si articolano in aree prioritarie di intervento verso cui canalizzare i finanziamenti.

In conclusione, vi sono situazioni che richiedono forme di intervento pubblico nuove, capaci di favorire un approccio condiviso fra i soggetti (istituzionali e non) che già operano nell’area geografica individuata, al fine di razionalizzare l’utilizzo dei fondi europei e nazionali. Che, naturalmente, con l’adozione di una strategia macroregionale abbisognano di procedure innovative. Procedure che, però, non sono stabilite da alcuna normativa europea ed invece si devono ricavare dalla prassi che si è consolidata a seguito della costituzione delle prime quattro macroregioni: del Baltico, del Danubio, dell’Adriatico-Ionico, delle Alpi.

Seguendo, allora, l’iter percorso univocamente da tutte le cennate strategie macroregionale, il primo passo da compiere è la costruzione di un forte consenso tra le comunità territoriali per la definizione delle problematiche comuni e le conseguenti strategie da adottare per darvi risposta. Protagoniste di questo momento di promozione ed impulso sono (devono essere) le Regioni. Che, nel secondo passaggio, devono coinvolgere il governo nazionale naturalmente per mezzo del ministero degli esteri che, sotto il proprio coordinamento, organizza una cabina di regia per guidare tutta l’operazione. Il terzo momento è caratterizzato dalla elaborazione da parte del gruppo di lavoro della cabina di regia di due documenti: a) uno, di natura tecnica, circa gli obbiettivi e gli assi portanti della strategia macroregionale; b) l’altro, di natura politica, per l’attuazione della strategia dell’UE, sottoscritto dai rappresentanti del governo e dai presidenti delle Regioni. Sulla loro base, poi, un documento finale sarà presentato alle istituzioni comunitarie.
Esaurita questa fase che potremmo definire introduttiva, il procedimento di adozione di una strategia macroregionale si trasferisce presso le competenti sedi europee. E precisamente presso il consiglio europeo il quale, se valuta positivamente la proposta, formula una raccomandazione alla commissione europea al fine di porre in essere i passaggi istituzionali necessari alla concreta adozione della strategia. La commissione, dopo un accurato processo istruttorio, condotto prevalentemente per mezzo di consultazioni online, redige i due documenti su cui si fonderà poi la strategia macroregionale: a) la comunicazione e b) il piano d’azione, che vengono mandati al parlamento europeo, al comitato delle regioni ed al comitato economico e sociale europeo.

Infine, tutta la procedura viene sottoposta all’approvazione del consiglio europeo che ne sancisce la chiusura, così deliberando la nascita della strategia macroregionale e dando iniziò alla sua fase operativa di implementazione con l’avvio delle procedure di accesso ai Fondi SIE.
Detto questo e, quindi, delineata per sommi capi cosa sia una strategia europea macroregionale, è necessario capire ora se Regioni e Città metropolitane del mezzogiorno con l’avallo dello Stato -le uniche istituzioni che ne hanno la possibilità formale e sostanziale- vogliano veramente istituire quella del Mediterraneo occidentale. Perché, come è facile intuire, senza la loro ‘discesa in campo’ l’iniziativa non può partire ed ancora una volta soprattutto il sud resterebbe attardato rispetto al nord che ormai, nella sua maggioranza, aderisce alla macroregione adriatico-ionica o a quella alpina.

Anzi, al proposito, è da sottolineare che mentre gli altri corrono noi stiamo scelleratamente a baloccarci e, mentre la prospettiva macroregionale diventa sempre più ineludibile, nelle sedi istituzionali del sud una discussione seria non è neppure cominciata. Al punto tale che abbiamo dovuto registrare, nel convegno svoltosi giorni or sono alla “sala del cenacolo” della Camera dei Deputati, la partecipazione attiva di parlamentari lombardi e di altre regioni del centro-nord e soltanto la ‘visita’ di un senatore della Sicilia. Ora, una tale distrazione o, peggio, sottovalutazione da parte della politica meridionale di un tema come questo, decisivo per lo sviluppo socio-economico di tutta l’area mediterranea, non solo suscita preoccupazione ma anche rabbia per la perdita di opportunità che essa implica in materia di scelte che non solo appaiono strategiche ma per certi versi da ultima ancora di salvezza.

Sarebbe, allora, urgente che i vertici regionali e metropolitani battessero un colpo, rendendosi almeno disponibili ad organizzare un incontro nel corso del quale assumere finalmente con chiarezza una decisione in ordine a questa scelta.

Dorothy Day e Thomas Merton. Due persone due sogni

Tratto dall’edizione odierna dell’Osservatore Romano a firma di Caterina Ciriello 

Da diverso tempo si scrive con più interesse di Dorothy Day, fondatrice insieme a Peter Maurin del Catholic Worker e autentica testimone del pacifismo e della non-violenza. Profetessa criticata anche all’interno della stessa chiesa cattolica americana, con il suo pensiero — che molto ha del personalismo maritainiano — e con la sua testimonianza, ispira numerosi altri intellettuali tra i quali Thomas Merton, del quale lo scorso anno si sono celebrati i cinquant’anni della morte. Di lui — per il suo passato inquieto, girovago e senza radici — padre Simeon Leiva ha detto che è «rappresentativo dell’uomo del ventesimo secolo». Come scrive Robert Ellsberg nella prefazione di una delle lettere della Day a Merton, quest’ultimo, prima di entrare in monastero, aveva lavorato con Catherine de Hueck, una carissima amica di Dorothy, alla Friendship House di Harlem.

Thomas Merton e Dorothy Day si assomigliano molto nel percorso umano-spirituale. Merton rimase presto orfano della madre e poi del padre quando aveva solo sedici anni. Figlio di artisti, aveva un’anima estremamente sensibile, che volle coltivare con gli studi umanistici. Dopo una lunga e inquieta ricerca del trascendente, nel 1938 riceve il battesimo nella Chiesa cattolica: a quell’epoca era già nato il Catholic Worker, e Dorothy Day da dodici anni si era convertita al cattolicesimo dopo una lunga e faticosa lotta con se stessa e con Dio, convincendosi finalmente che solo la fede e la carità l’avrebbero aiutata a comprendere e attuare i piani di Dio per l’umanità. Anche lei a sedici anni aveva lasciato la sua casa, gli affetti, per vivere nei bassifondi di New York ed essere con gli operai, i dimenticati della società e le vittime dell’avidità umana.

Considerando le opere e gli scritti della Day viene da pensare che sia nata troppo presto, e di Merton che sia morto troppo presto. E indubbiamente i piani di Dio sono imperscrutabili e sorprendenti perché ambedue hanno lasciato un segno indelebile nella società e nella cultura del loro tempo, una magnifica eredità, oggi più apprezzata che mai: essi sono rivisitati e contemplati come persone ispirate dallo Spirito, autentici profeti che hanno lavorato instancabilmente per una società più giusta e un mondo in pace.

La pace è un grande dono dello Spirito: ma come fare perché essa tocchi il cuore di tutti e specialmente di coloro che hanno nelle loro mani le sorti del mondo? Questa è la domanda costante. E la Provvidenza ci ha regalato due esempi da imitare.

Quando negli anni Sessanta Dorothy Day e Thomas Merton si confrontavano, condividevano idee e riflessioni sul tema della pace e della non-violenza, si era sull’orlo di una crisi nucleare che avrebbe disintegrato il nostro pianeta. Nel febbraio del 1960 la Day scriveva sul «Catholic Worker»: «Nessuno è sicuro. Non siamo più protetti dagli oceani che ci separano dal resto del mondo in guerra. Ieri i russi hanno lanciato un razzo 7,760 miglia nel Pacifico centrale, che è caduto a meno di un miglio e mezzo dal bersaglio calcolato. Il dipartimento di difesa degli Stati Uniti ha confermato la precisione del tiro». 

Nel 1962 la crisi dei missili russi a Cuba turba e indigna Merton e Dorothy Day che proprio a settembre aveva visitato Cuba, definendola «un campo armato». Dall’ottobre del 1961 e fino al successivo ottobre 1962 Merton scrive le Cold War Letters, tre lettere indirizzate ad amici, artisti ed attivisti — alcune anche alla Day — nelle quali parla di guerra e pace, per cercare di fomentare una reazione spirituale e contrastare la “bomba”. È in questo momento che crea un forte legame con Dorothy Day e il Catholic Worker per rompere il silenzio della Chiesa cattolica americana sull’incombente olocausto nucleare. Nel giugno del 1960 alla Day, che gli chiedeva di pregare per la sua perseveranza, rispondeva: «Sei la donna spiritualmente più ricca di America e non puoi fallire anche se ci provi»; poi continua amareggiato: «Perché questo profondo silenzio ed apatia da parte dei cattolici, clero, laici, gerarchia, su questo terribile problema da cui dipende l’esistenza della razza umana?».

Quanto è cambiato da allora? Non c’è più la guerra fredda (almeno apparentemente), ma gli equilibri internazionali sono assolutamente delicati al punto che qualunque commento, qualsiasi gesto inappropriato potrebbe scatenare una catastrofe. Non si tratta di visioni apocalittiche bensì della cruda realtà dei fatti, di cui forse troppo pochi si interessano praticando quello che Papa Francesco chiama tristemente «cristianesimo di facciata». 

Esso purtroppo non è cosa d’oggi. In un suo articolo del 1960 su Pasternak — per il quale la Day diceva di non aver dormito la notte — Merton annotava: «Per venti secoli ci siamo chiamati cristiani, senza nemmeno cominciare a capire un decimo del Vangelo. Abbiamo preso Cesare per Dio e Dio per Cesare. Ora che “la carità si raffredda” e ci troviamo di fronte all’alba fumosa di un’era apocalittica, Pasternak ci ricorda che c’è solo una fonte di verità, ma che non è sufficiente sapere che la fonte è lì — dobbiamo andare a bere da essa, come lui ha fatto».

La consapevolezza di dover vivere la “radicalità” evangelica e mostrare al mondo l’amoralità di certe scelte diviene uno dei punti chiave del trascorrere quotidiano di Thomas e Dorothy. In particolare Merton cercava incessantemente di creare un circolo di interesse che avrebbe dovuto realizzare una sorta di “contrappeso morale” alle forze della paura e della distruzione. Dorothy gli comunicava: «I tuoi scritti hanno raggiunto molte, molte persone, portandoli sul loro cammino, stanne certo. È il lavoro che Dio vuole da te, non importa quanto tu voglia scappare da ciò». Costantemente vicini nella preghiera («Abbiamo una bacheca con i nomi di coloro che chiedono preghiere. Il tuo è lì», scrive Dorothy), li unisce un altro grande ideale, il “dovere” di amare il prossimo. Dorothy è “affascinata” dalle lettere di Merton perché sono così ricche che portano alla conoscenza e all’amore per Dio. Però non si può amare Dio senza amare prima il prossimo, e ambedue lo sanno. Nel dicembre del 1961 Merton scriveva alla Day: «Le persone non sono conosciute solo dall’intelletto o dai princìpi, ma solo dall’amore. È quando amiamo l’altro, il nemico, che Dio ci dà la chiave per capire chi è. È solo questa consapevolezza che ci apre alla reale natura del nostro dovere e del giusto operare».

Chi conosce Dorothy Day e Thomas Merton saprà che il loro desiderio di un mondo più giusto e pieno di amore era scambiato per puro comunismo. Una lettera della Day, scritta nel dicembre 1963 a un giovane ammiratore, rivela questo particolare. Con una punta di sarcasmo ella scrive: «Miracolo dei miracoli, il nostro unico giornale diocesano, molto conservatore, ma oggi con un editore nuovo, la scorsa settimana in un articolo di due colonne ha detto che Thomas Merton ed io abbiamo trovato la giusta via per combattere il comunismo, ed in più in accordo con i principi cristiani e che c’era da dubitare che ci fosse un’altra via per un cristiano. Non potevo credere ai miei occhi. Dio è buono e innalza i difensori».

Papa Francesco nel 2015 in un viaggio negli Usa ha ricordato quattro grandi figure che hanno fatto l’America: «Quattro individui e quattro sogni (…) Dorothy Day, giustizia sociale e diritti delle persone; e Thomas Merton, capacità di dialogo e di apertura a Dio». In un mondo, oggi, pieno di odio e violenza gratuita, senza alcun rispetto per la vita e i diritti delle persone, non possiamo che fare tesoro di quanto Merton e la Day hanno fatto e detto. E concludo con una frase di Merton che dovrebbe aiutarci a riflettere su ciò che siamo e sulla possibilità che abbiamo di compiere il bene: «Sono venuto nel mondo. Libero per natura, immagine di Dio, ero tuttavia prigioniero della mia stessa violenza e del mio egoismo, a immagine del mondo in cui ero nato. Quel mondo era il ritratto dell’Inferno, pieno di uomini come me, che amano Dio, eppure lo odiano; nati per amarlo, ma che vivono nella paura di disperati e contraddittori desideri».

L’Italia condanna 24 gerarchi per il Piano Condor

Il giudice italiano ha condannato per omicidio volontario pluriaggravato continuato i militari di Bolivia, Cile, Perù e Uruguay, coinvolti nelle operazioni che portarono alla scomparsa di 23 cittadini italiani negli anni del piano attuato dai regimi sudamericani, per reprimere le opposizioni.

Un piano terribile venuto alla luce grazie all’inchiesta del giudice paraguaiano José Augustín Fernández, che nel 1992 scoprì un archivio nella stazione di polizia di Asunción.

Archivi dettagliati che descrivevano la sorte di migliaia di sudamericani segretamente rapiti, torturati e assassinati, tra gli anni settanta e ottanta, dalle forze armate e dai servizi segreti di Cile, Argentina,Uruguay, Paraguay, Bolivia e Brasile.

Gli archivi contavano 50.000 persone assassinate, 30.000 scomparse (desaparecidos) e 400.000 incarcerate. Questi archivi, ritenuti veritieri e attendibili, riferivano del coinvolgimento, in questa enorme operazione repressiva e di vero e proprio sterminio, anche dei servizi segreti di Colombia, Perù e Venezuela.

Tali documenti, per le atroci rivelazioni in essi contenute, furono denominati Archivi del terrore.

Il processo, che in questi giorni si è concluso, iniziò, invece, con la denuncia, esattamente venti anni fa, di alcuni parenti dei scomparsi.

Dopo che il giudice spagnolo Baltasar Garzon  ordinò l’arresto del dittatore cileno Augusto Pinochet.

Tra i condannati, di oggi, c’è l’ex militare uruguaiano Jorge Néstor Troccoli , l’unico che è apparso nel processo da quando vive in libertà in Italia perché fuggito dalla giustizia del suo paese nel 2007.

Otto persone sono state condannate all’ergastolo, tutte in contumacia, come il dittatore boliviano Luis García Meza , morto nell’aprile 2018, e il suo ministro degli interni, Luis Arce Gómez.

E anche l’ex presidente peruviano Francisco Morales Bermúdez ; il suo primo ministro Pedro Richter Prada, morto nel luglio 2017; l’ex ufficiale militare peruviano Germán Ruiz ; i cileni Hernán Ramírez e Rafael Ahumada Valderrama e l’ex ministro degli esteri uruguaiano Juan Carlos Blanco.

A questi condannati si aggiungono l’ex militare cileno Pedro Octavio Espinoza Bravo , Daniel Aguirre Mora , Carlos Luco Astroza, Orlando Moreno Vásquez e Manuel Abraham Vásquez Chauan .

Anche l’ex militari uruguaiano José Ricardo araba, José Horacio Gavazzo, Juan Carlos Larcebeauy, Pedro Antonio Mato, Luis Alfredo Maurente, Ricardo José Medina, Rami Ernesto Avelino Pereira, Jose Babbo Lima, Jorge Alberto Silveira, Ernesto Soca e Gilverto Vazquez.

Eurispes, giochi: la stretta normativa può accrescere l’illegalità

Aumentano le violazioni tributarie e amministrative accertate nel settore dei giochi: la riduzione del numero degli apparecchi da intrattenimento stabilita dalle norme nazionali, unita all’inasprimento delle limitazioni delle distanze da luoghi cosiddetti sensibili e degli orari di gioco da parte di norme regionali e locali, hanno determinato una contrazione del mercato legale e un probabile incremento dei fenomeni illegali. A sostenerlo è un passaggio del Rendiconto Generale dello Stato 2018 della Corte dei Conti sui giochi, che conferma quanto emerso dalle analisi dell’Osservatorio Giochi, Legalità e Patologie dell’Eurispes.

I dati sui giochi che emergono dalla relazione sul Rendiconto Generale dello Stato 2018 della Corte dei Conti, trasmessa il 26 giugno scorso alle presidenze di Camera e Senato, fotografano una leggera flessione delle entrate per lo Stato che nell’anno 2018 si attestano sui 10 miliardi (-3%), nonostante il volume d’affari del settore (“raccolta lorda”) sia passato da 101,8 a 104,9 miliardi di euro, segnando una crescita costante dal 2014.

La “spesa netta” degli italiani per il gioco – ottenuta sottraendo l’importo delle vincite conseguite dai giocatori (86,2 miliardi di euro) alla “raccolta lorda” – risulta in diminuzione, essendo pari a 18,7 miliardi di euro, inferiore di quasi 500 milioni rispetto al valore dell’esercizio 2017.

La macro-categoria degli “apparecchi da gioco” contribuisce, da sola, a quasi metà della raccolta lorda (46%) e al 65% delle entrate erariali ed è la tipologia di gioco sulla quale si sono concentrate maggiormente le modifiche normative sia negli anni precedenti che a partire da settembre 2018.

Questo, si legge a pagina 120 del volume I dedicato ai «conti dello Stato e le politiche di bilancio 2018, Tomo I» , in ragione del fatto che «il settore dei giochi si caratterizza per logiche di gestione imprenditoriali e che la domanda dei consumatori si orienta maggiormente verso tipologie di gioco che assicurano un’elevata percentuale di redistribuzione ai giocatori in termini di payout e prevedono un breve intervallo tra la giocata e il corrispondente evento/partita (come nel caso delle New slot e delle Video Lottery)».

Lotta all’illegalità

Sul fronte dell’illegalità – tema al centro di analisi anche nel recente studio che l’Osservatorio Giochi Legalità e Patologie dell’Eurispes ha dedicato al “Gioco pubblico e dipendenze in Piemonte” –, la Corte dei Conti rileva che la lotta al fenomeno del gioco clandestino e, quindi, all’evasione fiscale che ne deriva, concerne prevalentemente i seguenti segmenti: le scommesse (sia mediante rete fisica che mediante siti on line illegali); il gioco mediante rete fisica attraverso apparecchiature che si collegano a siti illegali (i cosiddetti Totem); la manomissione/alterazione di apparecchi da gioco con vincita in denaro.

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, nel 2018, ha effettuato 47.860 controlli soprattutto sugli apparecchi da gioco (31.051) e sul divieto di gioco ai minori nelle vicinanze dei luoghi sensibili (+63% rispetto al 2017). Dall’accertamento delle violazioni tributarie ed amministrative, lo Stato ha ricavato la somma complessiva di euro 193,2 milioni, registrando un aumento del 103% rispetto all’anno precedente; risultato da ricondurre, secondo le indicazioni fornite dalla stessa Agenzia, all’attività di accertamento effettuata anche in collaborazione con le Forze dell’ordine.

In generale, si è riscontrato un aumento delle violazioni nel settore dei giochi, in parte grazie al maggior presidio e alla maggiore efficacia dei controlli, anche in virtù della messa a punto di indicatori di rischio.

Una conferma di quanto già emerso nell’ambito degli approfondimenti svolti in seno all’Osservatorio dell’Eurispes, si trova nel passaggio della relazione in cui si evidenzia che la riduzione del numero degli apparecchi da intrattenimento stabilita dalle norme nazionali, unita all’inasprimento delle limitazioni di distanze da luoghi sensibili e degli orari di gioco da parte di norme regionali e locali, ha determinato una contrazione del mercato legale e un probabile incremento dei fenomeni illegali.

Si registra, inoltre, una maggior efficacia dell’azione di contrasto svolta dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, tramite lo sviluppo di strumenti interattivi di ausilio all’analisi investigativa (per il contrasto delle scommesse gestite da bookmakers stranieri non regolarizzati); i controlli a campione sulle piattaforme di gioco online (+50% rispetto all’esercizio precedente); i controlli sugli istituti assicurativi o bancari presso i quali i concessionari hanno stipulato fideiussioni.

In un’ottica di prevenzione delle infiltrazioni criminali nella filiera del gioco, è stato effettuato uno screening su 23 soggetti considerati a rischio, su un totale di 303 soggetti mappati e di 9.300 schede informative raccolte. L’efficacia di questa attività è stata rinforzata, si legge nel documento, grazie allo sviluppo di un flusso informativo tra gli uffici dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e gli organi di polizia giudiziaria.

Alla luce delle crescenti preoccupazioni, in chiave sociale e socio-sanitaria, che avvolgono il settore del gioco online, anche per la facilità di accesso da parte delle giovani generazioni, merita un plauso il completamento del processo di integrale automazione della procedura di inibizione dei siti che offronto gioco senza autorizzazione.

Nel 2018 sono stati inibiti più di mille siti con un notevole incremento rispetto al 2017 e il raggiungimento della cifra complessiva di 8.000 siti inibiti dall’entrata in vigore della misura oltre dieci anni fa.

Il paragrafo del Rendiconto annuale dedicato ai “proventi da giochi” si conclude con una sorta di bilancio costi/benefici del sistema di gestione del comparto fondato sulle concessioni.

Vale la pena richiamare per esteso questo passaggio della relazione: «Il modello italiano di esercizio del gioco pubblico con vincite in denaro si basa, da un lato, sulla riserva a favore dello Stato in materia di giochi e scommesse e, dall’altro, sulla concessione di servizio, mediante la quale l’Amministrazione affida, nel rispetto della normativa comunitaria, l’esercizio del gioco a un soggetto privato, prescelto sulla base di selezioni ad evidenza pubblica, ampliando la sfera giuridica del destinatario e mantenendo sull’attività idonei e stringenti poteri di controllo. L’istituto della concessione consente, sul piano organizzativo, di attuare una forma di partenariato con i privati nella gestione dei servizi e, nello stesso tempo, di contenere e ridurre i costi. Mediante la collaborazione con i soggetti privati, infatti, si perseguono le finalità istituzionali volte all’affermazione del gioco legale su quello illegale e al rigoroso controllo dell’Amministrazione a garanzia dell’ordine pubblico e della sicurezza, trasferendo al concessionario il cd. “rischio operativo” (rischio economico) connesso alla organizzazione della raccolta del gioco affidato in concessione».

L’importanza di distinguere legale ed illegale

Se quella descritta dalla Corte dei Conti è la ratio del sistema concessorio, che è il sistema legale di raccolta dei giochi nel nostro Paese, è opportuno concludere richiamando ancora una volta l’importanza di distinguere e saper distinguere ad ogni livello (istituzionale e di mercato) ciò che è legale da ciò che tale non è.

Come confermano le analisi periodiche delle autorità competenti, la criminaltà organizzata da svariati anni penetra e tenta di penetrare nell’economia legale a tutti i livelli. Le più recenti operazioni di polizia giudiziaria delineano un quadro che vede al centro degli interessi criminali nel nostro Paese il segmento delle scommesse raccolte senza i titoli abilitativi. Si tratta di canali illegali di raccolta, distinti e paralleli rispetto a quelli autorizzati dai Monopoli di Stato (tra le altre, a titolo esemplificativo, si citano le operazioni “Gambling”, “Galassia”, “Revolution Bet”).

Il Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone, audito in Commissione Antimafia il 26 giungo scorso, dopo aver citato un caso specifico concernente una società concessionaria per gli apparecchi da gioco risultata collegata agli ambienti malavitosi siciliani e le difficoltà riscontrate per pervenire alla revoca della concessione, ha dichiarato che «i grandi concessionari sono pochi e teoricamente sono controllabili», mentre i punti scommesse sul territorio «vengono aperti come se fossero normali negozi» e per loro «non è prevista l’interdittiva antimafia. In certi comuni ci sono più punti scommesse che chiese o salumerie. Bisognerebbe chiedersi chi c’è dietro questi punti e, in certe realtà, c’è sicuramente la criminalità organizzata».

Il dott. Cantone ha, quindi, precisato che occorre concentrarsi sul meccanismo “a valle”. In proposito, è utile ricordare che in materia di esercizi che offrono scommesse, tutte le concessioni esistenti ed attive sul territorio sono state assegnate previo espletamento di gare pubbliche d’appalto in ossequio alla normativa nazionale ed europea. Le concessioni si trovano attualmente in regime di proroga giacché il nuovo bando di gara previsto dalla Legge di Stabilità per il 2016 non ha ancora visto la luce ed è fermo al Mef. I predetti esercizi (i cui gestori sono titolari di licenza di pubblica sicurezza ex art. 88 del Tulps, con tutte le conseguenze in termini di periodici e costanti controlli sulla buona condotta, i carichi pendenti, il casellario giudiziale e applicazione di interdittive prefettizie) sono un numero chiuso e definito e non possono essere aperti a piacimento da chicchessia. Diversi sono i “punti” di scommesse non autorizzati dai Monopoli di Stato, cui abbiamo accennato sopra, che, come osservato dal Dott. Cantone, aprono quando vogliono, dove vogliono, in barba ad ogni normativa sia nazionale sia locale (incluso il “distanziometro”).

Ecco allora, concludendo in chiave economico-finanziaria, il dato che contribuisce a chiarire qualora ve ne fosse bisogno, il perché la criminalità organizzata si è nel tempo particolarmente interessata alla modalità di raccolta delle scommesse in Italia tramite centri intermediari collegati a bookmaker esteri: presso una rete di centri non autorizzati sparsi in tutto il territorio nazionale, collegati ad una nota società austriaca, il totale giocato nel 2014 è risultato pari a 870.861.474,61 euro dal quale, detratte le vincite pagate e le commissioni di rete, la società estera in questione ha registrato un utile netto di euro 55.938.202,53, sul quale non è stata versata l’imposta unica dovuta, che quindi è stata evasa (si veda la sentenza n. 28871 della Corte di Cassazione, Sez. VI, pubblicata il 2 luglio scorso).

In tale contesto, si avverte sempre più l’esigenza di riprendere il filo di una normativa nazionale organica, in grado di aggiornare il sistema e dare ordine e certezza al mercato, superando le contrapposizioni sterili e optando per una reale e concreta assistenza e cura delle persone affette dalla dipendenza da gioco.

La cina e la cultura del Dono

Negli Stati Uniti si parla della Cina come una minaccia al commercio mondiale. Si fa riferimento alla struttura comunista del governo e alle presunte mire espansionistiche.
Ma a giudicare da ciò che sta avvenendo, sembra essere una visione antica, viziata da pregiudiziali di natura ideologica.
A ben guardare, infatti, la Cina sta promuovendo una politica di cooperazione, investimenti, pace e sviluppo che, in questa fase storica, sembra essere vincente rispetto alle chiusure utilitariste e conflittuali che emergono in alcuni Paesi occidentali.
Per dare un’idea di quanto le politiche promosse dal grande Stato asiatico siano in contrasto con le tradizionali logiche colonialiste e neocolonialiste, basta vedere le donazioni effettuate nell’ultimo mese dal governo cinese per sostenere le popolazioni dei Paesi poveri: oltre mille tonnellate di grano donate al Libano per i cittadini vulnerabili e i profughi siriani; macchine da cucire a gruppi di donne in Tanzania; veicoli e tecnologie per lo sminamento dei terreni in Cambogia; attrezzature per un sistema di sicurezza nel Parlamento dello Sri Lanka; cento autobus nuovi al Mozambico.
Non si tratta di singoli gesti di generosità, ma di una vera e propria politica ispirata alla cultura del dono, intesa ad aiutare le persone più bisognose e favorire la sicurezza e la stabilità.
Il 2 luglio, a Beirut, il ministro degli Affari sociali Richard Kuyumjian ha firmato un accordo con l’ambasciatore cinese in Libano, Wang Kejian, per ricevere gratuitamente 1.067 tonnellate di grano che verrà distribuito alla popolazione libanese meno abbiente e ai rifugiati siriani presenti nel Paese.
L’ambasciatore cinese ha spiegato che la donazione mira a sostenere i rifugiati siriani e le loro comunità di accoglienza in Libano, Giordania, Siria e Yemen.
Wang ha inoltre assicurato che la Cina è impegnata a lavorare con la comunità internazionale per risolvere i conflitti regionali e, in particolare, per assicurare la stabilità nella regione Medio Orientale.
Il 26 giugno l’Ambasciata cinese in Tanzania ha donato 330 macchine da cucire a vari gruppi di donne e 370 dispositivi di assistenza alle persone con disabilità.
L’ambasciatore cinese in Tanzania, Wang Ke, ha spiegato che la donazione è parte del progetto “Rafiki Program” che ha lo scopo di aiutare le persone emarginate. Il diplomatico ha precisato che è intenzione della Cina rinnovare questa donazione con frequenza annuale.
Cento nuovi autobus sono stati donati dalla Cina al Mozambico per migliorare il trasporto pubblico in quel Paese dell’Africa sud-orientale.
Il presidente del Mozambico, Filipe Nyusi, durante la cerimonia di consegna a Maputo ha detto che “gli autobus che riceviamo sono un’offerta del governo cinese, sono sofisticati e resilienti, hanno un sistema automatico di motori e una serie di misure per rendere la vita più facile per i mozambicani”.
Il 25 giugno la Cina ha donato alla Cambogia rilevatori di mine, attrezzature ed equipaggiamenti per lo sminamento e per la protezione delle persone, oltre a furgoni e motociclette per facilitare il raggiungimento dei campi da sminare.
A tale proposito, è importante ricordare che la Cambogia è uno dei Paesi più colpiti dal flagello delle mine terrestri. Si stima che tra 4 e 6 milioni di mine ed altri esplosivi siano stati lasciati sul terreno nel corso dei tre decenni della guerra conclusasi nel 1998.
In seguito ai recenti attacchi terroristici avvenuti nell’isola, la Cina ha donato al Parlamento dello Sri Lanka, lo scorso 19 giugno, una serie di apparecchiature per garantire la sicurezza dei legislatori e del pubblico.
L’equipaggiamento di sicurezza, che vale 33 milioni di rupie dello Sri Lanka (pari a circa 187mila dollari) ed include tre modernissime macchine portatili a raggi X e cinque rivelatori di metallo, è stato consegnato al presidente del Parlamento Karu Jayasuriya dall’ambasciatore cinese nello Sri Lanka Cheng Xueyuan.
In un mondo in cui le controversie commerciali rischiano di accendere conflitti militari, quanto la Cina sta facendo è oggettivamente meritevole, perché favorisce la cooperazione e lo sviluppo come strumenti di consolidamento della pace.

Udine: Uscire dalla solitudine per costruire relazioni

Bilancio più che positivo per il XXI congresso internazionale di IFOTES “Uscire dalla solitudine-costruire relazioni”, cui hanno partecipato quasi mille persone da 20 Paesi. Ma i numeri vanno ben oltre. Per di più dalle cinque giornate di studio nascerà con ogni probabilità anche la ‘Carta di Udine’: «Un documento con le prime conclusioni che sono emerse sul tema. Nei prossimi mesi cercheremo di fare di questo documento un primo lancio, per poter portare la questione delle odierne solitudini e della necessità di costruire relazioni in formule diverse, anche altrove, oltre la regione, a livello nazionale», ha spiegato Diana Rucli, direttrice di Ifotes (dell’International Federation of Telephone Emergency Services) che ha organizzato l’evento.

I lavori del congresso, come detto, si sono articolati in cinque giornate (3-7 luglio 2019) per un totale di 7 sessioni plenarie, 20 sessioni parallele (di cui 9 aperte alla cittadinanza) e 92 workshop, con 56 relatori e 75 formatori provenienti da tutta Europa.

Ma perché parlare di solitudine, oggi, che siamo sempre più iper-connessi? Perché nonostante questo, ci sentiamo sempre più soli. A dircelo sono i numeri: 8,5 milioni di italiani vivono da soli, in media 1 persona su 5 con più di 18 anni non ha nessuno su cui contare in caso di bisogno (1 su 4 oltre i 75 anni), tra il 50 e l’80% di chi è solo, a seconda della fascia d’età, si dichiara profondamente insoddisfatto della propria vita.

La solitudine è dunque una vera e propria ‘piaga sociale’ che, se non gestita consapevolmente, può trasformarsi in isolamento, apparentemente senza via d’uscita, e può portare a depressione, suicidio, violenza.

Mialno: 2^ Conferenza Nazionale delle Green City

La seconda Conferenza Nazionale delle Green City ha come tema centrale la promozione e
l’aggiornamento dei piani e delle misure per l’adattamento climatico delle città, integrate con quelle di mitigazione.

Tema principale della conferenza è quello di tenere aggiornate le valutazioni dei rischi e le misure sia di emergenza,sia di medio e lungo termine, valorizzando le ricadute positive, promuovendo anche gli investimenti privati e la contabilizzazione dei costi dell’assenza di tali misure.

Vanno migliorate la governance e le capacità adattive delle città per ridurre la vulnerabilità e i rischi delle precipitazioni molto intense e delle ondate di calore, puntando di più sulle soluzioni basate sulla natura.

 

Incentivi della Regione Emilia Romagna alle auto che inquinano meno

E’ appena partito il bando della Regione Emilia Romagna per richiedere gli eco bonus per l’acquisto di un mezzo di nuova generazione al posto della vecchia auto. Dall’8 luglio al 30 settembre 2019, è possibile fare richiesta di un contributo fino 3.000 euro per chi deciderà di sostituire la propria auto, compresi i diesel euro 4, acquistando un nuovo modello a basso impatto ambientale o a zero emissioni, come nel caso delle auto elettriche. Il bonus sarà concesso indipendentemente dal reddito o dall’Isee del richiedente.

Questa misura di contrasto allo smog e alle polveri sottili verrà finanziata dalla Regione con 4 milioni di euro, e ad essa potranno essere associate altre iniziative per incentivare la mobilità sostenibile, tra cui lo sconto di almeno il 15% sul prezzo di listino da parte dei concessionari, che hanno aderito al protocollo approvato dalla Regione con Anfia, Unrae e Federauto. Avranno la possibilità di richiedere il contributo tutti i cittadini che risiedono in uno dei  comuni emiliani o romagnoli, che vogliano rottamare o che abbiano rottamato a far data dal 1 gennaio 2019, un’autovettura, di proprietà, fino alla classe euro 2 per le auto a benzina e fino alla classe euro 4 per le diesel. Gli incentivi riguardano l’acquisto di un’autovettura nuova di prima immatricolazione ad esclusivo uso privato, ad alimentazione elettrica, ibrida (benzina/elettrica), a metano (mono e bifuel benzina), gpl (mono e bifuel benzina). Queste ultime tre categorie (ibride, metano e gpl) dovranno essere di classe ambientale euro 6.

La doti della Spirulina

La Spirulina è il nome generico di una biomassa essiccata che si ricava dalla raccolta della cosiddetta alga spirulina (Arthrospira platensis). La Spirulina è considerata dall’EFSA come ingrediente alimentare e può essere inserita in integratori alimentari, in prodotti alimentari o usata in purezza per l’utilizzo in cucina o in cosmetica.

Secca contiene circa il 60% (51-71%) di proteine. Si tratta di un contenuto proteico completo, cioè comprendente tutti gli amminoacidi essenziali anche se il contenuto in metionina, cisteina e lisina è sostanzialmente minore di quello nelle proteine di carne, uova e latte.

Il contenuto lipidico della spirulina è circa il 7% in peso. La spirulina è ricca di acido gamma-linolenico (GLA) e fornisce anche acido alfa-linolenico (ALA), acido linoleico (LA), acido stearidonico (SDA), acido eicosapentaenoico (EPA), acido docosaesaenoico (DHA) e acido arachidonico (AA). La Spirulina contiene anche vitamine B1 (tiamina), B2 (riboflavina), B3 (nicotinamide), B6 (piridossina), B9 (acido folico), vitamina C, vitamina D, vitamina A e la vitamina E.

È inoltre una fonte di potassio, calcio, cromo, rame, ferro, magnesio, manganese, fosforo, selenio, sodio e zinco.

La spirulina infine contiene molti pigmenti che possono essere benefici, tra cui il beta-carotene.

Solo 6 grammi di spirulina equivalgono a circa 20 mele (Vitamina A), 300 acini d’uva (Vitamina B2), 135gr di Carote Fresche (Betacarotene) e 200gr di Spinaci (Ferro)

La Spirulina per questo è da sempre considerata il “cibo degli dei” e grazie all’alto valore nutrizionale dell’alga e la sua facilità di consumo è la fonte alimentare più indicata anche per gli astronauti.

Elogio di João Gilberto

Fonte http://www.succedeoggi.it a firma di Marco Ferrari

João Gilberto, una delle leggende della bossa nova, non c’è più, è scomparso a 88 anni nella sua casa di Rio de Janeiro. Lo ha annunciato uno dei suoi tre figli, João Marcelo: «Mio padre è morto. La sua lotta è stata nobile, ha cercato di preservare la sua dignità mentre perdeva la sua autonomia», ha scritto su Facebook a proposito del musicista che fu tra i fondatori del nuovo rivoluzionario genere musicale. João Gilberto viveva a Rio da solo e in rovina. Negli ultimi anni il musicista aveva avuto problemi di salute, problemi familiari e anche economici. Era nato il 10 giugno 1931 a Juazeiro, nello stato di Bahia. Cantante e chitarrista, ha creato uno stile musicale rivoluzionario, tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 del secolo scorso, la bossa nova, che mischia samba e jazz. Un nuovo modo di cantare e suonare la chitarra che ha fortemente indirizzato la musica brasiliana che ha così conquistato il mondo. Non si era sottratto alle novità producendo nel 1980 Brazil collaborando con Gilberto Gil, Caetano Veloso e Maria Bethânia, che verso la fine degli anni Sessanta avevano fondato il movimento Tropicalia che aveva fuso la bossa nova con il rock.

Tra i suoi successi internazionali la famosissima canzone Desafinado e l’LP João Gilberto, a volte citato come l’Album bianco della bossa nova. Era anche tra i firmatari di Garota de Ipanema, presentata per la prima volta al pubblico nell’agosto del 1962 in occasione della prima esibizione pubblica di Vinícius de Moraes come cantante, durante lo spettacolo Encontro nel ristorante Au Bon Gourmet di Copacabana, insieme con Antônio Carlos Jobim e João Gilberto, in pratica coloro che erano già considerati l’essenza della bossa nova. Durante lo stesso storico spettacolo, che fu replicato per sei settimane, Vinicius e i suoi compagni presentarono alcune nuove canzoni che sarebbero diventate dei classici del genere come Só danço samba di Tom e Vinicius, Samba do avião di Tom, Samba da benção e O astronauta di Baden Powell e Vinicius.

Joãozinho, come lo chiamavano gli amici, faceva parte di quel gruppo di cantanti, artisti e registi che aveva forgiato la nuova cultura brasiliana negli anni delle dure dittature militari. Aveva sposato come seconda moglie la sorella di Francisco Buarque de Hollanda e aveva creato un sodalizio durevole con Antônio Carlos Jobim. Il suo ultimo live era stato a Tokio nel 2004 e il suo ultimo album era una registrazione di duetti con Stan Getz uscito nel 2016. Come Vinicius, non scelse la via dell’esilio quando la dittatura si fece tragedia, dal 1964 al 1985, al contrario di Cateano Veloso, Gilberto Gil e Chico Buarque.

Di lui erano perse un po’ le tracce, oramai ultimo sopravvissuto della bossa nova assieme a Carlos Lyra, classe 1939 e Geraldo Vandré, classe 1935, dopo la dipartita di Jobim, Vinicius de Moraes e Elis Regina. In una trasmissione di “Fuori Orario” su Rai Tre, qualche anno fa passava spesso un vecchio filmato in bianco e nero girato nella Rio degli anni Sessanta. In un locale pieno di fumo, birra e cachaça, si potevano riconoscere i volti giovanili di Antonio Pecci, in arte Toquinho, di Jobim, João Gilberto, Baden Powell, Leon Hirszman, Pedro De Andrade, la nervosa Odete Lara, lo spettinato Glauber Rocha accanto a Gilberto Gil. D’improvviso, uno di loro batte un colpo, due colpi sul tavolo di legno, un altro lo segue, un altro ancora batte le mani, un altro tira fuori una chitarra e nasce un samba. Sembrava un mondo di sorrisi, nonostante ci fosse poco da ridere, era certamente un mondo solidale, di vibrante creatività e irripetibile ingegno.’articolo completo

L’articolo completo è leggibile qui 

 

Quando l’odio corre online

Tratto dall’edizione odierna dell’Osservatore Romano a firma di Fabio Bolzetta

Nell’oceano dei media digitali e sociali, la discussione di temi divisivi come l’immigrazione viene spesso sommersa dal dilagare di contenuti ostili. Nella cultura convergente le forme di partecipazione permesse dalle nuove tecnologie — che offrono spazio e libertà ma riducono ogni competenza a un confronto orizzontale — vengono vissute con un atteggiamento di deresponsabilizzazione da parte degli utenti ancora oggi.

Al dilagare di informazioni volutamente false, le cosiddette fake news, si assiste alla diffusione di contenuti e commenti rancorosi favoriti dai like e dalla condivisione, spesso virale, sui social media. Una proliferazione policentrica di hate speech e pregiudizi che reagiscono in maniera epidermica alla cronaca diventando forme di razzismi 2.0 digerite come proposte interpretative di una società e un mondo percepiti come complessi, incompresi e inaccettati. Dove l’altro viene opposto all’io e al noi di un agglomerato sociale o social. 

L’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar), istituito in Italia presso il Dipartimento pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, secondo i dati diffusi nel 2017, ha giudicato pertinenti in un anno duemilaseicentocinquantadue istruttorie. Il 69 per cento riguardano fatti discriminatori per motivi etnico-razziali di cui, per il 17 per cento si tratta di eventi riguardanti le comunità rom, sinti e caminanti. Il monitoraggio, presente sui media tradizionali, è stato esteso anche a social network e social media. A seguito delle segnalazioni dei cittadini sono stati individuati 1.598 casi online di discriminazione nel 2012, 1.396 nel 2013, 1.627 nel 2014, 2.235 nel 2015, 2.936 nel 2016 e 3.909 nel 2017. 

In Italia opera una seconda autorità: l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad). Istituito nel 2010 presso il Ministero dell’interno riceve segnalazioni, anche via mail, e attiva interventi da parte della Polizia e dei Carabinieri. Nel 2017 ha ricevuto 2.030 segnalazioni. L’87,5 per cento dall’Unar. Il 90,1 per cento dei casi online riguardavano quelli relativi alla discriminazione razziale. 

Stefano Pasta, dottore di ricerca in Pedagogia presso il Centro di ricerca sull’educazione ai media dell’informazione e alla tecnologia (Cremit) e sulle Relazioni interculturali dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano nel volume Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell’odio online (Brescia, Scholé-Morcelliana, 2018, pagine 224, euro 20) ha individuato cinque tipologie contemporanee di razzismo, diffuse nell’ambiente digitale e social: il razzismo tribale, mirato, dei fatti, di necessità ed estremo. 

Il primo è caratterizzato dal frequente ricorso agli insulti in una «lotta tra tribù per affrontare la superiorità dell’una sull’altra». Il razzismo mirato invece è caratterizzato dall’aggressività verso target specifici, soprattutto persone di colore. La diversità anziché ricchezza viene giudicata come un elemento da contrastare affermando che «una persona con tratti somatici stranieri, indipendentemente dai propri sentimenti di appartenenza e da quanto tempo abbia vissuto in Italia, non potrà mai essere considerata italiana». Tesi non raffinate, ricorso frequente a un certo tipo di ironia, istituzioni tacciate di buonismo e richiamo a decisioni «serie e forti». 

Il razzismo dei fatti vede «presunte evidenze oggettuali ripostate come verità diventare argomentazioni contro la sostenibilità delle politiche di accoglienza, unitamente al tema dell’erosione delle risorse del welfare. Il linguaggio è pacato nei toni ma violento nei concetti». Nel razzismo di necessità non accettando le presenze altrui si è rassegnati a convivere auspicando «soluzioni di fronte alle questioni poste dall’alterità (stranieri, rom, musulmani, profughi)». Nell’ultima definizione, invece, si raccolgono i giudizi più estremi quanto a contenuti e rifiuto dell’altro: si tratta di una «intolleranza totale verso le differenze. La richiesta non è più di tipo normativo, ma punitiva, e non lascia spazio a prospettive del vivere insieme». 

Il campione della ricerca è stato costituito da centotrenta performances razziste online in lingua italiana di duplice provenienza: quaranta casi di discriminazione su base etnica, appartenenza nazionale o provenienza geografica, trattati dall’Unar e altri novanta reperiti in ambienti digitali a rischio. Il ricercatore ha contattato direttamente gli autori dei post e ha condotto conversazioni digitali per provare a farli riflettere sui contenuti pubblicati. È emersa, soprattutto nei giovanissimi, la pretesa a non essere presi sul serio. «Rivendicano un atteggiamento deresponsabilizzato e banalizzante, proprio perché online» spiega Pasta. «Tutto ciò ha una grave conseguenza online quanto offline. Perché si normalizzano, e quindi si accettano, idee ed espressioni di violenza su cui, fino poco fa, vi era una condanna sociale».

Ma è lo stesso web a poter offrirne gli anticorpi. Secondo Pasta — che nel 2017 ha ricevuto il Premio di giovane ricercatore dalla Società italiana di ricerca sull’educazione mediale (Sirem) — «con i nuovi media non basta più educare lo spettatore, occorre anche educare il produttore che ogni spettatore è diventato, grazie allo smartphone che si porta in tasca, sviluppando pensiero critico (nella selezione delle fonti e nel riconoscere le fake news), ma soprattutto responsabilità, ossia attenzione alle conseguenze delle proprie azioni. Papa Francesco ci ha invitato a una comunicazione che non semini odio, non sia il megafono di chi urla più forte e non propaghi fake news. Nell’analisi svolta all’Università cattolica, emerge come la selezione delle fonti sia un fronte educativo decisivo: soprattutto sul tema dell’immigrazione, le fake news sono spesso alla base di odio xenofobo, in continuità online e offline. Trovano diffusione perché siamo nell’era della post-verità dove le convinzioni personali e le emozioni contano più della veridicità dei fatti. La proposta è un approccio morale che educhi online e offline a comportamenti di aiuto e cooperazione, orientando a essere non solo naturalmente, ma anche culturalmente, “negli” altri e “per” gli altri».

La vocazione maggioritaria del Pd e il centro.

Già pubblicato su Huffingtonpost

Nicola Zingaretti, malgrado le insistenti e ripetute sconfitte elettorali a livello locale – quasi ovunque – e a livello nazionale, continua imperterrito a sostenere che la “vocazione maggioritaria” del suo partito è l’unico orizzonte politico entro cui si può e si deve muovere nel futuro. Una tesi indubbiamente ambiziosa ma anche un pò ardita alla luce dei consensi che il Pd sta raggranellando in giro per l’Italia. Al riguardo, è inutile fare l’elenco delle sconfitte, anche storiche, nelle varie amministrazione locali.

Ora, come si possa continuare a parlare di “vocazione maggioritaria ” in un contesto del genere resta francamente misterioso. Anche perché in Italia “la politica è sempre stata politica delle alleanze” per dirla con una felice battuta di Mino Martinazzoli. E pensare che basti un solo partito – ovvero l’autosufficienza politica ed elettorale -,per centrare l’obiettivo della vittoria finale resta, nella migliore delle ipotesi, più un auspicio se non un mero desiderio. Anche perché la sterzata, comprensibile e anche fondata, di Zingaretti di fare del Pd un novello Pds, chiude definitivamente ed irreversibilmente ogni possibilità per il partito della sinistra italiana – sempre che ci riesca – di ridiventare largamente maggioritario nella pubblica opinione del nostro paese. Ed è per questo motivo che permangono molti dubbi e perplessità sul metodo che il Pd di Zingaretti vuol intraprendere concretamente nella costruzione di una alleanza o di un “campo aperto”, come lo definisce il Presidente del Lazio. Ovvero, una sorta di alleanza che nasce per gentile concessione del segretario del partito di maggioranza relativa, il Pd appunto, che autorizza i singoli a fare un partito funzionale alla potenziale vittoria della alleanza. Insomma, una sorta di “lodo Calenda”, dove si chiede l’autorizzazione a Zingaretti e poi ci si mette in proprio. Un metodo singolare ma non affatto nuovo nella politica italiana. Nel caso specifico, si tratta della riproposizione della concezione egemonica di gramsciana memoria che individua un solo protagonista attorniato da una serie di movimenti satelliti con scarsa personalità politica e funzionali alla sola affermazione politica ed elettorale dell’azionista di maggioranza. Un metodo e una prassi che difficilmente potranno decollare con successo ed inclusione. O meglio, che sia in grado di attecchire nell’attuale fase politica italiana.

Ecco perché quando si parla di “campo aperto” occorre intendersi bene sul che cosa significa concretamente questo progetto politico. È sufficientemente noto a tutti che una coalizione come il centro sinistra, anche in una fase storica molto complessa ed articolata com’è quella contemporanea, può competere solo e soltanto se c’è un “centro” visibile e autonomo accompagnato da una cultura politica, da un progetto politico e da un vero radicamento sociale e una “sinistra” altrettanto visibile, percepibile e coerente sul terreno politico, sociale e culturale. Senza questa precondizione qualunque altra ipotesi pianificata a tavolino è destinata ad infrangersi contro gli scogli del realismo e della concreta situazione politica italiana. E questo anche perché oggi c’è un vuoto politico ed elettorale da colmare. Lo dicono i sondaggisti più quotati ma è una sensazione largamente percepita. Tutti sanno che ci sono moltissimi elettori che si rifugiano nell’astensionismo o che continuano a votare stancamente i partiti esistenti in mancanza di altre offerte politiche ed elettorali. Ed è per questa semplice ragione politica che i partiti sono credibili, interlocutori e quindi votabili se ricavano la loro credibilità dalla battaglia concreta nella società senza mendicare autorizzazioni o permessi dagli azionisti di maggioranza.

I “partiti contadini” come venivano definiti ai tempi della guerra fredda o “satelliti” per adoperare una terminologia più moderna, sono strumenti e modalità che denotano una concezione alternativa alla costruzione di una coalizione o di una alleanza realmente competitiva e alternativa al centro destra. Per questi semplici e sacrosanti motivi, almeno questa è la mia opinione, quando si parla di coalizione politica ed elettorale vanno archiviati alcune costanti di fondo. A cominciare dalla “vocazione maggioritaria”, appunto, e dalla grottesca concezione che autorizza il partito più grande a distribuire le carte per comporre l’intero mosaico.

È bene che lo sappiano il Pd di Zingaretti e anche tutti coloro che non si riconoscono nel neo Pds ma che intendono perseguire il disegno e il progetto politico di un vero, autentico e credibile centro sinistra. Senza rimpianti del passato ma
con la consapevolezza che oggi serve una coalizione riformista, di governo, democratica, costituzionale e capace di dare una risposta altrettanto credibile alle attese, ai bisogni e alle esigenze dei ceti popolari del nostro paese.

 

Perché alcune persone votano per i populisti

Fonte Askanews

Più guardi la tv, più voti i populisti. Questo è il sunto del nuovo studio pubblicato sull’American Economic Review, rivista accademica statunitense, che ha preso in considerazione il caso italiano.

Lo studio, condotto dagli economisti Ruben Durante, Paolo Pinotti e Andrea Tesei, dimostrerebbe che guardare molta televisione d’intrattenimento avrebbe un impatto negativo sulla propria intelligenza. Ed è inoltre più probabile che si voti per un partito populista. Secondo gli autori, l’appoggio per Silvio Berlusconi e Forza Italia si spiegherebbe proprio con l’influenza dei canali Mediaset.

Un’eccessiva esposizione alla tv commerciale fin da bambini non solo avrebbe portato le persone a votare Berlusconi negli anni ’90, ma le avrebbe poi spinte a votare per il Movimento 5 Stelle negli ultimi anni. Secondo Yascha Mounk, professore alla John Hopkins University e collaboratore della rivista The Atlantic, lo studio è meticoloso e i risultati da prendere seriamente.

Grecia: Ora spetta a Mitsotakis risolvere i problemi

Il conservatore Kyriakos Mitsotakis ha vinto le elezioni parlamentari in Grecia e ha ottenuto la maggioranza assoluta in parlamento. 

Così lo storico partito popolare greco – che aveva gestito la prima fase della crisi economica al governo, dal 2012 al 2015 – torna al potere dopo l’esaurimento della rivoluzione promessa da Tsipras.

Dovrà, però ora, muoversi velocemente per cogliere lo slancio positivo dato dalle elezioni e dovrà portare quel cambiamento, da lui più volte annunciato, in un paese dove il tasso di disoccupazione continua ad essere il più alto nell’area dell’euro al 18%, e dove la crescita è bassa.

E se vuole lasciare il segno nella storia greca dovrà come prima cosa assolvere tre compiti importanti: posti di lavoro, posti di lavoro e posti di lavoro.

Ma non è l’unica sfida difficile da affrontare. Il Primo Ministro si è impegnato a far crescere l’economia greca a un ritmo clamoroso del 4% l’anno (il doppio di quello attuale) già nei suoi primi 18 mesi di governo, ma è anche determinato a negoziare con Bruxelles per ottenere una riduzione dell’eccedenza di bilancio che l’Europa ora esige dal paese ellenico. Le condizioni imposte dai creditori obbligano la Grecia a mantenere un avanzo primario del 3,5%. Mitsotakis vuole abbassare quella percentuale, per dare un po ‘di ossigeno alla classe media, asfissiata dalle tasse.

Imposte che, a proposito, si è impegnato a ridurre: il 30% di tasse sugli immobili, il 20% di tasse sulle società, il 5% di contributi alla sicurezza sociale .

E  intende fare tutto senza tagliare l’assistenza sociale e sanitaria per i più svantaggiati, senza licenziare nel settore pubblico, senza tagliare le pensioni per i pensionati.

Come lo farà allora? Il suo obiettivo è di attirare 100 miliardi di euro di investimenti esteri in Grecia, realizzando importanti riforme per ottimizzare le risorse esistenti e combattere la corruzione e l’evasione fiscale.

Comunque se non dovesse riuscire ad attuare le sue promesse, il governo Mitsotakis correrà lo stesso rischio di  tutti i governi che si sono susseguiti in Grecia dall’inizio della crisi (sono sette): che non sarà rieletto per un secondo mandato.

 

Tagli alle scorte: Salvini firma la direttiva

Come aveva annunciato Matteo Salvini, arrivano i tagli alle scorte. Il ministro dell’Interno ha infatti firmato l’ordinanza per la revisione del sistema.

Sono, al momento, 2.015 le unità delle forze di polizia impiegate (203 in meno rispetto a dodici mesi prima), oltre a 211 per le vigilanze fisse, 404 le vetture blindate e 234 le non specializzate”.

Per quanto riguarda le regioni, la parte del leone è del Lazio, con 209 tutele nel 2018 e 173 nel 2019, e subito dopo la Sicilia con 142 nel 2018 e 124 nel 2019. Le categorie maggiormente tutelate sono: magistrati, imprenditori e diplomatici, oltre a politici, giornalisti e alti dirigenti dello Stato.

In particolare, al primo giugno 2018, risultavano protetti 274 magistrati, 82 politici, 45 imprenditori e 28 diplomatici. Dopo un anno il numero dei magistrati tutelati non ha subito variazioni, i politici sono scesi a 58, gli imprenditori a 32 e i diplomatici a 27.

88 giorni nelle farm australiane: presentata al Senato una ricerca Migrantes.

E’ stato presentato a Roma, il volume 88 giorni nelle farm australiane. Un moderno rito di passaggio. Promosso dalla Fondazione Migrantes, organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana ed edito da Tau, il volume è il risultato di un percorso di ricerca iniziato con la pubblicazione del volume intitolato Giovani italiani in Australia: un viaggio da temporaneo a permanente e corredato dal video-reportage 88 giorni nelle farm australiane e continuato successivamente all’interno del Rapporto Italiani nel Mondo 2017 con la pubblicazione del capitolo I rientri dall’Australia della generazione vacanza-lavoro: cambiamenti e aspettative future, nel quale si trovano le prime analisi di quello che oggi è diventata una ricerca completa.

Tale percorso di ricerca ha visto gli autori – Michele Grigoletti e Giuseppe Casarotto – incontrare e dialogare, negli ultimi 5 anni, con centinaia di giovani italiani che hanno concluso l’esperienza di vita e di lavoro nelle lontane campagne australiane. Il volume raccoglie più di 80 testimonianze, scritte in prima persona da chi ha affrontato l’esperienza delle farm, ed è corredato dalle fotografie che i giovani hanno scattato durante la loro avventura. Gli scatti ci mostrano le tappe del viaggio che il giovane deve affrontare per l’ottenimento del secondo visto vacanza-lavoro, tuttavia i testi ci parlano anche di un viaggio interiore, di crescita e di maturazione. Dopo le farm i ragazzi si riscoprono più adulti, più liberi dalle paure, dai blocchi psicologici, più consapevoli delle proprie possibilità e meno spaventati dai propri limiti. Attraverso l’analisi delle testimonianze il volume ci svela perché gli 88 giorni nelle farm australiane possono essere considerati un “moderno rito di passaggio”, un periodo duro ma edificante nel quale si ritrovano molti degli elementi tipici dei riti di passaggio che sono sempre caratterizzati da tre fasi principali: la separazione, la fase liminale e la riaggregazione.

I racconti autobiografici sono preceduti da alcuni saggi che ci permettono di capire le motivazioni della partenza, i benefici degli 88 giorni trascorsi in farm e i valori riscoperti da questa scelta di vita; rivelano le principali zone di raccolta e i nomi delle località australiane dove i backpackers lavorano e affrontano dal punto di vista socio-psicologico temi quali le potenzialità non sfruttate dei giovani, l’importanza della gratificazione e della meritocrazia nel lavoro, la riscoperta di una natura wild, di rapporti umani intensi e di un’esistenza più semplice e libera da convenzioni sociali. Il volume è accompagnato da acquerelli nei quali l’illustratrice ha voluto riassumere, in maniera ironica, le differenze tra Italia e Australia.

Calo delle nascite: Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani fa sentire la sua voce

Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani , in occasione della Giornata internazionale della popolazione, che si celebra l’11 luglio di ogni anno (data scelta nel 1989 dal Consiglio Direttivo del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP – United Nations Development Programme con la decisione 89/46), intende dedicare tutta l’attenzione possibile ad una ricorrenza importante nata per evidenziare la consapevolezza sulle problematiche riguardanti il trend della popolazione mondiale.

Proprio in questi giorni è stato pubblicato da parte dell’ISTAT il bilancio demografico in cui si evidenziano dati catastrofici sul tasso di natalità registrato nel corso del 2018, con 439.747 bambini iscritti in anagrafe per nascita; è riscontrabile una diminuzione delle nascite di oltre 18 mila unità rispetto al 2017 (-4%). Per far comprendere le dimensioni del declino demografico è significativo riportare quanto nella comunicazione ISTAT viene comunicato: “Il calo è interamente attribuibile alla popolazione italiana, che scende al 31 dicembre 2018 a 55 milioni 104 mila unità, 235 mila in meno rispetto all’anno precedente (-0,4%). Rispetto alla stessa data del 2014 la perdita di cittadini italiani (residenti in Italia) è pari alla scomparsa di una città grande come Palermo (-677 mila).”

Sono pochi gli interventi a favore della crescita della natalità: tante parole e pochi fatti da parte del mondo politico.

Per esempio, lo svuotamento del Sud d’Italia non comporta certo benessere, stabilità economica e fiducia nel futuro; ormai le nascite si verificano in contesti miseri o estremamente agiati. Il ceto medio è completamente azzerato

 

Le Colline del Prosecco diventano Patrimonio dell’Umanità

La proclamazione è avvenuta il 7 luglio a Baku capitale dell’Azerbaigian, in occasione della 43esima sessione del Comitato del Patrimonio mondiale Unesco, con delibera unanime dei 21 Stati membri. Il risultato prova anche, si legge in una nota, la posizione di primissimo piano che l’Italia riveste in seno all’Unesco e l’ottimo gioco di squadra del sistema Paese.

“Oggi è una giornata storica per il Veneto e l’Italia intera – ha detto il titolare del Mipaaft Gianmarco Centinaio – Le colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene sono finalmente, e giustamente, patrimonio dell’umanità. Un grande riconoscimento che valorizza le straordinarie qualità sceniche e le tradizioni di un paesaggio culturale unico di eccezionale valore mondiale. Una terra dalla quale nascono i frutti che danno vita a uno dei prodotti che più caratterizza l’eccellenza del nostro made in Italy”. “Questo risultato arricchisce l’insieme dei siti e beni italiani presenti nella prestigiosa lista Unesco ha aggiunto Centinaio – e conferma, ancora una volta, la grande attenzione mondiale nei confronti del patrimonio naturale e culturale del nostro Paese. Desidero ringraziare tutti coloro che hanno creduto e contribuito a questo successo. Il mio plauso va alle autorità italiane che, a tutti i livelli, hanno profuso i loro impegno verso l’Organizzazione delle Nazioni Unite, condividendo e tutelando i valori della cultura, della scienza e dell’educazione”.

“Una nomina più che meritata, un riconoscimento che va a valorizzare un territorio ineguagliabile per bellezza e per qualità della produzione vitivinicola – ha detto l’assessore regionale al lavoro e alla formazione del Veneto, Elena Donazzan ”. “Il Prosecco è il vino italiano più conosciuto e più bevuto al mondo, con un volume di export in continuo aumento. Oltre 5.000 addetti operano infatti attorno alla produzione del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg: una vera e propria macroeconomia tutta veneta che esce notevolmente rafforzata da questa decisione – continua Donazzan – ma la nomina a patrimonio Unesco delle colline del Prosecco vale molto di più, perché permetterà di far conoscere ai visitatori da tutto il mondo uno dei territori più belli del Veneto e d’Italia, favorendo lo sviluppo di nuove forme di turismo enogastronomico, lento e consapevole”.

“Questo riconoscimento – ha concluso l’assessore – è un punto di partenza per il futuro. Adesso la sfida che ci attende è quella della conservazione dei caratteri specifici e tradizionali di questo splendido territorio quale Patrimonio da trasmettere alle future generazioni, a beneficio dell’intera Umanità”.

“È’ una gioia grande – ha tenuto a precisare il Sindaco di Valdobbiadene, Luciano Fregonese – lo è per la mia comunità e per le altre di tutti i 15 territori Docg per un risultato arrivato dopo dieci anni di lavoro, anche amministrativo, e reso possibile da un gioco di squadra compatto, sotto la regia della Regione Veneto. E’ un successo che ci stimola a lavorare ulteriormente per lo sviluppo e la crescita della nostra comunità, un’opportunità maggiore per guardare al futuro con una prospettiva rosea di crescita anche economica, oltre che sociale”. “L’ansia dell’attesa si è trasformata in gioia – ha aggiunto il primo cittadino di Conegliano, Fabio Chies -. Un giusto riconoscimento del percorso fatto in questi anni anche con il varo di regolamenti importanti sul fronte della sensibilità ambientale nel territorio. E’ un ottimo risultato che ci porta alla consapevolezza che è nostro dovere continuare a lavorare in questa direzione, ma anche una spinta a fare un salto di qualità sul fronte della ricettività e dell’accoglienza. E’ una grande sfida che ci aspetta da qui in avanti: rimbocchiamoci le maniche e abbandoniamo i campanilismi per lavorare in un’unica direzione in maniera omogenea. Il riconoscimento – ha concluso Chies – è la risposta migliore a chi solleva problematiche di varia natura e sia di conferma per una maggiore garanzia di tutela e rispetto per il territorio”.

Distrofia muscolare

Sotto il termine distrofia muscolare si raccolgono un gruppo di gravi malattie neuromuscolari a carattere degenerativo, determinate geneticamente e che causano atrofia progressiva della muscolatura scheletrica.

Si calcola che in Italia l’1% circa della popolazione sia affetto da malattie neuromuscolari; questa percentuale equivale grosso modo al 10% di tutti gli ammalati neurologici.

Le forme più diffuse sono la distrofia muscolare di Duchenne e quella di Becker; esistono però un’infinità di forme intermedie, e in pressoché ogni soggetto il decorso della malattia appare differente rispetto ad altri soggetti.

La distrofia di Duchenne viene riconosciuta al terzo anno di vita.

I primi segni che attirano l’attenzione sono l’incapacità di camminare o correre quando queste funzioni avrebbero già dovuto essere acquisite; oppure, una volta che queste attività vengano acquisite, i bambini appaiono meno attivi della norma e cadono facilmente.

Con il passare del tempo aumentano le difficoltà a camminare, correre, salire le scale… I primi muscoli ad essere colpiti sono il quadricipite, i glutei. I muscoli della scapola degli arti superiori vengono colpiti successivamente.

L’ingrossamento dei polpacci e di altri muscoli è progressivo nei primi stadi della malattia, anche quelli originariamente ingrossati, tendono a ridursi di volume.

Gli arti sono solitamente ipotonici e flaccidi, ma con il progredire della malattia compaiono contratture conseguenti al mantenimento degli arti nella stessa posizione e al mancato bilanciamento fra agonisti ed antagonisti.

I riflessi tendinei dapprima diminuiscono e poi scompaiono parallelamente alla perdita delle fibre muscolari; gli ultimi a scomparire sono i riflessi achillei. Le ossa divengono sottili e demineralizzate. I muscoli lisci sono risparmiati, mentre il cuore è colpito e possono apparire vari tipi di aritmia.

Di solito la morte è dovuta ad insufficienza respiratoria, infezioni polmonari o scompenso cardiaco. In casi molto rari si osserva un modesto ritardo mentale non progressivo. L’aspettativa di vita dipende sempre dal soggetto e negli ultimi quindici anni le prospettive di vita si sono allungate notevolmente grazie alla ventilazione notturna; se nel secolo scorso alcuni medici sostenevano che un paziente affetto da DMD potesse difficilmente superare la seconda decade, oggi ci sono casi di pazienti con Distrofia Muscolare di Duchenne che vivono oltre il cinquantesimo anno di età.

L’altro tipo non si rende evidente fino alla prima età adulta. Sono spesso i piccoli muscoli delle mani a diventare atrofici; in altri casi i segni più precoci sono la ptosi palpebrale e l’assottigliamento e il rilasciamento dei muscoli della faccia. L’atrofia dei masseteri porta ad un assottigliamento della metà inferiore della faccia e alla malposizione della mandibola. Gli sternocleidomastoidei sono quasi sempre assottigliati e indeboliti con conseguente curvatura inferiore del collo (collo a cigno).

La debolezza dei muscoli della faringe e della laringe determina una voce debole e monotona. Frequenti sono la debolezza del diaframma e l’ipoventilazione alveolare con bronchite cronica. Anche le alterazioni cardiache sono frequenti, dovute il più delle volte ad anomalie della conduzione.

Caratteristica peculiare della malattia è la miotonia, che si esprime come contrazione prolungata di certi muscoli dopo una breve percussione o stimolazione elettrica o come ritardo del rilasciamento dopo contrazione volontaria. La miotonia può precedere la debolezza di molti anni.

La malattia progredisce lentamente, con interessamento graduale dei muscoli prossimali degli arti e del tronco. La maggior parte dei pazienti è confinata in carrozzella o a letto entro 15-20 anni dall’esordio e la morte si verifica a causa di infezioni polmonari, blocco cardiaco o scompenso cardio-circolatorio.

 

Acli: “Abbiamo bisogno di un regionalismo che non provochi fratture nel nostro Paese”

Il presidente delle Acli, Roberto Rossini, durante la Summer School Giorgio La Pira, che si sta svolgendo a Como, afferma che: “Abbiamo bisogno di un regionalismo che non provochi fratture nel nostro Paese”.

Serve una legge che aiuti a ricostruire e a rinnovare l’unità – ha aggiunto – ed è fondamentale che le spinte autonomiste siano accompagnate da forme di potenziamento degli aspetti che possono contenere derive localistiche, per fare della differenziazione un’opportunità per la crescita della coesione sociale e dell’efficientamento istituzionale e amministrativo del nostro Paese e dell’Europa intera”.

Da Rossini anche l’invito ad “aprire sul tema del regionalismo un grande dibattito pubblico, perché è una questione non secondaria che riguarda da vicino tutti i cittadini”.