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domenica, 11 Maggio, 2025
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La scommessa sbagliata di Pedro Sánchez

Articolo pubblicato sulle pagine della rivista Treccani a firma di Ettore Siniscalchi

Dopo le elezioni del 28 aprile scorso, le amministrative e le europee di maggio hanno confermato la tendenza alla crescita del PSOE (Partido socialista obrero español) e il calo di UP (Unidas Podemos). I popolari sembravano destinati al declino, il loro leader Pablo Casado era considerato prossimo alla scomparsa politica, Ciudadanos si sentiva pronto per il sorpasso. Vox veniva ritenuta un fenomeno destinato a restare testimoniale e, malgrado l’Andalusia avesse dimostrato come il centrodestra non nutrisse preclusioni verso l’ultradestra, si riteneva ancora che PP (Partido popular) e C’s (Ciudadanos) in competizione per rappresentare il richiamo all’ordine mantenessero margini molto stretti per la formazione di Santiago Abascal. I sondaggi, nell’approssimarsi del periodo estivo, continuavano a gonfiare le vele al PSOE. È stato allora, probabilmente, che Pedro Sánchez e il suo consigliere politico Iván Redondo hanno cominciato a convincersi che una ripetizione del voto potesse consentire di migliorare le posizioni del PSOE, decidendo così di far naufragare una trattativa che già stavano portando avanti svogliatamente. Il 25 luglio, quando l’investitura di Sánchez è fallita, lo stato maggiore socialista aveva già tracciato la rotta per ritornare alle urne.

Ma il ritorno al voto non era ben visto da tutti nel PSOE, neanche nella cerchia dei segretari federali più vicini al segretario socialista. Miquel Iceta, dei socialisti catalani del PSC (Partit dels Socialistes de Catalunya), Ximo Puig, segretario dei socialisti valenziani e presidente dell’autonomia assieme alle sinistre di Compromís e Unidas Podemos, e Francina Armengol, presidente delle Isole Baleari e segretaria federale dei socialisti dell’arcipelago, hanno anche premuto pubblicamente per un accordo di governo con le sinistre e, più discretamente, hanno manifestato i loro timori per le conseguenze di un ritorno alle urne, sconsigliando di percorrerlo. La stampa ha riportato diversi passaggi della dialettica interna al PSOE, in particolare il quotidiano La Vanguardia che ha riferito anche del parere dell’ex segretario José Luis Rodríguez Zapatero, che aveva messo in guardia dal tentare una nuova «avventura» elettorale. Zapatero, tra gli esponenti della vecchia guardia socialista, è quello che più ha avuto accesso alle stanze della segreteria. Su mandato di Sánchez ha tenuto il dialogo ufficioso con Pablo Iglesias durante i tentativi per trovare un accordo per l’investitura e si dice che anche lui si sia sorpreso dell’irriducibilità del segretario. Nulla è andato come si immaginava, a partire dalle reazioni alle condanne degli indipendentisti catalani. Le proteste e le violenze, dei manifestanti e delle forze dell’ordine, hanno cambiato lo scenario. Anche l’esumazione della salma di Francisco Franco, che Sánchez aveva pensato come sigillo del suo rappresentare la Spagna democratica, è passata in secondo piano, percepita anzi come passerella nostalgica.

I risultati elettorali contraddicono la strategia di Pedro Sánchez. Il PP si consolida come secondo partito e alternativa al PSOE. Il crollo di Ciudadanos elimina una possibile strada di governo riducendo sostanzialmente a due le scelte per formare un esecutivo. Un accordo con UP, adesso ancor più dipendente dal gioco di astensioni benigne e voti a favore dalle file dei partiti nazionalisti baschi e di una parte almeno, Esquerra republicana de Catalunya, dell’indipendentismo catalano. Oppure un’operazione di “concertazione nazionale” col Partido popular.

La prima è un’impresa che pareva già molto difficile quattro mesi fa e ora appare quasi impossibile, la seconda costituirebbe una novità dalle conseguenze imprevedibili. Per quanto dal PSOE sia arrivato l’annuncio della riapertura del dialogo con UP, e già nel discorso alla folla della notte dei risultati Sánchez proponeva un governo progressista «guidato» dal PSOE, suggerendo quindi un esecutivo di coalizione, il cammino sembra ora più difficile, con l’auge delle destre e le tensioni fra gli indipendentisti catalani mai così alte. Eppure, quella coalizione negata qualche mese fa potrebbe essere per il segretario l’unica chance di non cadere nelle mani dei popolari, con Casado che potrebbe anche chiedere un suo passo indietro per consentire il varo di un esecutivo socialista, riaprendo spazi per le minoranze nelle lotte interne al PSOE.

La notte dei risultati la militanza gridava al segretario socialista «Con Iglesias sì, con Casado no!», conducendoci verso le incognite che un accordo coi popolari porterebbe con sé. Per quanto politica e media alzino la tensione, la questione catalana non viene vissuta come tale da giustificare la formazione di un fronte “costituzionalista”. Non avvenne col terrorismo basco, quando maggioranze e opposizioni fecero fronte comune con la politica dei Patti di Stato. Il mandato a Sánchez per un governo delle sinistre uscito dalle urne il 28 aprile era anche per riportare alla politica un conflitto da questa colpevolmente delegato alla giustizia.

Il bilancio del voto è quindi amaro, malgrado la vittoria, per il segretario socialista anche se non tanto quanto lo è per Albert Rivera, il leader di Ciudadanos, giunto alla fine della sua parabola.

Gli arancioni hanno subito un tracollo peggiore di quanto annunciato dai sondaggi, passando da 57 a 10 deputati. Per rincorrere il sorpasso sui popolari, Rivera ha spostato sempre più a destra il suo asse, perdendo i tratti moderati che gli avevano consentito di pescare voti sia nel bacino elettorale socialista, soprattutto all’inizio del cammino, che in quello popolare. Appoggiato dalla grande stampa madrilena e benvoluto in molti circoli politici ed economici, in Spagna come a Bruxelles, Rivera era visto come la possibile alternativa “macroniana” al vecchio e corrotto sistema di potere del PP. Aver dilapidato questo capitale lo ha portato alle dimissioni e all’annuncio del ritiro dalla scena politica. Cosa sarà ora di Ciudadanos è tutto da vedere, a partire da come si muoverà Manuel Valls. L’ex capo del governo francese, presentato dagli arancioni come candidato sindaco indipendente a Barcellona, è entrato in rotta di collisione con Rivera sulla formazione della giunta barcellonese, deciso ad appoggiare con due transfughi l’investitura di Ada Colau, e sugli accordi con Vox, e potrebbe essere perno del tentativo di ricostruire un’offerta con ancora degli spazi elettorali.

Qui l’articolo completo

Rete Bianca, le scelte della comunità democratica e popolare

Secondo il filosofo Massimo Cacciari, i cattolici non possono essere (per definizione) apolitici. Come si può superare, allora, la condizione di presunta “irrilevanza” (secondo le recenti parole del cardinale Ruini) dei cattolici democratici nella costruzione di un movimento che possa essere attrattivo nell’attuale offerta politica?
Per non ripetere alcuni errori del passato, è necessario, oggi, un esame di coscienza da parte del cosiddetto “cattolicesimo democratico”.

Un’occasione in tal senso può essere offerta dal prossimo incontro di Rete Bianca che si terrà a Roma, presso il piccolo Auditorium “Aldo Moro” (via di Campo Marzio, 24) nella mattina di sabato 23 novembre p.v.

Dopo l’indirizzo di saluto di Lucio D’Ubaldo, direttore del Centro di Documentazione e Studi dei Comuni Italiani (Anci) e l’introduzione generale di Alessandro Corbelli, presidente del Movimento Popolare italiano, il dibattito ruoterà intorno alle riflessioni di eminenti relatori. Giancarlo Infante, socio fondatore (con gli economisti Leonardo Becchetti e Stefano Zamagni) del movimento politico Insieme. Interverranno anche il prof. Luigi Di Santo, docente di Filosofia del Diritto presso l’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale e Direttore della Scuola nazionale di formazione socio-politica “Giorgio La Pira”, il dott. Claudio Avelar (presidente Unione Democratico-Cristiana del Brasile), e il dott. Virginio Panici, presidente del movimento politico “Dimensione Cristiana”. Le conclusioni sono a cura del portavoce nazionale di Rete Bianca, il giovane Dante Monda.

In questi ultimi tempi, sono emersi alcuni nodi problematici di natura culturale che si sono spesso frapposti tra il “patrimonio potenziale” dei cattolici ed una sua traduzione in scelte operative che possano essere concrete ed efficaci.
Un nodo importante riguarda la questione dell’identità cattolica e della laicità. È necessario passare da una dialettica Chiesa-Stato ad una dialettica “credente-cittadino” per essere presenti e operativi in politica da cattolici in quanto cittadini. La questione riguarda la piena autonomia dei laici in politica, la formazione delle coscienze e la capacità di dialogo con la società civile e con il “mondo moderno”.

Certamente le sfide del futuro si giocano anche sul terreno del pre-politico, cioè della formazione politica. Da qui è nata l’idea, da parte dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale insieme all’Istituto Internazionale Jacques Maritain, di creare una Scuola di formazione socio-politica (giunta alla seconda edizione) dedicata a un grande maestro come l’ex sindaco di Firenze, Giorgio La Pira. Uno che, di fronte agli scioperi degli operai della fabbrica Nuovo Pignone, ebbe a dire ai dirigenti: “cambiate le leggi, perché io non posso cambiare il Vangelo”.
Prima di creare nuove formazioni politiche, appare dunque necessario rigenerare un terreno culturale, etico e spirituale condiviso, iniziando dalle giovani generazioni.

Villa Giusti, poi Versailles: i “vespri fiumani” e il “natale di sangue”

Quell’autunno, gli alti quadri di governo italiani non furono affatto soddisfatti delle condizioni di pace bilaterali siglate dagli Alleati della Triplice a seguito della fine del conflitto 1914-1918. Non fu per nulla convinto lo Stato Maggiore dell’esercito, il quale avrebbe voluto prolungare l’avanzata a Nord-Est. Apparve a sua volta perplesso il premier Vittorio Emanuele Orlando, responsabile in prima persona della sorte dei civili interessati (e provati) da quattro anni di sanguinosa guerra. Si trattava di centinaia di migliaia di connazionali che avevano visto le proprie terre trasformarsi in un enorme campo di battaglia.

Dopo le trattative di Villa Giusti (1, 2 e 3 novembre 1918), avvenute nella proprietà veneta del conte Vettor Giusti del Giardino, luogo in cui Italia e Austria-Ungheria firmarono l’armistizio, rimanevano i problemi degli sfollati e del grande movimento prodotto dal deflusso dei reduci dal fronte. Ma soprattutto, restava inalterata la condizione dei territori della Venezia Giulia, già occupati dagli austriaci e poi sgomberati dopo il cessate il fuoco.
Le relazioni diplomatiche peggiorarono di ora in ora, sino a raggiungere un punto di non ritorno quando il tema centrale fu rappresentato dalle riparazioni e dai debiti di guerra. Nell’aprile del ’19 Orlando e Sonnino, contrariati, lasciarono in fretta e furia Versailles, sede della Conferenza di Pace tra le potenze ex-belligeranti. Spina nel fianco di Roma: la mancata acquisizione di Fiume, abitata per la maggioranza da italiani e fortemente rivendicata sin dai mesi che avevano preceduto la fine del conflitto. Una “cessione” geopolitica che il presidente statunitense Wilson non intendeva nel modo più assoluto avallare e per questo era intervenuto in sede separata.

Nacque così il mito della “vittoria mutilata”, una vicenda che Gabriele D’Annunzio esacerbò e politicizzò sino a provocare – sostenuto da poche centinaia di reduci e giovani irredentisti – quegli scontri passati alle cronache come “i vespri fiumani”, durati dal 29 giugno al 6 luglio 1919 e culminati con l’abbattimento di una decina di militari francesi di stanza in una zona considerata neutrale. A sostegno dell’iniziativa irredentista, le elezioni municipali indette per il 26 ottobre avevano fatto riscontrare la schiacciante vittoria della lista di Riccardo Gigante (circa l’80% dei voti), dichiaratamente favorevole all’annessione della cittadina all’Italia.

L’azione più clamorosa fu compiuta tuttavia all’alba del 12 settembre, quando, dopo una sosta a Ronchi dei Legionari, fiancheggiato da alcuni drappelli di militari (soprattutto granatieri e bersaglieri), D’Annunzio tornò a Fiume e proclamò la sua annessione all’Italia. Un’occupazione promessa ante litteram per motivi di eugenetica realizzata contro la volontà della corona e del governo, i quali decisero di attendere. Un’attesa caratterizzata da una serie di messaggi con cui fu intimato al Vate che avrebbero potuto esserci gravi conseguenze. A seguito del ritorno al governo dell’anziano Giolitti, infatti, avvenuto nel giugno 1920, l’atteggiamento del Regno nei confronti della autoproclamata Reggenza Italiana del Carnaro si fece più deciso; la risposta (dal sapore di un avvertimento) alla “Santa Entrata” operata da D’Annunzio, del tutto ufficiale, fu data il 12 novembre, quando Italia e Jugoslavia firmarono il Trattato di Rapallo, che decretava Fiume libera e indipendente, previa l’istituzione di un’Assemblea Costituente legittimata dai paesi contraenti.

Passarono pochi giorni ed ebbe luogo quello che lo stesso D’Annunzio celebrò come “il Natale di sangue”, ovvero l’epilogo di una vicenda delicata quanto complessa che aveva attirato l’attenzione internazionale. Il 24 dicembre, Vigilia di Natale, la Andrea Doria bombardò Fiume costringendo alla resa in meno di una settimana il corpo d’occupazione ritenuto illegittimo. Il 31 dicembre, proprio a Capodanno, fu redatta la Carta che sanciva la città di Fiume “Stato libero e autonomo” e la sottoponeva al controllo dell’esercito italiano.
In conclusione, una curiosità. Il nascente movimento dei Fasci di Combattimento, con una nota, condannò l’azione dell’esercito regio giudicandola arbitraria e inopportuna. Solo un unico dirigente si dissociò, dichiarandosi contrario alla stesura del documento : Benito Mussolini.

Crescono le partite Iva

MODULISTICA CONTRIBUTI F24 F 24 SEMPLIFICATO MODELLO DI PAGAMENTO UNIFICATO TASSE

La distribuzione per natura giuridica mostra che il 72,3% delle nuove aperture di partita Iva è stato operato da persone fisiche, il 21,6% da società di capitali, il 3,2% da società di persone; la quota dei “non residenti” ed “altre forme giuridiche” rappresenta complessivamente il 2,5% del totale delle nuove aperture. Rispetto al terzo trimestre del 2018, le persone fisiche evidenziano un apprezzabile aumento (+8,3%), dovuto in particolare alle nuove adesioni al regime forfetario: nel periodo in esame 49.171 nuovi avvianti hanno aderito al regime (48,4% del totale delle nuove aperture), con  un aumento del 30,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Le forme societarie accusano invece un calo: -3,6% per le società di capitali e -4,9% per le società di persone. Da segnalare inoltre il notevole aumento delle aperture da parte di soggetti non residenti (+44%), come già rilevato in altri trimestri, legato allo sviluppo della web economy. In relazione alla ripartizione territoriale, il 44,3% delle nuove aperture è localizzato al Nord, il 22,1% al Centro e il 33,2% al Sud e Isole. Il confronto con lo stesso periodo dell’anno precedente evidenzia che i principali incrementi di avviamenti sono avvenuti in Piemonte (+16,2%), in Lombardia (+11,5%) e in provincia di Bolzano (+11,2%). Le diminuzioni più consistenti in Valle d’Aosta (-19,7%), Calabria (-3,6%) e Sardegna (-3%).

Guardando poi alla classificazione del settore produttivo, il commercio registra, come di consueto, il maggior numero di avviamenti di partite Iva con il 20,5% del totale, seguito dalle attività professionali (16,1%) e dalle costruzioni (9,2%). Rispetto al terzo trimestre del 2018, tra i settori principali i maggiori aumenti si segnalano nell’istruzione (+21,2%), nelle attività professionali (+16,2%) e nei servizi d’informazione (+13,6%). L’unico ambito in flessione è la sanità (-5,8%). Per quanto riguarda le persone fisiche, la suddivisione di genere mostra una sostanziale stabilità (maschi al 62,7%). Il 46% delle nuove aperture è stato avviato da giovani fino a 35 anni ed il 32% da soggetti appartenenti alla fascia dai 36 ai 50 anni. Rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno, si notano incrementi di aperture crescenti all’aumentare dell’età degli avvianti: dal +17,1% della classe più anziana al +5,9% della più giovane.

Dal Governo primi fondi per Venezia

Mose

Il Consiglio dei ministri ha deliberato la dichiarazione dello stato di emergenza su tutto il territorio comunale colpito dagli eccezionali eventi meteorologici che si sono verificati a partire da mercoledì 12 novembre. Il Consiglio dei ministri ha previsto, nelle more della definizione e quantificazione dei danni, un primo stanziamento di 20 milioni di euro per la città lagunare.

Servono “scelte di politica economica coraggiosa che questo Governo sta già mettendo in campo con il decreto clima – ha detto il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, in riferimento all’emergenza acqua alta a Venezia – Quando si capirà che l’unica grande sfida che tutti insieme dobbiamo affrontare è quella contro i cambiamenti climatici? Quando si riuscirà a fare fronte comune per combattere l’unica grande emergenza che mette in pericolo le nostre vite e quelle delle generazioni future? Dopo Matera patrimonio mondiale dell’Unesco sommersa dall’acqua – ha continuato Costa – un altro sito Unesco, Venezia e la sua laguna, ne è devastata. Già nel prossimo Cdm valuteremo gli interventi necessari e urgenti. Ma è tempo di agire subito contro i cambiamenti climatici, con scelte di politica economica coraggiosa che questo governo sta già mettendo in campo con il decreto clima, le misure previste nella legge di bilancio e nel collegato ambientale, il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, in un’ottica più ampia di azioni efficaci di contrasto e adattamento ai cambiamenti climatici”.

Il titolare dell’Ambiente ha infine sottolineato come nell’ultimo Report dell’Ipcc (2018) gli scienziati abbiano messo in evidenza la tropicalizzazione dei fenomeni meteorologici che il Mediterraneo sta subendo. “E’ giunto il momento di lavorare tutti insieme, per arginarne gli effetti e contrastare il climate change – ha detto Costa -. Per questo, bisogna avere il coraggio di osare e di andare oltre i propri steccati. Dobbiamo salvare Venezia”.

 

Inquinamento e nascituri

Una ricerca ha evidenziato come anche nella pancia della mamma arrivi l’inquinamento.

Esaminado campioni della placenta di 23 donne, 10 che avevano partorito a termine e le altre prima del termine. Con una tecnica particolare, che prevede di illuminare il tessuto con il laser e rendere fluorescenti le sostanze con una particolare lunghezza d’onda, hanno individuato le particelle composte da carbone in tutti i campioni di tessuto esaminate.

Nelle donne che durante la gravidanza erano state esposte a più alti livelli di inquinamento, per la zona in cui abitavano, le particelle erano però in media circa il doppio di quelle che abitavano in zone con aria più pulita.

Il risultato dimostra per ora semplicemente che particelle di questa natura possono essere trasportate attraverso la circolazione sanguigna e che sono in grado di attraversare la placenta e raggiungere il lato rivolto verso il feto.

Popolari, una buona e realistica ripartenza.

Un incontro importante e costruttivo quello convocato dal Presidente dell’Associazione Popolari Pier Luigi Castagnetti presso l’iStituto Sturzo a Roma. Un confronto aperto e senza titubanze introdotto dallo stesso Castagnetti che ha immediatamente posto il tema, peraltro molto discusso in questa fase politica e mediatica, sulla presunta “irrilevanza” politica e culturale dei cattolici nella vita pubblica del nostro paese. E, di conseguenza, su come ridare slancio, vigore e qualità alla presenza attiva del cattolicesimo democratico e del cattolicesimo politico nell’attuale fase storica. Ora, al di là del dibattito ricco e plurale allo Sturzo, a cui hanno partecipato anche il Ministro Dario Franceschini e molti esponenti di primo piano del popolarismo italiano, sono emersi alcuni elementi chiari ed oggettivi. 

Innanzitutto, ed è stato ribadito con forza e convinzione, l’inopportunità di dar vita, oggi, ad un “partito cattolico” o ad un “partito popolare di ispirazione cristiana”. Mancano le condizioni storiche, politiche e forse anche organizzative per avventurarsi in un cammino del genere. Una ipotesi, comunque sia, che resta sul tappeto e che non si può pregiudizialmente negare per un futuro che oggi, però, non si intravede. Questo, al contempo, non significa affatto non prendere in seria considerazione il dibattito – che è presente e sarebbe inutile negarlo – attorno ad una rinnovata presenza politica dei cattolici democratici e popolari nel nostro paese. Un dibattito che campeggia non solo nell’area cattolica italiana, seppur frastagliata e molto frammentata, ma nello stesso mondo laico. E’ appena sufficiente ricordare la grande attenzione che i grandi organi di informazione riservano al tema del centro, dei cattolici e dei popolari nell’attuale fase politica italiana. 

In secondo luogo è emersa la necessità di ridare voce e qualità alla cultura cattolico popolare. Attraverso vari strumenti: dalla ripartenza, seppur online, della gloriosa testata del Popolo a convegni di formazione e di approfondimento sui capisaldi della nostra identità storica ed ideale. Momenti che possono e debbono essere fortemente aggreganti per il “nostro mondo” ma aperti, comunque, al confronto e al dialogo con altri spezzoni della galassia cattolica italiana che mai come in questo momento sentono la necessità di ridare voce e rappresentanza a settori della società che si sono progressivamente allontanati dalla politica e, in misura più marcata, dai partiti. Anche dai partiti di riferimento. 

In ultimo, ma non per ordine di importanza, nel dibattito si è richiamata la necessità di ricreare una sorta di unità politica, culturale e forse anche organizzativa dei vari spezzoni riconducibili al cattolicesimo democratico e popolare che si riconoscono nel campo del centro sinistra alternativi al sovranismo e alla destra. Una unità che, stando alle forze che sono realisticamente in campo, non possono che guardare con forte interesse al Partito democratico, purché confermi la sua natura “plurale” tesa alla valorizzazione delle culture politiche fondanti quell’esperienza. 

Insomma, l’incontro all’Istituto Sturzo ha aperto, forse, una pagina nuova nella storia travagliata e sofferta ma sempre entusiasmante del cattolicesimo democratico e popolare nel nostro paese. E proprio Castagnetti, l’ultimo segretario nazionale del Ppi, può ancora giocare un ruolo decisivo e fondamentale in questa azione di ricomposizione politica, culturale ed anche organizzativa di una esperienza che, comunque sia, continua ad essere tuttora importante per il futuro e la stessa qualità della democrazia italiana. 

“Die Mauer”. Il Muro, simbolo tragico di un’epoca al tramonto

Nel novembre del 1989 cadeva il Muro di Berlino che da 37 anni divideva non solo la città e la Germania dell’est e dell’ovest, ma l’Europa. Il sistema sovietico dominante nei paesi dell’est Europa era stato già messo i discussione nel ’56 in Ungheria e nel ‘68 dalla Primavera di Dubcek, ma tutto si era sempre risolto in una durissima repressione. Sollecitata da questi fatti, da matricola all’università La Sapienza organizzai una manifestazione per Jan Palach, lo studente  praghese mio coetaneo che si fece bruciare nella piazza San Venceslao.

Poi venne il tempo di Solidarność, nella simbolica Danzicaść guidata da Lech Walesa e la grande speranza alimentata da Giovanni Paolo II, oggi quasi dimenticato nelle celebrazioni del trentesimo anniversario. Eppure lo stesso Mikhail Gorbaćëv disse di lui nel 1979, dopo la sua storica visita in Vaticano: “Tutto ciò che è successo nell’Europa orientale non sarebbe stato possibile senza la presenza di questo Papa, senza il grande ruolo, anche politico, che lui ha saputo giocare sulla scena mondiale”. 

Un Papa che aveva messo in guardia dai rischi che al vuoto del comunismo (che aveva sofferto personalmente a Cracovia) si sostituisse il materialismo e il consumismo e che invitava a dare pari dignità ai “due polmoni“ dell’Europa sulla base di valori  comuni, fondati sulla libertà e dignità della persona umana. Una profezia che aveva capito quali potevano essere i rischi di una unione egemonizzata dall’ovest o solo utilitaristica. 

 

Credo possa interessarvi l’articolo che pubblicai sul settimanale “La Discussione” proprio nel dicembre dell’89, di ritorno da Berlino dove ero stata  con una delegazione di deputati italiani. È una sorta di resoconto degli avvenimenti, delle reazioni e delle analisi di quei giorni che hanno cambiato l’Europa e il mondo.

***

Il Natale in Germania vedrà intanto una prima, capillare riunificazione: quella di migliaia di famiglie, che si ritroveranno al di qua e al di la del muro di Berlino, intorno ad abeti e Presepi, in un’intimità che sognavano da quasi trent’anni. La nuova fase che si è aperta nella difficile convivenza tra le due Berlino, ha avuto una sua eloquente sottolineatura domenica scorsa scorsa, nel mercatino di Natale della zona ovest, dove hanno passeggiato a braccetto i due sindaci Krack e Momper.

Di ritorno dalla Germania dopo una breve visita con una delegazione della Commissione Cultura della Camera, cerco di fare ordine tra le impressioni, le testimonianze, i segni quotidiani raccolti in pochi giorni. Pochi giorni? Ma tutto è successo in quei giorni.

Martedì 5 dicembre: l`intero gruppo dirigente del Partito comunista di Berlino Est è agli arresti domiciliari, compreso l’ex-segretario generale e Presidente del Consiglio di Stato Honecker mentre si sono dimessi il Procuratore generale e il suo vice. Accusa: corruzione. Il giorno prima centocinquantamila persone avevano dimostrato a Lipsia e sessantamila a Karl-Marx-Stadt dove si è chiesto tra l’altro il ripristino dell’antico nome della città, Chemnitz.

Mercoledì 6: è arrestato a Berlino ovest il principale artefice della gigantesca frode valutaria del Governo della Germania Est, Schalck-Golodkowski, mentre il vicepresidente del Consiglio italiano Martelli, in visita ufficiale, non sa più chi potrà incontrare a Berlino est, oltre i rappresentanti dei gruppi di opposizione.

Giovedì 7: di fronte a vere insurrezioni popolari, il Capo del Governo Modrow rivolge un appello alla moderazione, mentre su invito delle Chiese evangelica e cattolica si tiene a Berlino est il primo incontro tra i partiti ufficiali e i rappresentanti dei gruppi di opposizione (14 a 15). Si è parlato di riforma costituzionale della nuova legge elettorale, di libertà di stampa.

Venerdì 8: alle 19 comincia il Congresso straordinario della Sed, il Pc tedesco-orientale, per rilanciare «un partito socialista radicalmente nuovo», e per valutare la possibilità di «strutture confederative» tra le due Germanie, riprendendo in sostanza il piano Kohl sia pur affermando che la Germania dell‘est «non sarà venduta» all‘altra Germania. Intanto a Strasburgo il Consiglio europeo trova un accordo che resterà nella storia: «la Cee punta ad una pace europea nella quale il popolo tedesco ritrovi la sua unità attraverso una libera determinazione».

Sabato 9: viene eletto nuovo segretario della Sed Gregor Gysi, un “riformatore”, ma il congresso riprenderà il 16 dicembre per approvare, tra l’altro, il nuovo nome del Partito: tra le tre ipotesi in votazione la parola “comunista” è comunque scomparsa. Viene la domanda, un po’ malizosa: ma il Partito comunista italiano non rischia di rimanere tra poco il partito comunista «ombra»?

Mentre queste ed altre cose succedevano, abbiamo incontrato membri del Governo federale, parlamentari del Bundestag, l’”assessore” alla cultura di Berlino ovest, la senatrice dell’Spd Martini, nonchè la nostra rappresentanza diplomatica a Bonn e a Berlino ovest.

Da tutti, con accenti e preoccupazioni diverse, un monito: la divisione europea, dopo la guerra, è avvenuta in Germania: “la caduta del muro di Berlino è quindi un problema europeo, non solo tedesco” – ci ha dichiarato la senatrice Martini, raccontandoci come, giorno dopo giorno, le due Berlino imparino a collaborare, pur nella particolarità di questa città divisa in due, ma con la parte occidentale ripartita tra le quattro potenze alleate, e con una municipalità speciale, che si trova ad avere come interlocutori i ministri della Germania orientale, più che il borgomastro di Berlino est, e che da queste parti deve fare i conti con il Governo di Bonn o la Conferenza dei ministri degli undici Laender.

Con praticità tutta femminile, la Martini ha avviato iniziative di cooperazione culturale, sulla meno conflittuale (e più urgente) dimensione quotidiana dei problemi, aperti dalla possibilità per i berlinesi dell`est di accedere nell’altra metà della città. E cosi veniamo a sapere che Berlino ovest offre a questi cittadini «poveri» di assistere agli spettacoli e ai concerti a costi sociali, concede loro metropolitana e autobus gratuiti, e da quando si è aperto il varco il Bundestag “regala” ad ogni concittadino orientale 150 marchi (circa 75 mila lire) da spendere fino a dicembre nei negozi di Berlino.

Ma dal  primo gennaio sarà possibile anche per i tedeschi dell’Ovest recarsi oltre il muro e ,in base agli accordi,i cittadini dell’est potranno ottenere al cambio ufficiale l’equivalente di 200 marchi della Repubblica Federale all’anno. Cosi sono allo studio una serie di misure per consentire ai tedeschi orientali di accedere alle manifestazioni culturali e ai negozi di Berlino ovest, ma cercando di non desertificare la parte orientale della città. Un esempio: Berlino est ha offerto (dietro lauto affitto) di ospitare per un anno i concerti programmati dalla Filarmonica di Berlino ovest, chiusa a causa di lavori.

Così è nata la decisione del ministero degli Affari culturali della Germania dell‘Est e della municipalità di Berlino ovest di chiedere all’Unesco di considerare l’intera città zona particolare di intervento, come “eredità culturale mondiale”.

Le sue parole trovano una diretta conferma nel clima che si respira a Berlino: nel pomeriggio del sabato il centro è quasi vuoto, mentre ha ripreso a vivere l’antico centro di Berlino, quello presso la Porta di Brandeburgo, oggi visibile solo da un’altana in legno, innalzata al di qua del muro. Fiumi di persone e di macchine corrono incessantemente lungo il muro, si affollano in code lunghissime ai cancelli aperti del «Charlie check point”. Le due Berlino sono visibili nelle espressioni “I berlinesi dell‘Est – dice la guida – si sono come “illuminati”, ma quando vedono quello che offre la parte ovest, si sentono traditi”), nell’abbigliamento, nelle piccole, fumose Trabant, ancora a miscela, che ospitano intere famiglie dall’aria un po’ stupita e un po’ trionfante.

Un traffico inedito, a Berlino, che dura da quel fatidico 9 novembre. Un giorno, un mese e un anno destinati ad entrare nella storta d’Europa e del mondo, per quell’estrema, dilaniante simbolicità del muro. “Die Mauer”, come viene chiamato qui.

Forse per questo, la sera tardi piccoli gruppi di persone sostano intorno a qualcuno, giovane o anziano, che con determinazione e foga, armato di martello e scalpello, strappa pezzetti di cemento, fino a ottenere spiragli da cui si vedono garitte ormai vuote e riflettori immobili. E mentre ricevo dei «pezzetti» del muro di Berlino da un distinto signore dai capelli bianchi, tutto rosso per lo sforzo e la gioia della sua opera di demolizione, mi sembrano ancora più assurde e inaccettabili le tante croci bianche allineate davanti al muro.

L’ultima vittima è un ragazzo di vent’anni, caduto otto mesi prima del crollo di quello che ormai si rivelava sempre più il simulacro di una finzione. “Il muro era già trasparente – ci ha confermato il sottosegretario agli Interni Carl Dieter Sgranger, responsabile per l’editoria e il sistema radiotelevisivo della Rft – perché nonostante il divieto emanato quindici anni fa dalle autorità della Germania dell’est, nella maggior parte delle case vi sono antenne nascoste, che consentono di ricevere i programmi radiofonici e televisivi deIl’Ovest”.

Solo alcune zone della Ddr, fuori del raggio di ricezione, ne sono escluse e vengono chiamate “le valli degli ignoranti”. Ma ormai anche in queste valli si consuma la catastrofe del comunismo europeo, che accomuna Berlino a Varsavia, a Praga, a Budapest, a Sofia, alle repubbliche sovietiche e che finalmente comincia a contagiare la Romania, come ha scritto anche su queste pagine lo scrittore e profugo rumeno Grigore Arbore.

“Quest’anno si celebrano i duemila anni dalla fondazione della “romana” Bonn, il bicentenario della rivoluzione francese, i cinquant’anni dall’inizio della guerra, i quarant’anni dell’esistenza delle due Germanie, ci aveva ricordato a Bonn il sottosegretario alla Formazione e Scienza del Bundestag, Norbert Lammert, della Cdu. E ha commentato: «In futuro si celebrerà il 1989, come cesura storica, che ha visto in pochi mesi una radicale evoluzione dell’Europa orientale”.

Un giudizio molto preciso è venuto da lui sulla particolare questione della “riunificazione”, quell’attrazione fatale come l’ha definita Massimo Nava sul “Corriere della Sera” – cui nessun tedesco può sottrarsi. «Nessun paese della Cee più della Germania – ha affermato Lammert – è colpito dallo sviluppo e dalla trasformazione in atto all’Est».

Molti “vicini” temono che la Germania federale perderà, per questo, interesse al processo di integrazione europea o individuerà nuove priorità nei suoi orientamenti? “Si tratta di preoccupazioni comprensibili ma infondate – ha replicato – che non corrispondono né alle nostre convinzioni né ai nostri interessi”. E ha ricordato che senza il coinvolgimento della Germania occidentale nella Cee e nella Nato,queste non si sarebbero sviluppate come sono, ma anche che lo sviluppo della Germania Federale non ci sarebbe stato senza l’attrazione esercitata dalla Comunità in senso democratico.

Proprio perché la comunità non è solo Mercato unico, ma è comunità di popoli liberi, ha per obiettivo la garanzia della libertà dei cittadini e il loro diritto all’autodeterminazione”.

Ecco tornare, nelle parole di Lammert, non solo il decimo punto del “decalogo” di Kohl, ma anche la dichiarazione comune dei Paesi Nato, in giugno, a favore dello stato di pace in Europa, “dove il popolo tedesco possa ritrovare l‘unità in base all’autodeterminazione”.

Alla vigilia del Consiglio Europeo, Lammert si augurava che questa posizione dei paesi occidentali non fosse comune solo perché la questione non era ancora di attualità. Per fugare sospetti di revanscismo germanico, Lammert ha affermato con forza che “la cosiddetta questione tedesca non è nè più né meno che la forma in cui potrà sfociare la questione europea, e dunque potrà essere risolta in Europa e con l’Europa”.

Ricordato come non ci sia un paese in Europa che, attraverso amare esperienze, sia diventato più europeista della Germania, Norbert Lammert ci ha rivolto un appello: “Aiutateci! Se nascese qui l’impressione che l’Occidente non ci riconosce più il diritto all’autodeterminazione, quando questo da teorico diventa pratico, inevitabilmente – anche in condizioni democratiche – l’idea dello Stato nazionale si porrebbe in concorrenza con la costruzione europea”.

In volo da Berlino a Roma, con ancora negli occhi la porta di Brandeburgo chiusa dal Mauer, la Kurfursendamm scintillante di vetrine natalizie, il grattacielo dell’Europa Center, la sagoma un po’ sinistra del Reichstag, la speranza e l’eccitazione impressa sui visi dei berlinesi, capisco che questa sarà l’esaltante stagione politica che dovrà vivere la mia generazione.

E non sono certa che sarà meno difficile dell’“epoca del Muro”.

 

A Firenze sabato e domenica il Forum di Etica civile

Si tiene a Firenze sabato e domenica prossimi, 16-17 novembre, la terza edizione del Forum di Etica civile, evento nazionale promosso da un’ampia rete di soggetti, tra cui Aggiornamenti Sociali.

«Verso un patto tra generazioni: un presente giusto per tutti»: questo il titolo della due-giorni che, come avvenuto già nelle precedenti edizioni, sarà il momento culminante di un percorso iniziato diversi mesi fa e tuttora in corso, che sta coinvolgendo varie realtà e territori del Paese.

L’evento – a cui è stata conferita la Medaglia del Presidente della Repubblica – vedrà gli interventi, tra gli altri, di Alessandro Rosina (docente di Demografia, Università Cattolica di Milano), Benedetta Tobagi (giornalista e scrittrice), Erio Castellucci (arcivescovo-abate di Modena-Nonantola, teologo), Enrico Giovannini (Portavoce Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, docente di Statistica economica, Università di Roma “Tor Vergata”), Marco Tarquinio (giornalista, direttore di Avvenire), oltre ad ampi spazi di approfondimento tematico in gruppi di lavoro. Alla sera del sabato, uno spettacolo di teatro civile promosso dall’Associazione Pop Economix. Qui il programma completo.

Pur in «un tempo complesso e ricco di tensioni», si legge nelle “Premesse” elaborate dai promotori, «scopriamo importanti segnali di speranza, vere potenzialità di cambiamento rispetto a quegli elementi di ingiustizia che pure segnano profondamente il presente e le vite di chi lo abita». Tra questi, «la forza della cittadinanza responsabile, l’emergere incipiente di una soggettività giovanile attenta al bene comune, la vivacità di un’economia civile, responsabile e circolare, l’azione di tante città – e reti di città – per l’ambiente, l’accoglienza, l’educazione, il recupero e la valorizzazione delle periferie, attraverso reali percorsi partecipativi ed inclusivi».

Sono proprio questi segni di speranza, proseguono i promotori, «che ci impegnano ad andare oltre, sostenendoli e condividendoli in un rinnovato patto intergenerazionale. I cambiamenti in atto, infatti, vanno governati con una politica lungimirante, per la positiva crescita di una città abitabile per tutti: uomini e donne; bambini, giovani, adulti ed anziani».

Il Forum – che si terrà presso l’Auditorium Sant’Apollonia (Via San Gallo 25, Firenze) e sarà trasmesso in diretta streaming dal sito – si concluderà con la sottoscrizione e la pubblicazione di un “Patto”. La partecipazione è gratuita previa iscrizione compilando l’apposito modulo sul sito del Forum.

 

Madrid, 11/11/2019

Articolo pubblicato dalla rivista il Mulino a firma di Alfonso Botti

I risultati delle elezioni in Spagna. È andata esattamente come previsto: dai sondaggi dell’estate, che per quanto riguarda la governabilità avevano previsto lo stallo, a quelli dell’ultimo mese sui risultati delle varie forze politiche, fatta eccezione per le dimensioni del successo di Vox e il crollo di Ciudadanos. Un esito dunque scontato, un voto inutile, un regalo alla destra estrema. Facendo il confronto con i risultati delle elezioni politiche del 28 aprile scorso, il voto del 10 novembre ha assegnato al Psoe 120 deputati con il 28% dei voti (ne aveva 123 pari al 28,6% dei voti), a Unidas Podemos e ai suoi alleati 35 deputati  con il 12,8% dei voti (ne aveva 42, pari al 14,3%), non compensati dai 3 seggi ottenuti da Más País di Iñigo Errejón, nato da una costola di Podemos. Il Pp che ne aveva 66, pari al 16,6% dei voti, ne ha ottenuti 88 con il 20,8% dei voti, a scapito di Ciudadanos che di seggi ne ha persi 47, crollando anche in percentuale dal 15,8 al 6,8%. Allarmante il successo di Vox che in termini percentuali è passato dal 10,2 al 15,1%, più che duplicando i propri seggi, passati da 24 a 52. I partiti nazionalisti e regionalisti hanno ottenuto ovunque buoni risultati. Nei Paesi baschi il Pnv ha eletto 7 deputati (ne aveva 6), Bildu 5 (ne aveva 4). In Catalogna alla flessione della storica formazione di Erc, che ha ottenuto 13 seggi (ne aveva 15), ha corrisposto la conquista di 2 seggi da parte del nazionalismo radicale e di classe della Cup (non presente alla precedente elezione) e l’incremento di un seggio delle forze nazionaliste di centro-destra, JxCat che ha eletto 8 deputati (ne aveva 7).

L’affluenza, che era stata del 75,7% il 28 aprile, è scesa al 69,8%. Segno evidente della stanchezza dell’elettorato e della delusione per la mancata formazione di un governo. L’astensionismo ha colpito più gli elettori delusi dalla sinistra, mentre l’elettorato di destra ha disertato meno le urne. Percentuali e seggi non rivelano adeguatamente gli spostamenti reali in termini di voti. Di fatto Psoe e Up hanno perso circa 1,5 milioni di consensi, dei quali solo i 554 mila di Más País sono rimasti a sinistra, mentre il Pp e Vox ne hanno guadagnati rispettivamente 662 e 962 mila, strappandoli a Ciudadanos, che comunque ha perso per strada 2,5 milioni di voti.

Complessivamente considerate le forze di sinistra (Psoe, Unidas Podemos con i suoi alleati e Más País) hanno ottenuto il 42,9% dei voti e 158 deputati, (avevano il 43,6% e 166 deputati), mentre le destre hanno ottenuto il 43,1% dei voti e 152 deputati (avevano il 43,2% e 149 deputati). Ma se le sinistre nel loro complesso dopo le elezioni del 28 aprile avevano bisogno di 10 voti per arrivare alla maggioranza di 176, ora avranno bisogno di trovarne 18.

Qui l’articolo completo 

Don Cosimo Schena: “Vivo di Te”

Non si ferma più don Cosimo Schena. Dopo il grande successo delle sue ultime raccolte di poesie e musica che lo hanno consacrato nuova stella delle piattaforme musicali, il sacerdote pugliese ritorna con un nuovo album di poesie inedite, di sua composizione.

Oggi uscirà infatti “Vivo di Te”, la sua nuova raccolta di poesie musicate che si potrà ascoltare su tutte le maggiori piattaforme musicali.

Poco più di un anno fa la brillante idea di pubblicare tutte le sue composizioni poetiche in formato audio e interpretarle personalmente accompagnate da suggestivi sottofondi musicali.

Subito l’idea è stata apprezzata dal pubblico che ha cominciato a seguirlo in rete grazie alle varie piattaforme musicali, da Spotify a iTunes passando per YouTube.

I suoi brani hanno avuto un’impennata di ascolti e i fans lo hanno ribattezzato “Il poeta dell’Amore”, tanto che la stampa a livello nazionale ha cominciato ad occuparsi della sua storia.

Messaggi d’amore

Il tema predominante delle sue composizioni, infatti, è l’amore: un amore universale che parte da Dio per arrivare a tutti coloro che hanno ancora la voglia di scommettere su questo sentimento.

“Vorrei che il mio messaggio d’amore arrivi anche a coloro che vivono o si sentono in preda alla solitudine, a tutti quelli che hanno perso il senso della speranza e della vita” dichiara don Cosimo commentando l’uscita del nuovo album. E aggiunge: “Le poesie nascono da momenti di preghiera e di storie di gente che incontro e che mi racconta la propria vita”.

La raccolta

“Vivo di Te” di don Cosimo Schena contiene cinque poesie, registrate in entrambe le versioni: con musica e senza. I titoli sono: Vivo di Te, Ci prenderemo per mano, Sei qui con me, Sopra le nuvole e Spero che ritorni.

A giugno è uscito anche un libro di poesie di don Cosimo.

Il sacerdote poeta svolge il suo ministero spirituale a Mesagne, in provincia di Brindisi e tutto il ricavato delle sue opere lo devolve in beneficienza per aiutare le famiglie più bisognose.

Dalla poesia “Ci prenderemo per mano”

Ci prenderemo per mano

Affinché il vento

Ci spinga da una parte all’altra

E ci faccia ritornare il Sorriso

rideremo

Si rideremo

Sul dolore passato

Saremo con il fiatone

Ma felici

Valle d’Aosta, il Celva lancia il progetto “Pour les Femmes”

Dotare i Comuni valdostani, che ne sono ancora sprovvisti, di una panchina rossa, e rilanciare sull’intero territorio un percorso di sensibilizzazione che coinvolga amministratori e cittadini nella lotta alla violenza sulle donne. Sono questi gli obiettivi del progetto “Pour les femmes”, voluto dal Celva, il Consorzio degli enti locali della Valle d’Aosta, con l’Associazione Donne Latino-Americane Valle d’Aosta Uniendo Raices Onlus, promosso nell’ambito delle iniziative organizzate, a livello regionale, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, e che ricorre il prossimo 25 novembre. L’iniziativa può contare sulla stretta collaborazione con l’Assessorato all’Istruzione, Università, Ricerca e Politiche giovanili della Regione autonoma Valle d’Aosta, l’Ufficio della Consigliera regionale di Parità, gli Stati generali delle Donne e gli Stati generali delle Donne Valle d’Aosta e trae ispirazione da analoghe iniziative già promosse a livello nazionale.

Franco Manes, presidente del Celva ha dichiarato: “Vista l’importanza del tema, Pour les femmes è un progetto che abbiamo voluto in maniera unitaria, organizzata e partecipativa, e che coinvolgerà tutti i 74 Consigli comunali e i cittadini dei territori”. Il progetto si svolgerà in due fasi: “Nei prossimi giorni – prosegue Manes – forniremo ai nostri amministratori locali tutto il necessario per dipingere di rosso una panchina che, nei singoli Comuni, ricorderà l’importanza di mantenere alta l’attenzione sul contrasto alla violenza contro le donne e, in senso lato, contro tutte le forme di violenza di genere. La panchina è sia un elemento fisico, sia simbolico nell’educazione verso un tema che non può essere né nascosto, né sottovalutato. L’iniziativa di sensibilizzazione sarà allargata alle generazioni più giovani, coinvolte direttamente, nella seconda fase del percorso, in appuntamenti formativi ai quali potranno prendere parte, oltre agli amministratori, anche le associazioni di volontariato”.

La polmonite uccide un bambino ogni 39 secondi

Lo scorso anno la polmonite ha ucciso più di 800.000 neonati e bambini piccoli. In un rapporto su quella che hanno definito “un’epidemia dimenticata”, il fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia Unicef, la charity internazionale Save The Children e altre quattro agenzie per la salute globale hanno esortato i governi a incrementare gli investimenti in vaccini per prevenire la malattia e in servizi sanitari e farmaci per curarla.

Le sue vittime devono combattere per respirare perché i loro polmoni si riempiono di pus e liquido. La malattia può essere prevenuta con i vaccini e trattata con antibiotici e – in casi gravi – con ossigeno, ma nei Paesi più poveri, l’accesso a tutto questo spesso è limitato.

Secondo il rapporto, la polmonite causa il 15% dei decessi in bambini di età inferiore a 5 anni, ma rappresenta solo il 3% della spesa in ricerca sulle malattie infettive, restando molto indietro rispetto ad altre patologie come la malaria.

L’argine anti-Salvini richiede una nuova politica economica

L’intento espresso da Lucio D’Ubaldo, nell’articolo pubblicato ieri (https://ildomaniditalia.eu/se-il-centro-moderato-organizza-largine-anti-salvini/), di sottolineare e incoraggiare un processo politico nella componente ex democristiana del centrodestra, è senz’altro condivisibile. Senz’altro è auspicabile che alla fine si allarghi, nelle forze di centro, questo argine a Salvini nei palazzi della politica.

Ma l’argine reale a Salvini implica il cambio deciso delle politiche economiche. Questo purtroppo non sta avvenendo con l’attuale governo. Nulla infatti ha sinora ottenuto dall’Ue, se non un platonico riconoscimento di amicizia. E il semplice abbassamento dello spread, senza terapia d’urto fiscale, un grande piano di investimenti in deficit per lavoro, sviluppo sostenibile e coesione sociale, non genera la ripresa dei consumi e della crescita.

Questo immobilismo del Conte bis sul piano economico farà stravincere Salvini. Unito al fatto che il governo giallorosso manifesta nel contempo un clamoroso deficit di europeismo. Perché se fosse pro Europa, mentre impronta la propria manovra economica all’austerità che disintegra l’Ue, assumerebbe nel contempo una forte iniziativa nelle sedi comunitarie per la condivisione del debito e per un grande piano europeo per lo sviluppo sostenibile (come anche Enrico Giovannini, che molto più degnamente avrebbe potuto presiedere questo governo, propone di fare in un articolo oggi su La Stampa).

Ormai è chiaro che la situazione del Paese si sta avvitando su se stessa e che sempre più Salvini, e pure la Meloni, stanno suscitando attese che una volta al governo non saranno in grado di realizzare. E dalla conseguente delusione dell’elettorato non è detto che usciranno cose del tutto compatibili con la democrazia oppure con l’unità nazionale. Soprattutto a quelle cose bisognerebbe pensare di fare argine, prima che sia troppo tardi.

Parole di fondamentale importanza di fronte alla rinascita dell’antisemitismo

Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma del direttore Andrea Monda

Le parole, fuori programma, pronunciate dal Papa all’udienza generale, hanno toccato il cuore del rabbino Abraham Skorka in visita alla redazione de «L’Osservatore Romano». «Questo commento, inaspettato e improvvisato, del Papa è di suprema importanza: rispecchia il suo profondo impegno nei confronti del popolo ebraico. Sono parole che suscitano in me grandi emozioni e un senso di gratitudine, ripensando anche alla lunga storia di incomprensioni tra la Chiesa e gli ebrei. Dopo tanti anni conosco il modo di pensare e di sentire del Papa e so che lui molto spesso parla e, come direbbe proprio lui, dice quello che viene dal profondo del cuore. Non è certo nuovo questo tipo di intervento da parte sua, ma non per questo non assume una grandissima importanza soprattutto in un momento storico come quello attuale».

Su questo aspetto dell’attualità il rabbino vuole soffermarsi, sottolineando la preoccupazione del Papa rispetto ai recenti segnali di una rinascita dell’antisemitismo. «Sono segnali molto preoccupanti, penso a quello che accade in Italia ma anche in tutto il mondo, perfino negli Usa. Se rivado indietro nella memoria mi accorgo che ogniqualvolta in passato sono apparsi segnali di questa rinascita, lo sviluppo e l’esito di questi segnali sono stati disastrosi, forieri di enormi sofferenze non solo per gli ebrei ma anche per altre popolazioni».

Perché questa rinascita proprio oggi? Conversando con il rabbino Skorka viene subito una prima risposta: la crisi economica, il senso di paura diffuso all’interno della società occidentale contemporanea. «Ma c’è qualcosa di più. Del resto l’antisemitismo ha più di duemila anni, e già il mondo greco e romano aveva problemi con gli ebrei. Di fatto gli ebrei sono sempre stati visti come “i colpevoli”. Anche l’antisemitismo nazista riprese dal passato questa idea della “colpa” dei giudei. C’è quella barzelletta, ebraica ovviamente (noi abbiamo sviluppato una capacità di sorridere anche sulle più grandi tragedie), che racconta di un nazista che parlando in pubblico dice che la causa di tutti i mali della società è dovuta alla presenza di due tipi di persone: gli ebrei e i ciclisti. E dal pubblico subito arriva la domanda: perché i ciclisti? Una barzelletta che rende efficacemente questo meccanismo logico della colpa degli ebrei».

La conversazione procede e sentiamo entrambi che è necessario approfondire, scavare dentro questa ferita che ancora sanguina nel cuore dell’umana convivenza.

«C’è una riflessione, nata dall’antropologia, che mi sembra convincente: anticamente gli uomini vivevano all’interno del sistema e della logica dell’orda. Tante orde contrapposte che si guerreggiavano. Non c’era il singolo ma l’orda. A questa condizione ha risposto, come contestazione e maturazione, la Bibbia ebraica, la storia di un Dio che chiama l’uomo alla sua responsabilità personale. Nasce la società degli uomini, non più dell’orda. E nasce però anche un’antitesi che ancora dura, fino ai nostri giorni, ogniqualvolta il sentimento dell’orda riprende forza. Il nazismo è stato questo: l’orda tedesca, con la contraddizione evidente che questo ha portato alla separazione e persecuzione degli ebrei che in realtà erano dei perfetti e fedeli cittadini tedeschi. Non era la Germania che si voleva esaltare, ma l’idea “ordalica” della Germania. Ci sono due modi diversi di vedere le cose: l’idea prima dell’uomo (pensiamo al platonismo) o l’uomo prima dell’idea (la Bibbia)».

Inevitabilmente amara la riflessione a cui insieme perveniamo: oggi lo scontro è tra due ideologie, quella della società dei consumi, che spinge verso l’individualismo estremo e la spinta opposta dell’orda, non della comunità di persone, che vuole sulla carta combattere questo individualismo ma è l’altra faccia della stessa medaglia, e finisce per calpestare la libertà e la dignità dell’individuo cercando sempre un capro espiatorio su cui riversare le tensioni e gli odi sociali. 

«Da qui l’importanza, straordinaria, delle parole di Papa Francesco», ripete commosso il rabbino Skorka rileggendo il testo della catechesi, «che ci ricorda che gli altri sono fratelli, e la persecuzione degli ebrei è un fatto “né umano, né cristiano”».

I giustizieri della giustizia

Si narra che un mugnaio di Potsdam, stanco delle angherie, della prepotenza e dei soprusi del Re di Prussia, avesse esclamato con ferma convinzione “ci sarà pure un giudice a Berlino!”

Nella democrazia post-moderna e bi-tri-partisan della par condicio, dello spoil system, della trasparenza e della privacy, delle mille tutele e delle pari opportunità di genere sembra che la giustizia venga invocata ad ogni angolo della strada.

Dal condominio ai luoghi di lavoro, dalle relazioni sentimentali alle dispute societarie, dall’etica sociale alle garanzie individuali emerge lo spaccato di un mondo attraversato da beghe, liti, odi, rancori, tensioni, dissidi, contenziosi, delazioni, veleni, rivendicazioni, ricorsi, denunce, querele, esposti, ipotesi di reato.

Tutti sono pervasi da un sacro furore giustizialista, nel lanciare accuse e nel proclamare la propria innocenza: la colpa si sa è sempre di qualcuno ma l’importante è non trovarsi mai dalla parte sbagliata.

C’è molta sincerità in tutto questo fervore ma c’è anche parecchia retorica, soprattutto se si tacitano i turbamenti della propria anima quando si riesce a trovare un capro espiatorio.

Le attenuanti valgono se ci riguardano, altrimenti ci vuole sempre una punizione esemplare.

Questa metafora della “lancia” e dello “scudo”, dell’attacco e della difesa sembra descrivere in modo appropriato un diffuso approccio alle vicende umane.

Parliamo naturalmente di giustizialismo come tendenza sociale pervasiva, non di quella giustizia esercitata nei luoghi istituzionalmente preposti.

Molte questioni che riguardano le nostre quotidiane relazioni potrebbero essere ricomposte senza bisogno di spedire raccomandate o di notificare citazioni.

Eppure gli uffici giudiziari sono soverchiati da un numero di cause crescente, c’è sempre qualcosa da rivendicare ma soprattutto ci preme di tacitare la nostra sete di verità specie se corrisponde alle nostre aspettative.

Abbassando la soglia della nostra tolleranza alziamo e dilatiamo i livelli di contenzioso: non c’è più speranza di ricomporre i dissidi e le diaspore della vita quotidiana in un pacato confronto basato sul buon senso e sulla misura del limite.

Chi ha sbagliato deve pagare: c’è più soddisfazione a veder punito in modo esemplare chi ci ha offeso piuttosto che ad attribuire alle cose la loro proporzionata dimensione.

Una società che pone la sanzione al vertice dei propri bisogni è una società giunta all’anticamera della disperazione.

Ma una società che invoca in continuazione l’autorità e chiede sempre di fare giustizia, che salta le procedure del confronto interlocutorio e le vie della mediazione per rivolgersi direttamente alla magistratura, che ingolfa le aule dei tribunali con diatribe di piccolo cabotaggio perchè vuole criminalizzare e punire piuttosto che redimere, correggere ed emendare è una società fondamentalmente debole, malata ed incapace di gestirsi, cui manca la capacità di dialogare oltre i più facili toni ultimativi né di metabolizzare un progetto condiviso.

Non ci si rende conto che attribuendo una valenza giudiziaria ai contesti anche banali della nostra quotidianità si alimenta la cultura del sospetto e dell’accusa e si sottrae impegno e tempo a chi è preposto ad occuparsi dei reati davvero rilevanti.

Non rende un gran servigio alla giustizia chi fa scempio di giustizialismo: chi cerca vendetta, invocando castighi e pene per tutte le azioni umane, della giustizia diventa anzi il suo carnefice, il suo più cieco giustiziere.

Agriturismo: Istat, nel 2018 in Italia 23.615 aziende autorizzate.

L’agricoltura è al centro di importanti cambiamenti che stanno modificando il tessuto socio-economico delle aree rurali. Uno dei motori di tale cambiamento è rappresentato dal settore agrituristico che innesta sulle tradizionali forme di conduzione economica una nuova ‘mentalità’ imprenditoriale, sensibile alla domanda di servizi e attenta alla tutela ambientale e paesaggistica.

La centralità di questo settore emerge dalle tendenze di medio/lungo periodo. Tra il 2007 e il 2018 la crescita delle aziende agrituristiche è stata superiore al 33%, con un saldo attivo di 5.895 aziende.
A livello territoriale tale andamento interessa soprattutto le aree del Nord-ovest (+56,3%) e le Isole (+34,9%) mentre al Nord-est il tasso di crescita è più contenuto (+25,7%)(2).

Nel 2018, su un totale di 7.960 comuni, sono 5.034 quelli che ospitano almeno un agriturismo (nel 2007 erano 4.259 su 8.101). Il numero medio di aziende agrituristiche per comune sale nel periodo da 4,2 a 4,7. Emerge dunque sia un aspetto ‘intensivo’, dato dalla crescita del numero complessivo di agriturismi, sia un aspetto ‘diffusivo’ dovuto alla maggiore articolazione a livello comunale.

I comuni con almeno 100 aziende agrituristiche sono 8 (Grosseto, Castelrotto, Appiano sulla strada del vino, Cortona Caldaro sulla strada del vino, Manciano, Assisi, San Gimignano).

Il numero di presenze negli agrituristi (numero di notti trascorse dai clienti) passa da 8,2 milioni del 2007 a circa 13,4 milioni nel 2018 (+5,2 milioni, pari a poco meno della popolazione della Campania).

Gli aumenti maggiori si registrano nel Nord-est (+2,4 milioni) e nel Centro (+1,6 milioni). Al Sud la regione più dinamica è la Puglia (+16,5%), nel Centro sono l’Umbria e il Lazio (+ 2%) mentre nel Nord-est la crescita maggiore si registra nel Veneto (+2,2%). Nel Nord-ovest, a un aumento del 2,2% della Lombardia si associa una flessione del 3,2% della Valle D’Aosta.

 

 

Ai blocchi di partenza“Archipelagos”, la prima piattaforma per le Pmi africane

Nell’ambito dell’African Investment Forum 2019 di Johannesburg, il lancio dell’iniziativa di Cdp coniugata al Piano per gli investimenti esterni della Commissione europea per la crescita del lavoro nei Paesi in via di sviluppo. Il programma, che sarà realizzato in partnership con l’African Development Bank (AfDB), ha come finalità la crescita dimensionale delle imprese africane, favorendo l’interconnessione con il mercato italiano ed europeo.

Il progetto si articolerà in due fasi: in un primo momento verranno selezionate le imprese a maggiore potenziale per accedere alle iniziative altamente qualificate di formazione manageriale, facilitando la creazione di una rete di rapporti di natura commerciale con l’Italia e con l’Europa. In un secondo step, le imprese più virtuose potranno avere accesso a fonti di finanziamento innovative come i Basket bond, recentemente lanciati in Italia da Cdp. Per Cassa depositi e prestiti si tratta in assoluto della prima garanzia ottenuta con accesso diretto alle risorse del bilancio dell’Unione europea. Cdp e AfDB svilupperanno strumenti finanziari innovativi dedicati alle migliori aziende selezionate nella piattaforma Archipelagos, anche grazie all’attivazione di 30 milioni di garanzie concessi dalla Commissione europea nell’ambito del Piano per gli investimenti esterni. Queste risorse permetteranno di mobilitare 150 milioni di investimenti pubblici e privati, potenzialmente undici Paesi africani, a supporto di oltre 1.500 Pmi locali, contribuendo alla creazione di 50.000 nuovi posti di lavoro, molti dei quali per i giovani.

Archipelagos contribuirà al raggiungimento di sei obiettivi di sviluppo sostenibile, primo tra tutti quello di porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo. Vi è poi quello legato alla volontà di “raggiungere la parità di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”; la promozione di una “crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, con la piena occupazione e un lavoro dignitoso per tutti”; la promozione di “infrastrutture resilienti, industrializzazione sostenibile e innovazione”; la “riduzione delle disuguaglianze”; il rafforzamento “dei mezzi di attuazione degli obiettivi rinnovando il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile”.

Per quanto riguarda il Piano per gli investimenti esterni sappiamo che è stato proposto per la prima volta nel 2016 dal presidente Juncker e che è poi stato formalmente varato nel 2017 dando il via a centinaia di miliardi di investimenti in Europa. Adattato alle specificità dei Paesi partner in Africa e del vicinato dell’Ue, il Piano mira a promuovere la crescita inclusiva, la creazione di posti di lavoro e lo sviluppo sostenibile, affrontando così alcune delle cause profonde dell’immigrazione irregolare. Il piano si articola in tre pilastri: quello finanziario, con il suo Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile per un valore di 4,1 miliardi di euro; l’assistenza tecnica per aiutare i beneficiari a sviluppare progetti finanziariamente bancabili e realizzabili; nonché il dialogo politico, per contribuire a migliorare il clima degli investimenti e il contesto imprenditoriale nei paesi partner.
L’accordo sui primi programmi di garanzia riguarda il pilastro finanziario dell’EIP; le istituzioni finanziarie ammissibili, utilizzeranno le garanzie dell’Ue per finanziare nuovi progetti di sviluppo e attirare ulteriori investimenti privati. Le garanzie di Bruxelles ridurranno alcuni rischi specifici d’investimento in progetti nei Paesi partner dell’Ue in Africa. Anche questo dato potrà contribuire a implementare gli investimenti privati in settori in cui l’Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) da solo non sarebbe sufficiente ad avviare nuovi progetti.

Scuola: Il servizio di pulizie passa allo stato

Nuovo scossone nel mondo della scuola. Dove la nuova finanziaria prevede  che da gennaio il servizio di pulizie sarà gestito direttamente dallo Stato.

Infatti come previsto dalla legge di Bilancio 2019, dal 1° gennaio il servizio non sarà più svolto, come avviene ora, da dipendenti di aziende e cooperative esterne, ma da personale assunto direttamente dallo Stato.

Però rispetto agli attuali 16mila posti, la legge prevede la stabilizzazione di 11.263 lavoratori, creando quindi un esubero di 4.700 addetti circa.

I criteri scelti per selezionare gli 11mila che, assunti dallo Stato, potranno continuare a svolgere il proprio lavoro, sono essenzialmente tre: essere in possesso di un’anzianità di servizio, nel settore, di almeno dieci anni, di cui gli ultimi due continuativi; avere conseguito un diploma di scuola media; non avere carichi penali pendenti.

Tuttavia stando alle simulazioni effettuate dalle aziende e riportate in un dossier di Confcooperative, sarebbero almeno 7mila gli addetti non in possesso di questi requisiti.

Embrioni su misura

Un’azienda americana ha dato il via libera a una sperimentazione per offrire un test genetico per consentire di selezionare embrioni con minor rischio di malattie.

Il test genetico permette l’analisi del Dna dell’embrione, confrontandolo con quello dei genitori. Successivamente viene assegnato un punteggio che tiene conto del rischio di sviluppare undici tra le malattie più diffuse del mondo, da quelle cardiovascolari al diabete, passando per alcune forme di tumore. L’esame consente anche la misurazione dell’altezza probabile e del quoziente intellettivo.

Questo primo passo lascia però molto perplessi, perché sembra di rivedere l’inizio del  film Gattaca del 1997.

Se il centro moderato organizza l’argine anti-Salvini…

Qualche precauzione bisogna prenderla. C’è un’idea di centro, inteso come nuovo soggetto politico, che ruota attorno alla rivendicazione di un metodo semplificato. Si applica al partito in via di identificazione il principio di Occam: “A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire”. In questo senso, di fronte alla disaffezione di un certo elettorato, si tende a equiparare le diverse istanze e a congetturare una risposta essenziale, quasi ridotta all’osso. Da essa si ricava che molti elettori, ancora riluttanti a manifestare appieno il loro pensiero, condividono identici fattori d’insoddisfazione e chiedono di conseguenza la perimetrazione di uno spazio autonomo: un’actio finium regundorum, con la quale in antico si provvedeva a tracciare il confine primigenio della città, tesa a totalizzare il momento dell’identità e dell’autoconservazione .

E dunque, a cosa dovrebbe servire tale nobile sussulto di autonomia? Qui la risposta sfuma e da semplice diventa eterea, senza la minima corporeità politica. Il concetto scivola nella tautologia, perché l’essere autonomo corrisponde all’essere indifferente, ben lungi da qualsiasi prospettiva di collaborazione con ipotetici interlocutori. Un partito anti-sinergico nella sua tetragona conformazione dottrinale dovrebbe pertanto esercitare un potere d’attrazione così robusto da rendere superflua ogni fatica a riguardo delle alleanze. Il centro non avrebbe bisogno che di se stesso, al punto di eliminare anche l’urgenza di un discrimine – chi rappresenta l’avversario da battere? – pur sempre incombente nella battaglia politica.

Da questo pregiudizio ambiguamente esibito muove la critica a una recente e per la verità non solitaria manifestazione di ricompattamento dell’area post-democristiana*. Eppure, nonostante la sensazione di un gioco al ralenti, con varie sigle allineate per fare un piccolo passo in avanti, una novità s’impone: dietro l’iniziativa di taglio neo-democristiano s’affaccia il netto distinguo dalla destra leghista. Non è ancora la ripresa del modello degasperiano, implicante la scelta preferenziale a sinistra come asse di riferimento politico, anche per espansione dell’ammonimento di Sturzo sulla necessità di separare i cattolici popolari dai cattolici conservatori – “fossili”, come lui li definiva; ma c’è l’assunzione della consapevolezza di quanto sia rischioso abbandonare il Paese nelle mani di Salvini, aprendo la strada all’avventura del sovranismo.

Non si può ignorare questa ritrovata volontà di stare in campo in funzione di un’autonomia che funge da baluardo all’offensiva di una destra pericolosa. Tanto più è importante, questa opzione dei centristi post-democristiani, quanto più la manovra di Salvini ora muove strumentalmente in direzione del dialogo con il PPE. Certo, ad altri sovviene, a conferma di una linea consolidata nella storia del cattolicesimo democratico, la suggestione di un’alleanza strategica con la sinistra. Sul punto rimane una significativa divergenza in seno alla galassia delle componenti che si richiamano alla politica d’ispirazione cristiana. Ciò non toglie che i segnali provenienti dal fronte dei democristiani ex berlusconiani meritino attenzione e rispetto. Oggi è tempo di ricomposizione, autentica e feconda, senza facili entusiasmi, ma senza neppure incongrue pregiudiziali

* Tra i sostenitori di questa operazione neo-democristiana ci sono: Giuseppe Gargani, Lorenzo Cesa, Gianfranco Rotondi, Mario Tassone, Ettore Bonalberti, Publio Fiori, Paola Binetti, Renato Grassi, Maurizio Eufemi.

L’idea di europa in Luigi Sturzo. L’Europa qual’è, e come avrebbe dovuto essere

Relazione svolta il 9 novembre 2019 a Roma nel corso del Convegno su “Don Luigi Sturzo: l’uomo, il sacerdote e l’intellettuale” pubblicato dalla newsletter Servire l’Italia e organizzato dalla Venerabile Arciconfraternita Santa Maria Odigitria dei Siciliani.

Luigi Sturzo, fermo assertore dei valori della persona e soprattutto della morale, della legalità, della pace, della libertà e della fratellanza tra i popoli, sosteneva che – così come le nazioni moderne, malgrado i contrasti e le guerre, «si formarono col passaggio delle unità locali, città, contee e province, in unità superiori, regni, stati, nazioni» – è altrettanto «prevedibile che lo stesso passaggio avvenga da nazioni a gruppi internazionali a carattere regionale e continentale e da questi ad unità intercontinentali, e così via fino a una rappresentanza di tutti i popoli nel parlamento mondiale». Tanta fiducia nell’avvenire derivava a Sturzo dalla radicata convinzione – avvalorata dai suoi studi storici – che i piani della Provvidenza procedono verso la realizzazione di una comunità cosmopolitica. Va detto subito che l’aspetto europeistico, in tutta la sua concretezza, si coglie meglio nello Sturzo dell’esilio e del ritorno in Patria. Durante queste due fasi, – arricchite da un’esperienza vissuta da profugo in Inghilterra, Francia, Belgio, America e, poi, da parlamentare, a Roma – , la sua riflessione politica si allargò criticamente ai problemi del mondo occidentale e la sua produzione pubblicistica fu intensa e diffusa.

Nello Sturzo dell’Opera dei Congressi e del Partito Popolare Italiano non emerge ancora un’articolata idea di Europa. Il giovane sacerdote di Caltagirone, preso dalla questione sociale e, in particolare, dalla questione meridionale, aveva potuto dedicare poca attenzione ai problemi del Vecchio Continente. In lui si scorge, pur tuttavia, una innata, spiccata tendenza a valorizzare e a mettere in pratica l’antico principio che “l’unione fa la forza” e, convinto di ciò, sin dai primi anni della sua attività sociale, si prodigò per una lega delle cooperative, scrisse sulla opportunità della federalizzazione delle regioni, si fece promotore dei consorzi dei comuni.

Il grande interesse di Luigi Sturzo per la federazione della Europa nacque nel 1924, anno in cui, in seguito alla netta opposizione al regime fascista e su sollecitazione» della Curia Romana, egli dovette abbandonare l’Italia e rifugiarsi all’Estero. A contatto con altri esuli ebbe modo di confrontare le sue idee e di estendere le sue analisi agli Stati europei e al Continente nel suo insieme.
Nella prima fase di tale esperienza non va trascurata la collaborazione avuta dal pubblicista e avvocato modenese Francesco Luigi Ferrari, il quale, in ricambio, ricevette da Sturzo piena solidarietà alle sue iniziative. Ferrari fondò e diresse a Bruxelles la rivista «Res Publica», un periodico che riscosse, ben presto, condivisione e fiducia nell’opinione pubblica internazionale democratica e presso i fuorusciti italiani di varie tendenze politiche, tra i quali i fratelli Carlo e Nello Rosselli e Gaetano Salvemini.
Sturzo, assieme a Ferrari, allestì e lanciò un progetto di «Internazionale bianca», che, seppure si concluse con un fallimento, servì a fornirgli i necessari elementi per avere una chiara visione della situazione europea e, in special modo, della disponibilità delle forze democratiche e liberali per la creazione e il sostegno di organismi politici europei al di sopra degli Stati nazionali. E, già, nel 1929, parlava di «un concreto e alto ideale, quello degli Stati Uniti di Europa», al cui servizio, oltre all’«Internazionale bianca», denominata ufficialmente «Sécretariat international des partis démocratiques d’inspiration chrétienne», era anche nato il «Comité international d’action démocratique pour la paix».

Egli si diceva convinto che, «nel quadro di una larga federazione» avrebbero potuto «esistere ed avere vitalità propria non solo i grandi stati unitari come la Francia e l’Italia, le piccole unità statali come il Belgio e la Svizzera, ma anche le minoranze autonome, sia pur unite ai rispettivi stati come l’Alsazia, il Sud-Tirolo e la Croazia». E, consapevole di andare oltre la comune immaginazione e di potere essere tacciato di visionario, aggiungeva: «Gli Stati Uniti d’Europa non sono un’utopia, ma soltanto un ideale a lunga scadenza, con varie tappe e con molte difficoltà».

Sempre nello stesso anno, mentre politologi e sociologi erano impegnati a seguire gli sviluppi della grave crisi economica, Sturzo indicava le tappe, attraverso le quali sarebbe dovuto passare il processo di unificazione europea. «Occorre procedere – egli scriveva – ad una revisione doganale che prepari un’unione doganale, con graduale sviluppo fino a poter sopprimere le barriere interne. Il resto verrà in seguito. Non bisogna pensare che ciò sarà accettato contemporaneamente da tutta l’Europa; ma il nucleo centrale del problema risiede nei due stati antagonisti Francia e Germania; una intesa fra i due con l’assenso della Gran Bretagna e la condizione sine qua non della soluzione del problema europeo, entro il quale necessariamente si inquadrano tutti i problemi più o meno acuti delle molteplici minoranze» .

Con il secondo conflitto mondiale la sua idea d’Europa era ben definita. «L’Europa – egli dichiarava testualmente nel 1944 – deve andare verso l’unificazione di tutti gli stati, compresi Gran Bretagna e Russia». La federazione europea, a suo parere, si sarebbe dovuta estendere dall’Atlantico agli Uràli e dal Mediterraneo al Baltico senza escludere l’Inghilterra. E, a tal proposito, scriveva con tutta schiettezza e realismo: «Un’Europa unita senza Inghilterra sarebbe per essa, dopo secoli di primato conteso e di primato assoluto, una estromissione insopportabile; ma un’Europa unita con l’Inghilterra è un’ipotesi contraria ai canoni della politica inglese e quindi da farsi cadere».

Egli vedeva possibile la realizzazione del suo piano, perché, se tutti i paesi del Vecchio Continente avessero cercato le proprie radici storiche, avrebbero scoperto un comune substrato di civiltà, sul quale avrebbero potuto stipulare un patto federativo.
Unico suo cruccio era che il «totalitarismo della Russia» avrebbe, certamente, ritardato il necessario processo di unificazione. Ma dalle sue osservazioni non traspariva pessimismo, anzi, attraverso il tipico, concreto metodo d’argomentare, sembrava cogliersi un sottile filo di fiducia nell’avvenire.
«Noi vogliamo – sosteneva nel 1948 Luigi Sturzo, ormai tornato in patria – un’Europa indipendente e federata. Se l’oriente resterà totalitario, la federazione europea comincerà da occidente: Inghilterra, Italia, Olanda, Belgio, Lussemburgo. La Svizzera comincerà a mandarvi un osservatore perché la sua storica neutralità ha tuttora un valore. I paesi scandinavi sono, purtroppo, in una posizione assai delicata e debbono tenersi in guardia. L’Irlanda, superando i primi dubbi, finirà per intervenire».

Solo i popoli con governi democratici, proprio perché liberi, sarebbero stati in grado di capire l’importanza della federazione e, divenendone membri, avrebbero potuto contribuire alla formazione di salde istituzioni comunitarie. «I paesi non ancora liberi – egli aggiungeva – dovranno attendere per potere entrare. Perché un punto deve essere fermo: che a nessun paese, a nessuno stato che non sia effettivamente libero e democratico (nel senso reale e tradizionale delle parole) sarà mai permesso di partecipare alla federazione, dovendo tutti i paesi federati essere uguali e liberi per costituire una sola volontà politica della federazione».

Il monito non era rivolto soltanto ai paesi dell’Unione Sovietica, ma anche a quegli stati, come Spagna, Portogallo e Grecia, che, sebbene si trovassero nell’area occidentale e godessero dell’amichevole protezione degli Stati Uniti d’America, vivevano in regime dittatoriale. Sturzo, in pari modo, non si rassegnò mai alla sorte dei paesi baltici, che, non per loro colpa, avevano perduto l’indipendenza e ogni libertà di scelta politica. Secondo lui era inammissibile che Lituania, Estonia e Lettonia, «con storia gloriosa, propria lingua, cultura e tradizione», restassero «cancellati dalla carta politica internazionale, estranei alla comunione dei popoli, tenuti come schiavi in un paese straniero, soggetti ad altro regime, insidiati nella fede dei padri, distaccati dalla tradizione culturale, senza più speranza di libertà individuale e nazionale».

Secondo Sturzo l’unione europea avrebbe dovuto allargarsi a tutti quei paesi, latini, anglosassoni e orientali, che, facendo geograficamente parte del Vecchio Continente, erano stati direttamente o indirettamente influenzati prima dalla civiltà romana e, poi, innestata su questa, dalla civiltà cristiana.
Ma c’è qualcosa di più nel progetto di Sturzo. Egli, quando pensa all’Europa federata, ama immaginarla non come Europa degli Stati, bensì, piuttosto, come Europa delle Regioni, come l’Europa delle Etnie, nel senso che l’unione non deve soffocare le autonomie locali, anzi deve considerarle come le parti vive e reali dell’intera struttura comunitaria, la quale, a salvaguardia della sua esistenza e del suo sviluppo, non può non rendersi garante delle loro rispettive tradizioni, della loro lingua, della loro cultura. Sturzo nel 1950, con grande compiacimento di Altiero Spinelli, aderisce al Movimento Federalista Europeo e al Comitato Promotore per la petizione di un Patto Federale. Sturzo e gli altri illustri firmatari ci dicono con tutta chiarezza che cosa essi intendono per federazione europea e, attraverso quali organismi, questa debba svilupparsi: «Federazione europea – si legge nel manifesto – significa soluzione in comune dei problemi che interessano tutti i paesi associati e rispetto della tradizione e delle autonomie degli stati membri per quel che riguarda i loro particolari interessi: un parlamento europeo, eletto a suffragio universale da tutti i cittadini; un governo europeo, dotato dei mezzi necessari per farsi ubbidire, nell’ambito dei suoi poteri costituzionali; un tribunale europeo a tutela della uguaglianza dei popoli e della libertà dei cittadini; unità di politica estera, unità di esercito, unità di mercati, unità di moneta».

Da una sommaria indagine sull’attuale Unione Europea ci accorgiamo subito che siamo ancora molto lontani – se non addirittura agli antipodi – dal progetto sturziano di Europa. Infatti: l’attuale Unione Europea è qualcosa di ibrido tra la federazione e la confederazione con le inevitabili disfunzioni dell’una e dell’altra; il Parlamento è zoppo, non ha pieno potere legislativo; non esiste un governo federale rappresentativo; il tribunale ha una giurisdizione molto limitata; non c’è unità di politica estera; non c’è unità di esercito (nel 1954 la CED – Comunità Europea di Difesa – fallì portandosi dietro la proposta politica di federazione, De Gasperi ne morì di crepacuore, Sturzo ne soffrì maledettamente; l’unità di mercati e l’unità di moneta esistono, ma con la grave anomalia, mai verificatasi nella storia, di essere acefale, ossia di essere prive di una direzione politica federale, di un governo federale Certamente abbiamo avuto anche dei vantaggi dalla Comunità e, poi, dall’Unione Europea, ma ci si è scostati di molto dal modello organico auspicato da Luigi Sturzo e, con lui, da Alcide De Gasperi, Robert Schuman, Jean Monnet, Konrad Adenauer, Paul-Henri Spaak, dal nostro Gaetano Martino.
Il processo di integrazione europea ha preso, purtroppo, una strada diversa sino a occultare le sue radici cristiane, sino a essere messo in difficoltà dal fenomeno sovranista. Lo spirito tecnocratico — figlio delle grandi ideologie illuministiche e comuniste — impera sovrano tramite le banche e tramite una burocrazia anonima e onnipotente.

Nel progetto sturziano è insito con caratteristiche ben delineate anche il concetto di Eurafrica, ossia di una possibile confederazione, o, quanto meno, di una più intensa e amichevole collaborazione tra la Comunità europea e i paesi africani bagnati dal Mediterraneo. Un passo in siffatta direzione avrebbe consentito all’Europa di riacquistare in Africa quella fiducia e quel credito che un certo, selvaggio colonialismo le avevano tolto, mentre sarebbe stato quanto mai vantaggioso per entrambi i continenti instaurare un clima di pace, di collaborazione politica e di rapporti commerciali.
È superfluo sottolineare il ruolo di eccezionale importanza che in tale contesto la Sicilia, avrebbe assunto. Essa avrebbe potuto porsi come anello di congiunzione, come naturale, storica cerniera tra i due continenti. Sturzo, sollecitando un maggiore interesse della Comunità per i paesi del Mediterraneo, raccomandava che, qualora si dovesse discutere sulla città da mettere a capitale dell’Europa, si dovrebbe porre attenzione alla posizione geografica e sceglierla tra quelle del Sud. Per lui ha «un certo peso il fatto del Mediterraneo come un epicentro europeo e centro internazionale di decisiva importanza», tanto che la stessa storia ci insegna che «questo mare è stato sempre decisivo nelle vicende umane, anche quando, dopo la scoperta dell’America, sembrò che per secoli avesse perduto il suo antico ruolo» (10). Nessuno nel 1939, a giudizio di Sturzo, avrebbe pensato che «la guerra scatenata da Hitler sarebbe stata risolta nel Mediterraneo».

E nessuno, – oggi noi possiamo dire -, proprio nessuno, neppure il lungimirante Sturzo, avrebbe potuto immaginare che il Mediterraneo nel terzo millennio sarebbe stato attraversato, con la sconcertante indifferenza dell’Unione Europea, da centinaia di migliaia di disperati in cerca di pane e di libertà e che migliaia di costoro, in uno scenario apocalittico, sarebbero state spietatamente inghiottite dalle sue acque.
L’attenzione di Sturzo per il Meridione del Vecchio Continente non muoveva da spirito campanilistico, bensì dalla duplice consapevolezza che l’Europa non poteva essere concepita tutta al Nord e che una buona politica mediterranea, contribuendo a spegnere i focolai di guerra, avrebbe favorito il processo di riunificazione dei popoli.

Bankitalia: “L’incentivo ai pagamenti elettronici può ridurre l’evasione fiscale”

Il vice direttore generale di Bankitalia, Luigi Federico Signorini, durante un’audizione sulla legge di bilancio a Palazzo Madama ha dichiarato che: “L’incentivo ai pagamenti elettronici può ridurre l’evasione fiscale, anche se il governo non ha messo nero su bianco alcuna emersione di base imponibile”.

“E’ plausibile che nel medio periodo esso possa contribuire a ridurre la propensione a evadere”, ha detto Signorini, aggiungendo che “l’incentivo funzionerà bene se si riuscirà ad attuarlo in modo semplice e chiaro”.

“Sulla base delle elasticità generalmente stimate, ci si può attendere, come effetto congiunto dei provvedimenti di incentivo previsti dal Governo, un aumento delle transazioni elettroniche dell’ordine del 10%”.

 

A Matera un protocollo d’intesa sperimentale per il contrasto al caporalato

Si è tenuta la scorsa settimana nella Città dei Sassi una kermesse del tavolo provinciale anticaporalato, presieduta dal Prefetto di Matera Demetrio Martino, per promuovere condizioni di piena legalità nel settore agricolo e arginare il fenomeno della intermediazione illecita.

Nel corso della riunione è stato presentato il “Protocollo d’intesa sperimentale per il contrasto al caporalato e allo sfruttamento lavorativo in agricoltura”, realizzato dalla Prefettura per assicurare il reclutamento legale della manodopera potenziando il ruolo strategico del Centro per l’impiego.

Punto fondamentale del sistema, la piattaforma informatica sperimentale, realizzata dall’Arlab e dalla Regione Basilicata, che consentirà, attraverso l’inserimento volontario delle candidature, da parte dei lavoratori disponibili all’assunzione, la creazione di liste pubbliche di aspiranti lavoratori agricoli stagionali.

Il sistema consentirà, altresì, alle imprese e ai lavoratori aderenti di ottenere vantaggi previsti dallo stesso protocollo, relativi ad aspetti correlati all’attività lavorativa quali la sicurezza sul lavoro, la situazione inerente agli alloggi, il trasporto e la formazione.

Alla riunione sono intervenuti i vertici provinciali delle Forze dell’ordine, i rappresentanti del Dipartimento delle Attività produttive della Regione Basilicata, della Provincia di Matera, i Sindaci dei comuni della fascia ionica, l’ispettorato territoriale del Lavoro, l’Inail, l’Inps, l’Arlab Basilicata, l’Asm, nonchè le Associazioni datoriali di categoria e dei lavoratori.

In Italia la cosiddetta economia “non osservata” si stima abbia numeri da capogiro, qualcosa come 208 miliardi di euro, mentre il lavoro irregolare si attesta a 77 miliardi, ovvero il 37,3% del totale.

Secondo l’Osservatorio Placido Rizzotto, i lavoratori a rischio caporalato sono tra i 400 e i 430 mila e, di questi, 132 mila fortemente vulnerabili.

Il lavoro non contrattualizzato insieme al caporalato rappresentano un business che, in Italia, vale ben 4,8 miliardi di euro, mentre 1,8 miliardi vengono dall’evasione contributiva.

Dai dati Inps nel 2017 sono state messe in regola quasi 300.000 persone (il 28% del totale).

Il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea) dal canto suo rileva che “I lavoratori stranieri in agricoltura (tra regolari e irregolari) sarebbero 405.000, di cui il 16,5% ha un rapporto di occupazione informale (67.000 unità) e il 38,7% ha una retribuzione non sindacale (157.000 unità)”. Un affaire disumano e criminale da stroncare ridando dignità alle persone e al lavoro.

“Imprenditori 2.0”: il bando 2019 della Federazione nazionale delle Cooperative e Società

– La Fncs (federazione nazionale delle cooperative e società) ha indetto un bando dal
titolo: “Imprenditori 2.0”, con l’obiettivo di accompagnare lo sviluppo di idee imprenditoriali
innovative proposte da giovani che desiderino realizzare una cooperativa o altre forme di impresa.

Al progetto vincitore verrà messa a disposizione la somma massima di euro 50.000,00
(cinquantamila) quale contributo a fondo perduto. La scadenza per la partecipazione è fissata al 31 dicembre 2019.

Il bando, nello specifico, vuole sperimentare nuovi processi di promozione cooperativa, tra i giovani e in nuovi mercati, che consentano l’introduzione e la diffusione di innovazioni tecnologiche, organizzative e sociali all’interno del sistema cooperativo. I destinatari del bando possono essere sia gruppi di giovani imprenditori di età inferiore ai 40 anni che intendano presentare un’idea al fine di costituire una cooperativa o altro ente “profit”, sia singole persone che vogliano apportare le loro conoscenze ad un
particolare settore poiché in possesso di specifiche competenze.

Gli ambiti settoriali suggeriti per la proposta di idee imprenditoriali innovative riguardano le seguenti aree:
• Salvaguardia e fruibilità del patrimonio storico, artistico, culturale, naturalistico e paesaggistico;
• Salute, cambiamenti demografici e benessere;
• Sicurezza alimentare, agricoltura sostenibile, ricerca marina e marittima e bioeconomia;
• Energia sicura, pulita ed efficiente;
• Trasporti intelligenti, ecologici e integrati;
• Azione per il clima, efficienza delle risorse e materie prime;
• Società inclusive, innovative e sicure;
• Promozione e valorizzazione turistica del territorio.

Le donne ingrassano in modo diverso rispetto agli uomini

È quanto emerge da uno studio, recentemente pubblicato su Aging, dai ricercatori dell’Irccs Policlinico San Donato, dell’Università Vita-Salute San Raffaele e dell’Irccs Ospedale San Raffaele, che ha analizzato i correlati metabolici del cervello rispetto a diversi livelli di BMI, in un gruppo di 222 soggetti anziani.

I risultati, ottenuti tramite PET con fluoro deossi-glucosio, mostrano un legame, presente solo nei soggetti di sesso femminile, tra alto indice di massa corporea, alterato metabolismo cerebrale e connettività neurale, che indica un forte effetto di genere nel sovrappeso e nell’obesità in donne con età media di 74 anni. Oltre all’aumentato metabolismo della corteccia orbito frontale (prevalentemente nell’emisfero anteriore destro), sono stati riscontrati aumenti di connettività nella corteccia frontopolare e nell’insula destra. Mentre la prima è una regione chiave per la motivazione e il controllo delle funzioni complesse, come il comportamento orientato agli obiettivi, la seconda è associata ai processi di ricompensa legati al piacere di alimentarsi: si tratta di regioni del cervello coinvolte in maniera cruciale nella regolazione della cosiddetta “fame edonica”.

Involuzione industriale

Non c’è solo la crisi dell’ex ILVA che deve preoccupare l’economia del Paese. C’è anche la difficilissima situazione industriale di ALITALIA e i problemi che potrebbero insorgere con la fusione di FCA e la francese PEUGEOT.

A ciò bisogna aggiungere la grande crisi della politica industriale i cui risultati si vedono un po’ ovunque. I responsabili politici avrebbero dovuto fare più investimenti. Ma il nostro Paese non ha fatto quasi niente per evitare che un po’ alla volta la propria politica industriale venisse fatta a pezzi. Quindi non c’è molto da stupirsi se nella vicenda ILVA sia scritta buona parte della nostra storia industriale recente.

Certamente ancora oggi siamo la seconda manifattura d’Europa. Siamo un Paese che ha saputo arrangiarsi in questi anni, ma alla fine pezzi di industria sono stati messi all’asta nelle mani delle multinazionali. A tutto ciò bisogna aggiungere la mancanza di investimenti e la sottovalutazione dei problemi. Da diverso tempo le rappresentanti sindacali e della Confindustria non hanno un interlocutore davanti. E se lo hanno avuto, non ha saputo fare della buona politica.

E il risultato è che l’Italia sta diventando un inferno. Un inferno soprattutto fiscale, dove le imprese e i lavoratori pagano una quantità di tasse enorme  e sono soffocate dalla burocrazia che frena non poco le loro attività. Purtroppo stiamo pagando una politica assente, senza proposte, senza progetti, che insegue promesse e che, ripeto, non fa investimenti.

Il Paese si preoccupa degli immigrati ma non si preoccupa delle migliaia di giovani che invece se ne vanno dall’Italia. Gli stessi sindacati sono sulla difensiva mentre il mondo imprenditoriale sta sciogliendo le righe e ognuno se ne va dove vuole, lontano dall’Italia.

E di fronte a questa triste situazione, l’ILVA è lo specchio di quanto è sotto gli occhi di tutti. Nella maniera più totale e clamorosa. L’ILVA è il più grande stabilimento d’Europa ed è chiaro come il sole che oggi nell’epoca della globalizzazione ci sono aziende che comprano il marchio ma chiudono l’azienda. Su queste operazioni bisogna avere gli occhi aperti, è successo anche nell’industria alimentare non solo nell’acciaio. Su Taranto, purtroppo, è mancata una visione politica in grado di evitare che si arrivasse a questo.

Oggi, c’è il bisogno di reagire e agire, affrontare di petto il problema perché siamo sul precipizio. È  assurdo andare avanti così, dando retta a chi voleva fare dell’ILVA una specie di Disneyland.

La condizione per sperare di uscire dal tunnel negativo in cui l’economia si trova, è che questo Governo cominci a misurarsi su progetti veri, abbandonando i tweet e pensando a grandi piani per il futuro. Pensare in grande, senza stare a rincorrere le crisi quando il danno è già stato fatto.

Il centro sinistra e i 5 stelle.

Diciamoci la verità, al di là delle sofisticazioni, delle congetture e anche dei desideri. Per poter ricostruire il centro sinistra dalle fondamenta e’ indispensabile e decisivo sciogliere il nodo dei 5 stelle. Ovvero del rapporto/confronto con il partito di Grillo e Casaleggio. Un nodo che non può prescindere da alcune costanti che, oggettivamente, caratterizzano il mondo pentastellato. 

Innanzitutto il partito dei 5 stelle non è riconducibile a nessuna categoria politica e culturale del novecento. Non a caso rifugge dalla distinzione tra destra, sinistra e centro perché è oltre la “cultura della coalizione”, se non per garantire seggi e posizioni di potere. Ma, ed è l’elemento che più conta, rifuggendo da qualsiasi classificazione politica e culturale, diventa francamente difficile coinvolgerli in una operazione di lungo termine per la ricostruzione di una coerente e credibile alleanza di centro sinistra. 

In secondo luogo una alleanza politica non può essere confusa con un banale e semplice pallottoliere. Certo, in alcuni momenti della vita politica del nostro paese noi abbiamo conosciuto e sperimentato alleanze politiche dettate da ragioni puramente numeriche. Cioè fatte e costruite esclusivamente “contro” qualcuno e non “per” un progetto politico e di governo. Sotto questo versante, la frettolosa alleanza con i 5 stelle – come l’esperienza concreta a livello regionale ha prontamente dimostrato – rischia di riproporre una mera alleanza contro l’avversario di turno, a prescindere da qualsiasi prospettiva di lungo temine e da una visione politica e di governo. 

Infine, e da sempre, una coalizione che guarda al futuro e che non sia dettata solo da ragioni opportunistiche o superficiali, richiede la presenza di un progetto giustificato da un pensiero e da una cultura politica definita e percepibile. 

Ecco perchè, per competere con un forte ed unito centro destra e con un progetto politico altrettanto definito e chiaro, necessita una coalizione che non si riduca ad essere il frutto di una alleanza dettata dalla paura, o dal terrore del nemico/avversario o da una sola ragione di potere. Perché le coalizioni, o anche solo le alleanze politiche, sono credibili, serie e coerenti se esprimono un disegno politico altrettanto credibile. Del resto, il centro sinistra deve essere ricostruito quasi da zero. Dopo la “vocazione maggioritaria” del Partito Democratico, dopo l’azzeramento del principio di coalizione e dopo il compiacimenfo per l’assenza di partiti e movimenti in questo campo, e’ giunto il momento per ricostruire questo luogo politico che ha accompagnato il cammino della democrazia italiana e che è stato decisivo in molte fasi storiche del nostro paese declinando un progetto politico di governo, riformista e profondamente democratico. 

E il compito dei partiti, dei movimenti e dei gruppi che si riconoscono in questo campo politico resta quello di elaborare un progetto politico di governo alternativo alla destra e alla deriva populista da un lato e, dall’altro, di rimettere insieme quelle forze politiche, culturali e sociali che in questi ultimi anni sono state sacrificate sull’altare di una maldestra novità e di un molto discutibile nuovismo. Ma per poter centrare obiettivo va sciolto definitivamente il nodo del rapporto con i 5 stelle. Un nodo politico non più aggirabile ne’ rinviabile. E non affrontabile con i post e con i tweet. 

L’esperienza di Lula, un avvertimento per i democratici.

L’esperienza amara di Luiz Inacio Lula da Silva, ex presidente della Repubblica brasiliana, credo che debba essere ben analizzata da ogni persona che ama la democrazia e vuole preservarla da tentativi di soffocamento. La sua storia, insegna come si possa piegare la realtà al volere di poteri interni ed esterni oscuri, in dispregio della volontà dei cittadini, attraverso sistemi subdoli ed opachi, con la complicità di persone infedeli che svolgono funzioni delicate nei gangli vitali dello Stato.

L’ex Presidente operaio, con la sua opera tenace ed intelligente, ha il merito di aver traghettato in breve tempo il Brasile dalla povertà a potenza economica mondiale. Ha svolto un ruolo rilevante anche nello scacchiere mondiale, grazie ad alleanze con i grandi paesi recentemente sviluppati, combattendo per cambiare le regole di funzionamento del potere finanziario, ed intervenendo con decisione con i cinesi, russi, indiani, sulle modalità di pagamento nei commerci di questi paesi alleati, attraverso soluzioni a scavalco del dollaro USA.

Questo protagonismo contro corrente, unitamente ad una leadership indiscussa in Sudamerica che ha compromesso equilibri antichi di poteri forti esterni ed interni, è convincimento di molti, sia stato alla base del tentativo di screditarlo e di estrometterlo dalla vita politica nazionale. Certo, è singolare che ha incriminarlo per presunta corruzione, sia stato un giudice legato ad una superpotenza straniera, che da solo, e con un manipolo di poliziotti, per lunghissimo tempo ha costruito un teorema anti Lula. Ultimamente la stampa brasiliana ha ben riportato le intercettazioni telefoniche tra il giudice Moro con altri giudici (Moro che peraltro l’attuale Presidente Bolsonaro ha nominato Ministro della Giustizia), che dimostrano quello che in Brasile i cittadini urlano nelle piazze: ‘complotto!’

Lo stesso arresto avvenuto l’anno scorso prima delle elezioni presidenziali, che lo vedeva favorito, ha ancor più hrafforzato la convinzione popolare di un disegno oscuro tramato ai danni della democrazia. Ma penso che se Lula è stato scarcerato, lo si deve allo sdegno grandissimo espresso dai cittadini, che hanno fatto sentire la propria voce dal primo giorno dell’arresto, fino alla scarcerazione.

In questa epoca storica di grandi cambiamenti, il funzionamento delle democrazie possono facilmente essere piegati ad interessi antipopolari. Ci sono realtà oscure sul piano mondiale, che operano per consolidare il proprio potere a qualsiasi costo: l’indebolimento delle formazioni politiche a carattere popolare è il loro obiettivo principale, per privare le democrazie della loro linfa vitale. Ecco perché gli accadimenti brasiliani possono essere importanti anche per noi che abbiamo visto in poco tempo pressoché tutte le forze politiche partecipate, estinguersi nel passato sotto colpi sferrati attraverso le stesse dinamiche, con risultati negativi ora ben visibili per gli interessi dei cittadini e per la saldezza della Democrazia.

Perché la politica continua a non essere attrattiva per le donne.

Qualche settimana fa l’Avvenire ha dedicato una intera pagina alle quote rosa nei CdA delle imprese, evidenziando che si era finalmente raggiunto il 30% di presenze femminili ma che molto restava ancora da fare. Nei partiti e movimenti politici di area cattolica come siamo messi? In questi giorni di costituzione di federazioni e progetti politici per una nuova area cattolica il tema non solo non è affrontato nelle dichiarazioni di intenti ma neppure verificato nella composizione al proprio interno.

Una delle ragioni può essere la naturale avversione per la “quota” in se stessa, ovvero se la persona ha le qualità personali per agire in politica la differenza di genere non ha alcuna rilevanza. Un’altra è che al tema in sé non si presta la dovuta attenzione. Ma sono andata a guardare i sottoscrittori dei progetti in corso e la presenza delle donne è davvero esigua ed è così anche nello sbriciolato mondo delle sigle partitiche di area cattolica. Perché? Una ragione della presa di distanza delle donne che si concretizza in una mancata diretta partecipazione e si sostanzia in un silenzio che è più attesa che consenso o dissenso, è che nelle idee e proposte politiche non vi è un ruolo propositivo e partecipativo delle donne nella elaborazione delle tesi politiche.

In buona sostanza, checché ne dicano gli scienziati politici, la politica ha una sua distinzione di genere e si manifesta nell’elaborazione delle tesi. Mentre qui si assiste nella coniugazione delle politiche di settore, già definite nelle tesi, inclusive o meno delle questioni a cui le donne sembrano prestare più attenzione. Ma non è così che sta andando la società; e a ben guardare la sinodalità nella Chiesa è ben più avanti di quanto i partiti e movimenti di area cattolica siano loro stessi. Poiché dunque l’atteggiamento di pensiero nella fase di elaborazione è quello prevalente di “ritagliare” alle donne il ruolo di partecipazione alla vita politica nella posizione di elettorato attivo o passivo (elettrici o elette) ed è qui la vera e pesante questione della presa di distanza, si comprende bene come vi sia un “disinteresse” alla partecipazione nei luoghi del pensiero politico.

Quello che mi rammarica davvero è la scarsa attenzione morale e civile alla questione, che andrebbe posta ancor prima di ricercare il consenso pubblico ai progetti politici che si presentano al Paese.

Industria: Istat, a settembre produzione in diminuzione dello 0,4%

A settembre 2019 si stima che l’indice destagionalizzato della produzione industriale diminuisca dello 0,4% rispetto ad agosto. Nella media del terzo trimestre la produzione mostra una flessione congiunturale dello 0,5%.

L’indice destagionalizzato mensile mostra aumenti congiunturali per i beni di consumo (+0,7%) e i beni strumentali (+0,6%); variazioni negative registrano, invece, l’energia (-1,1%) e i beni intermedi (-1,0%).

Corretto per gli effetti di calendario, a settembre 2019 l’indice complessivo è diminuito in termini tendenziali del 2,1% (i giorni lavorativi sono stati 21, contro i 20 di settembre 2018). Nella media dei primi nove mesi dell’anno l’indice ha registrato una flessione tendenziale dell’1,0%.

Su base tendenziale e al netto degli effetti di calendario, a settembre 2019 si registra una moderata crescita esclusivamente per il comparto dei beni di consumo (+1,2%); al contrario, una marcata diminuzione contraddistingue i beni intermedi (-5,2%), mentre diminuiscono in misura più contenuta i beni strumentali (-2,0%) e lievemente l’energia (-0,1%).

I settori di attività economica che registrano i maggiori incrementi tendenziali sono la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (+9,6%), le industrie alimentari, bevande e tabacco (+7,8%) e la fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi (+6,4%). Le flessioni più ampie si registrano nell’attività estrattiva (-11,2%), nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-8,1%) e nella metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (-7,1%).

Taranto, pubblicato un bando a sostegno delle famiglie disagiate della provincia

Il Mise comunica che è stato pubblicato dai commissari di Ilva in amministrazione straordinaria un bando per sostenere la predisposizione di un piano volto a garantire attività di sostegno assistenziali e sociali per le famiglie disagiate nei comuni di Taranto, Statte, Crispiano, Massafra e Montemesola.

L’avviso si rivolge ad imprenditori, società, cooperative, consorzi e aggregazioni di imprese, in possesso dei requisiti richiesti, che dovranno verificare entro 60 giorni la fattibilità tecnica e giuridica degli interventi proposti dai Comuni dell’area tarantina.

Il Piano di interventi a favore delle famiglie disagiate dell’area tarantina, che verrà approvato e monitorato nei relativi stati di avanzamento dal Ministero dello Sviluppo economico, prevede uno stanziamento di 30 milioni di euro.

Educare i giovani al valore della tolleranza e del rispetto reciproco.

Il Coordinamento nazionale dei docenti della disciplina dei diritti umani, in occasione della Giornata internazionale della tolleranza, proclamata dall’UNESCO il 16 novembre del 1995, intende sensibilizzare le scuole circa il dovere istituzionale (art. 2, 3 Cost.; art. 1 DUDU) di educare costantemente, con azioni didattiche che non siano episodiche, i giovani al valore della tolleranza e del rispetto reciproco.

Il coordinamento ritiene fondamentale l’importanza di tale celebrazione come occasione e momento privilegiato per riflettere sul tema dell’integrazione e della solidarietà tra i popoli.
Consideriamo gravissime le minacce di matrice antisemita rivolte alla senatrice Liliana Segre; il mondo della scuola contribuisca a contrastare le influenze che conducono alla paura e all’esclusione degli altri e aiuti le nuove generazioni a maturare pensiero critico, spirito civico e attitudine empatica.

La difformità delle molte religioni, lingue, culture e etnie del globo non deve, secondo la nota, costituire pretestuose motivazioni per innescare attriti e alimentare violenza nel mondo; diventi invece linfa vitale per arricchire la società.

Proprio per questo il Prof. Romano Pesavento, in una nota,  fa appello al MIUR perché vengano attivati azioni e progetti che potenzino e sostengano percorsi atti a sviluppare i principi presenti nella Dichiarazione universale dei diritti umani.

L’intolleranza è spesso sinonimo di ignoranza e paura. Tali stati emotivi si “apprendono” per imitazione osmotica sin dalla giovane età; pertanto, maggiore attenzione deve essere impiegata nell’educazione della tolleranza e dei diritti umani. Occorrono maggiori sforzi per trasmettere ai bambini il profondo valore della solidarietà. I piccoli e gli adolescenti dovrebbero guardare con curiosità al prossimo ed aprirsi al mondo perché la pace non si raggiunge attraverso l’odio. E senza pace non può esistere futuro per nessuno di noi.
“La tolleranza non ha mai provocato una guerra civile; l’intolleranza ha coperto la terra di massacri” (Voltaire)

Dove sono finiti i consultori?

Secondo i dati del Ministero della Salute, i consultori nel 2007 erano 2.097  mentre sono 1.853 quelli censiti nel 2017.

Inoltre i dati disponibili (che tengono conto del prezzo pagato dal 2009 con l’avvio del blocco del turn over, ma non ancora dell’impatto di Quota 100), non riportano l’impatto sulla carenza dell’organico e sulla fortissima riduzione degli orari di apertura al pubblico.

Ad esempio, solo il 22% di donne accede a informazioni e servizi per la contraccezione attraverso i consultori, percentuale che ci vede ultimi in Europa.

La gravissima carenza di personale non consente di svolgere le funzioni essenziali.

Attività di screening contro i tumori, vaccini per i bimbi più piccoli, supporto per favorire l’allattamento al seno, assistenza in caso di violenza in famiglia, educazione alla contraccezione.

Risultati elezioni Spagna

Resta la situazione di stallo politico in Spagna nonostante la ripetizione del voto. In calo il blocco di sinistra, a partire dai socialisti del premier Pedro Sánchez che passano dagli attuali 123 seggi a 120.

Mentre a guadagnare sono il Partito Popolare e, soprattutto, l’ultradestra di Vox, che diventa il terzo partito. Cala anche Unidas Podemos, che passa dai 42 ai 35 seggi, ma per la prima volta entra alle Cortes Más País, la formazione di Iñigo Errejón nata da una scissione dal partito di Pablo Iglesias (3 seggi).

Le sinistre insieme totalizzerebbero 158 seggi, molto lontano dalla maggioranza assoluta di 176 deputati, ma di poco sopra il blocco di destra.

 

 

XXI Premio Federbim Valsecchi: In ricordo del Sen. Athos Valsecchi.

Anche la nebbia sembra voler presenziare con discrezione al saluto che la Comunità di Chiavenna, ma non solo, ha  voluto porgere ad Athos Valsecchi, nel centenario dalla Nascita. A pochi metri dalla Collegiata di San Lorenzo, con il suo campanile cinquecentesco di pietra ollare, sotto i due bastioni “Paradiso” e “ Castellaccio”, ai piedi della profonda spaccatura che li divide, la Caurga, si apre l’anfiteatro in cui la Comunità chiavennasca custodisce la propria memoria, i propri affetti. Luogo assai  singolare e suggestivo , invita a levare lo sguardo verso l’alto, verso quelle montagne che sono state parte integrante ed essenziale della vita politica del senatore chiavennasco. Sotto una sporgenza rocciosa, quasi ripiegata in avanti ad offrire affettuoso ricovero, riposa Athos Valsecchi con la cara, simpaticissima ed operosa Marisa, moglie , mamma e fedele compagna della vita. Così, con un silenzioso colloquio, inizia il dialogo con Athos, perchè “l’operosità fattiva non ci lascia mai” rammenta bene Mons. Andrea Caelli con affetto, sotto gli occhi attenti dei figli  Giovanna, Ermanno e Francesco, dei nipoti ,dei parenti e degli amici.      

Valsecchi nasce nell’ultima propaggine del lago di Como a Gravedona, ma è nella vicinissima Val Chiavenna che avvia la sua attività politica e la sua presenza come amministratore. E’ del 1919, come Carlo Donat-Cattin. Personaggi così diversi ma così vicini nella concretezza del loro impegno sempre attento alle loro Comunità. 

La Comunità è numerosa ad ascoltare le parole di chi non ha voluto mancare a questo appuntamento organizzato dalla Federbim ( federazione dei Bacini Imbriferi Montani )  e dal Comune di Chiavenna, presso la sala Assembleare della Comunita’ Montana della Valchiavenna. Il giovane Sindaco, Luca Della Bitta, Alberto Frizziero, collaboratore del Sen Valsecchi, l’on. Mauro Del Barba e l’on. Giancarlo Giorgetti. L’atmosfera è quella dei giorni di festa; sui volti dei parlamentari presenti, per una volta in piena concordia,  si legge la soddisfazione nel poter presenziare ad una giornata, non di commemorazione rituale, ma di presa di coscienza della centralità della Politica che è tale quando sa essere vicina alle Comunità con azioni persistenti nel tempo, così come ha testimoniato con la sua vita il sen. Valsecchi. 

Il Sindaco legge il messaggio di Gianni Letta, impossibilitato a partecipare. “Ho conosciuto personalmente il Senatore Valsecchi, ne ho seguito da giornalista l’attività politica e ne ho sempre ammirato la capacità di visione, la correttezza, l’impegno, la dedizione, e la tenacia. Una virtù, questa, che è tipica dei montanari, e che tante volte abbiamo condiviso scherzando sul primato che io rivendicavo agli abruzzesi che notoriamente “hanno la testa dura” come si dice da quelle parti. L’ho anche intervistato e ricordo la chiarezza e il coraggio delle idee, la fermezza delle posizioni e la schiettezza della esposizione., la capacità di trovare soluzione anche ai problemi più complessi. Altri tempi! Una testimonianza, la Sua, anzi una “lezione” di buona politica oggi più che mai necessaria mentre infuria il vento dell’antipolitica .

Ecco perché fate bene a ricordarne la figura e l’opera a chi ha avuto la fortuna di incontrarlo e a “raccontarlo” a chi invece non lo ha potuto conoscere, ma che comunque potrà trarre insegnamento dalla Sua vita esemplare, dall’amore che ha sempre portato alla Sua terra, dalla passione che aveva per la politica come per la montagna.

Mentre rendo anch’io omaggio alla Sua memoria, Le sarò grato se vorrà portare il mio saluto più cordiale e partecipe ai relatori, ai Giurati, e a tutti i partecipanti alla cerimonia” 

Nel ricordo lucido ed affettuoso di Frizziero  emerge la concretezza dell’azione del cattolico impegnato in politica, di cui la Federbim è uno dei frutti tuttora vitali. Fu un’intuizione di Valsecchi che dette vita ai consorzi dei bacini imbriferi e a Federbim , di cui fu presidente da 1968 fino alla prematura scomparsa nel 1985.  Con la nazionalizzazione dell’energia elettrica Valsecchi intuì la necessità di assicurare alle Comunità montane, luogo di produzione dell’energia, la possibilita’ che tale ricchezza rimanesse in qualche misura sul territorio, sia per la gestione e la cura dell’assetto idrogeologico che per le Comunità locali. 

E’ l’on. Del Barba che riporta il pensiero alla dimensione familiare e comunitaria di Athos Valsecchi. Del Barba, di Morbegno come Ezio Vanoni, ricorda come i due , “ legati da profonda stima ed amicizia, abbiano a lungo collaborato e come siano stati accomunati  anche nella morte improvvisa, accolta dalle rispettive Comunita’ con profondo sconcerto percepibile dal silenzio surreale” che, si racconta, accompagno’ il diffondersi della tragica notizia, a Morbegno nel 1956 e quindi, riferisce Del Barba, a Chiavenna nel 1985.

Valsecchi fu esponente di spicco della Democrazia Cristiana del dopoguerra. Esempio non solo di radicamento nel territorio ma di capacita’ e competenze, non usuali, al servizio del Paese. Non usuali ma non rare, come sottolinea l’on. Giancarlo Giorgetti,  in quelle generazioni cresciute durante la guerra e consapevoli della sfida per nulla facile della ricostruzione. Deputato nel ’48 fino al ’58, poi senatore fino al 1985. Innumerevoli volte Sottosegretario, anche alla Presidenza del Consiglio con Leone; Ministro dell’Agricoltura e Foreste (1969), Ministro delle Poste e Telecomunicazioni(1970), Ministro della Sanità (1972), Ministro delle Finanze (1973). Il decreto che introdusse l’Imposta sul Valore Aggiunto , reca la sua firma.

 Ma la dimensione di Valsecchi, che conosceva perfettamente il tedesco ed il francese,  era anche Europea. Membro dell’Assemblea Parlamentare Europea e vice presidente della Commissione per il bilancio della stessa, fu Presidente dei Comitati di Cooperazione economica Italo–Tedesca e Italo-Francese la cui attivita’ porto’ alla creazione del Mercato Comune Europeo. Fu Presidente dal 1967 al 1975 dell’Istituto per l’Economia Europea.   

La persistenza e l’efficacia, nel tempo, dell’azione politica di Valsecchi sono – secondo Giorgetti – “la testimonianza di come la Politica possa e debba essere sui territori, non in maniera episodica ma strutturata come accadeva un tempo. Perchè il successo deve tornare a misurarsi con le Comunità ed il loro bisogni e non con l’evanescenza di suggestioni spesso pretestuose e disancorate dai bisogni reali” . 

Athos Valsecchi è stato capace di incarnare se’ stesso nella Sua Comunità e nel Suo Paese rimanendo tra noi con opere buone e persistenti. L’ha fatto con semplicità. Con la semplicità delle nostre valli. Don Primo Mazzolari, nel licenziare un breve saggio sulla liturgia quaresimale ricorda che “ le verità di Dio rimangono divine anche quando , per accostarle alla nostra mente e renderle salutari al nostro duro cuore, si è costretti a farle scendere dalla chiarezza contemplativa alla penombra di una chiesa di campagna”.  Valsecchi ha saputo, con analoga semplicità, dar corpo alla Fede, sempre presente nel Suo cuore come le Sue montagne. 

Il bene più prezioso è la saggezza degli anziani

Quando in epoche come la nostra – debolmente rischiarata dai fuochi fatui del relativismo e blandita da sogni ingannevoli – l’umanità si piega dolente alle incertezze del presente e alle speranze in un futuro imperscrutabile, ci sono storie di vita che sanno donare parole di saggezza e scintille di luce, se siamo disposti ad ascoltare e poi riflettere, ad osservare e poi -con umiltà – imparare.

Doni irripetibili per la loro stessa vocazione esistenziale, frutto di scelte, di rinunce o semplicemente di destino: persone “chiamate” dalla fede, dall’umiltà o dalla ragione a dare senso al loro transito terreno, ad operare per ‘una casa comune’, tracciando solchi in cui possano germogliare i semi del bene e gli aneliti alla rettitudine, all’onestà e alla verità.
Oggi con troppa facilità e disinvoltura ci scopriamo affascinati da chi vuole rottamare, resettare, formattare, cancellare il passato quasi come se fosse merce avariata da gettare via: e con esso gli insegnamenti appresi e quelli elargiti da chi ci ha preceduto.
Anche questi sentimenti sono espressione di una concezione consumistica e mercantile della vita, di una malcelata presunzione ad impersonificare il nuovo, il giusto, il meglio, dimenticando che ogni ostentazione di asserita grandezza si minimizza e si sbriciola nella finitudine stessa della condizione umana dove– come ebbe a dire Enzo Biagi – “in genere tutto passa e quasi sempre non lascia tracce”.

Guai ad attribuire alla vita una valenza utilitaristica e generazionale: i miti del giovane, del forte, del bello, del ricco, del vincente sono inesorabilmente destinati a misurarsi al vaglio del tempo, al cui retaggio siamo tutti assecondati, perché esso stesso migra lentamente verso un incommensurabile eternità.

Eppure i costumi sociali prevalenti, le aspirazioni collettive, i sogni, i narcisismi individuali sono come proiettati sullo schermo di una fiction, dove virtuale e reale si sovrappongono fino a confondersi, generando illusioni, perversione, falsi miti, come se fossimo comparse- aspiranti primattori di un gigantesco casting mediatico attraverso cui materializzare compulsivamente i desideri di successo, ricchezza, visibilità.

Tanto che i fallimenti generano sensi di inadeguatezza, fughe dalla realtà, disimpegno sociale, disincanto etico, decadenza del senso civico e dei valori fondativi del vivere comune e ancor di più: solitudine, esasperazione, nichilismo, autodistruzione.
Credo che tutto questo faccia parte di processi involutivi ciclici, tipici di inizio secolo o millennio, come se cultura, tradizioni, identità e appartenenze si rimescolassero in un confuso e inesplorabile sentimento di insoddisfazione collettiva, di frustrazione, di minimizzazione della vita e dei suoi valori fondativi per estendersi alla famiglia, alle istituzioni alla vita sociale, alle relazioni interpersonali.

Come se – prendendo un lungo respiro – l’umanità stessa avvertisse il peso e la fatica di dover ricominciare tutto da capo.
Problemi di “transito culturale”, di linguaggi e stili comunicativi privi di alfabeti codificati, piccoli o grandi terremoti esistenziali che ci portano a confessare di non riconoscerci più nel passato senza tuttavia avere una chiara percezione del presente e della direzione di marcia da seguire.

Naufraghi e – al tempo stesso – spettatori inerti del naufragio che scrutiamo dalla riva, per riprendere una metafora del ‘De Rerum natura’ di Lucrezio, rivisitata da Hans Blumemberg allorquando considera alcune evidenze della post-modernità.
Confesso che – vivendo le contraddizioni del mio tempo e condividendone le fragilità – rivolgo spesso il mio sguardo e il mio interesse culturale ed emotivo nei confronti del passato e di chi mi ha preceduto, certo di ricavarne apprendimenti utili a capacitarmi della mia stessa condizione esistenziale, a darle una rotta, traendo significati esemplari dalle esperienze delle vite vissute che sono pedagogicamente più utili di quelle solo progettate o immaginate.

Ci sono storie di persone che sono libri aperti che aspettano solo di essere letti, scrigni ricolmi di ricchezze ineguagliabili, esempi di coerenza e di fedeltà ai valori che – in ogni comportamento, in ogni atto – sono il più autentico discrimine tra il bene e il male.
Se ne coglie il senso e la compiutezza specialmente al termine del loro viaggio, ovvero nel restare tra noi fino a realizzare la vita come compimento di un dovere o – ancora – al momento del loro appartarsi dal mondo, quando scrutando la loro esperienza umana ne restiamo talmente affascinati da affermare… “che grande, inestimabile persona!”: per questo sono sovente i “grandi vecchi” i nostri migliori e più rassicuranti maestri di vita.
Spesso nascosti agli occhi indiscreti della mondanità curiosa e tranciante, vicini al silenzio, alla riflessione, alla meditazione, alla ricerca, all’arte nelle sue molteplici espressioni.
Oppure invisibili ai più ma presenti tra noi, con il loro bagaglio di esperienze umane (fatte di rinunce, sacrifici, sofferenze, di strade in salita) apparentemente comuni e prive di valenza mediatica, esclusi dai circuiti virtuali, saldamente ancorati ai valori antichi della saggezza, della parola data, delle radici mai rinnegate, coerenti nel silenzio di una quotidianità priva di spinte compulsive verso un ossessivo cambiamento, così intimamente, intrinsecamente ricchi di saggezza, umiltà e senso della giustizia che li rende semplici e puliti, onesti, retti.

Oppure affermati e noti al mondo per le loro doti personali ma sempre attenti ad una cultura lentamente metabolizzata: non quella delle tavole rotonde e dei lavori di gruppo ma quella per la quale una pagina del Vangelo o di un capolavoro di Dostojevski , uno spartito di Mozart o una tela del Caravaggio spiegano assai di più di un best-seller o di un manuale di sociologia interculturale.
Capaci essi stessi di offrire cultura, di indicare percorsi, di sperimentare regole, di impersonificare stili coerenti di vita.

Intelligenza, volontà, sensibilità, “sapientia cordis” (che traduco come “intima disponibilità dell’anima all’empatia e alla bontà”) : sono queste le chiavi di accesso ad un sapere fatto proprio e intimamente rielaborato, che discerne ed integra i valori per trasformarli in modelli esistenziali coerenti e conformi.
Non è da tutti, ne sono certo.

Per questo coloro che – al termine di un’esperienza personale straordinaria – pongono se stessi al centro di un processo di ripensamento e di rivisitazione dell’esistenza, offrono all’umanità insegnamenti preziosi perché autentici, ora misurati con la gioia, ora con il dolore, ora con la fede, ora con la scienza, ora con la letteratura , ora con la musica.
Confesso di essere affascinato dalle storie di vita dei “grandi vecchi”, mi pongo di fronte ad ogni loro parola, ogni frase, ogni pensiero, ogni riflessione che io possa in qualche modo conoscere e capire come se fosse un antico dattiloscritto per decifrarne il messaggio, ne apprezzo la coerenza e l’ onestà intellettuale, l’amore disinteressato per il bene e la verità.

I veri grandi sono persone semplici, non dissimili per saggezza e autenticità dai nostri anziani di casa, sanno rivolgersi al cuore e alla mente degli uomini con un linguaggio chiaro ed intellegibile, in genere parlano poco di sé ma sono intimamente capaci – e senza forzo, spontaneamente -di rendere eloquente la coerenza tra i pensieri e le azioni che si misura spesso postuma, quando – d’un tratto – si separano dal tragitto che li ha resi esemplari, per consegnare se stessi alla memoria o per ritirarsi – “quando finisce il compito e le forze vengono meno”- a riflettere in silenzio sul senso della vita, per rileggere l’intera propria esperienza esistenziale, nell’intuizione intimistica e singolare di una possibile “ricapitolazione di tutte le cose”, come direbbe San Paolo, in quella dimensione- cioè – di distacco dove la fine abbraccia l’inizio, il “caput” incontra l’”archè”.
“Ho fatto la mia apparizione sulla scena della vita con l’ordine di ritirarmene, sto recitando la mia parte come tutti i miei simili: poi non mi rimarrà che sparire”: sono parole del filosofo e predicatore Jacques Benigne Bossuet, vissuto nel XVII secolo e credo possano essere usate per richiamare il ricordo o la presenza di uomini e donne del nostro tempo che hanno impartito una grande lezione di umiltà e gratuità.

Il bene più prezioso è dunque la saggezza che alberga nell’animo di persone ‘grandi’ e ‘semplici’ al tempo stesso, perché si tratta di coloro che – attraversati i marosi di una vita – hanno saputo conservare e custodire nel loro cuore le rare virtù della dignità e del pudore, anch’esse – purtroppo – da lungo tempo nascoste al mondo.

Il Cile è oggi un altro Paese

Articolo pubblicato sulle pagine della rivista Treccani a firma di Fernando Ayala

Tre settimane fa, il presidente Sebastián Piñera aveva dichiarato che il Cile era «un’oasi» nel mezzo di un’America Latina convulsa, con tante crisi economiche, preda di violenza e instabilità politica, in netto contrasto con un ordine macroeconomico e con la stabilità politica. Aveva assolutamente ragione. Il Cile, lungo più di 4.000 km, chiuso dal deserto di Atacama a nord, dall’Oceano Pacifico a ovest, dall’imponente catena montuosa delle Ande a est, dal ghiaccio di Patagonia, Capo Horn e Antartide al sud, è più un’isola che un’oasi, ma solo per la sua geografia.

Il 18 ottobre l’isola/oasi/Paese-alla-fine-del-mondo è esploso così come di solito fanno i suoi vulcani, causando questa volta un cataclisma/tsunami sociale che non sappiamo come andrà a finire. La classe politica cilena si è trovata priva di parole, senza sapere come reagire a un cambiamento di scenario totale, messa a confronto con tante richieste accumulate per decenni e di cui si invocava l’immediata attuazione. Nella storica marcia che si è tenuta il 25 ottobre a Santiago e in altre città, che ha riunito un totale di circa 2 milioni di persone, un manifestante ha riassunto nel suo cartello il senso della protesta: «Ci sono così tante cose da rivendicare, che non saprei nemmeno cosa scrivere qui».

L’esperimento socioeconomico iniziato dopo il colpo di Stato che ha demolito il governo costituzionale di Salvador Allende nel 1973 diede l’avvio anche a una grande trasformazione culturale supportata dal terrore di una dittatura che non aveva scrupoli nell’uccidere in Cile e all’estero, come fecero col generale Carlos Prats, a Buenos Aires, con l’ex ministro degli Esteri, Orlando Letelier a Washington o col tentato omicidio di Bernardo Leighton, ex vicepresidente del Cile, e di sua moglie a Roma. Dico culturale, perché le due generazioni successive alla dittatura sono composte da giovani che hanno assunto una realtà che sembrava difficile da cambiare, il tutto addolcito dall’illusione del consumo e del facile successo.

Qui l’articolo completo 

Il pericoloso Muro dell’indifferenza

Esattamente trent’anni fa cadeva in maniera pacifica il Muro di Berlino. Fu la fine della Guerra Fredda che per 42 anni aveva agitato sul mondo lo spettro di un conflitto nucleare USA-URSS. Col Muro si scioglieva idealmente la cortina di ferro calata sull’Europa dal Baltico ai Balcani dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Inaugurando una stagione di pace e di prosperità pensavamo che gli egoismi e i nazionalismi del Secolo Breve fossero stati definitivamente sconfitti.

Alle soglie del 2020 ci riscopriamo disillusi. Muri divisori sono sorti qua e là nel mondo amplificando rancori e disuguaglianze. È giusto ricordare gli accadimenti di quel 9 novembre 1989 giacché la memoria storica va costantemente nutrita. Tuttavia faremmo bene a tenere gli occhi aperti sul prossimo futuro. I segnali di intolleranze razziali – sempre più diffusi da un capo all’altro del Pianeta – sono per nulla incoraggianti. E quello dell’indifferenza rischia di diventare il più pericoloso dei muri.

(Fonte My Pegaso)

Papa Francesco: “La politica rispetti la dignità dei lavoratori”

Durante l’Angelus, Papa Francesco ha rivolto un pensiero ai lavoratori in occasione della “Giornata Nazionale del Ringraziamento per i frutti della terra e del lavoro”. “Auspico coraggiose politiche occupazionali che tengano conto della dignità e della solidarietà e prevenendo i rischi di corruzione”, ha detto il Pontefice. Papa Francesco ha poi aggiunto nel suo messaggio l’augurio affinché “ci sia lavoro per tutti, ma lavoro vero e non di schiavi”.

Inoltre il Santo Padre ha anche rivolto  un pensiero speciale “al caro popolo del Sud Sudan, che io dovrò visitare quest’anno [prossimo]. Con il ricordo ancora vivo del ritiro spirituale per le Autorità del Paese, svoltosi in Vaticano nell’aprile scorso, desidero rinnovare il mio invito a tutti gli attori del processo politico nazionale a cercare ciò che unisce e a superare ciò che divide, in spirito di vera fratellanza. Il popolo sud-sudanese ha sofferto troppo negli ultimi anni e attende con grande speranza un futuro migliore, soprattutto la fine definitiva dei conflitti e una pace duratura. Esorto pertanto i responsabili a proseguire, senza stancarsi, l’impegno in favore di un dialogo inclusivo nella ricerca del consenso per il bene della Nazione. Esprimo inoltre l’auspicio che la comunità internazionale non trascuri di accompagnare il Sud Sudan nel cammino di riconciliazione nazionale. Vi invito tutti a pregare insieme per questo Paese, per il quale nutro un affetto particolare. [Ave Maria]

Desidero affidare alle vostre preghiere anche la situazione dell’amata Bolivia, vicina alla mia patria. Invito tutti i boliviani, in particolare gli attori politici e sociali, ad attendere con spirito costruttivo, e senza alcuna previa condizione, in un clima di pace e serenità, i risultati del processo di revisione delle elezioni, che è attualmente in corso”.

A breve i contributi per l’acquisto di decoder e smart tv

Al Ministero dello Sviluppo economico l’ncontro su “TV 4.0”, presieduto dal sottosegretario Mirella Liuzzi, insieme ai rappresentanti delle autorità competenti in materia, agli operatori televisivi e alle associazioni di categoria. Nel corso dell’incontro sono stati forniti gli aggiornamenti sulle iniziative messe in campo dal Mise a sostegno della transizione del sistema radiotelevisivo verso la nuova tecnologia DVB-T2.

Il confronto si è poi dipanato sui criteri e sulle modalità di erogazione d’indennizzo per le tv locali; sul calendario della road map della prima fase dello spegnimento delle reti delle aree tecniche; sui prossimi adempimenti di competenza dell’Agcom previsti dalla legge; in riferimento ai contenuti del decreto interministeriale Mise-Mef per l’erogazione dei contributi a favore dei cittadini per l’acquisto di smart tv e decoder di prossima pubblicazione; sulle prime iniziative da mettere in campo per comunicare ai cittadini il passaggio al DVBT-2. In relazione all’erogazione dei contributi per l’acquisto dei decoder e smart tv è stato confermato che gli stessi partiranno dal prossimo mese di dicembre, in seguito alla pubblicazione, nei prossimi giorni, del decreto Mise – Mef sulla Gazzetta ufficiale.

“E’ nostro obiettivo – ha sottolineato Mirella Liuzzi – incrementare gli attuali 151 milioni di euro richiedendo un nuovo finanziamento della misura per allargare la platea dei cittadini ammessi ad usufruire del contributo”.

Roma: il terzo seminario sul pensiero montiniano

1967-03-26 Paolo VI celebra la Messa di Pasqua in Piazza San Pietro

“Ecco la meraviglia che andavamo cercando!” è il titolo del terzo seminario di studio sul pensiero di Papa Paolo VI promosso dalla Provincia Italia dei Fratelli delle scuole cristiane, dalla Collezione arte moderna Musei vaticani (Carm) e dall’Unione cattolica artisti italiani (Ucai).

L’incontro, in programma il 15 novembre, a partire dalle 16.30 all’Istituto La Salle Aventino a Roma, ha come obiettivo quello di esplorare le connessioni tra Paolo VI, l’arte contemporanea e l’educazione. Micol Forti, direttrice Carm, parlerà di Paolo VI e la collezione d’arte moderna dei Musei vaticani, mentre Massimo Carboni dell’Accademia delle belle arti si soffermerà su “L’arte contemporanea: una meraviglia”.

Sono previsti anche gli interventi di Cecilia De Carli (Università Cattolica), che offrirà un focus su “Arte contemporanea perché? Rilettura educativa di Paolo VI”, e di Santiago Mancini (Fondazione La Salle Argentina), che spiegherà come “educare con l’arte”. Al tema “Curare con l’arte la casa comune” è dedicato l’intervento dell’artista Maria Cristina Finucci, mentre fr. Enrico Muller, presidente della cooperativa Occhi aperti parlerà de “L’esperienza di Scampia e l’arte contemporanea”. In occasione del seminario di studio sarà possibile visitare la mostra “Questo mondo ha bisogno di bellezza…”, con le opere del Simposio internazionale d’arte di Scampia 2009-2019.

Colloquio con il filosofo Charles Taylor: Secolarizzazione e cristianesimo.

Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Luca M. Possati

Charles Taylor non sembra affatto un filosofo accademico, irrigidito e impettito nei panni istituzionali. Quando lo incontriamo in un piccolo hotel a Borgo Pio, ci saluta come se ci conoscessimo da sempre e si sottopone a un confronto aperto, a tutto tondo, senza note o domande prestabilite. Il filosofo canadese, giunto a Roma per ricevere il premio Ratzinger, è uno dei pensatori più importanti e complessi nel mondo cattolico, e non solo. Insieme al direttore de «L’Osservatore Romano», Andrea Monda, e al professore Gaetano Lettieri, che insegna Storia del cristianesimo alla Sapienza di Roma, abbiamo avuto con lui un dialogo su alcuni temi cruciali della sua opera filosofica e, più in generale, del mondo contemporaneo. 

Lettieri: Il centro della sua ricerca è il rapporto tra la secolarizzazione e la modernità. Qual è la sua concezione della secolarizzazione?

Tutto è cominciato nel dopoguerra, quando i sociologi hanno iniziato a studiare la secolarizzazione come il fenomeno dell’abbandono della religione, la chiara tendenza alla scomparsa della religione. E questo è stato fatto nella scia dei lavori di Weber, ma anche di altri studiosi. Negli anni Sessanta-Settanta i sociologi identificavano la secolarizzazione con la fine della religione. Tuttavia, negli anni Ottanta qualcosa è cambiato. Il racconto della secolarizzazione che era stato fatto fino a quel momento non reggeva più perché la religione non stava affatto scomparendo. Io da molto tempo non credevo nella sociologia ufficiale e quindi ho deciso di offrire un’altra storia. È quel che ho fatto in A Secular Age. Il nocciolo di questa nuova narrazione è che i rapporti tra religione e spiritualità sono profondamente cambiati. Dobbiamo pensare insieme religione e spiritualità. Prima, nel nostro mondo occidentale, questo rapporto veniva pensato e realizzato in società interamente cristiane, non solo nelle loro credenze comuni, ma anche nel loro modo di fare politica e cultura: era un modo di vivere la religione tutti insieme, una sorta di automatismo. Oggi questo quadro è scomparso, ma non è scomparsa la spiritualità, il desiderio di trovare qualcosa di più grande, la spinta all’eternità. Queste cose non abbandoneranno mai l’uomo. Il punto è che tale desiderio ha trovato un altro modo di esprimersi. Per questo ho distinto tre tempi della secolarizzazione. I primi due sono la scissione tra Stato e Chiesa, e la diminuzione della pratica religiosa. Il terzo tempo della secolarizzazione occidentale è invece questo nuovo modo in cui le persone si cercano e si aggregano condotte da un certo “appetito” spirituale che si realizza in molti modi. Sono cambiate le condizioni della credenza. Questo è un fenomeno del mondo occidentale cristiano. Non pretendo di parlare del mondo musulmano. È un altro grande errore delle teorie della secolarizzazione il pretendere che la secolarizzazione sia una categoria universale. Non è così. L’essere umano è costituito dalla sua cultura, dalla sua storia e dalla società in cui vive. Dunque, non è vero che l’essere umano è sempre stato uguale a sé stesso e che oggi ha perso le sue illusioni. Dobbiamo capire che oggi l’uomo è diverso e vive in modo diverso la sua spiritualità e il suo rapporto con la religione. 

Lettieri: Possiamo dire che nella modernità secolarizzata siamo passati dal cristianesimo come necessità al cristianesimo come possibilità e rischio? È questo l’aspetto positivo della secolarizzazione?

Sì, possiamo senz’altro dire così. Dobbiamo cercare la profondità. Ci sono un certo numero di passi che devi percorrere e che danno senso al tuo cammino. Credo che quel che è veramente importante nell’epoca attuale sia il concetto di itinerario. Le persone seguono itinerari che sono molto diversi; anche se il cammino è quello cristiano, le persone oggi sono mosse da interessi e passioni diverse. E qui c’è qualcosa di veramente straordinario. In un certo senso, nel mondo attuale l’intera tradizione cristiana è vissuta in modo contemporaneo. Voglio dire che in questa epoca c’è un’enorme quantità di ricerca spirituale e questa ricerca si concentra su fonti di epoche molto diverse, appartenenti a tradizioni diverse. Le persone sono attratte da cose diverse nel loro itinerario. Questo aspetto era stato colto anche dalla teologia del concilio Vaticano II. Grandi teologi come De Lubac o Congar erano insoddisfatti della polemica antimodernista di Pio X perché non aveva senso. Questi teologi hanno riabilitato molta parte della nostra tradizione e quindi hanno permesso l’accesso a nuove fonti. Hanno garantito la libertà di rapporto con la tradizione. È un approccio diverso, una diversa conservazione. Per me è stato molto importante leggere questi teologi. Ho letto i teologi del concilio Vaticano II ancora prima del concilio, e sono rimasto sorpreso del fatto che alcuni libri erano pubblicati e potevano circolare. Ma leggerli mi ha aiutato moltissimo.

Lettieri: Avete trovato la libertà e il pluralismo nella tradizione cristiana. Questo è il vostro insegnamento.

Certo, è vero. È questo quel che credo profondamente. 

Lettieri: Non amate molto Agostino. Forse dal vostro punto di vista è troppo duro. La libertà non ha molto spazio. Che cosa ne pensate?

Credo sia una voce importante. Il problema è quando l’agostinismo diventa un’esagerazione ed è troppo concentrato sul peccato. Mi riferisco a certi aspetti della tradizione protestante e dell’iper-agostinismo. Certamente, anche al giansenismo. Pascal è diverso. È un grandissimo pensatore, ma è un mondo a parte. Trovo che certi scrittori nella tradizione calvinista, in particolare quando parlano della doppia predestinazione, siano spaventosi. Ma questo è soltanto un aspetto. Agostino è diverso. È una figura indispensabile, soprattutto per il mondo contemporaneo. 

Lettieri: Che cosa pensa di questo Papa? Qual è il rapporto tra questo Papa e la nostra età secolare? 

Ammiro profondamente questo Papa. Lo ammiro perché egli ha capito che la cosa importante oggi non è la difesa della tradizione, ma la comunicazione, far entrare aria fresca nella Chiesa dandole un nuovo respiro. Personalmente, sono stato sorpreso dalla sua elezione e ancora non riesco a capire come il suo nome sia emerso. È lo Spirito Santo, ed è totalmente imprevedibile. Ma sono veramente entusiasta di questo Papa. 

Lettieri: Lei parla del totalitarismo nella tradizione cristiana. Questo è un Papa contrario al totalitarismo cristiano. 

Assolutamente sì, è vero. L’eccessiva difesa della tradizione e le derive totalitarie del cristianesimo hanno fatto fuggire molte persone, che hanno abbandonato la fede. Nella storia le reazioni al potere politico della Chiesa, come la Rivoluzione francese o altro, sono perfettamente comprensibili, anche se hanno prodotto disastri. Tanto il totalitarismo della Chiesa quanto la reazione a esso sono comprensibili, ed entrambi deprecabili. Perfino un Papa come Giovanni Paolo II, che ammiro e apprezzo, è stato però eccessivamente difensivo e conservatore sotto tanti punti di vista. Credo che la vera differenza stia nel rapporto con la Teologia della liberazione. Ovviamente, in questa forma di teologia ci sono molti errori. Ma c’è anche molto altro: guardiamo a quel che muove le persone e le fa incontrare. Guardiamo alle loro differenze. Non c’è soltanto marxismo. L’atteggiamento difensivo spesso può essere eccessivo e impedire la strada verso l’imitatio Christi. Questo atteggiamento invece non lo vedo in Francesco. Sono molto incoraggiato da questo. 

Possati: In questo Pontificato, una delle parole chiave scelte da Papa Francesco è “riforma”. A suo giudizio, è possibile riformare la Chiesa nell’età secolare? 

Ogni riforma introduce un nuovo cammino spirituale che può essere magnifico e positivo. Guardiamo, ad esempio, Lutero e la dottrina della giustificazione per fede. Il problema è che spesso questo processo è accompagnato da aspetti molto negativi. Ogni spiritualità è avvelenata dalla violenza, dall’arroganza e dall’ignoranza. Oggi nella Chiesa abbiamo bisogno di una riforma che metta in primo piano quello che è davvero importante nella fede. 

Possati: Lei pensa che la riforma della Chiesa passi anche attraverso il dialogo con l’islam?

Sì, ne sono convinto. E ci sono due ragioni per questo. Dobbiamo riconoscere che c’è una pluralità delle spiritualità; per noi la strada è il cristianesimo, ma per altri no. Dobbiamo accettarlo. Possono esserci molte somiglianze e, sulla base di queste somiglianze, possono esserci ragioni per dialogare. Il problema è che a queste ragioni si legano spesso aspetti negativi, la violenza anzitutto. Facilmente ricadiamo nella reciproca ostilità. Sul versante islamico ci sono molti movimenti violenti, ad esempio il Wahhabismo. Anche nel mondo occidentale è diffusa un’insensata islamofobia. Dunque, ci sono anche molte ragioni per evitare questo dialogo. Dobbiamo condannare fortemente queste pericolose derive. Dobbiamo cercare la comprensione reciproca. Nell’islam ci sono queste risorse. Ad esempio, nella tradizione mistica del sufismo esiste una autentica ricerca della spiritualità. La prima motivazione dei sufi non è dire all’altro “hai sbagliato”, ma “andiamo avanti nella ricerca comune”. Ho molti amici sufi e dialogo bene con loro. Dobbiamo combattere insieme contro letture limitate delle nostre tradizioni e identità. 

Lettieri: Per noi cristiani è molto facile accettare l’errore e aprirci all’altro in forza della nostra tradizione. Tuttavia, in altre culture che non hanno attraversato la secolarizzazione, questo è molto più difficile. Come possiamo avere un reale multiculturalismo con culture che impongono la loro legge su altre culture? Come si può essere aperti con chi non lo è?

In India c’è una lunga tradizione di coesistenza tra religioni molto diverse. Oggi questa tradizione è minacciata, ed è la tragedia che stiamo vivendo con il governo di Modi e del bjp che attua una politica nazionalista in difesa dell’identità induista. È folle e insensato. Stanno distruggendo il lavoro di Gandhi. Anche nell’islam ci sono stati momenti di coesistenza, ad esempio in Andalusia. Sono forme di coesistenza sotto leggi musulmane che però, anche loro, oggi sono messe a rischio da gruppi di violenti. Purtroppo, nell’islam la modernizzazione politica è stata accompagnata da letture dell’islam molto limitate. Questo è avvenuto soprattutto in Pakistan, dove la situazione è oggi molto complessa. Dove invece non c’è nessuna tradizione di coesistenza tra culture è la Cina. In questo paese esiste una ideologia dominante: possiamo chiamarla “socialismo con caratteristiche cinesi”, e si sta muovendo in una direzione spaventosa. 

Lettieri: Lei ha detto che possiamo avere un futuro soltanto se ritorniamo al Vangelo. Possiamo dire che esiste una profonda connessione tra il Vangelo storico, il Gesù storico, e la secolarizzazione? 

Non si può comprendere l’etica della società occidentale senza comprendere il Vangelo. L’intera concezione dei diritti umani non potrebbe esistere senza il cristianesimo. Bisogna però distinguere. C’è un Vangelo che è contro la religione. Gesù stesso è contro la religione intesa come insieme di norme. Nel Vangelo c’è molta religione, ad esempio l’attenzione ossessiva ai precetti che vengono imposti dalla tradizione: “non puoi guarire quella persona il sabato”. Il cristianesimo autentico ci spinge ad andare oltre, supera questa idea e guarda allo spirito. 

Lettieri: Questo mi fa pensare alla famosa distinzione proposta da Bergson tra religione chiusa e religione aperta. Possiamo percorrere un cammino spirituale soltanto se restiamo aperti agli altri e liberi. Il Vangelo apre la religione. Quindi la secolarizzazione è più Vangelo che religione. 

Assolutamente, sono convinto di questo. 

Possati: Come pensa l’impegno politico dei cristiani oggi? Qual è il loro ruolo?

Penso che i cristiani debbano essere impegnati in politica. Questo è inevitabile. I cristiani debbono agire direttamente in politica per un senso di responsabilità propria e comune. Come cristiano, mi sento sempre legato a certi valori e certe posizioni, e voglio difenderle anche in ambito politico. Ma è importante capire in quale situazione è bene agire e quali invece evitare. 

Possati: Pensa che il concilio Vaticano II possa essere ancora una fonte di ispirazione per i cristiani in politica?

Il concilio ci ha consegnato l’idea fondamentale che ci troviamo in un mondo nel quale siamo responsabili per noi stessi e per gli altri. Ci ha consegnato una visione precisa dei rapporti tra gli esseri umani. E questo è valido anche, e forse soprattutto, nel mondo di oggi. 

Lettieri: Penso che un cristiano in politica debba avere un approccio ermeneutico ai nostri comuni valori. Non abbiamo la chiave della verità, ma dobbiamo dare ogni volta un’interpretazione della realtà. 

Il dialogo è la via principale. Avere un’identità aperta. Dobbiamo avere una certa umiltà e pensare che forse anche noi possiamo sbagliare. Ma alla fine, in quanto cittadini, dobbiamo agire con quel che abbiamo, con le nostre credenze e interpretazioni. 

Monda: L’identità cristiana viene spesso utilizzata in politica in una maniera strumentale. Come ci dobbiamo orientare?

Il fatto che oggi, nel nostro mondo occidentale contemporaneo, le persone cercano la loro identità personale è qualcosa di molto vicino alla tradizione cristiana e alla domanda: qual è la mia vocazione? Qual è il senso della mia vita? Tuttavia, quando la religione diventa un’identità politica, quando viene piegata per scopi politici, accadono cose terribili. Questo sta accadendo nel mondo musulmano e in alcune parti del mondo buddista. Si pensi, ad esempio, a quel che accade oggi in Sri Lanka e in Myanmar, dove un buddismo radicale e violento discrimina ed espelle i musulmani.

Possati: Oggi viviamo in un mondo dominato dalla tecnologia. Lei crede che la fede può migliorare il confronto con la tecnologia, e quindi permettere di viverlo in maniera più produttiva e originale? 

Credo che dobbiamo guardare alla enciclica Laudato si’. La tecnologia e il rapporto con la natura deve fare parte della dimensione spirituale della nostra vita. Apparteniamo a questo mondo che ci nutre e protegge, e dobbiamo comprenderlo e viverlo in maniera adeguata. Ognuno dovrebbe avere un senso di gratitudine per questo. Quel che fa paura nelle persone che negano l’emergenza del riscaldamento climatico, come Trump, è che sembrano essersi totalmente dimenticate questa dipendenza e quindi la pietà verso la natura che a essa è connessa. Per noi cristiani la gratitudine verso la Terra è la gratitudine verso Dio. Ma non solo: in realtà ogni essere umano dovrebbe essere consapevole di questo. Perché solo grazie a questa consapevolezza possiamo evitare che la tecnologia diventi distruttiva.

Cinquemila ristoranti in mano alla malavita

La malavita è arrivata a controllare almeno cinquemila locali della ristorazione con il business delle agromafie che è salito a 24,5 miliardi di euro nell’alimentare dal campo alla tavola. E’ quanto afferma la Coldiretti sulla basew del rapporto agromafie nell’esprimere apprezzamento per l’ultima operazione della polizia di Milano contro il crimine organizzato con il sequestro di quote societarie di alcuni ristoranti e pizzerie per oltre 10 milioni di euro e l’arresto di 9 persone legate alla ‘Ndrangheta calabrese che riciclavano i soldi sporchi della criminalità organizzata nella grande ristorazione nel Nord Italia. La criminalità organizzata – sottolinea la Coldiretti – approfittando della crisi economica, penetra in modo massiccio e capillare nell’economia legale ricattando o acquisendo direttamente o indirettamente gli esercizi ristorativi in Italia e all’estero. L’agroalimentare – precisa la Coldiretti – è divenuto una delle aree prioritarie di investimento della malavita che ne comprende la strategicità in tempo di crisi perché consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana della persone.

Grazie ad una collaudata politica della mimetizzazione, le organizzazioni criminali riescono a tutelare i patrimoni finanziari accumulati con le attività illecite muovendosi ormai come articolate holding finanziarie, all’interno delle quali gli esercizi ristorativi rappresentano efficienti coperture, con una facciata di legalità dietro la quale è difficile risalire ai veri proprietari ed all’origine dei capitali. Le operazioni delle Forze dell’Ordine svelano gli interessi delle organizzazioni criminali nel settore agroalimentare ed in modo specifico nella ristorazione nelle sue diverse forme, dai franchising ai locali esclusivi, da bar e trattorie ai ristoranti di lusso e aperibar alla moda fino alle pizzerie. In questo modo la malavita si appropria – sottolinea la Coldiretti – di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma anche compromettendo in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy.

“Le agromafie sono diventate molto più complesse e raffinate e non vanno più combattute solo a livello militare e di polizia ma vanno contrastate a tutti i livelli: dalla produzione alla distribuzione fino agli uffici dei colletti bianchi dove transitano i capitali da ripulire, garantendo al tempo stesso la sicurezza della salute dei consumatori troppo spesso messa a rischio da truffe e inganni solo per ragioni speculative” afferma il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “gli ottimi risultati dell’attività di contrasto confermano la necessità di tenere alta la guardia e di stringere le maglie ancora larghe della legislazione con la riforma dei reati in materia agroalimentare. L’innovazione tecnologica e i nuovi sistemi di produzione e distribuzione globali rendono ancora più pericolose le frodi agroalimentari che per questo vanno perseguite – conclude Prandini – con un sistema punitivo più adeguato con l’approvazione delle proposte di riforma dei reati alimentari presentate dall’apposita commissione presieduta da Giancarlo Caselli, presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio Agromafie promosso dalla Coldiretti”.

Ludopatia, una piaga sociale in crescita

(15-64 anni). Infatti, nel corso del 2017 hanno giocato almeno una volta oltre 17 milioni di italiani (42,8%), contro i 10 milioni del 2014 (27,9%). Tra i giocatori aumentano i problematici, quadruplicati negli ultimi 10 anni, dai 100.000 (0,6% dei giocatori) stimati nel 2007 ai 400.000 stimati nel 2017 (2,4% dei giocatori). La quota dei giocatori con profilo “a rischio severo” è in costante aumento dal 2007.

Soltanto in Veneto oltre 32.000 persone hanno problemi con il gioco d’azzardo. “Ricordo – ha detto l’assessore regionale alla sanità e al sociale, Manuela Lanzarin – che le direttive nazionali prevedono per le macchinette (Slot, Vlt e Awp) non più di sei ore d’interruzione obbligatoria al giorno. La legge veneta, con il provvedimento ora adottato dalla Giunta regionale, aiuta ad uniformare in tutto il territorio regionale gli orari di chiusura obbligatoria, per evitare che i giocatori migrino da un Comune all’altro per soddisfare il proprio bisogno compulsivo”.

L’assessore Lanzarin difende la ‘ratio’ del provvedimento adottato dalla Giunta (e ora al vaglio del Consiglio) che istituisce tre fasce orarie di stop obbligatorio per apparecchiature e punti gioco, uguali in tutto il territorio regionale: dalle 7 alle 9 del mattino, dalle 13 alle 15 e dalle 18 alle 20. Tre diversificazioni orarie individuate ascoltando esperti, addetti ai lavori e autorità locali, al fine di tutelare le categorie più a rischio (minori, casalinghe, disoccupati, anziani) riducendone l’esposizione al richiamo delle slot.

“La delibera di Giunta prevede testualmente che i Comuni “possano aggiungere alle predette fasce orarie anche ulteriori fasce orarie di chiusura, anche in relazione alla situazione locale. Questo- ha sottolineato Lanzarin – rafforza quindi la possibilità degli Enti locali di dare una ‘stretta’ all’accesso delle slot machines. Chi, tra i consiglieri regionali, ci accusa di aver adottato un provvedimento troppo morbido e accondiscendente nei confronti dell’industria del gioco, evidentemente non ha ancora letto la nostra delibera e dimostra di non conoscere il quadro regolatorio nazionale, frutto dell’accordo raggiunto nella Conferenza unificata del 7 settembre 2017. Un accordo nel quale la Regione Veneto ha difeso, a gran fatica, la possibilità degli enti locali di applicare misure più restrittive e di difenderle in sede giudiziaria dagli immancabili ricorsi intentati dall’industria del gioco”.

III Forum di etica civile: Verso un patto tra generazioni

Il rapporto tra le generazioni è sfida centrale per la vita assieme; è passaggio imprescindibile per un’etica civile. Facile coglierlo su scala globale: i temi ambientali dicono di un’eredità di degrado lasciata alle prossime generazioni da quelle che le hanno precedute. Ma anche più evidente nel nostro paese, con un mondo del lavoro e una struttura sociale lacerati da un gap generazionale che a molti giovani impedisce di costruire esistenze sostenibili, creando frustrazione e conflitti. Ed ampio è pure l’abisso comunicativo che una società differenziata e in mutamento accelerato scava tra le diverse età, ostacolando il dialogo ed il confronto costruttivo.

Come costruire percorsi che vadano in direzione diversa? Come porre le condizioni per un’interazione feconda, che valorizzi lo sguardo al futuro dei giovani e l’esperienza di chi ha una più lunga storia alle spalle? Come disegnare un futuro in cui ogni generazione possa partecipare attivamente alla vita sociale, politica, economica?

Come costruire un patto rinnovato, che raccolga in un orizzonte condiviso esigenze diverse?

Un Forum per pensare assieme

Per provare a capirlo i soggetti promotori invitano al III Forum di Etica Civile (Firenze, 16-17 novembre 2019). Il Forum – e il percorso che lo prepara – intendono esplorare tali interrogativi, guardando alle tante esperienze che operano in tale ambito, alle idee che possono condurci in tale direzione. Fin dai percorsi tematici, che nei prossimi mesi si svolgeranno in diverse realtà locali (su temi indicati nell’altro allegato), vi saranno occasioni per raccogliere e confrontare prospettive che possano aiutare in tal senso. Il metodo stesso sarà improntato al confronto tra generazioni diverse, per valorizzare una pluralità di voci, ma anche per far emergere istanze differenti. Lo stile sarà quello del dialogo civile, animato da uno sguardo curioso e rispettoso nei confronti dei percorsi altrui, pronto a valorizzarne la ricca pluralità come ricchezza, ad acquisire nuovi strumenti di lettura della realtà circostante e avviare azioni su alcune dimensioni fondamentali per una convivenza civile e generativa.

Un virus contro i tumori

Questo nuovo trattamento, chiamato CF33, ideato dal Professor Yuman Fong e sviluppato dalla società biotecnologica australiana Imugene, sembra efficace verso qualsiasi forma tumorale.

Il virus ingegnerizzato, una volta iniettato nell’organismo, sembra essere in grado di stimolare il sistema immunitario a riconoscere le cellule tumorali, oltre a infettare le cellule malate e distruggerle, il tutto con effetti collaterali minimi.

Al momento la nuova cura ha dimostrato di essere in grado di ridurre tutti i tipi di tumore nei topi, ma il fatto che sia efficace sui roditori non significa che possa esserlo anche sull’uomo.

Sono dunque necessari studi clinici sull’uomo, per testarne l’efficacia: a partire dal prossimo anno dovrebbe iniziare la sperimentazione sull’uomo contro il cancro alla mammella e altri tipi di tumori, tra cui il melanoma, il carcinoma polmonare, e tumori che interessano la vescica e il tratto gastrointestinale.

Ricordi del Muro di Berlino

Sono stato due volte a Berlino est due volte nell’82 e nell’85, con la Fondazione Konrad Adenauer, prima che il Muro crollasse sotto la spinta di Solidarność e dei venti di libertà che si sono alzati prima a Danzica e poi negli altri Paesi dell’Est. Erano viaggi di cui conservo ricordi vivi, incancellabili.

Per andare a Berlino Est partivamo da Ovest e si potevano constatare le differenze tra le due Germania. Erano differenze politiche economiche e sociali. Si toccavano con mano. Ai giovani era impedito di andare da Est a Ovest, neppure a trovare i parenti per evitare che ad Est rimanessero solo i vecchi. Anche i visitatori erano sottoposti a controlli severissimi ai 4 punti di frontiera.

Ai giovani che cercavano la libertà non restava che la fuga e spesso la morte. Dovevano superare non solo un alto Muro di cemento armato, ma anche, fili spinati, cavalli di Frisia, terreni minati, sentinelle armati, cani, sensori rilevatori di voci. Insomma la fuga era una impresa difficilissima. Tanti hanno tentato anche attraverso la via del freddissimo fiume. Naturalmente molte lapidi ancora oggi ricordano questi martiri della libertà.

È una memoria che non andrebbe dispersa soprattutto nei giovani occidentali che non apprezzano il prezzo della libertà e del costo incalcolabile di queste conquiste.
Al ritorno da Berlino Est per dirigerci all’aeroporto di Francoforte ci si ferma per una sosta tecnica in uno pseudo autogrill. Ci troviamo dinanzi a un modesto locale con una lampadina attaccata al soffitto. Non certo lo sfarzo e l’abbondanza degli autogrill occidentali. Non c’era nulla che potesse stimolare i nostri desideri. Ma in questa desolante miseria troviamo un prodotto italiano: i Ferrero Rocher. Fu una gioia incontenibile.

Riprendemmo il viaggio la soddisfazione che una impresa italiana aveva superato il Muro. Non ci aveva addolcito solo il palato, ma ci aveva anche riportato alla dura realtà di un Paese che era prigioniero della ideologia comunista portando differenze abissali tra le due Germania. Poi avverrà la liberazione di cui il Muro sarà il simbolo. Ma, prima di quel giorno, quante vite spezzate!

La rivolta nei margini

Sembra quasi impossibile, ma anche nei bicchieri d’acqua possono accadere dei veri nubifragi. È quello che sembra avvenga nel nostro Friuli Venezia Giulia.

Perché è ben vero che si tratta di recipientini. Da lungo tempo non siamo avvezzi a navigare in ampi orizzonti. Intristiti invece in contenitori da cucina. Comunque sia è meglio anche descrivere cosa accada nelle ristrettezze, che registrare un impietoso nulla.

Negli ultimi giorni è apparsa una possibile diaspora dentro una compagine di maggioranza. Il capo della cordata, almeno così abbiamo letto sui quotidiani locali, si è infastidito di qualcosa. E da qui la possibile scomunica oppure una sua fuoriuscita dalla casa madre.

Purtroppo non ci è dato sapere cosa mai punzecchi il vecchio Giuseppe Ferruccio Saro, né chi sia l’artefice di tale fastidio e non si capisce nemmeno se i motivi siano di sostanza politica o di puro potere. Ma intanto si preparano le schiere per una possibile frantumazione del minuscolo. Una tendenza quest’ultima ormai disseminata in ogni angolo del nostro Paese: i grandi contenitori non sembrano proprio di moda. Si sfarina ogni organismo nei suoi componenti e questo adesso capita anche, o almeno così leggiamo, nel gruppo di Progetto Fvg.

C’è qualche tentennamento, a dir il vero. Prima si indicono i raduni; poi, si disdicono e si traslano a tempi diversi. Queste schermaglie fanno capire che il benessere politico non è poi così assicurato nel Governo regionale. Vale sempre la vecchia tesi, che se la barca naviga bene, tutto l’equipaggio è contento.

Dico questo anche perché, a lato, si sussurra che stranezze analoghe vibrino all’interno dei Forza Italia regionale. Nulla di certo, vero, ma quando si origlia un tanto, qualche eco potrebbe essere pur vero.

Lungo le traiettorie delle formazioni in decadenza, gli smottamenti son di casa. Ed è ormai certo che il destino di Forza Italia è da qualche anno segnato. Cosa faranno i vari colonnelli sparsi nelle terre nazionali non lo sappiamo, ma quelli che nutrono ancora speranza per il proprio futuro, immagino annusino l’aria per trovare qualche riparo in zattere più consistenti. Così avverrà, prima o dopo, anche da noi.

L’unico a mantenere il velo in poppa, almeno in questa sua florida stagione, è il partito del Presidente della Regione, Massimiliano FEDRIGA. Lì, non c’è alcun segnale di frammentazione. Qualche mio conoscente di sinistra, andava sostenendo, e non stento a credere che abbia persino ragione, che l’unico partito a struttura leninista, era proprio quello di Matteo Salvini: partito coriaceo, capo sicuro, schiere ben ordinate, armonizzazione in ogni parte della scena.

Che cosa accadrà alle appendici del grande corpo politico, lo vedremo tra un po’. Se Saro si muoverà, se Riccardi registrerà qualche fibrillazione, e se i cori che si sono organizzati attorno a queste due figure avvertiranno qualche incertezza, non stento a credere che la polverizzazione immaginata sopra, possa davvero attuarsi da qui a qualche mese.

Tutto ciò, però, non avrà alcuna ripercussione sulla tenuta dal Governo regionale, anche perché, lo sottolineo, dall’altra parte sembra sia in atto un gran spaccio di bromuro e di morfina.

Giancarlo Pajetta : “Il tuo Dio se esiste è un Dio crudele”

Nel trentesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino mi viene alla mente un episodio – un dialogo fra i deputati Giancarlo Pajetta (PCI) e Maria Eletta Martini (DC) che ho ascoltato da un divano “accanto” nel transatlantico di Montecitorio – sul finire del 1989. Quella era evidentemente la parte finale di una conversazione fra due colleghi che si stimavano sul piano personale oltre che politico.

Non sono stato indiscreto perché la voce baritonale di Pajetta si faceva ascoltare ben oltre il divano su cui ero seduto io. “Il tuo Dio, cara Maria Eletta, se esiste, è un Dio crudele”. “Cosa dici Giancarlo, vedi di non bestemmiare perché non lo sopporterei”. “No, non voglio bestemmiare, ma debbo ribadire che – se esiste – è crudele, perché se non lo fosse non mi avrebbe tenuto in vita sino ad oggi, per farmi assistere al fallimento della mia vita. Quella comunista è stata per me una fede, a cui ho dato tutta la mia vita, compresi dieci anni di galera. Capisci il mio dolore?”.

Ecco questo tema del dolore dei comunisti non era considerato da chi non lo era, tranne uno: Benigno Zaccagnini. Più volte confessó infatti di pregare in quel periodo per i suoi amici comunisti di cui comprendeva sino in fondo l’umana sofferenza, proprio lui che nel 1963 alla Camera. all’indomani dell’innalzamento del muro, aveva “profetizzato” che quel muro sarebbe stato abbattuto non da carri armati ma dall’anelito alla libertà dei popoli soggiogati dall’Unione Sovietica.

(Dal profilo fb dell’Auotore)